Misure cautelari: dopo gli accertamenti sulle condizioni di salute in seguito a istanza di revoca o sostituzione occorre nuovamente il parere del P.M.

Costantino De Robbio
15 Dicembre 2021

La questione in esame è la seguente: nel caso in cui il giudice investito di una richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, ritenga di non poter decidere allo stato degli atti e disponga accertamenti, all'esito degli stessi deve nuovamente richiedere al Pubblico Ministero il parere?
Massima

In caso di istanza di revoca o sostituzione di una misura cautelare, qualora sia stata esperita attività istruttoria ai sensi dell'articolo 299 comma 4-ter il giudice dovrà nuovamente chiedere, all'esito degli accertamenti, il parere al Pubblico Ministero prima di decidere sull'istanza.

Il caso

In un procedimento penale per reati concernenti gli stupefacenti, il difensore ha proposto istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere per incompatibilità della stessa con le condizioni di salute dell'indagato.

Il GIP, in accoglimento dell'istanza, ha sostituito la misura con quella degli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica, dopo avere svolto accertamenti sulle condizioni di salute mediante perizia medica. Il Pubblico Ministero ha proposto appello avverso l'ordinanza di sostituzione lamentando la lesione del contraddittorio, per non avere il Giudice chiesto il suo parere all'esito degli accertamenti.

Il Tribunale, in funzione di Giudice di appello ai sensi dell'articolo 310 del codice di procedura penale, ha rigettato l'impugnazione.

Il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per Cassazione; la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso annullando l'ordinanza di sostituzione.

In motivazione:

Il ragionamento seguito dalla Corte nella motivazione del provvedimento in esame parte dal richiamo alla regola dell'art. 299, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che prevede che sulla richiesta di modificazione o sostituzione della misura cautelare, sia essa disposta di ufficio ovvero a seguito di istanza della parte interessata, il giudice deve provvedere dopo chiesto il parere al Pubblico Ministero.

La medesima disciplina, argomenta la Corte, è senza dubbio applicabile anche nell'ipotesi in cui il giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti e debba disporre accertamenti istruttori, come nel caso disciplinato dal comma 4 ter dell'articolo 299 del codice di rito.

In ossequio al principio del contraddittorio che informa il nostro sistema processuale, le parti devono infatti essere “edotte delle eventuali acquisizioni istruttorie ulteriori sollecitate dall'organo giudicante, tanto più ove a rendere attuale tale sollecitazione siano state, in ipotesi ricorrente nel presente caso, proprio le argomentazioni sviluppate da una delle parti, ivi compreso il Pm, o in sede di originaria richiesta di revoca o modifica della misura ovvero in sede di espressione del parere”.

Nel caso di specie ciò non era avvenuto; conseguentemente, conclude la Corte di Cassazione, l'ordinanza del Giudice deve considerarsi nulla.

La questione

La questione in esame è la seguente: nel caso in cui il giudice investito di una richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, ritenga di non poter decidere allo stato degli atti e disponga accertamenti, all'esito degli stessi deve nuovamente richiedere al Pubblico Ministero il parere?

Le soluzioni giuridiche

Nel corso di un procedimento penale in cui è stata adottata una misura cautelare personale a carico dell'indagato, questi può in ogni momento chiedere al giudice che procede la revisione del provvedimento applicativo in funzione di verifica della permanenza dei requisiti dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.

A norma dell'articolo 299 comma 3-bis del codice di procedura penale, prima di provvedere il giudice deve sentire il pubblico ministero o quantomeno dargli la possibilità di esprimere il parere sull'istanza; trascorsi due giorni senza che il parere sia stato emesso, il giudice può decidere sull'istanza (rectius: deve provvedere, entro il brevissimo termine di cinque giorni dalla medesima).

Ciò che conta è dunque l'instaurazione di un contraddittorio tra le parti: il giudice non può decidere senza che tutte le parti siano state coinvolte nel subprocedimento instaurato ad istanza dell'indagato o del suo difensore.

Può accadere che, dopo avere nel modo descritto esaurito la fase in contraddittorio, il giudice riconosca di non essere in grado di decidere sull'istanza “allo stato degli atti”, in special modo quando l'istanza di revoca o sostituzione della misura sia fondata su un'asserita incompatibilità delle condizioni di salute dell'istante con il regime detentivo.

In questo caso il giudice è, come noto, obbligato a disporre una perizia, riservandosi di decidere all'esito.

