Riforma processo penale. Dalla delega ai decreti delegati: punti fermi… e non (Parte II)

24 Novembre 2021

La giustizia penale, il processo penale continuano ad essere al centro del dibattito mediatico. La crisi del sistema processuale penale ha svilito i canoni costituzionali del giusto processo e della durata ragionevole del medesimo. Le ragioni della crisi sono molte e le statistiche nazionali contengono dati idonei a spiegarle. Uno dei volti della crisi è quello del malfunzionamento di alcuni procedimenti speciali, in particolare del patteggiamento...
Modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimenti speciali (art. 1, comma 10). Premessa

La giustizia penale, il processo penale continuano ad essere al centro del dibattito mediatico.

La crisi del sistema processuale penale ha svilito i canoni costituzionali del giusto processo e della durata ragionevole del medesimo.

Le ragioni della crisi sono molte e le statistiche nazionali contengono dati idonei a spiegarle.

i) Uno dei volti della crisi è quello del malfunzionamento di alcuni procedimenti speciali, in particolare del patteggiamento.

Le statistiche delle sezioni GIP dei Tribunali indicano che, nei procedimenti non definiti con provvedimenti di archiviazione, patteggiamenti e giudizi abbreviati sono circa il 50%, i rinvii al dibattimento toccano quasi il 40% e i decreti di condanna sono intorno al 10%.

I dati dei processi che approdano, con citazione diretta a giudizio, al Tribunale monocratico sono ancora più negativi: soltanto il 43% circa dei processi è definito con patteggiamento o giudizio abbreviato.

Si è assestata su livelli troppo bassi la percentuale delle definizioni con patteggiamento e giudizio abbreviato. Ne risente il funzionamento dell'intero sistema.

Fin dall'apparire del nuovo codice di procedura era opinione comune, derivata dall'esperienza di altri ordinamenti, che il funzionamento del sistema sarebbe stato collegato alla capacità di evitare che l'esito abituale di ogni procedimento fosse rappresentato dal giudizio ordinario, quindi dal dibattimento.

I dati segnalano, inoltre, che il giudizio abbreviato ha eroso parte dell'area del patteggiamento.

Il patteggiamento si è trasformato nel rito di chi riesce ad accordarsi per pene basse con continuazioni fantasiose e aumenti infinitesimali; è il rito di chi ha bisogno di avere un giudicato in tempi brevi per sistemare questioni esecutivo-penitenziarie; è il rito di chi non può, non vuole, non riesce a sopportare il peso del processo e cede all'accordo: poca pena subito, possibilmente sospesa.

ii) Quanto, poi, al patteggiamento “allargato” (alla pena detentiva fino a cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria), è nato asfittico e tale è rimasto.

Il legislatore, introducendolo, ha peccato di un eccesso di ottimismo. Poteva al più prevedersi che si assistesse a un aumento delle richieste di patteggiamento, calibrate su pene superiori rispetto al passato, soltanto da parte di quegli imputati che non temevano i tempi di rapida formazione del giudicato immanenti al rito perché stavano già scontando lunghe pene detentive o perché altrimenti detenuti in via cautelare per reati con pene edittali assai elevate e in situazioni processuali che in concreto non lasciavano neppure intravedere la possibilità di poter ragionevolmente lucrare, prima della condanna definitiva, lo spirare dei termini custodiali.

Ancora: poteva ragionevolmente attendersi un incremento delle richieste di applicazione di pene detentive superiori ai due anni (limite del patteggiamento ordinario), ma comunque contenute entro i limiti di accesso ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, ovvero di pene da calcolare in continuazione su quelle irrogate con precedenti patteggiamenti, che complessivamente considerate avessero determinato lo "sforamento" della barriera dei due anni.

Ma, al di fuori di questi casi, già all'apparire del nuovo istituto non si vedeva per quale ragione l'imputato avrebbe dovuto chiedere l'applicazione di una (anche consistente) pena detentiva, che sarebbe stato in breve tempo chiamato a scontare, senza, tra l'altro, poter accedere agli altri benefici tradizionali del rito, riservati esclusivamente al patteggiamento ordinario; meglio a quel punto accedere al rito abbreviato.

iii) Dal 2000 in poi si è cercato di trovare l'idea giusta per ridare vitalità al progetto originario.

Il giudizio abbreviato ha cambiato volto: via il consenso del pubblico ministero, è diventato un diritto potestativo dell'imputato (in caso di richiesta incondizionata), la cui effettività avrebbe dovuto essere garantita dal dovere (del pubblico ministero) di completezza delle indagini.

Si è scelta la strada di “strozzare” i tempi di accesso al rito, ma anche quella di aprire al recupero dello sconto di pena in caso di errori del giudice nei provvedimenti non ammissivi.

Si è pensato che in tal modo si sarebbe posto rimedio alle non buone prassi dei giudici che utilizzavano in modo disinvolto la clausola sulla decidibilità allo stato degli atti al fine di negare all'imputato l'accesso al rito.

