Attività difensiva e delitto di favoreggiamento personale

20 Dicembre 2021

Se l'avvento del processo accusatorio ha rafforzato le prerogative della difesa, istituzionalmente legittimata ad opporsi alle pretese punitive dello Stato esercitando il diritto sancito dall'art. 24 comma 2 Cost., allo stesso tempo ha reso più incerta la linea di confine tra l'attività difensiva e la condotta di favoreggiamento. Come noto, il difensore incorre pacificamente nel reato di cui all'art. 378 c.p. quando...
Massima

Non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione di atti processuali dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti sia applicata una misura cautelare, atteso che la legittima acquisizione di notizie che possono interessare la posizione processuale dell'assistito ne rende legittima la rivelazione a quest'ultimo in virtù del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e che attiene al fisiologico esercizio del diritto di difesa.

Il caso

Confermando la sentenza del Tribunale di Udine, la Corte d'appello di Trieste ha ritenuto responsabile del reato di favoreggiamento un dirigente veterinario dell'ASS, che avrebbe aiutato a eludere le investigazioni i proprietari di un stabilimento alimentare accusati della ricettazione di alcuni timbri a fuoco falsi, suggerendo loro di mentire sulla detenzione dei timbri stessi, redigendo scritti per memorie difensive e rendendo nota l'attività di intercettazione disposta dall'Autorità Giudiziaria.

Contro la sentenza di condanna, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione censurando l'erronea applicazione dell'art. 378 c.p. Secondo la difesa, pur non essendo un avvocato, l'imputato avrebbe compiuto atti compatibili con una sostanziale attività difensiva: in particolare, suggerendo ai presunti ricettatori di “creare/inventare della giustificazioni” sul possesso dei timbri falsi li avrebbe istigati “al compimento di un fatto lecito”, qual è il diritto dell'indagato a mentire all'Autorità Giudiziaria. La Cassazione ha accolto la tesi difensiva, annullando senza rinvio la sentenza di condanna.

La questione

La questione affrontata nella sentenza in commento è se e a quali condizioni l'attività difensiva possa configurare il delitto di Favoreggiamento personale previsto dall'art. 378 c.p.

Le soluzioni giuridiche

Con una felice intuizione, la sentenza ha equiparato la “consulenza fornita dal ricorrente agli indagati”a una vera e propria attività difensiva e, applicando al caso specifico i consolidati principi giurisprudenziali in materia di favoreggiamento del difensore, ha escluso che il suggerimento rivolto agli indagati di mentire all'Autorità Giudiziaria (avvalendosi, dunque, di una facoltà riconosciuta dalla legge) costituisse reato.

In termini più generali, la sentenza ha ribadito che non integra il favoreggiamento la condotta del difensore che riveli al suo assistito una notizia appresa nel legittimo esercizio del mandato difensivo. Secondo quest'indirizzo ricostruttivo, la rivelazione della notizia appresa ritualmente sarebbe non solo legittima ma, in un certo senso, doverosa in considerazione del rapporto di fiducia che lega il difensore e la parte e non consente zone d'ombra tra gli stessi. Viceversa, costituirebbe reato la comunicazione di notizie apprese in modo illecito (per esempio, istigando un pubblico ufficiale alla rivelazione di segreti d'ufficio): in tal caso, tra difensore e difeso verrebbe a crearsi una sorta di solidarietà anomala, che «inquina e svilisce la funzione del professionista, proprio perché costui, anche se offre un aiuto al suo difeso […] lo fa nel rispetto della legalità e nell'unica prospettiva di assolvere, con adeguatezza e con lealtà, il proprio mandato». (Cass. pen., sez. VI, 29 marzo 2000, n. 7913, Fasano,).

La sentenza ha, altresì, ricordato come il diritto a un libero scambio di informazioni tra difensore e difeso scrimini la condotta anche nel caso in cui l'informazione sia acquisita al di fuori dei canali ordinari ma comunque non in modo illecito: ad esempio, difendendo altri, in occasione di dialoghi confidenziali avuti con un magistrato o un funzionario, discutendo con un collega.

Pertanto, non può essere ritenuto responsabile di favoreggiamento il difensore che informi l'assistito dell'imminente applicazione nei suoi confronti di una misura cautelare di cui sia venuto fortuitamente a conoscenza, «atteso che non esorbita dalla funzione del difensore partecipare al proprio assistito quanto possa aiutarlo a mantenere la propria libertà personale» (Cass., sez. VI, 18 maggio 2010, n. 20813).

Osservazioni

Se l'avvento del processo accusatorio ha rafforzato le prerogative della difesa, istituzionalmente legittimata ad opporsi alle pretese punitive dello Stato esercitando il diritto sancito dall'art. 24 comma 2 Cost., allo stesso tempo ha reso più incerta la linea di confine tra l'attività difensiva e la condotta di favoreggiamento.

