Divieto di avvicinamento alla persona offesa: le Sezioni unite dirimono il contrasto sulle modalità applicative della misura cautelare

09 Dicembre 2021

La questione affrontata dalle Sezioni unite riguarda la specificità, o meno, dell'ordinanza applicativa della misura cautelare ex art. 282–ter comma 1 c.p.p., nel caso in cui il divieto di avvicinamento venga imposto, nella forma “mobile”, con riferimento alla sola persona da tutelare e, pertanto, se anche in tal caso, debbano predeterminarsi i luoghi oggetto del divieto o sia sufficiente l'indicazione della sola distanza da tenere rispetto alla persona offesa.
Massima

Il giudice che ritenga adeguata e proporzionatala la sola misura cautelare dell'obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art. 282-ter comma 1 c.p.p.) può limitarsi ad indicare tale distanza.

Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente.

Il caso

Il difensore di indagato per il reato di maltrattamenti in famiglia ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Palermo, confermando la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa impostagli dal GIP, aveva ritenuto legittimo il provvedimento che lo obbligava a mantenersi a una certa distanza dalla persona offesa (300 mt.), ovunque questa si trovasse, senza specificare i luoghi oggetto del divieto, stante la persistente ricerca di avvicinamento alla vittima.

La Sezione Sesta, dopo aver rilevato il perdurante contrasto giurisprudenziale formatosi dall'introduzione della misura ad oggi, ha evidenziato che lo sforzo interpretativo dovesse misurarsi: «[…] in relazione alle concrete esigenze di tutela che si vogliono garantire con l'imposizione della misura, in rapporto alle peculiari modalità di esplicazione delle condotte illecite e particolarmente al loro profilo statico o dinamico nonché al tipo di reato configurabile (è d'uopo pensare come poli terminali della riflessione alle due figure paradigmatiche degli artt. 572 e 612-bis c.p.) […] con l'adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso».

Conseguentemente, ritenendo che la decisione imponesse «la soluzione di una questione ermeneutica relativa all'applicazione dell'art. 282–ter, comma 1», con ordinanza 28 gennaio 2021, ha rimesso il procedimento alle Sezioni Unite, ponendo il seguente quesito:

«Se nel disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ex art. 282-ter c.p.p., il giudice deve necessariamente determinare specificatamente i luoghi oggetto di divieto».

Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite dirimono il contrasto ripercorrendo i principi utilizzati dai due principali filoni interpretativi sviluppatisi, nonché mediante l'analisi logico-sistematica e letterale della norma, verificandone la compatibilità anche con la normativa sovranazionale.

In motivazione:

«La misura ha posto nella prassi applicativa un problema interpretativo sulla necessaria specificità delle prescrizioni in relazione ai singoli casi concreti. Come segnalato nell'ordinanza di remissione, sulla questione sono intervenute soluzioni giurisprudenziali prima facie differenti: parte delle decisioni ha affermato che è sempre necessario che il provvedimento cautelare indichi in modo specifico e dettagliato i luoghi rispetto ai quali è inibito l'accesso all'indagato; altra parte, invece, ha ritenuto sufficiente l'imposizione generica del divieto di avvicinamento alla persona offesa ovunque la stessa si trovi».

Il primo indirizzo, espresso da Cass. pen., sez. VI, n. 26819 del 7 aprile 2011, le cui argomentazioni sono sempre state espressamente richiamate dalle successive decisioni giunte ad analoghe conclusioni, «trova la sua ragion d'essere non solo nel dato normativo nel quale si fa espresso riferimento a luoghi “determinati”, ma soprattutto nel fatto che le limitazioni poste all'indagato risulterebbero, altrimenti, eccessivamente gravose rispetto ai suoi diritti di libertà e locomozione, difatti, senza una chiara indicazione dell'ambito geografico del divieto di avvicinamento, egli verrebbe assoggettato a compressioni della propria libertà personale di carattere indefinito. Solo tipizzando la misura il provvedimento cautelare assume una conformazione completa, che consente il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare, garantendo, così, il giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, improntate alla tutela della vittima, e il minor sacrificio della persona sottoposta alle indagini». Si evidenzia come tali decisioni pongano «in realtà, un problema di individuazione dei presupposti e del perimetro della misura anche in prospettiva costituzionale».