In alcuni giudici vi era difficoltà ad accettare il meccanismo premiale, con la conseguenza che spesso si era registrato, nella determinazione della pena sulla quale poi applicare la diminuzione prevista per il rito, un atteggiamento di inusitato rigore, finalizzato a “compensare” l'effetto della menzionata diminuente.

E si era così giunti a teorizzare che fosse molto più “conveniente” prestare il consenso all'acquisizione degli atti ai sensi dell'art. 493 c.p.p. davanti al giudice monocratico che avrebbe mostrato la propria gratitudine (per non avere dovuto affaticarsi in un'istruttoria dibattimentale) proprio al momento di determinare la pena (in somma, un cripto-abbreviato con circostanze attenuanti generiche garantite).

Esistevano anche controspinte che non rendevano il rito del tutto gradito neppure agli imputati, come i poteri di integrazione probatoria del giudice a rito ammesso (art. 441 comma 5 c.p.p.) o l'effetto sanante delle nullità non assolute o delle inutilizzabilità non patologiche.

Oggi del giudizio abbreviato è sopravvissuto solo l'aspetto premiale. La sua funzione deflativa si è, invece, avvicinata alla quota zero. Ma l'imputato, anche se vede qualche trappola in questo rito, alla fine vi accede per lo sconto di pena.

Il rito di “abbreviato” ha poco: dura nel tempo perché può comportare attività istruttoria, perché ospita l'azione civile del danneggiato dal reato, perché la sentenza di primo grado è appellabile, perché quella d'appello è ricorribile e, quindi, può entrare nel gioco perverso della prescrizione che matura, soprattutto nelle Corti di merito con pendenze elevate, che faticano o non riescono a fissare i processi in tempi tali da evitarne la morte per decorso del tempo.

Oggi, poi, l'art. 603 comma 1-bis c.p.p. impone, seppur in casi limitati (appello del pubblico ministero, per motivi «attinenti alla valutazione della prova dichiarativa», contro le sentenze di assoluzione), il rifacimento del giudizio d'appello con le regole del giudizio di primo grado anche se abbreviato.

Si è passati dai “brevi” tempi d'oro dell'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento al rifacimento del giudizio d'appello con le regole del giudizio di primo grado anche se abbreviato.

Nondimeno - come si è detto – il giudizio abbreviato toglie spazio all'unico rito che ha in sé vere potenzialità deflative, il patteggiamento.

A questo si aggiunga che la riforma Orlando (legge n. 103 del 2017) non ha introdotto particolari novità in tema di patteggiamento e di giudizio abbreviato, in sostanza limitandosi a tradurre in disposizioni di legge linee interpretative giurisprudenziali consolidate o da consolidare appunto con l'intervento normativo.

A parte il profilo relativo alla disciplina della questione di competenza nel giudizio abbreviato, l'unica vera novità della riforma Orlando è stata l'introduzione di uno sconto di pena della metà in caso di condanna per contravvenzione (art. 442 comma 2 c.p.p.). Ampliamento che ha determinato la scomparsa, con riferimento alle contravvenzioni, di ogni incentivazione ad avvalersi del patteggiamento (che prevede una diminuzione “fino al terzo”).

Il legislatore avrebbe semmai dovuto andare nella direzione opposta, quella di un'espansione delle potenzialità del patteggiamento, soprattutto se si considera che la sentenza di patteggiamento è destinata a diventare esecutiva in tempi brevi (e, comunque, più brevi di quelli prevedibili per la sentenza di condanna emessa all'esito di giudizio abbreviato) e quindi ad evitare il rischio di prescrizione del reato, che per le contravvenzioni è particolarmente alto (tempo massimo 5 anni compreso il prolungamento per gli atti interruttivi e senza possibilità di ulteriori aumenti legati alla recidiva che per le contravvenzioni non è prevista).

iv) Se a questo si aggiungono gli incentivi che il legislatore ha offerto nel procedimento per decreto, nella maggior parte dei casi destinato alle contravvenzioni, ci si rende conto che forse, a questo punto, per le contravvenzioni non è proprio più il caso di scomodare la giustizia penale e il numero di giudici chiamato ad occuparsene.

Per incoraggiare l'utilizzo del procedimento per decreto il legislatore ha, invero, consentito al giudice, nel determinare la pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva, di tener conto anche della condizione economica dell'imputato e ha abbassato da 250 a 75 euro il valore di conversione di un giorno di reclusione. Modifica voluta per rivitalizzare il procedimento per decreto che è il rito speciale in assoluto più “conveniente”, anche se – come si è detto – la previsione di una consistente diminuzione della pena per le contravvenzioni giudicate con rito abbreviato ha attutito le potenzialità della disposizione in esame.

v) Chiusa la premessa, si può passare all'esame delle disposizioni.

