Riforma processo penale. Dalla delega ai decreti delegati: punti fermi… e non (Parte I)

22 Novembre 2021

I temi (e gli obiettivi da raggiungere) che ricompaiono di comma in comma nell'art. 1 della legge delega (l. 27 settembre 2021, n. 134), intrecciandosi l'uno con l'altro, sono quelli dei tempi dei procedimenti (da abbreviare), dei numeri dei procedimenti e delle pendenze (da ridurre), dell'arretrato (da eliminare), dell'indipendenza del giudice e del controllo giurisdizionale (da rafforzare), dell'organizzazione (da migliorare), della qualità degli atti (da accrescere) e, non ultimo, dei fondi e in genere delle risorse personali e reali (da aumentare).
Modifiche al codice di procedura penale in materia di indagini preliminari e di udienza preliminare (art. 1, comma 9). Premessa

I temi (e gli obiettivi da raggiungere) che ricompaiono di comma in comma nell'art. 1 della legge delega (l. 27 settembre 2021, n. 134), intrecciandosi l'uno con l'altro, sono quelli dei tempi dei procedimenti (da abbreviare), dei numeri dei procedimenti e delle pendenze (da ridurre), dell'arretrato (da eliminare), dell'indipendenza del giudice e del controllo giurisdizionale (da rafforzare), dell'organizzazione (da migliorare), della qualità degli atti (da accrescere) e, non ultimo, dei fondi e in genere delle risorse personali e reali (da aumentare).

Sono – come afferma CANZIO (Le linee del modello “Cartabia”. Una prima lettura, in sistemapenale.it 25agosto 2021 e in ilpenalista.it 26 agosto 2021) - i parametri di valutazione del sistema di giustizia di un Paese.

Sarà agevole individuarli in queste prime pagine dedicate alle modifiche in materia di indagini preliminari e di udienza preliminare.

Della materia si occupa il comma 9 (che tratta anche delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, non oggetto del presente scritto) dell'art. 1 della legge delega.

Il legislatore delegato è chiamato a tradurre in specifiche disposizioni i “princìpi e criteri direttivi” dettati in materia di indagini preliminari (iscrizione nel registro; chiusura; archiviazione; riapertura; esercizio dell'azione penale) e di udienza preliminare (regola di giudizio, controllo dell'imputazione e costituzione di parte civile).

In una fase, quella delle indagini preliminari, in cui i presidi della difesa sono pochi e poco efficaci e i poteri di controllo del giudice sull'attività del pubblico ministero sono minimi e non sempre esercitati con la fermezza e il rigore richiesti, il Parlamento invita il Governo a provvedere.

Registro delle notizie di reato: iscrizioni e controlli da parte del giudice per le indagini preliminari (comma 9, lett. p - s)

L'iscrizione

L'art. 335 c.p.p. stabilisce che il pubblico ministero deve:

  • iscrivere immediatamente nel registro la notizia di reato, pervenutagli o acquisita di propria iniziativa, e il nome della persona alla quale il reato è attribuito (contestualmente o dal momento in cui risulti);
  • aggiornare l'iscrizione (quindi, non procedere a nuova iscrizione) qualora, nel corso delle indagini preliminari, muti la qualificazione giuridica del fatto o il fatto risulti diversamente circostanziato.

I presupposti dell'iscrizione

Spetta al Governo (comma 9, lett. p)) un primo non semplice compito: «precisare i presupposti per l'iscrizione … della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni».

Il Parlamento vuole che siano chiariti i presupposti che legittimano la nascita dell'indagine del pubblico ministero. E pretende che detti presupposti soddisfino, al fine di evitare arbitrii ed eccessi, esigenze di «garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni»: “garanzia” che l'indagine non può esserci se il fatto oggetto della notizia non integra una violazione costituente reato (l'inazione penale è obbligatoria e, in generale, l'eccesso di azione è “sconsigliato” in un sistema in cui l'obbligatorietà dell'azione penale si è, di fatto, smarrita); “certezza” dei tempi delle indagini; “uniformità” (parola che evoca stessi pesi, stesse misure e ideali di uguaglianza) nell'esercizio del potere.

Il delegante si preoccupa (comma 9, lett. s)), inoltre, che l'iscrizione «non determini effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo». Il Governo non dovrà crearne e, se ne esistono, dovrà eliminarli.

Si tratta, dunque, di dare anzi tutto un contenuto alle parole “notizia di reato” (con le quali il legislatore ha denominato il titolo secondo del capo primo del codice) e di stabilire quando possa dirsi individuata la persona alla quale il reato va attribuito.

Le indagini possono avere inizio solo se c'è una notizia di reato (la cui comunicazione-acquisizione origina l'obbligo a carico del pubblico ministero di immediata iscrizione); servono per cercare gli elementi di prova e portare il pubblico ministero a decidere se archiviare la notizia o esercitare l'azione penale formulando l'imputazione.

