Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 45 - (Operatori economici) 1(Operatori economici)1 [1. Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici gli operatori economici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera p) nonché gli operatori economici stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi. Gli operatori economici, i raggruppamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee, che in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione oggetto della procedura di affidamento, possono partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici anche nel caso in cui essi avrebbero dovuto configurarsi come persone fisiche o persone giuridiche, ai sensi del presente codice. 2. Rientrano nella definizione di operatori economici i seguenti soggetti: a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, e le società, anche cooperative; b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, e del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443; c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. I consorzi stabili sono formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa. d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima della presentazione dell'offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l'offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all'articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile; f) le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33; g) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240; 3. Le stazioni appaltanti possono imporre ai raggruppamenti di operatori economici di assumere una forma giuridica specifica dopo l'aggiudicazione del contratto, nel caso in cui tale trasformazione sia necessaria per la buona esecuzione del contratto. 4. Le stazioni appaltanti possono imporre alle persone giuridiche di indicare, nell'offerta o nella domanda di partecipazione a procedure di aggiudicazione di appalti di servizi e di lavori, nonché di forniture che comportano anche servizi o lavori di posa in opera e di installazione e di concessioni, il nome e le qualifiche professionali delle persone fisiche incaricate di fornire la prestazione relativa allo specifico contratto. 5. Le stazioni appaltanti possono richiedere ai raggruppamenti di operatori economici condizioni per l'esecuzione di un appalto o di una concessione diverse da quelle imposte ai singoli partecipanti, purché siano proporzionate e giustificate da ragioni oggettive.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. InquadramentoL'art. 45 tratta degli operatori economici ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Deve essere letto, tenendo in considerazione anche l'art. 46, dedicato specificamente agli operatori economici affidatari dei servizi di architettura e ingegneria. La disposizione in esame si pone in continuità con il precedente art. 34 del d.lgs. n. 163/2006 (rubricato «Soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici»). Tuttavia, rispetto alla disciplina previgente introduce alcune novità e modifiche, non tanto con riguardo all'elenco dei soggetti ammessi a partecipare alle procedure, quanto in relazione all'espresso riconoscimento in capo alle stazioni appaltanti di una più ampia discrezionalità in ordine alle condizioni da imporre agli operatori economici in fase di partecipazione e di esecuzione contrattuale. Preme sin da subito rilevare che l'art. 45, benché collocato nella Parte II del Codice, dedicata ai «Contratti di appalto per lavori servizi e forniture» nei settori ordinari, e, in specie, nella Sezione I del Capo I del Titolo III, relativa alle disposizioni comuni afferenti le modalità comuni alle procedure di affidamento, è una norma a valenza generale, in virtù degli espressi richiami contenuti agli artt. 114 e 164 del Codice. L'art. 114, che apre il capo relativo agli appalti nei settori speciali, richiama, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. da 1 a 58, compreso l'art. 45 in esame; mentre l'art. 164, che apre la Parte III del Codice sui contratti di concessione, rinvia, fermi restando i profili di compatibilità, alle disposizioni contenute nella Parte II relativamente alle modalità e alle procedure di affidamento, tra cui anche l'art. 45. Quest'ultimo recepisce le direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE mutuandone prima di tutto la definizione di operatore economico (art. 5 par. 1 n. 2) della