Dei procedimenti speciali si occupa il comma 10 dell'art. 1 della legge delega (l. 27 settembre 2021, n. 134).

Il legislatore delegato sarà chiamato a tradurre in specifiche disposizioni i “princìpi e criteri direttivi” dettati in materia di patteggiamento, giudizio abbreviato, giudizio immediato e procedimento per decreto.

Patteggiamento (comma 10, lett. a)

Sono quattro i punti sui quali si è concentrato il Parlamento, invitando il Governo a provvedere.

Pene accessorie

Nel patteggiamento “allargato” (“quando la pena detentiva da applicare supera i due anni”), l'accordo tra imputato e pubblico ministero può estendersi alle pene accessorie e alla loro durata.

Oggi il patteggiamento allargato, a differenza del patteggiamento ordinario (patteggiamento ad una pena detentiva non superiore a due anni), comporta l'applicazione delle pene accessorie (lo si desume dall'art. 445 comma 1 c.p.p.). È il giudice ad applicarle e a determinarne la durata secondo legge.

La legge delega (comma 10, lett. a), n. 1, primo periodo) invita il Governo a prevedere che sulla loro applicazione possano accordarsi le parti.

Il legislatore delegato dovrà, anzi tutto, delineare il contenuto dell'accordo, segnatamente an e quantum, distinguendo tra pene accessorie facoltative e pene accessorie obbligatorie.

Dovrà, in secondo luogo, delimitare lo spazio valutativo e decisorio (una “camera” di riflessione con le parti potrebbe rilevarsi più utile che ingombrante) riservato al giudice, chiarendo come questi, sempre tenendo conto della facoltatività od obbligatorietà delle stesse, debba, in caso di omessa o errata inclusione delle pene accessorie nell'accordo, pronunciarsi sulla proposta (provvedimento di rigetto totale o parziale della proposta; esercizio del potere di applicare d'ufficio le pene accessorie).

Coordinerà, poi, la nuova disciplina con la previsione contenuta nell'art. 444 comma 3-bis c.p.p. che, nei procedimenti per i delitti di peculato (ipotesi di cui all'art. 314 primo comma c.p., escluso cioè il peculato d'uso, e all'art. 322-bis c.p.), di concussione (artt. 317 e 322-bis c.p.), di corruzione (artt. 318, 319, 319-ter, 320, 321 e 322-bis c.p.), di induzione indebita a dare o promettere utilità (art 319-quater primo comma c.p., riguardante il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio e art. 322-bis c.p.), di istigazione alla corruzione (artt. 322 e 322-bis c.p.) e di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.), già prevede che la parte, nel formulare la richiesta di patteggiamento, possa subordinarne l'efficacia all'esenzione dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p. ovvero all'estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie e che, in questi casi il giudice, qualora ritenga di applicare le pene accessorie o che l'estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetti la richiesta.

Disposizione questa preceduta (comma 1-ter dell'art. 444 c.p.p.) dalla previsione che, nei procedimenti per i delitti “previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis” c.p., l'ammissibilità della richiesta di patteggiamento è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato e seguita da quella contenuta nell'art. 445 comma 1-ter, che conferisce al giudice, anche nel patteggiamento ordinario, la possibilità di applicare le pene accessorie previste dall'art. 317-bis nei procedimenti per i delitti indicati nell'art. 444 comma 3-bis.

Chiarirà, infine, se, come sembra potersi dedurre dalle parole della delega, l'accordo non possa avere ad oggetto le sanzioni amministrative accessorie (esclusione forse ingiustificata), come affermato fin da tempi lontani dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. pen., S.U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Cass. pen. sez. unite, 7 maggio 1998, Bosio; Cass. pen. sez. unite, 21 maggio 2000, Cerboni).

Confisca facoltativa

In entrambe le ipotesi (ordinario ed allargato) di patteggiamento l'accordo tra imputato e pubblico ministero può estendersi alla confisca facoltativa, anche per equivalente, e alla determinazione del suo oggetto e ammontare (comma 10, lett. a), n. 1, secondo periodo).

La prassi già conosce questo tipo di accordo (cfr. Cass. pen. sez. unite, 26 settembre 2019, n. 21368, Savin).

Oggi, anche nel patteggiamento ordinario, per l'esplicita previsione contenuta nell'art. 445 comma 1 c.p.p., si applica la confisca “nei casi previsti” dall'art. 240 c.p. che prevede appunto anche l'ipotesi della confisca facoltativa.

Il legislatore delegato dirà se c'è spazio per affermare che la confisca si applica e si può negoziare anche “fuori dei casi previsti” dall'art. 240 c.p.

La confisca obbligatoria è fuori dalla cornice della delega; neppure il suo oggetto e il suo ammontare possono essere concordati. Anche in tal caso l'esclusione non sembra giustificata.