Il controllo sull'iscrizione

Il Parlamento si propone di delimitare il potere del pubblico ministero, di sottoporlo a controllo.

Le direttive contenute nelle lettere q), r) e s) del comma 9 sono chiare.

Il Governo è chiamato a prevedere che il giudice per le indagini preliminari possa:

- su richiesta motivata dell'interessato,

i) accertare la tempestività dell'iscrizione nel registro della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito;

ii) retrodatare l'iscrizione nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo;

- anche d'ufficio,

iii) ordinare l'iscrizione quando ritiene che il reato sia da attribuire a persona individuata, sempre che il pubblico ministero ancora non vi abbia provveduto.

Il legislatore delegato è libero di decidere quale schema procedimentale adottare purché sia garantito il confronto tra richiedente e pubblico ministero.

Dovrà però prevedere che:

  • la richiesta sia proposta entro un termine, stabilito a pena di inammissibilità della stessa, decorrente dalla data in cui l'interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che avrebbero imposto l'anticipazione dell'iscrizione della notizia a suo carico;
  • la richiesta di retrodatazione dell'iscrizione della notizia di reato contenga, a pena di inammissibilità, l'indicazione delle ragioni che la sorreggono.

Il Parlamento interviene, dunque, sui problemi delle iscrizioni tardive e mancantie del controllo del potere spettante sul punto al pubblico ministero, mirando a tutelare il principio che le indagini devono avere un termine di durata delimitato e prestabilito e che la persona sottoposta alle indagini deve avere certezza sui tempi investigativi.

Come è stato scritto (IACOVIELLO, in Gaetano Costa 40 anni dopo, Fondazione Gaetano Costa 2020, p. 130) “non ci può essere giusto processo se non c'è giusta indagine preliminare

La giurisprudenza – è opportuno ricordarlo - ha finora sempre affermato che la ritardata iscrizione non dà luogo a sanzioni processuali, potendo avere effetti solo sul piano penale e disciplinare.

Riprende vitalità l'inutilizzabilità degli atti ex art. 407 comma 3 c.p.p. per decorrenza dei termini di indagine.

La retrodatazione dell'iscrizione può portare a risultati travolgenti ed è, pertanto, prevedibile che il provvedimento del giudice per le indagini preliminari sarà oggetto di attenzione sia nel processo di primo grado sia nei giudizi di impugnazione.

Termini di durata e loro prorogabilità. Termine per esercitare l'azione penale o richiedere l'archiviazione ed interventi del giudice per le indagini preliminari (comma 9, lett. c - i)

Il tema è - come si è detto - strettamente collegato a quelli trattati nel paragrafo precedente.

In una prospettiva di accrescimento dell'efficienza, il Parlamento delega al Governo interventi anche in queste materie.

Il Governo dovrà ricalibrare la disciplina.

Termini di durata delle indagini preliminari

Il legislatore delegato è, in particolare, tenuto a modificare i termini di durata delle indagini preliminari di cui all'art. 405 c.p.p., in relazione alla natura dei reati, nelle seguenti misure (sempre con decorrenza dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato) (lett. c)):

  1. sei mesi per le contravvenzioni;
  2. un anno e sei mesi quando si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 407 comma 2;
  3. un anno in tutti gli altri casi;

Oggi, l'art. 405 comma 2 c.p.p.disciplina così i termini per l'“inizio dell'azione penale” o, se si preferisce, per la durata delle indagini preliminari, con decorrenza dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato:

  • un anno se si procede per taluno dei gravi delitti indicati nell'art. 407 comma 2, lett. a). L'elenco è molto vasto: devastazione, saccheggio e strage (art. 285 c.p.); guerra civile (art. 286 c.p.); associazioni di tipo mafioso anche straniere (art. 416-bis c.p.); strage (art. 422 c.p.); contrabbando di tabacchi lavorati esteri aggravato e ipotesi aggravata dell'associazione per delinquere finalizzata al medesimo contrabbando (artt. 291-ter comma 2, lett. a), d) ed e), e 291-quater, comma 4. del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43); delitti consumati o tentati, di omicidio (art. 575 c.p.), rapina (art. 628 c.p.), estorsione (art. 629 c.p.) e sequestro di persona (art. 630 c.p.); delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (art. 416-bis.1 c.p.); delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale con pena minima non inferiore a 5 anni e massima non inferiore a 10; associazioni sovversive nell'ipotesi di cui all'art. 270, terzo comma c.p.; formazione e partecipazione a banda armata (art. 306 secondo comma c.p.); delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine e di più armi comuni da sparo; delitti di cui agli artt. 73 (traffico illecito di sostanze stupefacenti), se aggravato dalla circostanza di cui all'art. 80 comma 2 (quantitativi ingenti), e 74 (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; associazione per delinquere (art. 416 c.p.) nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza; delitti previsti dagli artt. 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù), 600-bis, primo comma (prostituzione minorile), 600-ter, primo e secondo comma (pornografia minorile), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e alienazione di schiavi), 609-bis (violenza sessuale) aggravato da una delle circostanze di cui all'art. 609-ter; 609-quater (atti sessuali con minorenne), 609-octies (violenza sessuale di gruppo); delitti di immigrazione clandestina di cui all'art. 12, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286;
  • sei mesi per tutti gli altri reati;

