Non può essere oggetto di assegnazione un immobile nel quale il figlio minore non ha mai vissuto

Paola Silvia Colombo
14 Dicembre 2021

La Suprema Corte è stata, quindi, chiamata ad affrontare la questione se la prima abitazione utilizzata dai coniugi - e poi lasciata per esigenze sopravvenute e non preventivate - potesse o meno essere oggetto di assegnazione.
Massima

L'assegnazione della casa familiare, rispondendo all'esigenza di conservare l'“habitat domestico”, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell'immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza.

L'art. 337-sexies comma 1 c.c. indica quale criterio prioritario per l'assegnazione della casa coniugale l'interesse della prole (dopo la crisi matrimoniale) a continuare a vivere nell'ambiente in cui sono cresciuti e a mantenere le consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate.

Il caso

La Corte d'Appello di l'Aquila ha rigettato l'appello incidentale proposto da una madre, affidataria e collocataria di una figlia minore, avverso la sentenza di separazione del Tribunale che aveva respinto la domanda di assegnazione della casa coniugale sita a l'Aquila.

La Corte D'Appello ha motivato il rigetto dell'impugnazione rilevando che:

- l'abitazione di cui era stata rivendicata l'assegnazione avesse avuto funzione di centro di aggregazione familiare solo nei primi due anni di matrimonio dei coniugi e, quindi, prima della nascita della figlia;

- la minore era cresciuta e aveva radicato i propri legami affettivi nell'abitazione di Tarquinia e, quindi, in un immobile diverso da quello oggetto della richiesta di assegnazione.

- il nucleo familiare poteva contare su riferimenti parentali nella città di Tarquinia.

La madre ha proposto ricorso per Cassazione eccependo con i 5 motivi proposti:

a) l'omesso esame di fatti decisivi da parte della Corte d'Appello e in particolare:

- che la scelta dei coniugi di lasciare la casa familiare sita in l'Aquila fosse dipesa unicamente dal terremoto del 2009;

– il fatto che la casa di Tarquinia non avesse mai rappresentato il centro di affetti e legami familiari;

– il fatto che i coniugi avessero concordato il rientro nell'abitazione di l'Aquila per il 2016, quando sarebbero terminati i lavori di ristrutturazione e il padre della minore sarebbe ritornato da una missione all'estero;

b) la violazione o falsa applicazione di norme di diritto per non aver i giudici di merito:

- ammesso la prova per testi che avrebbe provato la volontà di entrambi i coniugi di continuare a considerare come “casa familiare” quella sita in l'Aquila;

- considerato la qualificazione giuridica della nozione di casa familiare come statuito dalla Suprema Corte con la Sentenza n. 3331/2016.

La Suprema Corte di Cassazione ha respinto il ricorso e ritenuto insussistenti i presupposti per l'assegnazione rilevando che la casa di l'Aquila, a prescindere da quali fossero gli intendimenti dei coniugi, non avesse mai costituito l'“habitat domestico” della figlia minore in quanto in tale immobile quest'ultima non vi aveva mai vissuto.

A giudizio della Corte Suprema non sussistono quindi i presupposti per poter assegnare l'immobile non essendo configurabile l'esigenza - posta a fondamento del prioritario criterio di assegnazione previsto dalla Legge - di tutelare il diritto dei figli alla continuità dell'ambiente domestico.

La questione

La pronuncia in esame, richiamando i propri orientamenti consolidati in materia, fornisce significativi chiarimenti in ordine ai presupposti che il Giudice è tenuto a valutare in un giudizio di separazione per poter assegnare la casa coniugale in presenza di figli minori.

Le soluzioni giuridiche

La Corte richiama preliminarmente l'art. 337-sexies comma 1 c.c. evidenziando che tale norma indica quale criterio prioritario per l'assegnazione della casa coniugale l'interesse della prole, da intendersi come l'interesse dei figli a continuare a vivere nell'ambiente in cui sono cresciuti e a mantenere le loro consuetudini di vita e relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate.

In un secondo passaggio viene poi specificato che l'assegnazione della casa familiare, quale misura rispondente all' esigenza di conservare l'habitat domestico - da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare - è consentita unicamente con riguardo a quell'immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza.