Il secondo solco interpretativo, tracciato da Cass. pen., sez. V, n. 13568 del 16 gennaio 2012, valorizza il dato testuale e considera le finalità della misura prevista dall' art.282–terc.p.p., applicabile soprattutto al reato di atti persecutori, «ovvero quando la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi. In tali situazioni, la norma consente di riferire il divieto di avvicinamento non a luoghi “statici”, bensì alla persona offesa in qualsiasi luogo si trovi». Pertanto, non sarebbe «più rilevante individuare i luoghi di abituale frequentazione della vittima. Anzi, quando ricorrano tali condizioni di pericolo, l'obbligo di indicazione dei luoghi rischia di essere addirittura «dissonante con le finalità della misura», potendosi risolvere in un'autentica impossibilità di tutelare il libero svolgimento della vita sociale della vittima al di fuori di spazi predefiniti». Tali decisioni considerano «irrilevante il rischio di una seria compressione della libertà dell'indagato: alle date condizioni vi è un contenuto coercitivo sufficientemente definito nel divieto di contatti ravvicinati con la persona offesa, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all'accesso dell'indagato è […] Secondo tale orientamento vi è una netta differenza tra il divieto di avvicinamento ai luoghi ovvero alla persona: si tratta, nell'ambito della stessa misura cautelare, di due diverse prescrizioni che possono essere applicate sia in modo alternativo che congiuntamente quando ricorra un significativo rischio di aggressione, fisica o psicologica ad opera dell'indagato. La funzione è quella di realizzare uno schermo di protezione per la persona offesa, perché possa svolgere liberamente la sua vita quotidiana».

Le Sezioni Unite condividono la valutazione della Sezione remittente, secondo la quale le due opzioni interpretative non devono necessariamente intendersi in termini alternativi, ma occorra individuare e precisare i limiti applicativi delle prescrizioni in relazione allo specifico caso concreto in cui la misura debba applicarsi, con particolare riguardo alle esigenze di tutela nei reati di cui agli artt. 612-bis o 572 c.p.

La questione

La questione affrontata dalle Sezioni unite riguarda la specificità, o meno, dell'ordinanza applicativa della misura cautelare ex art. 282–ter comma 1 c.p.p., nel caso in cui il divieto di avvicinamento venga imposto, nella forma “mobile”, con riferimento alla sola persona da tutelare e, pertanto, se anche in tal caso, debbano predeterminarsi i luoghi oggetto del divieto o sia sufficiente l'indicazione della sola distanza da tenere rispetto alla persona offesa.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza ricorda come la misura in esame sia stata introdotta nell'ambito di una serie di riforme mirate a prevedere nel nostro ordinamento misure specifiche a tutela della vittima di reato, quali:

  1. la l. n. 154 del 4 aprile 2001, che ha inserito l'art. 282–bis c.p.p., Allontanamento dalla casa familiare, il cui ambito di applicazione più frequente è quello del reato di maltrattamenti in famiglia e che, al comma 2, prevede la possibilità per il giudice di prescrivere, nel caso di allontanamento dalla casa familiare, anche l'ulteriore divieto di avvicinamento dell'indagato ai luoghi ove la persona offesa svolge la sua vita di relazione;
  2. il d.l. n. 11 del 23 febbraio 2009, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, convertito con modificazioni dalla l. n. 38 del 23 aprile 2009, che ha introdotto il reato di atti persecutori, ex art. 612–bis c.p., e la nuova misura coercitiva del Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa che, riprendendo ratio e struttura dell'art. 282-bis c.p.p., ne costituisce una sorta di “perfezionamento”;
  3. la l. n. 69 del 19 luglio 2019, “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, che, fra l'altro, in attuazione dell'art. 53 della Convenzione di Istanbul (ratificata con l. n. 77 del 27 giugno 2013) ha introdotto il reato di cui all'art 387–bisc.p., che punisce la violazione dei provvedimento di allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-terc.p.p.);