Proroga dei termini

Il parlamento invita, poi, il Governo aprevedere che il pubblico ministero possa chiedere al giudice la proroga dei termini di cui all'art. 405 una sola volta, prima della scadenza di tali termini, per un tempo non superiore a sei mesi, quando la proroga sia giustificata dalla complessità delle indagini (lett. d)).

Al momento, l'art. 406 c.p.p. prevede possibilità di proroghe per non più di sei mesi:

  • una prima proroga, su richiesta del pubblico ministero, per “giusta causa” (comma 1);
  • ulteriori proroghe nei casi di “particolare complessità delle indagini” o di “oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato” (comma 2), con espressa esclusione delle indagini per i reati di cui agli artt. 572 (maltrattamenti contro familiari e conviventi), 589 secondo comma (omicidio colposo per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), 589-bis (omicidio stradale), 590 terzo comma (lesioni personali colpose per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, 590-bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime) e 612-bis (atti persecutori) c.p.

Termine di durata massima delle indagini preliminari

La delega tacesui termini di durata massima delle indagini preliminari, che l'art. 407 comma 1 c.p.p. fissa in due anni

  • per i già citati reati di cui al comma 2, lett. a);
  • per le notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese (comma 2, lett. b));
  • per le indagini che richiedono il compimento di atti all'estero (comma 2, lett. c));
  • per i procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell'art. 371 c.p.p. (comma 2, lett. d)),

e in un anno e sei mesi per tutti gli altri reati e casi.

D'altra parte - come si legge nella Relazione illustrativa - «il nuovo regime della durata delle indagini dovrebbe essere questo:

- per le contravvenzioni, il termine di durata è 6 mesi e tale termine è prorogabile una sola volta di 6 mesi.
Attualmente per tali reati il termine di durata è 6 mesi, prorogabili fino ad un totale di 18 mesi: quindi pur restando invariato il termine ordinario, viene abbreviato quello massimo, che passa da 18 mesi a 12 mesi;- per i delitti indicati nell'art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. il termine di durata ordinaria passa dagli attuali 12 a 18 mesi; il termine di durata massima resta tuttavia invariato: 24 mesi nella normativa vigente e 24 mesi in base alla riforma (che consente una sola proroga di sei mesi);

- per i casi di cui all'art. 407 secondo comma lett. b) e c), il termine ordinario passa dagli attuali 6 mesi a 18 mesi; resta invariato il termine massimo di 24 mesi (nella normativa vigente consentite proroghe fino a 24 mesi; nella riforma una sola proroga di 6 mesi);

- per tutti gli altri delitti, il termine è di 12 mesi, prorogabili fino al massimo di 18 mesi; attualmente il termine è di 6 mesi prorogabili fino ad un massimo di 18 mesi (tranne alcuni specifici delitti): quindi il termine resta invariato».

Queste considerazioni dovrebbero comportare la soppressione dell'art. 407 c.p.p., ma l'operazione è più complicata di quanto appaia e richiede interventi chirurgici per collocare l'elenco di reati contenuto nel comma 2, lett. a), disposizione richiamata in numerose disposizioni del codice penale (cfr. artt. 62-bis, secondo comma, 69-bis e 99, quinto comma), del codice procedura penale (v. artt. 18, comma 1, lett. e-bis), 33-bis, comma 1, lett. a), 295, comma 3-bis, 301, comma 2-bis, 303, comma 1, lett. a), n. 3 e lett. b), n. 3-bis, 304, comma 2, 307, comma 1-bis, 335, comma 3, 347, comma 3, 405, comma 2, 406, comma 5-bis e 533, comma 3-bis), delle norme di attuazione e coordinamento del medesimo (artt. 112, comma 1, 118-bis, comma 1, 132-bis, comma 1, 146-bis, comma 1, 147-bis, comma 3, lett. c), 226, comma 1 e 242, comma 3) e di leggi speciali (v. ad es. l'art. 16, commi 3 e 4, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, T.U. Immigrazione; l'art. 73, comma 5-ter d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, T.U. Stupefacenti; l'art. 3, comma 1, d.l, 18 ottobre 2001, n. 374 di contrasto al terrorismo internazionale; l'art. 4-bis d.l. 18 febbraio 2005, n. 7 in materia di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico).

Il legislatore delegato dovrà decidere che fare sui reati di cui al sopra indicato art. 406 comma 2-terc.p.p.