Direttiva n. 2014/23/UE, art. 2 par. 1 n. 10) della Direttiva n. 2014/24/UE, art. 2 par. 1 n. 6) della Direttiva n. 2014/25/UE). La nozione di operatore economicoL'art. 45 si apre rinviando alla definizione di operatore economico di cui all'art. 3 comma 1 lett. p) del Codice, che, sulla scia della normativa europea, contiene un'elencazione di soggetti ben più esaustiva di quella di cui al previgente art. 3, comma 22 del d.lgs. n. 163/2006. Infatti, mentre quest'ultimo faceva un generico riferimento a imprenditori, fornitori e prestatori di servizi (o raggruppamenti o consorzi costituiti dagli stessi), il nuovo art. 3 comma 1 lett. p) include nella nozione di operatore economico qualsiasi persona fisica o giuridica, ente pubblico, raggruppamento di tali persone o enti, comprese le associazioni temporanee di imprese, ed ente senza personalità giuridica, compresi i gruppi europei di interesse economico (GEIE), che offra sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi. È interessante rilevare che, rispetto alla disciplina previgente, la nuova nozione di operatore economico include espressamente anche gli enti pubblici. La tematica è stata oggetto di diverse pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea e del Consiglio di Stato, tutte approdate alle medesime conclusioni. In particolare, una visione funzionale del diritto europeo conduce, in positivo, ad imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza ove debbano affidare attività economicamente contendibili, e, in negativo, ad escluderne l'operatività quando non sussistano rischi di distorsioni del mercato interno. In altre parole: ogniqualvolta un'amministrazione si ponga rispetto ad un'altra come «operatore economico», offrendo una prestazione verso un corrispettivo anche non implicante il riconoscimento di un utile economico, ma il mero rimborso dei costi, dovranno essere applicate le norme di dritto europeo e nazionale in tema di affidamento di contratti pubblici. (Si veda in tal senso: Corte Giust., Grande Sezione, n. 159/2012; Corte Giust., VI, n. 305/2009; Cons. St., V, n. 3130/2014; Cons. St., V, n. 3849/2013), La differenza sostanziale rispetto alla disciplina previgente è che la nozione di operatore economico contenuta nel Codice del 2016 privilegia il dato sostanziale, prescindendo dalla veste formale, dalla natura pubblica o privata o dall'organizzazione interna dell'offerente per focalizzarsi, piuttosto, sulla sua capacità di offrire sul mercato la realizzazione di lavori, la prestazione di servizi o la fornitura di prodotti. Quanto sopra è coerente sia con quanto enunciato dalle direttive del 2014, che con i principi contenuti nella legge delega n. 11/2016. Infatti, le direttive 2014 in materia di appalti e concessioni (art. 19 della Direttiva n. 2014/24/UE; art. 37 della Direttiva n. 2014/25/UE e l'art. 26 della Direttiva n. 2014/23/UE che hanno abrogato gli artt. 1, par. 8, Direttiva n. 2004/18/CE e. 1, par. 7, direttiva n. 2004/17/CE) e l'elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell'UE forniscono una definizione ampia e fluida di operatore economico. In particolare, secondo le direttive europee la nozione di operatore economico dovrebbe essere intesa in senso ampio, a prescindere dalla sua natura di persona fisica o giuridica ed indipendentemente dal fatto che secondo la normativa dello Stato membro nel quale è aggiudicato il contratto l'operatore avrebbe dovuto essere una persona fisica o giuridica (si fa riferimento al considerando 49 della Direttiva n. 2014/23/UE, 14 della direttiva n. 2014/24/UE e 17 della Direttiva n. 2014/25/UE). Sulla base di quanto sopra, viene recepito un orientamento consolidato da diverso tempo anche nella giurisprudenza europea che aveva chiarito come nel contesto di un mercato interno in cui operano dinamiche concorrenziali effettive, è nell'interesse del diritto europeo garantire la partecipazione più ampia possibile di concorrenti alle procedure (Corte Giust., IV, n. 538/2007). La Corte di Giustizia, in particolare, aveva espresso un evidente favor verso la libertà delle forme desumibile dall'art. 4, par. 1, Direttiva n. 2004/18/CE, in cui era sancito che i candidati o gli offerenti, autorizzati dalla legge del proprio Stato a fornire la prestazione oggetto della gara «non possono essere respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro nel quale è aggiudicato l'appalto, avrebbero dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche» (Corte Giust.,18 dicembre 2007, C-357/06). Inoltre, sebbene le fonti del diritto europeo non avessero fornito una precisa definizione di impresa, la Corte di Giustizia ne ha ripetutamente tracciato una nozione a maglie larghe, includendovi sia la figura dell'imprenditore che di fornitore e prestatore di servizi e riconducendovi qualsiasi ente che, a prescindere dallo status giuridico, dalle sue modalità di finanziamento e dall'assenza del perseguimento di uno scopo di lucro, eserciti un'attività economica offrendo beni o servizi sul mercato contro retribuzione e con assunzione dei rischi finanziari ad essa connessi (Corte Giust., 26 marzo 2009, C-113/07; Corte Giust.,1° luglio 2008, C-49/07). La definizione di matrice europea risulta quindi dinamica e funzionale, consentendo di attribuire ad un soggetto la veste imprenditoriale anche relativamente ad una sola parte della propria attività. Emerge quindi una definizione di operatore economico consolidata nella giurisprudenza comunitaria e confermata dalle direttive del 2014, in forza della quale, in assenza di norme generali o speciali di divieto, deve essere ammessa la partecipazione alle gare d'appalto di ogni operatore che, indipendentemente dalla sua natura di soggetto di diritto privato o di diritto pubblico e a prescindere dal fatto che sia attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale o benefici di sovvenzioni pubbliche, si reputi idoneo a garantire, in modo diretto, oppure facendo ricorso al subappalto, l'esecuzione dell'affidamento sulla base dei requisiti indicati nel bando di gara (ex plurimis Corte Giust., 18 dicembre 2014, C-568/13). Diversamente, un'interpretazione restrittiva della nozione di operatore economico contrasterebbe tanto con gli obiettivi europei di libera circolazione dei beni e dei servizi e di creazione di un mercato degli appalti pubblici, quanto con gli interessi perseguiti dalle singole amministrazioni aggiudicatrici. Queste ultime, infatti, si vedrebbero private della possibilità di scegliere l'offerta, potenzialmente più vantaggiosa e quindi maggiormente rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata. Coerentemente a quanto già evidenziato dalle direttive e nelle sentenze della giurisprudenza comunitaria, la legge delega n. 11/2016, all'art. 1 comma 1 lett. r), ha rilevato la necessità, nel definire i requisiti di capacità economico-finanziaria, tecnico-organizzativa e professionale da esigere in capo agli operatori economici, di tenere presente «l'interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione» favorendo «l'accesso da parte delle micro, piccole e medie imprese». Con particolare riferimento all'art. 45, comma 1, si evidenzia che, specularmente a quanto previsto all'art. 3, comma 1, lett. p) del Codice, tale norma distingue tra raggruppamenti di operatori economici e associazioni temporanee: le seconde sembrerebbero configurarsi quali «sottocategoria dei primi». Si tratta di una distinzione mutuata dalle direttive (artt. 26 della Direttiva 2014/23/UE, 19 della Direttiva 2014/24/UE e 37 della Direttiva 2014/25/UE), che, probabilmente, tiene conto di forme associative alternative praticate in altri Stati membri, ma che pare avere scarsa pregnanza nel nostro ordinamento. Al comma 2 dell'art. 45 sono elencate sette categorie di soggetti rientranti nella definizione di operatore economico, anche se si tratta di una elencazione esemplificativa e non tassativa come specificato anche dall'Autorità Nazionale Anticorruzione, nel parere 11 marzo 2010, n. 48 e determinazione 21 ottobre 2010, n. 7. Si specifica, infatti, che, secondo giurisprudenza ormai consolidata è ammessa la partecipazione alle procedure di soggetti non espressamente richiamati nell'elenco, come ad esempio le fondazioni, associazioni di volontariato e onlus (Cons. St., VI, n. 3897/2009, Cons. St., III, n. 116/2016: T.A.R. Campania, Napoli, V, n. 1184/2015). Rispetto a quanto contenuto al comma 1 del previgente art. 34 d.lgs. n. 163/2006, il nuovo elenco si discosta parzialmente. Si rileva, in particolare, che non è più presente la lett. «f-bis)» del previgente art. 34, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, relativa agli operatori economici stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi. Sul punto, si specifica che in senso più ampio l'art. 45, comma 1, riconosce in capo agli operatori economici di altri Stati membri costituiti