E sono numerose le disposizioni del codice penale (ad es. artt. 240-bis, 322-ter, 452-undecies, 474-bis, quarto comma, 493-ter secondo comma, 544-sexies, 600-septies, 640-quater, 644 sesto comma, 648-quater) e di leggi speciali (ad es., art. 171-sexies, l. 22 aprile 1941, n. 633, in tema di protezione del diritto d'autore; art. 301 commi 5 e 5-bis d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale; artt. 186 comma 2 lett. c), 186-bis e 187 comma 1 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, codice della strada, ecc.) che prevedono ipotesi di confisca, stabilendo che possa essere disposta anche con la sentenza di patteggiamento. Poche, invece, quelle che non si esprimono sul punto.

In ogni caso, il legislatore delegato non potrà esimersi dall'effettuare una completa ricognizione del diritto vivente, anche per saggiarne la tenuta nell'attualità, rappresentato anche da numerose pronunce delle Sezioni unite della Corte di cassazione susseguitesi dal 1990 ad oggi.

Effetti extrapenali della sentenza di patteggiamento

Il Governo è tenuto a ridurre, in favore dell'imputato e dell'accesso al rito, gli effetti extra-penali della sentenza di patteggiamento, prevedendo “che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi” (comma 10 lett. a), n. 2), non meglio specificati,

Attualmente l'art. 445 comma 1-bis, c.p.p. stabilisce che «la sentenza prevista dall'articolo 444 comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi» (cfr. Cass. civ. sez. III, 11 marzo 2020, n. 7014).

La disposizione fa salva, peraltro, la disposizione dell'art. 653 c.p.p. che, al comma 1-bis, prevede la sentenza penale irrevocabile di condanna (cui è equiparata, dall'art. 445 comma 1-bis, la sentenza di patteggiamento) ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.

Questa disposizione è destinata ad essere abrogata.

Ma il Governo riceve - come si è detto - una delega più ampia, scolpita dalle parole “in altri casi”.

Il legislatore delegato è chiamato ad individuare i casi. E potrebbe giungere ad escludere qualsiasi effetto extrapenale del patteggiamento, con conseguente soppressione delle disposizioni che ne prevedono. Non tuttavia – almeno così sembra potersi dire – ad escludere che la sentenza di patteggiamento, equiparata - come si è detto - a quella di condanna, possa essere acquisita ed utilizzata a fini probatori in altro procedimento penale, ai sensi dell'art. 238-bis (Cass. pen. sez. unite, 29 novembre 2005, n. 17781, Diop).

Coordinamento

Il Governo deve «assicurare il coordinamento tra l'art. 446 c.p.p. e la disciplina adottata in attuazione del comma 12 dell'art. 1 riguardo al termine per la formulazione della richiesta di patteggiamento» (comma 10, lett. a), n. 3).

L'art. 446 comma 1 c.p.p. stabilisce che le parti possono formulare la richiesta:

  • nell'udienza preliminare, fino alla presentazione delle conclusioni di cui agli artt. 421 comma 3 e 422 comma 3;
  • nel giudizio direttissimo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;
  • in caso di decreto di giudizio immediato, entro il termine e con le forme stabilite dall'art. 458 comma 1;
  • con riguardo al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, introdotto da decreto di citazione diretta, l'art. 552 comma 1 lett. f), stabilisce che l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può presentare la richiesta di patteggiamento.

Orbene, l'art. 1 comma 12 prevede che il Governo debba introdurre, nei procedimenti a citazione diretta di cui all'art. 550 c.p.p.,un'udienza predibattimentale in camera di consiglio, innanzi a un giudice diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il dibattimento e che in tale udienza siano formulate le eventuali richieste.

Da qui l'esigenza di coordinamento della quale il Governo dovrà farsi carico.

In conclusione

Come si è detto, tra i riti alternativi il patteggiamento è quello che ha le maggiori potenzialità deflative, nettamente superiori a quelle del giudizio abbreviato, non fosse altro perché la sentenza, che non richiede particolare impegno motivazionale, è soltanto ricorribile per cassazione nei casi specificamente previsti dall'art. 448 comma 2-bis c.p.p.

È vero che i ricorsi inammissibili contro la sentenza di patteggiamento non accennano a diminuire, generando sprechi di risorse e di tempo. E ciò benché il ricorrente sia sistematicamente condannato al pagamento di una sanzione di 4.000 euro alla Cassa delle ammende.

Ma il dato sconcertante che emerge dalle statistiche – giova ribadirlo - è che le percentuali di accesso ai due riti (inferiori - come si è detto - in termini ormai consolidati alle aspettative) si equivalgono. Sconcertante per quanto sopra si diceva sulla sempre maggiore complessità del giudizio abbreviato.

Se l'obiettivo del delegante era quello di incentivare l'accesso al patteggiamento, si poteva e si doveva fare qualcosa di più.