Per questi reati il termine massimo delle indagini sembrerebbe ampliarsi con la riforma; attualmente - come si è detto - è previsto che per tali reati la proroga possa essere concessa una sola volta e dunque la durata massima è un anno.

Con la riforma la durata delle indagini preliminari per questi reati, che il legislatore aveva voluto inferiore, aumenterebbe a 18 mesi, cioè un anno cui si aggiungono, sussistendone le condizioni, sei mesi di proroga.

Termine per l'esercizio dell'azione penale o per la richiesta di archiviazione

Decorsi i termini di durata delle indagini, il Governo dovrà prevedere che il pubblico ministero eserciti l'azione penale o richieda l'archiviazione entro un termine fissato in misura diversa, in base alla gravità del reato e alla complessità delle indagini preliminari (lett. e)).

Oggi, il comma 3-bis dell'art. 407 c.p.p., prodotto della Riforma Orlando (l. 23 giugno 2017, n. 103), stabilisce che il pubblico ministero è tenuto, in ogni caso, a esercitare l'azione penale o a richiedere l'archiviazione entro i seguenti termini decorrenti dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all'art. 415-bisc.p.p.:

  • quindici mesi per i reati di cui al citato comma 2 lett. a), nn. 1), 3) e 4)
  • tre mesi per tutti gli altri reati;
    • sei mesi al massimo nei casi di cui al sopra indicato comma 2, lett. b), su richiesta di proroga presentata dal pubblico ministero, prima della scadenza, al Procuratore Generale.

Inadempimento del pubblico ministero e possibilità dell'indagato e della persona offesa dal reato di prendere cognizione degli atti dell'indagine

Per il caso che il pubblico ministero non adempia, per il caso cioè che, scaduto il termine anzidetto, il pubblico ministero non assuma le proprie determinazioni in ordine all'azione penale, la legge delega invita il Governo a predisporre meccanismi procedurali che consentano alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa dal reato (che nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione abbia dichiarato di volerne essere informata) di prendere cognizione degli atti di indagine.

Il legislatore delegato dovrà, comunque, tenere conto sia delle esigenze di tutela del segreto investigativo nelle indagini relative ai reati di cui all'art. 407 c.p.p., sia di eventuali ulteriori esigenze di cui all'art. 7, par. 4, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012 sul diritto all'informazione nei procedimenti penali.

Detta disposizione prevede il rifiuto all'accesso a “parte” della documentazione relativa all'indagine, sempre che ciò non pregiudichi il diritto a un processo equo, qualora possa «comportare una grave minaccia per la vita o per i diritti fondamentali di un'altra persona» o qualora sia «strettamente necessario per la salvaguardia di interessi pubblici importanti, come in casi in cui l'accesso possa mettere a repentaglio le indagini in corso, o qualora possa minacciare gravemente la sicurezza interna dello Stato membro in cui si svolge il procedimento penale» (lett. f)).

Il Governo stabilirà se il provvedimento di rifiuto debba essere adottato dal giudice per le indagini preliminari o dal pubblico ministero con possibilità di successivo controllo giurisdizionale.

Gli interventi del giudice per le indagini preliminari

La legge delega intende attribuire al giudice per le indagini preliminari altri poteri di controllo e intervento.

Il Governo dovrà dar vita ad una disciplina che consenta, in generale, al giudice per le indagini preliminari di intervenire per rimediare “in ogni caso” alla stasi del procedimento (lett. g)) e, in particolare, nelle ipotesi in cui, dopo la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, il pubblico ministero non assuma tempestivamente le determinazioni in ordine all'azione penale (lett. h)).

Gli obiettivi consistono nel rafforzare le garanzie dell'indagato e le facoltà della persona offesa dal reato, anche attribuendo poteri di controllo al giudice per le indagini preliminari, e nel ridurre ingiustificabili tempi “morti”.

Archiviazione: regola di giudizio (comma 9, lett. a)

La regola di giudizio che deve far ritenere infondata la notizia di reato, imponendo al pubblico ministero di richiedere l'archiviazione e al giudice per le indagini preliminari di disporla, è fissata nell'art. 125 disp. att. c.p.p.: gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non devono essere “idonei a sostenere l'accusa in giudizio”.

Il legislatore delegato dovrà cambiarla (lett. a)): gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non devono consentire una “ragionevole previsione di condanna”.

Questa regola di giudizio è una prognosi probatoria, strutturata sulla colpevolezza.

Il legislatore delegato dovrà interpretare lo spirito di questa previsione e agire di conseguenza.

La formula evoca quel “dubbio ragionevole” al di là del quale si situa, secondo l'art. 533 comma 1 c.p.p., l'affermazione che l'imputato è colpevole e la condanna dello stesso.

Sarà il Governo a dire se lo stesso canone, seppur in termini prognostici, deve entrare nella fase delle indagini preliminari e nella cultura del pubblico ministero.