in conformità alle disposizioni vigenti nei rispettivi Paesi la possibilità di accedere alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, in conformità ai principi di parità di trattamento, non discriminazione, libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. È stata introdotta all'art. 45, comma 2, lett. c), la definizione di «consorzi stabili» («formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa»), prima contenuta in un articolo ad hoc (l'art. 36 del d.lgs. n. 163/2006). Inoltre, rispetto al previgente art. 34 d.lgs. n. 163/2006, sono stati inseriti ex novo i commi 3, 4 e 5, che demandano alla discrezionalità della stazione appaltante la scelta di imporre: i) ai raggruppamenti di operatori economici di assumere una forma giuridica specifica dopo l'aggiudicazione, purché tale trasformazione sia necessaria per la corretta esecuzione del contratto (comma 3); ii) alle persone giuridiche di indicare, nell'offerta o nella domanda di partecipazione, a procedure di aggiudicazione di appalti di servizi e di lavori, oltre che di forniture che implichino anche lo svolgimento di servizi o lavori di posa in opera e di installazione e di concessioni, il nome e le qualifiche professionali delle persone incaricate di fornire la relativa prestazione (comma 4); iii) ai raggruppamenti di operatori economici, di osservare condizioni per l'esecuzione dell'appalto o della concessione diverse da quelle imposte ai singoli partecipanti, purché proporzionate e giustificate da ragioni oggettive (comma 5). Le tre disposizioni richiamate riproducono fedelmente analoghe previsioni contenute nelle direttive comunitarie del 2014 e, in particolare: il considerando n. 9 e l'art. 26 della Direttiva n. 2014/23/UE, il considerando n. 15 e l'art. 19 della Direttiva n. 2014/24/UE, il considerando n. 18 e l'art. 37 della Direttiva n. 2014/25/UE). Si rileva a margine che già le direttive n. 2004/17/CE e n. 2004/18/CE contemplavano la facoltà per le stazioni appaltanti di imporre ai raggruppamenti temporanei di assumere peculiari forme giuridiche a seguito dell'aggiudicazione e di richiedere ai partecipanti di indicare in offerta nomi e qualifiche professionali delle persone fisiche incaricate di svolgere le prestazioni affidate. Le principali categorie di operatori economiciCome si è anticipato, l'elencazione delle categorie di operatori economici ammessi a partecipare alle procedure di affidamento di cui all'art. 45 del Codice, salvo marginali modifiche, si pone in linea di continuità con il previgente art. 34 d.lgs. n. 163/2006. Si evidenzia che, mentre l'art. 34 del Codice del 2006 disponeva che sono «ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati», l'art. 45 del nuovo Codice si limita a specificare che «rientrano» tra gli operatori economici. Di seguito si riportano le categorie di operatori indicati dalla norma. L'art. 45, anzitutto, alla lett. a) contempla gli imprenditori individuali, anche artigiani e delle società, anche cooperative. In primo luogo si osserva che la figura dell'imprenditore individuale ricomprende sia il paradigma generale fornito dall'art. 2082 c.c., che l'imprenditore agricolo nella definizione posta dall'art. 2135 c.c.. Nella lett. a) sono comprese le società commerciali (iscritte nel registro delle imprese e ad oggetto l'esercizio delle attività elencate dall'art. 2195 c.c.) che, stante la previsione di cui all'art. 2249 c.c., devono essere costituite in forma di società in nome collettivo, in accomandita semplice, per azioni o in accomandita per azioni, a responsabilità limitata (Tranquilli). In riferimento alla partecipazione ad una gara di una s.r.l. semplificata, sotto la vigenza del codice del 2006, la giurisprudenza aveva evidenziato come non potesse essere disposta l'esclusione di una società commerciale per la sola circostanza che non sia «attiva» sul mercato, in quanto è sufficiente che la stessa sia regolarmente iscritta al registro delle imprese ed eserciti l'attività oggetto della gara. (T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 2146/2015). Alla lett. b) la norma prevede dei consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro ex l. n. 422/1909 e tra imprese artigiane ex l. n. 443/1985; Si evidenzia che, stante il rinvio alla legge sull'artigianato (l. 8 agosto 1985 n. 443), devono ricomprendersi in tale categoria sia i consorzi costituiti da sole imprese artigiane sia i consorzi