Si dovevano, ad es., eliminare le esclusioni oggettive (i procedimenti, per citarne solo alcuni, per i delitti di associazione di tipo mafioso, di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, di sequestro di persona a scopo di estorsione, di violenza sessuale) e soggettive (i procedimenti contro il recidivo reiterato o contro il delinquente abituale, professionale o per tendenza) dal patteggiamento allargato previste dall'art. 444 comma 1-bis c.p.p., considerato, tra l'altro, che il Parlamento ha chiesto al Governo (art. 1 comma 13 lett. h)) di sopprimere la disposizione (art. 599-bis comma 2 c.p.p.) che prevede le medesime esclusioni in relazione al concordato in appello. E forse, considerando l'ingiustificata diversità di disciplina, il Governo potrebbe ritenersi delegato ad intervenire anche sulle esclusioni previste per il patteggiamento allargato.

Un'esca che potrebbe rivelarsi funzionale è quella della eliminazione degli effetti extrapenali, ma altre idee potevano essere sperimentate: l'ampliamento della diminuente; la negoziazione del quantum della confisca obbligatoria e della confisca-sanzione; l'eliminazione di preclusioni oggettive e soggettive o una loro diversa regolamentazione.

Vanno cercate altre strade ed è sempre la strada di accesso al patteggiamento a dover essere ampliata per prima.

Invece, permangono soluzioni che vanno nella direzione opposta.

Ad es. la scelta giurisprudenziale di non consentire alle parti, anche all'interno del giudizio abbreviato, di addivenire in limine ad un'applicazione concordata della pena.

Dettata da un'asserita inconciliabilità tra i due riti, si tratta in realtà di un'opzione formalistica che trascura di considerare la reale e superiore “economicità” processuale del patteggiamento.

L'affermazione del principio risale, tra l'altro, ad una decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. pen. sez. unite, 11 novembre 1994, P.M. in proc. Abaz,RV 199397) assunta in epoca precedente alla riforma della l. n. 479/1999.

I rapporti tra i due procedimenti dovrebbero essere ripensati dal legislatore oggi che, da un lato, il giudizio abbreviato, nella versione incondizionata, è frutto della volontà dell'imputato e ha perso alcune originarie connotazioni della sua “specialità” che lo accomunavano al patteggiamento (accordo con il pubblico ministero e prova “bloccata”), dall'altro, il patteggiamento è stato elevato dai due ai cinque anni di pena detentiva, ma privato, nell'ambito dell'intervenuto “allargamento”, degli incentivi che originariamente rappresentavano ulteriori elementi di differenziazione dal giudizio abbreviato (condanna al pagamento delle spese del procedimento, l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, estinzione del reato dopo un periodo di prova).

Anche volendo conservare la “alternatività” tra i riti, concetto comunque messo in crisi dalle rimarcate parvenze di ordinarietà assunte dal giudizio abbreviato, si potrebbe pensare di rivederne l'ambito e di depurarla da affermazioni di principio, sulle differenze ontologiche, strutturali e via dicendo, che non rappresentano effettivi ostacoli ma che si rivelano, in una prospettiva di funzionalità del sistema, controproducenti.

Si potrebbe, ad esempio, imporne l'osservanza all'imputato in sede di prima richiesta, ma consentire al pubblico ministero, “trascinato” nel giudizio abbreviato dalla scelta dell'imputato e privato di ogni iniziativa probatoria, di proporre, in una logica transattiva, un accordo sulla pena.

Nell'interesse dell'imputato, invece, non sarebbe eccentrico, ma risponderebbe anzi ad esigenze di deflazione del dibattimento, attribuire al giudice dell'abbreviato (che dovrebbe naturalmente essere sempre persona fisica diversa) il potere, su richiesta dell'imputato stesso, di sindacare legittimità e fondatezza del dissenso del pubblico ministero o del rigetto del giudice.

Rebus sic stantibus, infatti, l'imputato si vede “costretto” a rinunciare al diritto di chiedere il giudizio abbreviato qualora intenda “difendersi” da dissenso o diniego ingiustificati della sua richiesta di patteggiamento.

E questa “perdita” non appare sorretta da alcun ragionevole motivo.

Giudizio abbreviato (comma 10, lett. b)

È noto che, come contropartita per la sua volontaria rinunzia al procedimento ordinario, il codice di rito riconosce all'imputato che abbia richiesto il giudizio abbreviato un trattamento sanzionatorio di “favore”.

L'art. 442 comma 2 c.p.p. prevede, infatti, che in caso di condanna la pena detentiva temporanea o pecuniaria determinata dal giudice venga diminuita di un terzo.

Come si è detto, la riforma Orlando ha, per le contravvenzioni, elevato la diminuzione alla metà (art. 442 comma 2).

Questo ampliamento, privo di senso, ha segnato - come si è detto - la definitiva scomparsa, con riferimento alle contravvenzioni, di ogni incentivazione ad avvalersi del patteggiamento (che prevede una diminuzione “fino al terzo”).

