Il sequestro preventivo penale rende nulla la delibera approvata sui beni gravati dalla misura cautelare

08 Novembre 2021

La Cassazione, con un'innovativa pronuncia, in ordine alla quale non constano precedenti in termini, afferma il principio di diritto secondo cui il sequestro preventivo penale, avente oggetto le unità immobiliari di proprietà esclusiva e le parti comuni di un edificio condominiale, colpisce i diritti e le facoltà individuali inerenti al diritto di condominio, le attribuzioni dell'amministratore ed i poteri conferiti all'assemblea in materia di gestione dei beni comuni, con la conseguente nullità della deliberazione approvata dall'assemblea medesima nel periodo di efficacia del suddetto sequestro penale.
Massima

Il sequestro preventivo penale avente oggetto leunità immobiliari di proprietà esclusiva e le parti comuni di un edificio condominiale, per le quali sia nominato un custode, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento, ed attesa la funzione tipica di detta misura, colpisce i diritti e le facoltà individuali inerenti al diritto di condominio, le attribuzioni dell'amministratore, ed i poteri conferiti all'assemblea in materia di gestione dei beni comuni, con la conseguente nullità della deliberazione approvata dalla medesima assemblea nel periodo di efficacia del suddetto sequestro.

Il caso

La fattispecie scrutinata dai giudici di legittimità attiene all'impugnazione della decisione di merito, con la quale si è ritenuto che la misura cautelare del sequestro preventivo penale disposta nell'àmbito di un procedimento penale per il reato di lottizzazione abusiva, pur avendo determinato l'indisponibilità del bene sequestrato per i singoli proprietari, non aveva privato l'assemblea condominiale della gestione delle parti comuni.

La questione

La Cassazione esamina la questione di diritto se il sequestro preventivo di un intero complesso immobiliare condominiale, disposto dal giudice penale, con la nomina di un apposito custode giudiziario per le parti comuni di esso, e di distinti custodi per le porzioni di proprietà esclusiva, privi l'amministratore e l'assemblea delle competenze loro attribuite, in ordine alla gestione delle cose e dei servizi nell'interesse comune.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità affermano che quando il sequestro preventivo penale abbia ad oggetto un edificio condominiale, e quindi tanto le unità immobiliari di proprietà esclusiva quanto le parti comuni di esso, il vincolo di indisponibilità e, quindi, inutilizzabilità, colpisce sia i diritti e le facoltà individuali inerenti al diritto di condominio, ivi compresi il diritto d'intervento e di voto in assemblea, sia i poteri rappresentativi dell'amministratore pro tempore che consistono principalmente nella gestione delle cose comuni, nella loro conservazione e manutenzione e nella disciplina del loro uso, sia i poteri conferiti specificamente all'assemblea dall'art. 1135 c.c.

Milita, in tal senso, l'affidamento delle parti comuni dell'edificio in condominio ad un custode, la quale, ha la sua ragion d'essere nell'esigenza giustificata dalle ragioni di preventiva cautela penale che determinano il sequestro, di sottrarre ai condomini ed agli organi del condominio la possibilità di continuare a gestire detti beni, esercitando i diritti e le attribuzioni ad essi correlati, con la concentrazione delle attività gestorie nelle mani dell'ausiliare del giudice.

Osservazioni

La Cassazione, con la pronuncia in commento, afferma chiaramente che la funzione cui è preordinato il vincolo di indisponibilità correlato al sequestro penale preventivo non è soltanto quella d'impedire la cessione a terzi del bene sequestrato e di conservarlo nel patrimonio del suo titolare, quanto, piuttosto, quella di evitare che quel bene possa essere adoperato dal proprietario per esplicare a proprio vantaggio le utilità in esso insite, atteso che la libera disponibilità è sinonimo della libera utilizzabilità del bene, ed è proprio questa che il vincolo in parola intende impedire.

Tale principio vale anche per quanto attiene alla possibilità per il singolo condomino e l'amministratore di esercitare le rispettive prerogative concernenti la gestione della res attinta dal sequestro preventivo penale.

Nell'addivenire a tale conclusione, i giudici di legittimità richiamano l'orientamento formatosi in tema di sequestro preventivo penale di quote od azioni societarie, sulla cui scia, si ritiene che la misura cautelare reale, essendo volta ad evitare che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze, o agevolare la commissione di altri reati, pur se in maniera mediata ed indiretta, priva temporaneamente i condomini dei diritti relativi alla gestione delle singole quote da essi detenute, sicché la partecipazione alle assemblee e la correlata espressione del diritto di voto, anche in ordine all'eventuale nomina e revoca dell'amministratore, spettano al custode designato in sede penale, rilevando a tale fine, non più la titolarità del patrimonio sociale ma la sua gestione (v., ex multis, Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2005, n.13169).

In definitiva, il legislatore ha inteso evitare che quel determinato bene possa essere adoperato dal proprietario per esplicare a proprio vantaggio le utilità in esso insite, giacché è proprio in questo - cioè nell'uso ulteriore del bene di cui trattasi - che si annidano i rischi che si intendono evitare od attenuare, giacchè la libera disponibilità, cui allude l'art. 321 c.p.p., va intesa quale possibilità di libera utilizzabilità del bene, ed è proprio questa che il vincolo apposto sul bene con il sequestro preventivo intende impedire, perché è da essa che possono scaturire tutti i pericoli che siffatta tipologia di sequestro intende evitare.