Come dire: se sulla base degli elementi acquisiti nelle indagini preliminari, che hanno nella completezza un fondamentale requisito (meritano di essere rilette le affermazioni sul punto contenute nelle sentenze della Corte costituzionale n. 88 del 1991 e n. 115 del 7 maggio 2001), affiora una plausibile razionale ipotesi alternativa (a maggior ragione se essa si profila attraverso l'adozione di meccanismi, come l'incidente probatorio, di anticipazione della prova) non sussiste una ragionevole previsione di condanna. E non resta che chiedere l'archiviazione.

E forse già il codice di rito ci aveva pensato nell'affermare (art. 358) che il pubblico ministero deve svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini; deve setacciare, in termini di completezza, le plausibili razionali ipotesi alternative che possono condurre ad epilogo diverso dall'esercizio dell'azione penale.

D'altra parte, se il giudice penale deve vivere il processo “nel dubbio” sull'incompletezza o inesattezza dei dati informativi, mirando ad accrescere la conoscenza, consapevole dell'enorme portata dei valori coinvolti, perché non dovrebbe farlo anche il pubblico ministero nella fase in cui dovrebbe vedersi la sua imparzialità?

Notificazione dell'avviso della richiesta di archiviazione. Riapertura delle indagini preliminari (comma 9, lett. b e t)

Notificazione dell'avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa dal reato

Per completare i temi del procedimento di archiviazione e delle indagini preliminari, va segnalato che il Governo è tenuto aescludere l'obbligo di notificazione dell'avviso della richiesta di archiviazione, di cui all'art. 408 comma 2 c.p.p. alla persona offesa che abbia fatto remissione della querela (lett. b).

I contorni dell'intervento richiesto al Governo sono ben delineati.

Attualmente, l'art. 408, dedicato alla richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, stabilisce al comma 2 che l'avviso della richiesta deve essere notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l'eventuale archiviazione.

Il comma 3-bis specifica, poi, che per i delitti commessi con violenza alla persona e per il reato di cui all'art. 624-bis c.p. (furto in abitazione e furto con strappo) l'avviso della richiesta è in ogni caso notificato alla persona offesa.

Decreto di riapertura delle indagini

Il legislatore delegato è chiamato a prevedere criteri più stringenti ai fini dell'adozione del decreto di riapertura delle indagini di cui all'art. 414 c.p.p. (lett. t).

Oggi la riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione chiesta dal pubblico ministero è dal giudice per le indagini preliminari autorizzata (e si procede a nuova iscrizione nel registro) se vi è motivata “esigenza di nuove investigazioni”. E l'autorizzazione vale a rimuovere una condizione di improcedibilità dell'azione penale per la precedente archiviazione.

Per “criteri più stringenti” dovrebbero intendersi presupposti più rigorosi per l'adozione del decreto di riapertura.

Già oggi è necessario che le indagini da riaprire abbiano ad oggetto la stessa notizia di reato archiviata, non altra, né altre persone; si richiede, inoltre, l'identità dell'autorità procedente (in tema Cass.sez. unite, 24 giugno 2010, n. 33885, Giuliani; Cass. sez. unite., 22 marzo 2000, n. 9, Finocchiaro).

Ma effettivamente il requisito dell'esigenza di nuove investigazioni è generico per quanto atto a evocare qualcosa di nuovo.

Il Parlamento vuole, dunque, che sia ampliata la strada per l'archiviazione della notizia di reato e ristretta quella per riaprire le indagini sulla medesima notizia di reato da parte del medesimo pubblico ministero.

L'intervento è “forte”, ma non in conflitto con il principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale.

Udienza preliminare: controllo del capo di imputazione (comma 9, lett. n)

i) Venendo all'udienza preliminare, il primo fondamentale compito per il Governo, previsto dalla lett. n), si articola in due punti:

  • prevedere che, in caso di violazione della disposizione dell'art. 417 comma 1 lett. b), c.p.p. (che impone l'enunciazione, in forma chiara e precisa, dell'imputazione, vale a dire «del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge») il giudice, sentite le parti, quando il pubblico ministero non provvede alla riformulazione dell'imputazione, dichiari, anche d'ufficio, la nullità e restituisca gli atti;
  • prevedere che, al fine di consentire che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, nonché i relativi articoli di legge, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, sentite le parti, ove il pubblico ministero non provveda alle necessarie modifiche, restituisca, anche d'ufficio, gli atti al pubblico ministero.

ii) All'imputazione oscura e imprecisa, se il pubblico ministero, a ciò sollecitato in udienza, non la riformula, consegue la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio.

All'imputazione chiara e precisa ma da modificare qualora il fatto risulti diverso da come è descritto, consegue la restituzione degli atti al pubblico ministero qualora il medesimo non provveda in udienza alla modificazione ai sensi dell'art. 423 c.p.p.

