Il sindacato sull'applicazione del principio di diritto nella pregiudiziale europea

Cecilia De Nicola
30 Novembre 2021

La questione giuridica messa in rilievo dall'ordinanza in commento concerne l'individuazione dello strumento giuridico utilizzabile e del giudice competente a controllare l'esatta applicazione, da parte del giudice remittente, del principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale.
Massima

È rimessa alla Corte di Giustizia la questione: a) Se il giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, in un giudizio in cui la domanda della parte sia direttamene rivolta a far valere la violazione dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nel medesimo giudizio al fine di ottenere l'annullamento della sentenza impugnata, possa verificare la corretta applicazione nel caso concreto dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nel medesimo giudizio, oppure se tale valutazione spetti alla Corte di Giustizia; (…) b) Se gli artt. 4, paragrafo 3, 19, paragrafo 1, del TUE e 2, paragrafi 1 e 2, e 267 TFUE, letti anche alla luce dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ostino ad un sistema come quello concernente gli artt. 106 del c.p.a. e 395 e 396 del c.p.c., nella misura in cui non consente di usare il rimedio del ricorso per revocazione per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia, ed in particolare con i principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale.

Il caso

Le società ricorrenti domandavano la revocazione per errore di fatto della sentenza n. 4990/2019 del Consiglio di Stato con cui la Sez. VI, a seguito di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'UE, aveva confermato la sentenza di primo grado ed il provvedimento dell'AGCM impugnato. Quest'ultimo aveva accertato un'intesa orizzontale restrittiva della concorrenza in violazione dell'art. 101 TFUE tra le società ricorrenti, inibendo le medesime società ad astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell'infrazione accertata e irrogando sanzioni amministrative pecuniarie.

A sostegno del ricorso per errore di fatto revocatorio le società deducevano, ai fini che qui interessano, l'omessa pronuncia in relazione a indagini demandate dalla Corte di Giustizia e la violazione manifesta dei principi di diritto affermati dalla stessa Corte. Si prospettava l'illegittimità costituzionale dell'art. 395 c.p.c. nella parte in cui non prevede un'ipotesi di revocazione per il caso in cui la sentenza sia in contrasto con il diritto unionale e si chiedeva di sottoporre in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia la questione circa la compatibilità con i principi europei del nostro sistema giuridico nella misura in cui quest'ultimo non prevede un'ipotesi di revocazione in caso di violazione manifesta dei principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia.

La questione

La questione giuridica messa in rilievo dall'ordinanza in commento concerne l'individuazione dello strumento giuridico utilizzabile e del giudice competente a controllare l'esatta applicazione, da parte del giudice remittente, del principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale. In particolare, ci si chiede se un tale rimedio debba rinvenirsi nella revocazione per errore di fatto decisa dal giudice nazionale o se la valutazione circa la corretta applicazione del principio di diritto spetti alla stessa Corte di Giustizia in forza di un nuovo motivo di revocazione.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in commento ha negato la ricorrenza, nel caso di specie, dell'errore di fatto revocatorio di cui all'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.: le censure mosse alla sentenza hanno infatti riguardato «punti controversi» non oggetto di «abbaglio dei sensi» o di «omessa pronuncia»; nella sentenza impugnata il giudice ha eseguito gli accertamenti prescritti dalla sentenza della CGUE; la mancata presa di posizione da parte della sentenza su tutte le eccezioni difensive di una parte non configura un errore revocatorio, potendo al più costituire un mero vizio del procedimento logico-giuridico.

Con riguardo alla presunta violazione della sentenza pregiudiziale della Corte di Giustizia, il Consiglio di Stato ha ricordato il principio di autonomia procedurale, in forza del quale spetta all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali destinate a garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti dell'ordinamento, purché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività. Le modalità di attuazione dell'intangibilità del giudicato rientrano infatti tra le attribuzioni dell'ordinamento interno degli Stati membri e l'ordinamento europeo non impone la disapplicazione delle norme che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale in contrasto con il diritto europeo. Nel nostro ordinamento non esiste uno strumento atto a verificare e a garantire che una sentenza emessa da un organo giurisdizionale di ultimo grado sia conforme al diritto europeo e, nello specifico, ai principi espressi della Corte di Giustizia. Tuttavia, il Collegio ha evidenziato le peculiarità del caso di specie, ove la presunta violazione del principio di diritto enunciato dalla Corte è ascritta al giudice remittente della medesima controversia da cui è scaturita la questione pregiudiziale, anziché a un giudice di un diverso processo. Anche in tale ipotesi le norme processuali interne non contemplano strumenti per controllare e correggere la decisione contrastante con i principi espressi in sede pregiudiziale. Essendo la causa principale ancora sub iudice, il rimedio revocatorio viene prospettato al fine di prevenire la formazione del giudicato anticomunitario e scongiurare la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto europeo.