Terminati gli accertamenti, la situazione di fatto sulla quale il giudice dovrà decidere è differente da quella esistente al momento dell'istanza, perché il fascicolo si è arricchito di un elemento nuovo, peraltro non di rado decisivo. Si aprono dunque due possibilità.

Secondo una prima ricostruzione della ratio della norma in esame, il giudice non dovrà nuovamente chiedere il parere del magistrato inquirente, avendo egli già espresso la propria opinione sull'istanza in esame.

Secondo la soluzione opposta, poiché l'esito degli accertamenti può comportare un mutamento del quadro cautelare, il giudice dovrà nuovamente richiedere il parere al Pubblico Ministero.

Osservazioni

La privazione della libertà personale è senza dubbio il più incisivo sacrificio imposto ai diritti fondamentali dell'indagato a protezione della collettività e delle indagini o del processo in corso.

Nella consapevolezza della eccezionalità della situazione che si viene a creare con l'assoggettamento ad una tale limitazione dei diritti fondamentali, non bilanciata dalla certezza della violazione di un precetto penale da parte del destinatario della stessa. il legislatore ha dunque previsto severi limiti sia all'applicazione di una misura cautelare personale che al suo mantenimento.

In particolare, sotto questo ultimo profilo, l'articolo 299 del codice di procedura penale impone una verifica costante e continua della permanenza, durante tutta la vigenza della misura, dei requisiti che hanno portato alla sua emanazione, sia dal punto di vista dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelari.

È conseguentemente compito del giudice verificare costantemente la permanenza delle ragioni che hanno portato all'adozione della misura, ed adeguare immediatamente lo status libertatis del destinatario della stessa al mutare delle stesse, provvedendo alla revoca immediata dell'ordinanza al venir meno di queste.

In alternativa alla revoca, qualora le esigenze cautelari non siano venute meno ma si siano semplicemente attenuate, il giudice ha il potere-dovere di sostituire la misura cautelare in atti con una misura meno afflittiva, o di modificare in senso migliorativo per l'indagato le prescrizioni inerenti una misura in corso.

Il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso.

Conseguentemente, si impone una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangono o residuano, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale.

Il potere del giudice di intervenire sulla misura in corso a favore dell'indagato non è tuttavia illimitato, ma condizionato dall'insorgenza di fatti nuovi, come dimostra chiaramente l'inciso dell'articolo 299, primo comma del codice di procedura penale: non è dunque possibile la mera rivisitazione degli stessi elementi già valutati, se non congiuntamente a qualche elemento sopraggiunto dopo la decisione precedente.

Il compito di riesaminare gli atti e la valutazione del giudice che ha emesso l'ordinanza di misura cautelare spetta infatti al Tribunale per il Riesame, nelle forme codificate dagli articoli 309 e 310 del codice di procedura penale.

Ogni modificazione della contestazione, sia in fatto che in diritto, ogni fatto o allegazione acquisita al fascicolo delle indagini preliminari o – successivamente all'esercizio dell'azione penale – prova assunta nel processo è potenzialmente idonea ad una rivisitazione del quadro indiziario e cautelare sotteso alla misura in corso: spetta alle parti scegliere se e quando attivare il potere-dovere del giudice di rivalutare l'ordinanza emanata e decidere se confermarla, modificarla o revocarla.

L'apertura del procedimento è normalmente demandata alle parti.

La chiara dizione dell'articolo 299 terzo comma del codice di procedura penale non lascia dubbi in ordine al fatto che ordinariamente non è possibile una revoca o una sostituzione d'ufficio della misura cautelare: il primo periodo di questo lungo e articolato comma stabilisce infatti che «il pubblico ministero e l'imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza» (esistono eccezioni a questo principio, che non appare necessario approfondire in questa sede).

Prima di decidere, il giudice dovrà comunque acquisire il parere del Pubblico Ministero.

A tale scopo, egli è tenuto a trasmettere l'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare al magistrato inquirente ed attenderne le determinazioni: non potrà emettere ordinanza di revoca, modifica o rigetto dell'istanza prima che siano trascorsi due giorni dall'invio al Pubblico Ministero.

In caso di mancata osservanza dei predetti adempienti l'ordinanza è nulla e legittima il Pubblico Ministero ad impugnare il provvedimento.