Venendo alla legge-delega, tre sono i punti fissati.

La richiesta “condizionata” di giudizio abbreviato

L'art. 438 comma 5 c.p.p. prevede che l'imputato possa subordinare la richiesta di giudizio abbreviato ad integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione.

La stessa disposizione prevede che l'ammissibilità della richiesta sia subordinata alla verifica della effettiva necessità dell'integrazione probatoria e della sua «compatibilità con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili».

La clausola apposta dall'imputato impedisce l'automatica instaurazione del rito alternativo, giacché la richiesta richiede una preventiva delibazione da parte dell'organo giudicante sui presupposti di ammissibilità dell'integrazione probatoria dedotta in condizione.

Di conseguenza al giudice non è consentito rigettare la richiesta sulla base di una valutazione fondata su parametri diversi da quelli individuati dalla legge processuale, ma gli è invece assegnato il compito di verificare l'effettiva sussistenza di tali presupposti, impedendo l'accesso al rito solo quando tale verifica abbia esito negativo.

In tal senso la discrezionalità del giudice presenta un contenuto fortemente predeterminato dalla traccia normativa.

Ora, il Parlamento chiede al Governo (comma 10, lett. b), n. 1) di modificare le condizioni per l'accoglimento della richiesta; in particolare, di prevedere l'ammissione del giudizio abbreviato se l'integrazione risulta necessaria ai fini della decisione (condizione, peraltro, già prevista dal comma 5 dell'art. 438 e autorevolmente interpretata da Cass. sez. unite, 27 ottobre 2004, n. 44711, Wajib) e «se il procedimento speciale produce un'economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale».

È, dunque, la seconda condizione («compatibilità con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili») che il legislatore delegato è chiamato a modificare; meglio sarebbe dire ad adeguare alla interpretazione datane dalla Corte costituzionale che, con la sentenza 7 maggio 2001, n. 115, aveva affermato che, ai fini della valutazione di detta condizione, il nuovo giudizio abbreviato doveva essere «posto a raffronto con l'ordinario giudizio dibattimentale …».

La riduzione della pena

In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto (art. 442 comma 2 c.p.p.).

Il Parlamento ha ritenuto di aumentare la capacità attrattiva del rito e, al tempo stesso, di alimentarne la funzione deflativa, invitando il legislatore delegato a prevedere che la pena irrogata sia ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell'imputato ed a stabilire che la riduzione sia applicata dal giudice dell'esecuzione (comma 10, lett. b), n. 2).

Insomma: uno sconto di pena all'imputato che non appella o non ricorre per cassazione.

La soppressione del comma 3 dell'art. 442 c.p.p.

Il comma 3 dell'art. 442 c.p.p. stabilisce tuttora che la sentenza emessa nel giudizio abbreviato deve essere notificata all'imputato non comparso. L'art. 134 disp. att. specifica che la notificazione avviene «per estratto», unitamente all'avviso di deposito della sentenza medesima.

Le disposizioni sono nate perché nel giudizio abbreviato non era originariamente prevista la dichiarazione di contumacia e, quindi, il comma 3 dell'art. 548 (nel testo dell'epoca) sarebbe stato inapplicabile

Oggi, però, soppressa la contumacia dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, queste disposizioni sono superate, considerato che nemmeno per la sentenza emessa all'esito del dibattimento è più prevista notificazione in favore dell'imputato nei cui confronti si sia proceduto in assenza.

Il Parlamento ha preso atto della situazione, autorevolmente confermata da Cass. sez. unite, 24 ottobre 2019, n. 698/20, Sinito, Rv. 277470, e chiede ora al Governo di abrogare il comma 3 dell'art. 442 e l'art. 134 disp. att. (comma 10, lett. b), n. 3).

Giudizio immediato (comma 10, lett. c)

Sono due i punti sui quali il Parlamento delega il Governo a intervenire.

Il Governo è delegato a prevedere che, a seguito di notificazione del decreto di giudizio immediato:

  • nel caso di rigetto da parte del GIP della richiesta di giudizio abbreviato subordinata a un'integrazione probatoria, l'imputato possa proporre richiesta di giudizio abbreviato “incondizionata” oppure richiesta di patteggiamento;
  • nel caso di dissenso del pubblico ministero o di rigetto da parte del GIP della richiesta di patteggiamento, l'imputato possa proporre la richiesta di giudizio abbreviato.

Si tratta di indicazioni di buon senso, che già la prassi tende a realizzare, al fine di evitare ingiustificate lesioni del diritto di difesa strettamente correlate alla brevità e perentorietà dei termini previsti dall'art. 458 c.p.p. per proporre la richiesta di patteggiamento o di giudizio abbreviato a seguito di notificazione del decreto di giudizio immediato, procedimento speciale che concerne, in alternativa all'udienza preliminare, i soli reati per i quali la stessa è prevista.