Si ampliano scenari molto promettenti (aperti – lo si ricorderà da Cass. S.U. 20 dicembre 2007, n. 5307, p.m. in proc. Battistella) su uno dei compiti fondamentali del giudice perché il processo sia correttamente incardinato: il controllo del capo d'imputazione.

L'imputazione deve essere “chiara” e “precisa” come pretende non solo l'art. 417 comma 1 lett. b) ma anche, per il caso di citazione diretta a giudizio, l'art. 552 comma 1 lett. c) (e, infatti, analoghi criteri sono dettati, nell'ambito del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, dal comma 12, lett. b) e c)).

Alla chiarezza e alla precisionedell'imputazione è vincolato il pubblico ministero e devono aspirare il giudice dell'udienza preliminare e il giudice di primo grado, se del caso sollecitando il pubblico ministero ad intervenire sull'imputazione tutte le volte in cui essa non sia chiara e precisa in ogni sua componente.

Solo un'imputazione essenziale, nella necessaria completezza, concorre all'attuazione dei principi costituzionali.

Un'imputazione oscura o ridondante, troppo particolareggiata, infarcita, ad esempio, di dati storici non necessari per identificare il fatto, può produrre effetti pregiudizievoli se il giudice non interviene subito ad invitare il pubblico ministero a provvedere.

La chiarezza e la precisione del capo di imputazione sono l'ineludibile presupposto per un contraddittorio efficace.

Sul punto possono venire in rilievo molte considerazioni. Ad es. l'inopportunità dei capi di imputazione cumulativi, nei quali viene data un'unitaria descrizione dei fatti in concreto contestati, tuttavia con l'indicazione numerica di più norme incriminatrici, nella prospettiva, implicita o dichiarata, del concorso formale o materiale o della continuazione. Scelta descrittiva che produce solo effetti negativi sul seguito, sia in termini di individuazione della porzione di condotta attribuibile alla singola fattispecie incriminatrice (essenziale nei casi di parziale prescrizione o assoluzione ed anche per le implicazioni sulla pena), sia sulla corretta qualificazione dei fatti (anche ai fini della determinazione preventiva dei tempi di prescrizione e della procedibilità), sia sulla redazione del dispositivo. Una redazione autonoma (un capo di imputazione per reato) consentirebbe tra l'altro di cogliere con immediatezza l'effettiva adeguatezza delle singole imputazioni nel contesto complessivo del fatto o dei fatti che in concreto sono ascritti all'imputato.

Particolare attenzione deve sempre essere prestata all'individuazione del tempus commissi delicti, in particolare con riferimento ai reati permanenti, a quelli abituali, a quelli a consumazione prolungata e, in generale, a quelli in cui i momenti di perfezione e di consumazione del reato non coincidono.

La giurisprudenza si è già impegnata sul terreno dell'imputazione mancante o generica, fonte – la prima – di inevitabile nullità assoluta, all'origine – la seconda – di un preventivo dialogo virtuoso tra giudice e pubblico ministero finalizzato a specificarla (Cass. S.U. 20 dicembre 2007, p.m. in proc. Battistella, cit.).

Ma la chiarezza e la precisione che – come si è detto – la legge impone al pubblico ministero nella redazione dell'imputazione aprono scenari più vasti che meritano soluzioni drastiche come quella indicata dal Parlamento.

Il giudice dell'udienza preliminare ne uscirà rafforzato e con un'immagine consona all'importanza della funzione, soprattutto se saprà effettuare con il necessario rigore la verifica della “corrispondenza” del fatto e delle circostanze aggravanti contestate a quanto risulta dagli atti dell'indagine.

Udienza preliminare: regola di giudizio (comma 9, lett. m)

Le considerazioni svolte sulla regola di giudizio con riguardo all'archiviazione valgono anche per la fase dell'udienza preliminare.

Anche la regola di giudizio di cui all'art. 425 comma 3 c.p.p. dovrà essere modificata negli stessi termini.

Il giudice dell'udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere “quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”.

La nuova regola si coniuga con le funzioni di controllo che il Parlamento vuole siano attribuite al giudice per le indagini preliminari e, soprattutto, al giudice dell'udienza preliminare, in particolare quelle di cui si è appena detto con riguardo all'imputazione formulata dal pubblico ministero.

i) Al momento la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere è ancorata alla insufficienza, contraddittorietà o inidoneità a sostenere l'accusa in giudizio degli elementi acquisiti.

Tuttavia, le sentenze di non luogo a procedere restano una rarità nelle aule giudiziarie. E a ciò contribuisce anche il fatto che il decreto che dispone il giudizio non deve essere motivato, essendo sufficiente la (in concreto mancante nella maggior parte dei casi) “indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono”.

Sono più di venti anni che il legislatore cerca di trovare la formula efficace per evitare che dall'udienza preliminare approdino al giudizio processi destinati a concludersi con epilogo assolutorio o, più in generale, di proscioglimento.