Sul punto la giurisprudenza è da sempre ferma sulla statuizione per cui «l'ordinanza con cui il GIP dispone la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la meno grave misura degli arresti domiciliari senza acquisire il parere del P.M. previsto dall'art. 299comma 3-bis, c.p.p., è nulla ai sensi dell'art. 178, comma primo, lett. b), c.p.p., per violazione della disciplina concernente la partecipazione del P.M. al procedimento» (Cass. pen., sez VI, 24 settembre 2008, n. 38138).

Trattasi di nullità relativa ed a regime intermedio, con la conseguenza che essa può essere dedotta soltanto dal Pubblico Ministero, quale «titolare dell'interesse ad eccepire la violazione del contraddittorio cartolare alla cui realizzazione è finalizzata la sua audizione» (così Cass. pen., sez. I, 18 gennaio 21, n. 13408).

La richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare per motivi di salute è statisticamente frequentissima nei nostri Tribunali, probabilmente perché è l'unica sottratta almeno in parte alla discrezionalità del giudice ed affidata a valutazioni oggettive extra-giuridiche.

Ogni volta che il difensore di soggetto sottoposto a misura cautelare ha a disposizione un quadro clinico-medico di apprezzabile gravità, sa di poter attivare un procedimento particolarmente garantista, come del resto è giusto che sia attesa la rilevanza costituzionale del diritto alla salute, che non può non essere considerato – a certe condizioni – prevalente rispetto alle esigenze cautelari.

La disciplina dell'articolo 275 del codice di procedura penale prevede che nel caso in cui il destinatario della misura cautelare sia affetto da patologie tali da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario, ed in ogni caso se è affetto da AIDS conclamato o da grave deficienza immunitaria accertata, non può essere disposta la custodia cautelare in carcere; se tuttavia sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, può essere disposta la misura cautelare massima prevista dall'articolo 285 del codice di procedura penale, ma stante l'incompatibilità di cui al punto precedente tra condizioni di salute ed ambiente carcerario, dovrà essere disposta la misura degli arresti domiciliari presso un ospedale o un luogo di cura.

Normalmente, le condizioni di salute dell'indagato non risultano agli atti prima dell'emissione della misura cautelare (in quanto il profilo delle condizioni di salute non è normalmente oggetto di indagini da parte degli inquirenti), e la questione dell'incompatibilità delle condizioni di salute è prospettata al giudice in sede di istanza di revoca o sostituzione della misura ai sensi dell'articolo 299 del codice di procedura penale.

Il comma 4 ter della norma in esame prevede in questo caso un procedimento connotato da una particolarità che lo rende unico rispetto al sistema cautelare: il giudice è obbligato a disporre perizia medica, a meno che non ritenga che l'istanza vada accolta ictu oculi.

In altri termini, non esiste alcuna possibilità che il giudice rigetti un'istanza di revoca o sostituzione basata su condizioni di salute, se prima non ha chiesto il parere di un tecnico.

All'esito di questa procedura, il giudice è libero di determinarsi in ordine all'istanza di revoca o sostituzione presentata dalla parte, naturalmente decidendo liberamente ed anche se ritiene in senso diverso da quello prospettato dal perito, come avviene in tutti i casi di perizia.

Nulla dice il codice sulla necessità o meno di coinvolgere nuovamente il Pubblico Ministero prima che il giudice prenda la sua decisione.

Tale silenzio potrebbe far propendere per la non necessità di provvedere in tal senso, sia perché il magistrato inquirente ha già espresso il suo parere in precedenza, sia in ragione dei tempi strettissimi imposti per la definizione della procedura.

Sebbene il termine di cinque giorni sia sospeso durante l'espletamento della perizia, è evidente che esso ricominci a decorrere appena si verifichi il deposito della stessa nella cancelleria del giudice.

Anche ipotizzando un rispetto rigorosissimo dei termini minimi, dunque, si deve immaginare che due dei cinque giorni concessi al giudice per la sua decisione siano già stati impiegati per consentire al Pubblico Ministero di esprimere il suo precedente parere.

L'invio a quest'ultimo del fascicolo con gli esiti della perizia per un secondo parere consumerebbe dunque quasi per intero la spatium deliberandi concesso al giudice, e poco conta che il termine sia considerato meramente ordinatorio vista la delicatezza degli interessi in gioco.

Si tratta infatti, nel caso in cui l'istanza sia fondata, di un soggetto detenuto che presenta una situazione di salute incompatibile con lo stato di detenzione, e dunque la sua permanenza in carcere comporta un pericolo per la sua salute, che va scongiurato immediatamente.