Si aggiunga che, per l'udienza preliminare, l'art. 438 comma 5-bis c.p.p., frutto della Riforma Orlando, prevede che con la richiesta di giudizio abbreviato condizionato da integrazione probatoria possa essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, la richiesta “incondizionata” oppure la richiesta di patteggiamento.

Ma il comma 5-bis non è tra quelli che l'art. 458 comma 2 indica tra le norme da osservarsi “in quanto applicabili” nel giudizio abbreviato.

Si accennava alle prassi che si sono diffuse.

Nel giudizio immediato, in cui la richiesta di giudizio abbreviato è formulata fuori udienza e quindi necessariamente per iscritto, in ristretti termini perentori, si è fatta strada, per evitare inopinate decadenze, la prassi di proporre, con unico atto, la richiesta incondizionata in via subordinata rispetto ad altra principale, che di regola è rappresentata da una richiesta condizionata o da una richiesta di applicazione concordata della pena.

La prassi si è affermata soprattutto con riguardo alla proposizione di una richiesta di giudizio abbreviato subordinata al non accoglimento (per diniego del consenso da parte del pubblico ministero o per provvedimento del giudice) di una richiesta di patteggiamento.

E la giurisprudenza di legittimità è andata oltre, affermando (Cass. sez. I, 3 aprile 2019, n. 21439, Rv. 275812-01) che, qualora l'imputato abbia tempestivamente proposto richiesta “condizionata” di giudizio abbreviato e l'istanza sia stata respinta dal GIP, non può considerarsi tardiva e, dunque, inammissibile, la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato “incondizionata” formulata all'udienza camerale di cui all'art. 458 comma 2 non ostandovi l'art. 438 comma 5-bis il quale – nel prevedere che, con la richiesta di giudizio abbreviato “condizionato” può essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, quella di giudizio abbreviato “incondizionato o di patteggiamento – introduce una mera facoltà e non l'obbligo di proposizione della richiesta subordinata contestualmente a quella principale.

Il legislatore delegato dovrà valutare se, nel caso di dissenso del pubblico ministero o di rigetto da parte del GIP della richiesta di patteggiamento, l'imputato possa proporre anche richiesta “condizionata” di giudizio abbreviato o solo richiesta “incondizionata” (la delega non distingue, ma forse sarebbe il caso).

Dovrà, poi, stabilire quale meccanismo procedurale adottare per attuare la delega. Prevedere, ad es., la possibilità di richieste subordinate oppure (forse meglio) una sequenza che assicuri che la decisione sia preceduta da un momento di contraddittorio tra le parti.

Procedimento per decreto (comma 10, lett. d)

Per incentivare l'utilizzo di questo procedimento, la riforma Orlando ha consentito al giudice, nel determinare la pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva, di tener conto anche della condizione economica dell'imputato e ha abbassato da 250 a 75 euro il valore di conversione di un giorno di reclusione.

Si è previsto, dunque, nel nuovo comma 1-bis dell'art. 459, per il caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, che il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato, da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, sia, in deroga all'art. 135 c.p. ed all'art. 53, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, di euro 75 per un giorno di pena detentiva.

Il valore giornaliero a quel tempo previsto (250 euro), oltre a non essere realistico, rendeva problematico e comunque disincentivava l'utilizzo dello strumento, alimentando le opposizioni.

Anche per queste ragioni si è pensato di non modificare l'art. 135 c.p. ma di costruire la norma come eccezione al medesimo.

La modifica dovrebbe avere rivitalizzato il procedimento per decreto che è il rito speciale in assoluto più “conveniente”, anche se – come si è detto – la previsione di una consistente diminuzione della pena per le contravvenzioni giudicate con rito abbreviato potrebbe attutire le potenzialità della disposizione in esame.

Il Parlamento indica, ora, in tre punti gli interventi che reputa necessari in funzione di efficacia del procedimento e di incentivazione all'accesso.

Termine per la richiesta di decreto di condanna

Il legislatore delegato è tenuto a prevedere che la richiesta di decreto di condanna possa essere formulata dal pubblico ministero entro il termine di un anno dall'iscrizione ai sensi dell'art. 335 c.p.p. (comma 10 lett. d), n. 1).

Attualmente l'art. 459 comma 1 c.p.p. stabilisce che la richiesta al GIP deve essere presentata «entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato».

Secondo la prevalente giurisprudenza, il termine è considerato di natura ordinatoria, ma se il pubblico ministero non lo osserva il GIP può non accogliere la richiesta (così, tra altre, Cass. sez. V, 22 aprile 2005, n. 41146, Rv. 232541 – 01).

Estinzione del reato

Il Governo deve stabilire che, ai fini dell'estinzione del reato, è necessario il pagamento della pena pecuniaria (comma 10, lett. d), n. 2).