Le Sezioni Unite proseguono analizzando la formulazione letterale della disposizione ritenuta “abbastanza lineare e univoca, laddove nel primo comma correla il divieto di avvicinamento ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero l'obbligo di mantenimento di una determinata distanza da tali luoghi”.

Segue, quindi, la lettura logico sistematica della norma unitamente all'art. 282–bisc.p.p.

Entrambe le misure, infatti, seppur di portata generale, trovano più frequente applicazione relativamente ai reati in cui è particolarmente significativa la componente vittimologica (artt. 572 e 612-bis c.p.).

L'art. 282–bisc.p.p., al comma 2, prevede che il giudice possa prescrivere all'indagato, oltre alla misura principale dell'allontanamento dalla casa familiare (comma 1), l'ulteriore prescrizione, facoltativa e aggiuntiva (“può inoltre”), di non avvicinarsi ai “luoghi determinati” abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti. In tale ipotesi “il destinatario della misura deve essere informato dei luoghi ai quali non può avvicinarsi, indipendentemente dalla presenza della persona offesa nel dato momento”.

In merito, evidenzia come, dopo l'introduzione della misura del divieto di avvicinamento ex art. 282–terc.p.p., seppur calibrata sul reato di atti persecutori, si è potuto verificare che la stessa, quando applicata ai reati di maltrattamenti in famiglia, avendo contenuto più ampio, si è rivelata maggiormente funzionale rispetto a quella di cui all'art. 282-bis comma 2 c.p.p.

L'art. 282–terc.p.p. prevede, infatti, “due prescrizioni finalizzate a precludere il contatto fisico tra persona offesa (e gli altri soggetti indicati al comma 2) e indagato e, una terza, riferita ai contatti a distanza (spaziando dalla comunicazione gestuale alla telematica), che però non è prevista come autonoma, bensì, come aggiuntiva (“il giudice può, inoltre, vietare …”)”.

In base al dato letterale, l'obbligo di tenersi ad una data distanza può realizzarsi in due modi diversi: mediante il mantenimento della distanza

  1. dai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa,
  2. dalla persona offesa in quanto tale.

La norma appare “inequivoca nel prevedere la possibilità di applicare una misura il cui contenuto sia esclusivamente quello del divieto di avvicinamento alla persona fisica ovunque essa effettivamente si trovi nel dato momento”.

Conseguentemente, verificati i presupposti di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p., «l'applicazione graduale delle varie prescrizioni andrà correlata alla intensità delle esigenze cautelari da soddisfare, soprattutto in ragione del rischio di aggressione fisica o psicologica della vittima, facendo riferimento al criterio generale di adeguatezza e proporzionalità di cui all'art. 275, commi 1 e 2,c.p.p.».

Concludono le Sezioni Unite, affermando che la misura cautelare in esame integra e completa il sistema di protezione della vittima come introdotto dall'art. 282–bisc.p.p., conformemente a quanto previsto anche dalla normativa sovranazionale.

«La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio U.E. n. 2001 del 13 dicembre 2001 sull' ordine di protezione europeo prevede, infatti, la possibilità di disporre una misura di protezione in ambito europeo quando sia stata adottata in base al diritto nazionale una misura di protezione che impone alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti o delle seguenti restrizioni (art. 5):

  1. divieto di frequentare determinate località, determinati luoghi o determinate zone definite in cui la persona protetta risiede o che frequenta;
  2. interdizione da contatti telefonici/telematici, ecc;
  3. divieto o regolamentazione dell'avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito».