Nel vigore del testo originario dell'art. 425 comma 3 la sentenza di non luogo a procedere poteva pronunciarsi solo qualora fosse “evidente” che il fatto non sussisteva o non costituiva reato, che l'imputato non lo aveva commesso o non era altrimenti punibile.

La regola vigeva unicamente in funzione di queste formule in fatto; ne erano svincolati i casi di estinzione del reato e di improcedibilità, nonché l'ipotesi in cui il fatto non fosse previsto dalla legge come reato.

Inizialmente, la giurisprudenza si era allineata, affermando che per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere occorreva una “prova positiva evidente di non colpevolezza”, non essendo sufficiente la mancanza di prove, fatto negativo invece sufficiente per il giudice dibattimentale ex art. 530 c.p.p. (cfr. ad es. Cass. III, 14 dicembre 1990, Gargano, Rv. 186002). Il ruolo del giudice dell'udienza preliminare ne usciva svilito, ridotto nella sostanza – si diceva - a quello di un semplice “passacarte”. La stessa udienza preliminare era un luogo di mero smistamento.

Allora vi era asimmetria tra la regola decisoria prevista dall'art. 425 c.p.p. e quella indicata per l'archiviazione nell'art. 125 disp. att.; il P.M. doveva, infatti, richiedere l'archiviazione anche nelle ipotesi in cui riteneva insufficiente la prova della colpevolezza dell'accusato, il giudice dell'udienza preliminare poteva pronunciare sentenza di non luogo a procedere soltanto qualora l'accusa fosse palesemente infondata.

In altri termini, il rinvio a giudizio presupponeva un quadro probatorio meno rilevante di quello necessario per procedere all'archiviazione.

Con la soppressione del requisito dell'evidenza (l. 8 aprile 1993 n. 105) cominciò in dottrina a parlarsi di “ragionevole previsione”: non, però, di condanna, ma di superamento dell'incertezza, del dubbio derivante dalla valutazione degli elementi acquisiti. Tanto bastava per il rinvio a giudizio. La giurisprudenza cominciò ad affermare che il legislatore aveva ampliato i poteri decisori del giudice. E, in linea con le prevalenti considerazioni della dottrina, affermò la regola secondo cui, nel caso in cui sussistessero fonti o elementi di prova, anche se contraddittori o insufficienti, che si prestassero secondo una valutazione prognostica a soluzioni aperte era doverosa la verifica dibattimentale (Cass. sez. VI, 7 maggio 1996, Carnevale).

Di riflesso, la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere era doverosa in presenza di elementi probatori ritenuti inidonei a determinare il passaggio al giudizio perché non suscettibili di ulteriore sviluppo nell'istruttoria dibattimentale.

Poiché da sempre, il legislatore persegue l'obiettivo di evitare che approdino al giudizio situazioni nelle quali risulti, con ragionevole previsione di certezza, che l'imputato merita il proscioglimento, ritenuta insufficiente la soppressione del requisito dell'evidenza, si arrivò al secondo intervento legislativo (l. 16 dicembre 1999 n. 479), che si limitò peraltro a codificare la linea interpretativa che si era ormai imposta.

Si stabilì - come si è detto - che il giudice fosse tenuto a pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultavano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio.

Al giudice continuava ad essere riservato un giudizio prognostico sugli sviluppi dibattimentali.

Valutazione prognostica fondata su basi più solide rispetto al passato, in virtù del dovere, posto a carico del pubblico ministero, di completezza delle indagini preliminari, assicurata anche dai nuovi strumenti introdotti dagli artt. 415-bis e 421-bis c.p.p.

In altre parole, la sentenza di non luogo a procedere continuava ad essere una sentenza meramente processuale che accertava soltanto la necessità o meno di passare alla fase dibattimentale.

E il non luogo a procedere era da escludersi in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestassero a soluzioni alternative e aperte.

ii) Ora potrebbe esserci una svolta.

Il legislatore delegato dovrà trovare il modo di stabilire che prove insufficienti o contraddittorie non possano determinare l'approdo al giudizio. Non c'è più spazio per l'abusata formula secondo cui possibili integrazioni dibattimentali potrebbero trasformarle in prove sufficienti e logicamente coerenti.

Se solo una “ragionevole previsione di condanna” porta al dibattimento, il legislatore delegato dovrà sforzarsi di chiarire se il dubbio conduca comunque al dibattimento o imponga di non procedere.

I primi commenti sono negativi o perplessi.

Vi è chi (ORLANDI, Riforma della giustizia penale: due occasioni mancate e una scelta ambigua in tema di prescrizione, in discrimen.it 16 luglio 2021) ritiene che difficilmente la mutata dicitura testuale sortirà l'effetto voluto, anche perché il rinvio a giudizio continuerà ad essere immotivato e inoppugnabile; si è scelto ancora di operare solo sul piano (spesso illusorio e inefficace) delle regole da applicare, «pur consapevoli che l'adempimento di quelle regole non potrà essere controllato».