Come noto, il difensore incorre pacificamente nel reato di cui all'art. 378 c.p. quando realizzi condotte estranee alla difesa tecnica come l'eliminazione di elementi di prova, l'aiuto a fuggire nascondendo il ricercato o procurandogli denaro e documenti, il portare lettere al di fuori del carcere (FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, vol. I, 2012, p. 413).

Più difficile, invece, è stabilire se possano integrare il reato le attività intellettuali tipiche della professione (suggerimenti, le consulenze, la predisposizione della linea difensiva, ecc.). È opinione comune che i suggerimenti sul comportamento da tenere nel processo e le informazioni di diritto utili a eludere le investigazioni o sottrarsi alle ricerche rientrino nel legittimo esercizio dell'attività difensiva (CORBO, Favoreggiamento personale e reale).

La questione si complica, tuttavia, nel caso di rivelazione di atti o iniziative istruttorie coperte da segreto: si pensi al difensore che informi il suo assistito dell'imminente applicazione di un provvedimento coercitivo nei suoi confronti.

Secondo una parte della dottrina, l'avvocato che rivelasse notizie coperte da segreto non potrebbe invocare la scriminante del diritto di difesa: la sua condotta violerebbe le “regole del gioco” processuali ponendosi al di fuori degli schemi di una difesa tipica. Al pari degli inquirenti, quindi, il difensore sarebbe tenuto a serbare il segreto “per non incrementare irregolarmente il vantaggio del proprio assistito – il che è lo stesso di aggravare la condizione delle altre parti processuali – con ciò rompendo il delicato equilibrio istituzionale che presiede all'amministrazione della giustizia” (GELARDI, L'oggetto giuridico del favoreggiamento come dover essere del processo, Padova, 1993, p. 122).

L'argomento implica, nondimeno, una discutibile concezione del mandato difensivo, il cui obiettivo primario viene identificato nella tutela della regolarità del processo anziché nell'interesse del cliente, trasformando l'avvocato in una sorta di garante della funzione repressiva del processo. Peraltro, il riconoscimento di una responsabilità del difensore nei confronti delle altre parti processuali non può spingersi fino al punto di trascurare quei doveri di lealtà e correttezza che, ai sensi dell'art. 380 c.p. e delle disposizioni del codice deontologico, il professionista è tenuto a osservare nei confronti del suo assistito (cfr. RINALDINI, Il favoreggiamento personale, Padova, 2005, p. 290). Del resto, la norma incriminatrice del favoreggiamento trova un limite evidente nell'obbligo penalmente sanzionato del difensore di adempiere fedelmente ai suoi doveri professionali, senza recare danno alla parte assistita(ROSSI VANNINI, Favoreggiamento e difesa: quali rapporti? in Cass. pen., 1987, p. 306).

Senz'altro preferibile si rivela, dunque, il punto di vista di quanti ritengono che il reato non si configuri quando il difensore abbia appreso la notizia nel legittimo esercizio del mandato o comunque in modo occasionale e fortuito (PULITANÒ, Il favoreggiamento personale fra diritto e processo penale, Milano, 1984, p. 230; PIFFER, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, in Trattato di diritto penale, parte speciale, vol. IV, I, diretto da Marinucci, Dolcini, Padova, 2005, p. 732).

Proprio quest'indirizzo ricostruttivo, che vede nel libero flusso di informazioni tra difensore e difeso il presupposto di una consapevole elaborazione della linea difensiva, ha finito per imporsi nella giurisprudenza di legittimità, che con la già citata sentenza Fasano (Cass., sez. VI, 29 marzo 2000, cit.) ha definitivamente abbandonato la discutibile idea che il difensore dovesse “concorrere a creare le condizioni per l'emanazione di una sentenza giusta” (Cass. Sez. I, 11 novembre 1980, Auricchio in Cass. pen., 1982, p. 940, con nota di CORSO, Sulla configurabilità di un obbligo del difensore di “concorrere a creare una sentenza giusta”, nonché in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, p. 1592, con nota di MOSCARINI, Difesa tecnica e favoreggiamento), restituendo alla difesa la sua specificità di “polo liberale della rappresentanza degli interessi di parte” (PULITANÒ, Il favoreggiamento, cit., p. 224).

Guida all'approfondimento

CORBO, Favoreggiamento personale e reale;

CORSO, Sulla configurabilità di un obbligo del difensore di “concorrere a creare una sentenza giusta”, in Cass. pen., 1982, 940;

FIANDACA - MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, vol. I, 2012;

GELARDI, L'oggetto giuridico del favoreggiamento come dover essere del processo, Padova, 1993;

MOSCARINI, Difesa tecnica e favoreggiamento in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, p. 1592

PIFFER, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, in Trattato di diritto penale, parte speciale, vol. IV, I, diretto da Marinucci, Dolcini, Padova, 2005;

PULITANÒ, Il favoreggiamento personale fra diritto e processo penale, Milano, 1984;

RINALDINI, Il favoreggiamento personale, Padova, 2005;

ROSSI VANNINI, Favoreggiamento e difesa: quali rapporti? in Cass. pen., 1987, 306.

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