La Sezione remittente ha pertanto chiesto alla Corte UE di confermare la compatibilità del nostro sistema con l'ordinamento europeo nella misura in cui non consente di usare il rimedio del ricorso per revocazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia ed in particolare con i principi di diritto affermati da quest'ultima in sede pregiudiziale. La Sezione ha anche domandato alla Corte di chiarire se competente a verificare la corretta applicazione nel caso concreto dei principi espressi in sede pregiudiziale sia il giudice nazionale di ultima istanza o la Corte stessa.

Osservazioni

L'ordinanza in commento si colloca nel contesto del recente leitmotiv che governa il dialogo tra Corti, quello cioè di rinvenire possibili rimedi avverso le sentenze del Consiglio di Stato che violano il diritto europeo. Talvolta si cerca di prevenire il giudicato anticomunitario, come nel caso dell'ottemperanza aperta alle sopravvenienze, del ricorso in Cassazione per motivi di giurisdizione e della revocazione per errore di fatto; altre volte si ipotizzano mezzi di impugnazione straordinari avverso le sentenze passate in giudicato, quali la revocazione straordinaria. I due valori in gioco che gli interpreti sono chiamati a bilanciare sono, da un lato, l'intangibilità del giudicato, dall'altro, l'effettività del diritto europeo. Quest'ultimo non impone al legislatore nazionale di prevedere mezzi di impugnazione contro il giudicato anticomunitario, dal carattere potenzialmente senza fine (v. in termini le conclusioni dell'Avvocato Generale della CGUE nella Causa C–497/20 sull'affine questione concernente la ricorribilità in Cassazione per motivi di giurisdizione delle sentenze del Consiglio di Stato che violano il diritto europeo, p. 75).

Il tentativo di trasformare la revocazione per errore di fatto in un surrettizio terzo grado di giudizio ha indotto la giurisprudenza a precisare che l'errore revocatorio, diversamente da quello materiale e dall'error in iudicando, è un errore meramente percettivo immediatamente percepibile dalla lettura della sentenza, una svista che interferisce sulla formazione della volontà del giudice. Esso non ricorre quando il giudice si discosta consapevolmente dalla pronuncia europea o male interpreta la soluzione giuridica proposta dal giudice sovranazionale: l'equiparazione del principio di diritto al precedente legislativo consente di rinvenire in questo caso una palese violazione di legge (A. SANDULLI, Giudicato amministrativo nazionale e sentenza sovranazionale, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 4, 1 dicembre 2018, 1169 ss.;A. BARONE, Nomofilachia, Corti sovranazionali e sicurezza giuridica, in Dir. proc. amm., 3, 1 settembre 2020), che, in base al vigente ordinamento giuridico, è irrimediabile (F. CAPORALE, Funzione nomofilattica e vincolo del precedente nella giustizia amministrativa, in Giorn. dir. amm., 5, 2018, 629 ss., secondo cui il mancato adeguamento al principio di diritto della Plenaria non può dare adito a una revocazione per errore di fatto, dal momento che la sentenza e il principio di diritto non sono fatti processuali rilevanti).

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 123/2017, ha escluso l'incostituzionalità degli artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. nella parte in cui non prevedono un caso di revocazione per conformare la sentenza a una pronuncia della Corte EDU. Nelle materie diverse da quella penale, la Convenzione EDU non prevede un obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo, essendo sufficiente attuare la sentenza della Corte di Strasburgo tramite il risarcimento per equivalente (sulla revisione penale europea v. Corte cost., n. 113/2011). Tuttavia, mentre il ricorso a Strasburgo presuppone l'esaurimento dei rimedi interni e considera fisiologico il contrasto tra la sentenza interna e quella europea, che sopravviene sempre al giudicato nazionale, il sistema del diritto UE intende prevenire la formazione del giudicato anticomunitario mediante lo strumento interlocutorio del rinvio pregiudiziale (A. CARBONE, Rapporti tra ordinamenti e rilevanza della CEDU nel diritto amministrativo (a margine del problema dell'intangibilità del giudicato), in Dir. proc. amm., 2, 2016, 456 ss.).

Quando la violazione del principio di diritto è commessa dallo stesso giudice a quo che ha sollevato la questione pregiudiziale occorre preliminarmente stabilire se sia rinvenibile o meno un giudicato: in caso affermativo la revocazione per errore di fatto, mezzo di impugnazione ordinaria, sarebbe inammissibile e sarebbe precluso qualsiasi controllo sul giudicato nazionale; in caso negativo sarebbe possibile proporre la revocazione e correggere la sentenza. Il Consiglio di Stato ha prospettato l'opportunità di codesta soluzione nella misura in cui consentirebbe di riservare il controllo circa la corretta applicazione del principio di diritto alla stessa Corte di Giustizia, da adire in via pregiudiziale in sede di giudizio revocatorio. La stessa Corte ha recentemente ribadito che un giudice nazionale di ultima istanza non può essere liberato dal suo obbligo di rinvio pregiudiziale per il solo fatto di aver già adito la Corte nell'ambito del medesimo procedimento (sent. 6 ottobre 2021, C-561/19). Il sindacato della Corte di Giustizia assicurerebbe l'uniforme applicazione del diritto europeo e l'effettività della tutela giurisdizionale della parte che ha avuto ragione a Lussemburgo. Tuttavia, una soluzione di tal genere non è coerente con l'interpretazione costante che la giurisprudenza amministrativa fornisce dell'errore di fatto revocatorio, non ravvisabile nell'errore di giudizio commesso dal giudice nell'applicazione concreta del principio di diritto. Inoltre, il ricorso sarebbe proposto per un'ipotesi non contemplata dall'ordinamento giuridico in violazione della tassatività dei motivi di revocazione, da interpretare restrittivamente attesa la loro eccezionalità (Cons. St., Ad. Plen., n. 12/2017).

