Revoca dell'assegno divorzile e decorrenza della ripetibilità delle somme corrisposte

Sabrina Apa
02 Dicembre 2021

Il caso in esame concerne la ripetibilità di quanto corrisposto dall'ex coniuge all'altro a titolo di assegno divorzile, ove sia revocata l'originaria statuizione che lo aveva onerato in tal senso, e, nello specifico, il momento a decorrere dal quale opera tale ripetibilità nell'ipotesi in cui la Corte d'appello modifichi la decisione del Tribunale negando la sussistenza dei presupposti (invece riconosciuti da quest'ultimo) ex art. 5 l. n. 898/1970 c.c. per l'attribuzione di tale emolumento.
Massima

In tema di accertamento dell'insussistenza del diritto all'assegno divorzile, lo stesso non è dovuto dal momento giuridicamente rilevante in cui - salva la possibilità della fissazione di un diverso termine, giusta l'art. 4, comma 13, l. n. 898/1970, come modificato dal d.l. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 80/2005 - la sua iniziale attribuzione, avente natura costitutiva, decorre; momento coincidente con il passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale.

Il caso

Il giudice di prime cure aveva statuito sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio di una coppia di coniugi, imponendo la corresponsione di un assegno divorzile in favore della donna in ragione della forte sproporzione delle situazioni reddituali e patrimoniali delle parti ed al fine di conservare, almeno tendenzialmente, in favore del coniuge economicamente più debole, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

La decisione era stata confermata dalla Corte d'appello, ma la Suprema Corte, adita dall'ex coniuge, ne aveva accolto il corrispondente ricorso, dando continuità alla recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11504/2017) secondo cui il diritto all'assegno di divorzio, di cui alla l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla l. n. 74/1987, art. 10, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola in due fasi: la prima concernente l'an debeatur, la seconda, riguardante il quantum debeatur. La Corte d'appello, quale designato giudice di rinvio, adito con distinti ricorsi dagli ex coniugi, in parziale riforma della decisione del giudice di prime cure, revocava l'assegno divorzile disposto in favore della donna, condannandola alla restituzione delle somme ricevute.

Invero, il Collegio, facendo applicazione del principio enunciato dalla Cassazione, riteneva che i mezzi economici della donna fossero adeguati a mantenere un tenore di vita più che dignitoso e finanche a supportare in parte economicamente le figlie maggiorenni, che avrebbero comunque continuato a percepire direttamente un assegno mensile ed a fruire di ulteriori sostegni, previsti in sentenza, da parte del padre.

Inoltre, la Corte d'Appello osservava che in virtù del mutato orientamento ermeneutico della Cassazione, la restituzione di quanto in buona fede percepito da parte della donna fosse limitato al periodo successivo alla data di deposito della sentenza della Suprema Corte.

Avverso questa sentenza ricorreva per cassazione l'ex coniuge sulla base di tre motivi; resisteva, con controricorso, la donna, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

Il fulcro della decisione della Suprema Corte trae origine principalmente dai primi due motivi del ricorso, volti a denunciare il fatto che la corte, pur avendo negato l'esistenza, ab origine, dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno divorzile, aveva poi, contraddittoriamente, consentito la mancata restituzione di gran parte di quanto percepito sulla base di una presunta e generica buona fede.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Suprema Corte riguarda la ripetibilità o meno di quanto corrisposto dall'ex coniuge all'altro a titolo di assegno divorzile, ove sia revocata l'originaria statuizione che lo aveva onerato in tal senso, e, nello specifico, se questa ripetizione possa, o meno, investire anche il periodo intercorrente tra il momento in cui la donna aveva iniziato a percepire tale assegno e la data di pubblicazione della pronuncia della Cassazione.

Preliminarmente, è opportuno sottolineare la natura specificamente perequativo-compensativa attribuita all'assegno di divorzio, correlata alla previsione della temporaneità dell'obbligo, in quanto strumento prevalentemente finalizzato a colmare la disparità economico patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo matrimoniale.

Sul punto merita osservare che secondo la giurisprudenza di legittimità, il diritto all'assegno divorzile è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale necessariamente articolata in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo: una prima fase, concernente l'an debeatur, informata al principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all'assegno divorzile fatto valere dall'ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 29 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell'importo dell'assegno stesso (Cass. n. 11504/2017).

Al riguardo, la Cassazione ha opinato che l'accertamento dell'insussistenza del diritto all'assegno divorzile comporta che lo stesso non sia dovuto dal momento giuridicamente rilevante in cui - salva la possibilità della fissazione di un diverso termine, giusta l'art. 4, comma 13, l. n. 898/1970, come modificato dal d.l. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 80/2005 - la sua iniziale attribuzione, avente natura costitutiva, decorre; momento coincidente con il passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale (Cass. n. 30257/2017).