Rilevata la piena corrispondenza fra quanto previsto dall'art. 282-terc.p.p. e la normativa europea richiamata, la chiave di lettura della norma nazionale deve trarsi proprio da quest'ultima, che meglio individua le medesime tre prescrizioni applicative.

Tali considerazioni portano ad affermare come l'art. 282-terc.p.p. abbia introdotto prescrizioni autonome che possono essere applicate sia alternativamente che congiuntamente, in quanto “le due diverse prescrizioni possibili non definiscono due misure cautelari diverse, ma sono espressione di un'unica misura, spettando al giudice il compito di determinare quali siano le modalità più idonee in concreto a tutelare, da un lato, le esigenze della persona offesa e, dall'altro, a salvaguardare comunque l'ambito di libertà personale dell'indagato”.

Attesa la unicità della misura, nei termini evidenziati, si esclude espressamente che l'applicazione congiunta delle prescrizioni, possa violare il divieto di cumulo di più misure cautelari, realizzandosi, invece, l'unico modello normativo e i suoi effetti (Cass. pen. sez. unite , n. 29907 del 30/5/2006, La Stella).

La soluzione cui sono pervenute le Sezioni unite,«oltre a trovare un solido fondamento nel dato testuale”, rappresenta una sintesi delle interpretazioni giurisprudenziali richiamate, “diverse ma conciliabili” e ammette, pertanto, la possibilità di applicare la misura ”mobile”, ancorata alla sola persona offesa, ovunque essa si trovi, in quelle situazioni concrete caratterizzate da persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, escludendone l'obiezione di eccessiva gravosità, laddove ritenuta strettamente necessaria a garantire le esigenze cautelari, in ossequio ai principi di cui agli artt. 272 e ss. c.p.p..

La misura del divieto di avvicinamento, si afferma, “proprio per la sua peculiarità rispetto alle misure generaliste, non solo non è troppo afflittiva ma, anzi, riduce al massimo la compressione dei diritti di libertà dell'indagato, limitandoli, ben più di altre misure, a quanto strettamente utile alla tutela della vittima».

Laddove venga invece disposto il divieto di avvicinamento ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, indipendentemente che la stessa sia ivi presente o meno, sarà sempre necessario indicare chiaramente di quali luoghi si tratti, “anche in forma indiretta, purché si raggiunga la finalità di dare certezza all'indagato sulla estensione del divieto”.

Sulla scorta di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno dato alla questione la risposta indicata in “massima”, rigettando il ricorso proposto dal difensore dell'indagato.

Osservazioni

La soluzione adottata dalle Sezioni Unite appare convincente, in quanto pienamente corrispondente al quadro normativo, nazionale ed europeo richiamato, permettendo la massima estensione applicativa della misura a tutte le, difficilmente predeterminabili, situazioni concrete in cui si debba prestare effettiva tutela alle vittime dei reati di violenza alla persona (per la cui definizione si rimanda a Cass. pen., sez.unite, 29 gennaio 2016, n. 10959)

La sentenza è particolarmente pregevole anche nella parte in cui, al fine di superare le perplessità espresse dal primo indirizzo interpretativo esaminato, si sofferma a valutare, contemperandoli, i limiti alla libertà di movimento dell'indagato. Si afferma, infatti, che la misura in esame, al pari delle altre misure non custodiali, sia pienamente conforme ai principi fondamentali: trattandosi di «situazioni che trovano disciplina nell'art. 13 della Costituzione per cui si è in presenza di libertà che, nella cornice della rigida disciplina legale, possono essere limitate nel rispetto di una esigenza costituzionale di proporzione e gradualità che deve trovare riscontro nella scelta fatta con il provvedimento del giudice e nella sua motivazione».

Guida all'approfondimento

V. TORREGGIANI, Divieto di avvicinamento alla persona offesa e necessità di specifica dei luoghi vietati da parte del giudice: la questione alle Sezioni Unite

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