Nel nostro ordinamento la sentenza del giudice di rinvio che, ex art. 384 c.p.c., viola il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione è sempre contestabile con il ricorso in Cassazione. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 11844/2016, hanno infatti chiarito che il giudizio di rinvio non dà luogo a un nuovo procedimento, né è configurato dall'ordinamento processuale come un grado del giudizio, ma è una fase autonoma dell'unitario procedimento originario. Secondo la Corte nel rinvio c.d. prosecutorio, che diverge dal rinvio cd. restitutorio ove la causa va rimessa al giudice di primo grado, l'art. 394 c.p.c. esclude che il giudizio di rinvio, soggetto alla disciplina del corrispondente grado, debba essere inteso come la rinnovazione di detto grado. La sentenza di cassazione enuncia la regula iuris e circoscrive l'ambito della fase rescissoria, di tal ché, «non può che essere la Suprema Corte il giudice naturalmente deputato al sindacato circa l'ottemperanza da parte del giudice del rinvio del dictum contenuto nella precedente decisione di legittimità; e ciò anche quando la cassazione sia avvenuta con rinvio al primo e unico grado».

Allo stesso modo, la riassunzione del giudizio dopo la pregiudiziale europea apre un'autonoma fase rescissoria del processo originario che dovrebbe sottostare al controllo del medesimo giudice che in sede rescindente ha esercitato la funzione nomofilattica (in termini v. Cons. St., Ad. Plen., n. 2/2018). L'alternativa sarebbe quella di riservare un tale controllo al giudice nazionale, che finirebbe incoerentemente per essere al contempo controllore e controllato. Tuttavia, allo stato vigente, difetta un referente normativo che consenta di adire la Corte di Giustizia per sindacare la corretta applicazione del principio di diritto nel giudizio a quo. Una volta pronunciata la sentenza amministrativa di appello non è infatti previsto un ulteriore grado di impugnazione in cui poter adire fisiologicamente la Corte, aprendo una fase interna al medesimo processo prima della formazione del giudicato. Sino a che il legislatore non arricchirà i motivi di revocazione previsti dall'art. 395 c.p.c., tale grado non può rinvenirsi nel giudizio di revocazione, altrimenti essa «verrebbe a configurarsi come impugnazione diretta, in punto di diritto, e nei limiti della questione di anticomunitarietà, nei confronti della Corte di giustizia, alla quale sarebbe demandata la decisione sull'interpretazione relativa alla questione controversa, stravolgendo il sistema del rinvio pregiudiziale» (A. CARBONE, Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE e rapporti tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, in Riv. It. Dir. Pubb. Com., 1, 1 febbraio 2021, 65 ss.). Ciò che è auspicabile è solo che, de jure condendo, il legislatore colmi il vuoto di tutela che non assicura un raccordo pieno ed effettivo con il sistema di giustizia europea, senza stravolgere in via interpretativa gli strumenti processuali esistenti. L'attribuzione alla Corte di Giustizia del controllo sulla corretta applicazione del principio di diritto avrebbe inevitabili effetti negativi sul suo carico di lavoro, ma assicurerebbe l'effettività del diritto europeo scongiurando rimedi non pienamente satisfattivi per i ricorrenti, quali la responsabilità dello Stato per violazione del diritto europeo.

Riferimenti
  • F. Manganaro, Il giudizio di ottemperanza come rimedio alle lacune dell'accertamento, in Dir. proc. amm., 2, 2018, 534 ss.
  • A.M. Chiariello, L'errore di fatto revocatorio e il ruolo della giurisprudenza amministrativa tra costanza ed elasticità, in Dir. Proc. Amm., 3, 2021, 624 ss.
  • G. Tulumello, Il rinvio pregiudiziale fra mito e realtà, in www.giustizia-amministrativa.it.
  • M. Taruffo, Una riforma della Cassazione civile?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 3, 2006, 755 ss.
  • V. Petralia, Intangibilità del giudicato nazionale amministrativo ed esecuzione delle sentenze delle Corti europee: un'ipotesi di convergenza di soluzioni, in Riv. it. dir. pubb., 5, 1 ottobre 2017, 939 ss.

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