Ne consegue, che l'obbligo restitutorio a carico della donna deve riguardare anche il periodo ricompreso nell'intervallo temporale tra il momento in cui la stessa ha concretamente iniziato a percepire l'emolumento, poi risultato non dovutole, fino a quello della pronuncia della Cassazione.

Pertanto, conclusivamente, il Collegio cassa la sentenza impugnata in relazione ai soli motivi accolti (primo e secondo motivo del ricorso principale) e, decidendo nel merito, condanna la donna alla restituzione di quanto percepito dall'ex coniuge, a titolo di assegno divorzile, anche per il periodo ricompreso nell'intervallo temporale tra il momento in cui la stessa iniziò concretamente a percepire l'emolumento (poi risultato non dovutole) fino a quello della pronuncia della Cassazione.

Le soluzioni giuridiche

Il caso in esame risulta di particolare interesse perché consente di richiamare i principi dettati dalle Sezioni Unite in tema di riconoscimento dell'assegno di divorzio.

Invero, sono stati abbandonati i vecchi automatismi che avevano dato vita ai due orientamenti contrapposti: da un lato il tenore di vita, dall'altro il criterio dell'autosufficienza, ed è venuta meno la concezione bifasica del procedimento di determinazione dell'assegno divorzile, fondata sulla distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi.

Analogamente, è venuta meno la concezione che riconosceva natura meramente assistenziale dell'assegno di divorzio a favore di quella che gli attribuisce una natura composita (assistenziale e perequativa/compensativa) e si è optato per l'equiordinazione dei criteri previsti dall'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970.

Dunque, tramontata la concezione assolutistica ed astratta del criterio “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi” a favore di una visione che propende per la causa concreta e lo contestualizza nella specifica vicenda coniugale, è stata evidenziata la necessità di valutare l'intera storia coniugale e la prognosi futura che tenga conto delle condizioni dell'avente diritto all'assegno (età, stato di salute, etc.) e della durata del matrimonio, vista l'importanza del profilo perequativo-compensativo dell'assegno e la necessità di un accertamento rigoroso del nesso di causalità tra scelte endofamiliari e situazione dell'avente diritto al momento dello scioglimento del vincolo coniugale.

Al riguardo le Sezioni Unite hanno precisato come “la funzione assistenziale dell'assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l'autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha, pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall'assunzione di un impegno diverso. Sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro” (Cass., S.U., n.18287/2018).

Osservazioni

In conclusione, sembra interessante soffermarsi, sia pur brevemente, sul tema dell'azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione di un provvedimento giudiziale, provvisoriamente esecutivo, successivamente riformato in sede di impugnazione.

Si tratta di una fattispecie che non si inquadra nell'istituto della condictio indebiti (art. 2033 c.c.), sia perché si ricollega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente al provvedimento stesso, sia perché il comportamento dell'accipiens non si presta ad una valutazione di buona o mala fede ai sensi dell'art. 2033 c.c., non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti (Cass. nn. 24475/2019, 25589/2010, 14178/2009, 21992/2007).

Invero, come osservato dalla Suprema Corte, l'art. 2033 c.c. “riguarda un pagamento eseguito nell'ambito un rapporto privatistico, pur se erroneamente ritenuto, e non nell'ottemperanza di un atto pubblico autoritativo”, con la conseguenza che, “per quanto concerne gli accessori della somma da restituire, non rileva lo stato soggettivo di buona o mala fede dell'accipiens ma l'assenza originaria di causa del pagamento, ossia del corrispondente arricchimento della controparte, con l'ulteriore conseguenza della necessità di porre il solvens nella stessa situazione patrimoniale in cui versava prima di pagare” (Cass. n. 25589/2010).

Ne consegue, che gli interessi legali sul quantum da restituire devono essere riconosciuti, in applicazione del principio generale di cui all'art. 1282 c.c., dal giorno del pagamento e non da quello della domanda, poiché la caducazione del titolo rende indebito il pagamento fin dall'origine, con la conseguenza che l'obbligazione restitutoria deve ritenersi sorta ed esigibile fin dal momento della solutio (Cass. nn. 24475/2019, 25589/2010, 14178/2009, 21992/2007, 6098/2006, 18238/2003, 8296/2001, 3291/1999, 11315/1998, 11999/1993).

Riferimenti

Contiero, Il trattamento economico nella separazione e divorzio. Assegno di mantenimento e divorzile, Collana Teoria e pratica del diritto. Lavoro, Giuffrè Editore, 2019;

M. Rinaldi, Assegno divorzile: i parametri dopo le Sezioni Unite n. 18287 dell'11 luglio 2018, 2018;

A. Simeone, L'assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite n. 18287/2018, Giuffrè Editore, 2018.

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