cd. «misti» (T.A.R. Veneto, Venezia, I, n. 746/2014). Inoltre, sempre con riferimento ai consorzi di imprese artigiane, la giurisprudenza ha affermato che l'equiparazione fra consorzi stabili e consorzi di imprese artigiane, ai fini del cumulo dei requisiti, può essere confermata anche in vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici, nonostante l'art. 47, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 faccia esclusivo riferimento ai consorzi stabili di cui alla lett. c) dell'art. 45, allorché i consorzi fra imprese artigiane sono invece menzionati nella lett. b) del medesimo art. 45 (T.A.R. Lazio, Roma, III-quater, n. 9155/2020). La disposizione in commento alla lett. c) contempla i consorzi stabili, costituiti, anche in forma di società consortili ex art. 2615-ter c.c., tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, cooperative di produzione e lavoro. Con riferimento ai consorzi stabili, si è già evidenziato come il Codice del 2016 non contenga un articolo espressamente dedicato, includendo la relativa disciplina nell'ambito della definizione di operatore economico. Alla lett. d) la norma include i raggruppamenti temporanei di concorrenti costituiti dai soggetti di cui alle precedenti lett. a), b) e c) (disciplinati specificamente al successivo art. 48 del Codice). Alla lett. e) i consorzi ordinari di concorrenti ex art. 2602 c.c., costituiti dai soggetti di cui alle precedenti lett. a), b) e c) (anche in forma di società consortili ex art. 2615-ter c.c.). Si precisa che i consorzi ordinari sono ammessi a partecipare alle gare pubbliche negli stessi modi e forme consentiti ad un raggruppamento temporaneo di imprese. Da questi, tuttavia, si differenziano per la circostanza di costituire un'organizzazione comune tra i partecipanti. La lett. f) prevede le aggregazioni tra le imprese aderenti a contratti di rete ex art. 3 comma 4-ter d.l. n. 5/2009, conv. in l. n. 33/2009; Sul contratto di rete si è di recente espressa l'Autorità Nazionale Anticorruzione evidenziando che «la forma di partecipazione alla gara, dichiarata in sede di domanda, vincola il concorrente anche in fase esecutiva. Pertanto, laddove un operatore economico abbia dichiarato di partecipare alla gara in forma individuale non è invocabile a posteriori l'art. 45, comma 2, lett. f) del Codice che consente la partecipazione ad aggregazioni di imprese aderenti ad un contratto di rete, ma la società aggiudicataria è tenuta ad eseguire l'appalto singolarmente» (Delibera ANAC n. 29 del 20 gennaio 2021). Infine, la lett. g) contempla dei soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (c.d. GEIE) ex d.lgs. n. 240/1991. Con riferimento a tale categoria si osserva che la disciplina generale è stabilita dal Regolamento CE 25 luglio 1987, n. 2137, mentre ulteriori disposizioni sono dettate a livello nazionale dal d.lgs. 23 luglio 1991 n. 240. A differenza delle reti di imprese il GEIE è sempre dotato di personalità giuridica. Merita inoltre evidenziare come parti del contratto possano essere più soggetti, persone fisiche e giuridiche che svolgano un'attività economica, di cui almeno due siano stabilite in diversi Stati membri dell'Unione. Non è dunque necessario che i membri del GEIE siano imprenditori, potendo tale aggregazione essere costituita anche da liberi professionisti. Inoltre, l'art. 3 del Regolamento CE 25 luglio 1987, n. 2137 sancisce che il GEIE non «ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso», ma persegue la finalità di agevolare l'attività economica dei suoi membri» (Tranquilli). Gli enti pubbliciTra le questioni maggiormente problematiche, vi è quella della partecipazione alle gare degli enti pubblici. Come noto, già le direttive del 2004 consentivano espressamente la partecipazione alle gare degli enti pubblici e in particolare, le direttive del 2004, sancivano la possibilità per gli Stati membri di autorizzare o meno talune categorie di operatori a fornire certi tipi di prestazioni sul mercato, contro corrispettivo, anche a titolo occasionale, specificando che, una volta intervenuta detta autorizzazione, non può essere vietato a tali soggetti di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto l'esercizio dell'attività che gli è consentito svolgere. La suddetta possibilità è stata confermata dalle nuove direttive appalti e concessioni (considerando n. 14, artt. 2, par. 1 n. 10, art. 19, Direttiva n. 2014/24/UE; considerando n. 17 e artt. 2, par. 1, n. 