Attualmente l'art. 460 comma 5 c.p.p. si limita a prevedere che il reato si estingue se nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso – si legge nell'ultimo periodo del comma - si estingue ogni effetto penale e la condanna non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.

Pagamento in misura ridotta della pena pecuniaria

Il Governo è tenuto ad assegnare un termine di quindici giorni, decorrenti dalla notificazione del decreto di condanna, affinché il condannato, rinunciando a proporre opposizione, possa pagare la pena pecuniaria in misura ridotta di un quinto (comma 10 lett. d), n. 3).

L'art. 461 comma 1 c.p.p. stabilisce attualmente che, nel termine di quindici giorni dalla notificazione del decreto, l'imputato può proporre opposizione al GIP che ha emesso il decreto. E – aggiunge il comma 5 - se l'opposizione non è proposta o è dichiarata inammissibile, il decreto di condanna diventa esecutivo.

Nuove contestazioni

i) Il Governo deve:

  • coordinare la disciplina delle nuove contestazioni in dibattimento (artt. 516 ss. c.p.p.) con la disciplina dei termini per la presentazione della richiesta di procedimenti speciali (lett. e));
  • prevedere che, in caso di nuove contestazioni ai sensi degli artt. 516 ss. c.p.p., l'imputato possa chiedere la definizione del processo ai sensi degli artt. 444 ss. o 458 ss. (lett. f));
  • prevedere che tale facoltà possa essere esercitata nell'udienza successiva a quella in cui è avvenuta la nuova contestazione (lett. f)).

ii) Il primo compito che attende il legislatore delegato è quello di tradurre in specifiche disposizioni le dichiarazioni di illegittimità pronunciate in questi anni dalla Corte costituzionale.

In relazione all'art. 516 c.p.p. dedicato alla modifica, da parte del pubblico ministero, dell'imputazione perché “il fatto risulta diverso da quello descritto” nel capo d'imputazione e alla relativa nuova contestazione, la Corte, attraverso le dichiarazioni di illegittimità costituzionale, ha previsto la facoltà dell'imputato:

  • di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 c.p.p.:
  1. relativamente al fatto diverso, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (contestazione patologica) ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni (Corte cost. 30 giugno 1994, n. 265);
  2. relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione (fisiologica) (Corte cost. 17 luglio 2017, n. 206);
  • di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato:
  1. relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale (Corte cost. 18 dicembre 2009, n. 333);
  2. relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione (Corte cost. 5 dicembre 2014, n. 273);
  • di richiedere al giudice del dibattimento, in seguito alla modifica dell'originaria imputazione, la sospensione del procedimento con messa alla prova (Corte cost. 11 febbraio 2020 n. 14);
  • di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis c.p., relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento (Corte cost. 29 dicembre 1995, n. 530).

In relazione all'art. 517 c.p.p. dedicato alla nuova contestazione, da parte del pubblico ministero, del reato concorrente e delle circostanze aggravanti, la Corte, attraverso le dichiarazioni di illegittimità costituzionale, ha previsto la facoltà dell'imputato:

  • di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 c.p.p.:
  1. relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni(Corte cost. 30 giugno 1994, n. 265);
  2. in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (Corte cost. 25 giugno 2014, n. 184);
  3. relativamente al reato concorrente emerso nel corso del dibattimento e che forma oggetto di nuova contestazione (Corte cost. 11 aprile 2019, n. 82).
  • di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato:
  1. relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale (Corte cost. 18 dicembre 2009, n. 333);
  2. relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione (Corte cost. 26 ottobre 2012 n. 237);
  3. nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione (Corte cost. 9 luglio 2015, n. 139);
  • di richiedere al giudice del dibattimento, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, la sospensione del procedimento con messa alla prova (Corte cost. 5 luglio 2018, n. 141).

iii) Il Governo deve disciplinare la facoltà dell'imputato di presentare la richiesta in ordine all'imputazione modificata, al reato concorrente (la delega prevede che l'imputato è legittimato all'esercizio della facoltà solo con riguardo al nuovo reato contestato e tace, invece, con riguardo agli altri reati contestati per i quali l'imputato non ha richiesto il rito alternativo) ovvero al reato diversamente circostanziato, sia in caso di contestazione patologica, sia in caso di contestazione fisiologica.

Tale disciplina va armonizzata con i termini di presentazione delle richieste e il Governo è tenuto a prevedere che la facoltà debba essere esercitata nell'udienza successiva a quella in cui è avvenuta la nuova contestazione. A pena di inammissibilità della richiesta – benché la delega non lo richieda espressamente.

Guida all'approfondimento

Parte I - Modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimenti speciali (art. 1 comma 10);

Parte III - Modifiche in materia di procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 1 comma 12);

Parte IV - Modifiche in materia di impugnazioni (appello, ricorso per cassazione e impugnazioni straordinarie) (art. 1, comma 13).

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