Altri (FERRUA, Appunti critici sulla riforma del processo penale secondo la Commissione Lattanzi, in discrimen.it 12 luglio 2021) afferma che, in caso di mancata prova o di incertezza, a prevalere sarà sempre il rinvio a giudizio; anche perché, «nella scelta tra un provvedimento motivato ed uno immotivato, il giudice tenderà, per accidia, a privilegiare quello immotivato». Per modificare la regola di giudizio, occorreva invertire i termini dell'alternativa decisoria: prevedere in quali casi si debba rinviare a giudizio.

Perplessità varie sono espresse (v. ad es. PISTORELLI, Riforma del processo penale: le direttive di intervento in materia di indagini preliminari e udienza preliminare, in ilpenalista.it 8 ottobre 2021) sui risultati che si potranno ottenere.

In ogni caso, i dati statistici sono chiari: nel 65% dei casi l'udienza preliminare si conclude con il decreto che dispone il giudizio e la durata del processo di primo grado aumenta di circa 400 giorni.

Ma il Parlamento non la vuole abbandonare. Ne riduce l'ambito di applicazione, ampliando il catalogo (se ne parlerà tra breve) di reati per i quali l'azione penale va esercitata con citazione diretta a giudizio ma, al tempo stesso, la “copia” nel delineare la nuova udienza predibattimentale davanti al Tribunale monocratico (v. infra Parte terza, di prossima pubblicazione).

Udienza preliminare: costituzione di parte civile (comma 9, lett. o)

Altro compito per il Governo è contemplato dalla lett. o) ed è articolato in due punti:

  • prevedere che, nei processi con udienza preliminare, l'eventuale costituzione di parte civile avvenga, a pena di decadenza, per le imputazioni contestate, entro il compimento degli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti, a norma dell'art. 420 c.p.p.;
  • prevedere che, salva contraria volontà espressa della parte rappresentata e fuori dei casi di mancanza di procura alle liti ai sensi dell'art. 100 c.p.p., la procura per l'esercizio dell'azione civile in sede penale, rilasciata ai sensi dell'art. 122 c.p.p., conferisca al difensore la legittimazione all'esercizio dell'azione civile con facoltà di trasferire ad altri il potere di sottoscrivere l'atto di costituzione per garantire il potere di costituirsi parte civile.

Sul punto, per comprendere le intenzioni del legislatore delegante, è sufficiente ricordare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U., 21 dicembre 2017, n. 12213, Zucchi) hanno affermato che «il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l'azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura ovvero che la costituzione in udienza avvenga in presenza del danneggiato, situazione questa che consente di ritenere la costituzione come avvenuta personalmente».

Ampliamento del catalogo dei reati a citazione diretta davanti al Tribunale monocratico (comma 9, lett. l)

L'ultima direttiva del Parlamento, intesa - come si è detto - a ridurre l'ambito di applicazione dell'udienza preliminare, è quella di estendere il catalogo dei reati di competenza del tribunale in composizione monocratica (il riferimento va essenzialmente all'art. 33-ter c.p.p.) per i quali l'azione penale è esercitata con decreto di citazione diretta a giudizio ad altri delitti (oltre a quelli già previsti dall'art. 550 c.p.p.) da individuare tra quelli puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, anche se congiunta alla pena della multa, che non presentino rilevanti difficoltà di accertamento.

Non resta che augurare buon lavoro a chi sarà chiamato ad individuare, tra questi delitti, quelli che non presentino “rilevanti difficoltà di accertamento” e a scegliere la tecnica con cui intervenire sull'art. 550.

Per la determinazione della pena si osservano le disposizioni dell'art. 4 (in sintesi, si ha riguardo alla pena massima stabilita dalla legge per il reato e all'aumento massimo per le circostanze aggravanti ad effetto speciale, esclusa la recidiva, e per le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato).

Per ora il pubblico ministero procede con citazione diretta a giudizio quando si tratta:

  • di contravvenzioni;
  • di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva;
  • dei seguenti, più gravemente puniti, delitti:

a) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.);

b) resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.);

c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato (art. 343, secondo comma, c.p.);

d) violazione di sigilli aggravata (art. 349, secondo comma, c.p.);

e) rissa aggravata (art. 588, secondo comma, c.p.), con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime;

e-bis) lesioni personali stradali, anche se aggravate (art. 590-bis c.p.);

f) furto aggravato (art. 625 c.p.) (la giurisprudenza ricomprende anche il furto abitazione e il furto con strappo di cui all'art. 624-bis);

g) ricettazione (art. 648 c.p.).

Guida all'approfondimento

Parte II - Modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimenti speciali (art. 1 comma 10);

Parte III - Modifiche in materia di procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 1 comma 12);

Parte IV - Modifiche in materia di impugnazioni (appello, ricorso per cassazione e impugnazioni straordinarie) (art. 1, comma 13).

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