Quando il sequestro preventivo penale abbia ad oggetto beni pertinenti alla proprietà esclusiva o comune del condominio, al pari di quanto accade per le azioni o le quote di società, è dunque ovvio che il relativo vincolo colpisca i diritti e le facoltà ad essi inerenti, e primi tra tutti i diritti del singolo condomino, compreso quello di intervento e di voto in assemblea, perché è soprattutto nell'esercizio di tali diritti e facoltà che si esplica la libera disponibilità, nel senso sopra evidenziato, o di libera utilizzabilità, considerazione in forza della quale, l'affidamento dei beni sequestrati ad un custode ha la sua ragion d'essere nell'esigenza - giustificata dalle necessità sottostanti all'emissione della misura cautelare preventiva penale - di sottrarre al condomino e, dunque all'assemblea, la possibilità di continuare a gestire i beni esercitando i pertinenziali diritti, trattandosi di un effetto naturale derivante dal provvedimento di sequestro ex art. 321 c.p.p., con la conseguente attribuzione al custode, in luogo del singolo condomino, del diritto d'intervento e di voto in assemblea.

Conseguentemente, appare estremamente chiaro che l'affidamento delle parti comuni dell'edificio in condominio ad un custode, come avvenuto nella fattispecie scrutinata dai giudici di legittimità, trova la sua ragion d'essere nell'esigenza - giustificata dalle ragioni di preventiva cautela penale che determinano il sequestro - di sottrarre ai condomini ed anche agli organi di rappresentanza del condominio la possibilità di continuare a gestire detti beni, esercitando i diritti e le attribuzioni ad essi correlati, concentrandoli nelle mani del custode giudiziale.

La pronuncia che si annota ha cura di precisare che, ovviamente, rimane salva la possibilità che il giudice penale limiti in concreto i poteri attribuiti al custode dell'edificio condominiale oggetto del provvedimento di sequestro penale, rendendoli compatibili con una permanente residuale disponibilità gestoria da parte dell'amministratore o dell'assemblea.

La Cassazione, nell'accogliere il ricorso proposto dai due condomini che avevano sollevato questione di invalidità della delibera adottata dall'assemblea, e l'inefficacia dell'attività dell'amministratore condominiale a partire dalla data in cui era stato emesso il sequestro penale preventivo del complesso immobiliare, muovendo dalle suesposte considerazioni, afferma anche nella materia condominiale, la validità del principio già espresso in ambito societario, sulla cui scorta, finché perdura il vincolo apposto sui beni attinti dal sequestro preventivo penale, l'assemblea dei condomini rimane privata della possibilità di esercitare le proprie attribuzioni gestorie, con la conseguente nullità delle deliberazioni adottate nel periodo di efficacia del suddetto provvedimento giudiziale emesso ex art. 321 c.p.p.

Quid juris, invece, per quanto attiene al pagamento delle spese condominiali di un immobile sottoposto a sequestro penale preventivo?

Il sequestro preventivo disciplinato dal codice di procedura penale, costituisce un provvedimento cautelare volto al trasferimento coattivo della proprietà del bene, di guisa che, per il soggetto colpito da tale misura cautelare, sebbene temporanea, comporta la perdita della disponibilità del bene stesso sino alla decisione del procedimento penale, senza necessità di esprimere alcun consenso, sino al momento in cui il medesimo provvedimento si converte nella confisca nell'ipotesi di sentenza di condanna, oppure qualora venga meno a seguito dell'assoluzione della stessa parte gravata.

Conseguentemente, si è ritenuto che gravi, in capo al Ministero della Giustizia, l'obbligo di sopportare le spese di ordinaria amministrazione relative all'immobile di proprietà della parte attinta dal sequestro ex art. 321 c.p.p. sino alla data dell'eventuale assoluzione nel procedimento penale nell'ambito del quale era stato emesso il sequestro preventivo, in cui il condomino viene ad essere reintegrato ope iudicis nel possesso del bene (Trib. Savona 26 maggio 2009).

In tale ottica, le spese di custodia e di amministrazione del compendio sequestrato, specialmente quando la suddetta attività gestionale, finalizzata a salvaguardare la redditività del bene, risulti essere svolta in costanza della misura cautelare “per conto di chi spetta”, è evidente che il relativo esito economico, laddove il sequestro penale venga revocato, non possa che ricadere sull'avente diritto alla restituzione del bene, il quale si gioverà, in caso di esito positivo, dei profitti ricavati ed, in caso negativo, se ne accollerà le perdite.

Conseguentemente, come già condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è sul medesimo titolare del cespite oggetto di sequestro ex art. 321 c.p.p. che gravano le spese relative alla gestione, non potendo le stesse rientrare fra quelle di giustizia, che invece, devono essere anticipate dallo Stato (Cass. pen., sez. III, 7 febbraio 2018, n.14567).

Le spese di amministrazione del bene sequestrato, come ad esempio quelle dell'attività svolta per la conservazione del complesso sequestrato, e di quelle finalizzate alla sua eventuale gestione produttiva - si pensi al sequestro preventivo penale di un albergo per una presunta violazione delle norme in materia di lottizzazione abusiva - sono quindi diverse da quelle afferenti al compenso del custode-amministratore giudiziario, che, rientrando tra le spese processuali in senso stretto, vanno invece detratte dalla contabilità della gestione e poste a carico dell'Erario (Cass. pen., sez. IV, 24 febbraio 2005, n.20112, secondo cui le spese sostenute dal custode giudiziario per la gestione economica dei beni sequestrati non possono essere qualificate come spese di custodia e, quindi, di giustizia, con l'eventuale rivalsa sugli imputati condannati al pagamento delle spese processuali, dovendo essere poste a carico degli stessi beni in sequestro e, quindi, di chi aveva diritto alla loro restituzione).

Riferimenti

Garavelli, Il sequestro nel processo penale, Torino, 2002, 51;

Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Torino, 2003, 478.

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