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte è stata investita di un caso del tutto peculiare che ha visto coinvolti due genitori sposati che avevano vissuto inizialmente in un'abitazione del Comune dell'Aquila, centro dei loro affetti e legami, che si sono visti costretti poi a lasciare (trasferendosi stabilmente in un altro immobile di una città diversa ove è anche nata la prima figlia) perché necessitava di interventi di ristrutturazione a causa del sisma che l'aveva danneggiata.

La Suprema Corte è stata, quindi, chiamata ad affrontare la questione se la prima abitazione utilizzata dai coniugi - e poi lasciata per esigenze sopravvenute e non preventivate - potesse o meno essere oggetto di assegnazione.

La Cassazione, con la pronuncia in esame, ha dato risposta negativa evidenziando che non può essere oggetto di assegnazione un'abitazione nella quale la prole non vi ha di fatto mai vissuto.

Circostanza questa che, a giudizio della Corte, porta automaticamente ad escludere la necessità di assicurare l'interesse della stessa a vivere nell'ambiente in cui è cresciuta dal momento che in detta abitazione non si è mai costituito l'habitat domestico.

La pronuncia in commento ribadisce in modo esaustivo l'obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire nel disciplinare la misura dell'assegnazione della casa coniugale attraverso l'introduzione della norma prevista dall'art. 337-sexies comma 1 c.c. secondo cui «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli».

Si tratta di una misura volta esclusivamente alla tutela dei figli, ancorché il destinatario della assegnazione sia un genitore.

È ormai pacifico sia in dottrina sia in giurisprudenza che si possa procedere ad assegnazione solamente se vi sono figli conviventi, siano essi minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente.

L'assegnazione risponde all'esclusiva esigenza di garantire ai figli di minore età, ovvero maggiorenni, ma non economicamente sufficienti, il mantenimento dell'habitat domestico da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (Cfr. Cass. civ. 6 luglio 2004, n. 12309).

L'assegnazione non rappresenta, quindi, una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare in mantenimento del coniuge più debole (Cfr. Cass. civ. n. 11696/2001) ma in via prioritaria un provvedimento diretto alla tutela dei figli affinché questi possano continuare a vivere nell'ambiente domestico e nell'habitat in cui sono cresciuti e nel quale si sono consolidati i loro i rapporti familiari, sociali e le loro consuetudini di vita.

In altre parole, il legislatore, nel disciplinare questa misura (prevalentemente conservativa dell'ambiente domestico a favore dei figli) ha voluto preservare unicamente l'interesse della prole a continuare a stare e a crescere nell'ambiente in cui sono stati abituati a vivere

Ciò in quanto la separazione è ritenuta un “evento traumatico” per i figli minori, e il giudice ha il compito di mitigarne gli effetti con l'utilizzo della misura in questione.

Anche la Corte Costituzionale (sent. n. 308/2008) ha rimarcato che sia l'assegnazione della casa familiare, che la cessazione della stessa, è sempre subordinata «ad una valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all'interesse della prole».

Nel caso affrontato, la Suprema Corte ha correttamente rilevato che l'“interesse della prole” fosse elemento che non poteva neppure essere preso in considerazione tenuto conto che:

a) nell'immobile di cui è stata rivendicata l'assegnazione la figlia minore non vi ha “mai messo piedee quindi tale bene non poteva rappresentare in alcun modo per lei il centro dei suoi interessi e delle sue consuetudini a prescindere da quelli che fossero gli intendimenti dei genitori.

b) la vita della famiglia si era articolata per molti anni in una abitazione diversa.

Osservazioni

La recente sentenza della Cassazione rappresenta un precedente significativo che non lascia però spazio a critiche di sorta in quanto in linea con lo spirito della norma contenuta nell'art. 337-sexies c.c. e con l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo, come detto, l'assegnazione è consentita unicamente con riguardo a quell'immobile che abbia costituito per il minore il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro bene di cui i coniugi avessero la disponibilità (Cfr. Cass.civ., sez. I, 23 maggio 2000 n.6706)

Se l'abitazione di cui viene chiesta l'assegnazione non è oggettivamente mai stata frequentata dalla prole la misura non ha più ragion d'essere e non può essere concessa non ravvisandosi alcuna esigenza di tutela del minore a vedersi garantito l'habitat domestico.

Del resto, anche la casa utilizzata solo per le vacanze non può essere assegnata al genitore affidatario e collocatario dei figli (Cfr. Cass. civ. 4 luglio 2011 n. 14553).

L'utilizzo saltuario dell'immobile preclude di poterlo qualificare come il centro dei loro interessi e delle loro consuetudini di vita.

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