Non appaiono peregrine dunque le perplessità di chi osserva che la richiesta di un secondo parere al Pubblico Ministero, se realizza compiutamente il principio del contraddittorio, può comportare un'ingiusta protrazione della privazione di un diritto fondamentale dell'indagato che dovrebbe avere carattere prioritario.

Tuttavia, osserva la Corte di Cassazione nel provvedimento in commento, non può essere obliterato che la ragione per la quale il giudice, qualora debba provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura cautelare ex art. 299 comma 3-bis c.p.p. deve richiedere il parere del P.M. é strumentale a consentire a questo, ove lo ritenga opportuno, di presentare memorie scritte ex art. 121 c.p.p. e di assicurare il pieno rispetto del contraddittorio fra le parti.

E dunque «il rispetto sostanziale di tale principio, e non solo formale, impone che le parti, onde potere interloquire in merito ad esse ed alla loro eventuale incidenza sui termini del decidere, siano edotte delle eventuali acquisizioni istruttorie ulteriori sollecitate dall'organo giudicante».

Ne discende che ad ogni mutamento del compendio sul quale il giudice è chiamato a decidere ai sensi dell'articolo 299 del codice di procedura penale, deve essere riattivata la procedura che consente la piena partecipazione di tutte le parti.

Va in proposito rilevato che è pacifico che, nell'ipotesi di istanza di revoca o sostituzione che segua anche di pochi giorni una precedente istanza, il giudice debba nuovamente interpellare il Pubblico Ministero, perché quest'ultimo ha diritto di esprimersi sul mutato quadro cautelare ed indiziario e persino di poter osservare che non vi è alcun mutamento e dunque l'istanza deve essere rigettata per il cosiddetto giudicato cautelare (in questo senso tra le altre cfr. Cass. pen., sez. VI, 23 ottobre 2013 n. 44904).

Da ciò si ricava agevolmente il principio secondo cui ogni qualvolta che via sia una situazione che rende meritevole che il giudice verifichi la permanenza dello status detentionis, prima della decisione deve esservi instaurazione del contraddittorio.

Conclude dunque la Corte di Cassazione nel senso della necessarietà della piena attivazione del contraddittorio fra le parti ove, come nel caso che interessa, successivamente alla espressione del parere da parte del Pm, sia stata svolta, non importa se a seguito di sollecitazione di parte ovvero su autonoma disposizione del giudice, una attività di carattere istruttorio che ha arricchito il materiale sulla base del quale emettere la decisione in materia di sostituzione o revoca della misura cautelare.

A confutazione delle perplessità sopra espresse sulla eccessiva compressione dei tempi lasciati al giudice per la sua decisione viene superata dalla superiore «esigenza di tutelare una forma di contraddittorio reale e non monca come sarebbe ove l'organo della pubblica accusa non potesse dire la sua sui nuovi elementi di giudizio acquisiti».

La pronuncia in commento supera dunque, forse con eccessiva disinvoltura, i limiti concettuali che lo stesso principio del contraddittorio sostanziale, invocato dalla Corte, pone, secondo cui il coinvolgimento delle parti deve essere funzionale agli interessi delle medesime.

In particolare, non si vede ad esempio quale possa essere l'interesse del Pubblico Ministero ad esprimere (nuovamente) il proprio parere nel caso in cui la perizia attesti la piena compatibilità dello stato di detenzione con le condizioni di salute.

Persino nel caso di perizia che concluda in senso favorevole alle ragioni dell'indagato, potrebbe in concreto non sussistere alcun interesse da parte del Pubblico Ministero ad esprimere il proprio parere.

Sulla scorta di tali considerazioni, un orientamento più restrittivo della norma in esame aveva portato la Corte di Cassazione, in una precedente pronuncia, a concludere che «il Pubblico Ministero che intende impugnare con appello cautelare l'ordinanza con cui il GIP abbia revocato una misura custodiale senza richiedere il suo parere non può limitarsi ad invocare la formale violazione di legge ma deve indicare, a pena di inammissibilità, anche le ragioni che rendono rilevante l'omissione del suo parere rispetto alla salvaguardia del provvedimento cautelare» (Cass. pen., sez. VI, 16 maggio 2012, n. 22896).

La sentenza 18935 del 2021 che qui si commenta ha invece adottato la scelta di privilegiare l'esigenza di instaurazione del contraddittorio quale prevalente su tutte le altre eventualmente concorrenti, dalla urgenza di provvedere per tutelare le condizioni di salute dell'indagato al principio di economia processuale.

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