6 e 37 della Direttiva 2014/25/UE, l'art. 26 della direttiva n. 2014/23/UE), che parlano onnicomprensivamente di «persona e/o ente in grado di offrire sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi» richiamando, a titolo esemplificativo, le «università pubbliche o private» e «altre forme di enti». Nonostante il dato normativo, la legittimazione a partecipare alle gare degli enti pubblici è stata, negli anni, oggetto di una vexata questio correlata principalmente alle possibili ricadute distorsive sulla concorrenza legate alla circostanza che tali soggetti nell'esercizio dell'attività imprenditoriale: i) beneficiano di finanziamenti pubblici; ii) non assumono il cd. «rischio di impresa». La giurisprudenza amministrativa ha quindi evidenziato che i suddetti elementi rendono l'offerta presentata dall'ente generalmente più competitiva rispetto a quella degli operatori privati e, dunque, potenzialmente idonea a falsare la concorrenza. Tuttavia, nel diritto dei Trattati dell'UE e nelle richiamate direttive sembra emergere una tendenziale neutralità rispetto alla natura pubblica o privata degli attori del mercato (si pensi all'art. 345 TFUE secondo cui «il trattato non incide sul regime di proprietà all'interno dei paesi dell'Unione Europea» sancendo, quindi, che non deve esistere nessuna discriminazione fra le imprese pubbliche e quelle private nel quadro dell'applicazione delle regole di concorrenza (Tranquilli). Del resto, anche nell'affrontare la questione della partecipazione alle gare delle società con capitale interamente pubblico, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto che per il diritto europeo la proprietà pubblica dell'impresa costituisce, di per sé, un fattore «neutro» rispetto al dispiegarsi della concorrenza (art. 345 TFUE), purché «da ciò non derivino, sotto forma di finanziamenti, affidamenti diretti etc., aiuti idonei di alterare la par condicio fra essa e gli altri operatori». Le ipotesi in cui l'ordinamento, a tutela della concorrenza, impone a determinate imprese a capitale pubblico divieti di partecipazione alle gare devono, perciò, ritenersi tassative e fra queste «non rientra il caso in cui il capitale della società partecipante alla gara sia di proprietà della stazione appaltante» (T.A.R. Lombardia, Milano, III, n. 458/2012). Ad ogni modo preme precisare che, nell'ambito della distinzione tra enti pubblici economici e non, in relazione ai primi non si è mai realmente dubitato della loro legittimazione a partecipare alle gare, stante l'applicabilità ad essi del regime dell'impresa (Cons. Stato, III, n. 1842/2015). Il dibattito si è quindi concentrato sugli enti pubblici non economici, i quali sono caratterizzati dall'assenza di un'organizzazione imprenditoriale e dalla mancanza dell'esercizio esclusivo o prevalente di attività economica. Inizialmente, fu rilevato che, non essendo questi enti deputati alla «produzione di ricchezza» – finalità che caratterizza la nozione di imprenditore di cui all'art. 2082 c.c. – avrebbero dovuto ritenersi esclusi dal novero degli «operatori economici» ammessi alla presentazione delle offerte. Infatti, la locuzione «operatore economico» recata dalla normativa eurounitaria era stata talvolta interpretata dalla Corte di giustizia europea nel senso di «operatore economico attivo sul mercato», il che aveva indotto a limitare la partecipazione al soggetto che svolga professionalmente un'attività imprenditoriale. Infatti, secondo Cons. St., III, n. 1842/2015 «un ente pubblico è di natura economica se produce, per legge e per statuto (e quindi in modo non fattuale e non contingente) beni o servizi con criteri di economicità, ossia con equivalenza, almeno tendenziale, tra costi e ricavi, analogamente ad un comune imprenditore. Se tuttavia l'ente può normativamente perseguire molte finalità con finanziamenti dello Stato e di altri enti pubblici e, cioè, diversi dai corrispettivi ottenuti, indipendentemente dall'utilizzazione concreta, la gestione, comunque, non è economica, non avendo effetti automatici». A ben vedere, il principale fattore ostativo all'ammissione alle gare riguardava il finanziamento degli enti pubblici non economici tramite la spesa pubblica, che veniva ritenuto distorsivo della concorrenza. In particolare, si riteneva che tale circostanza garantisse una posizione di vantaggio all'ente pubblico rispetto agli altri operatori che, a parità di servizi offerti, affrontano rischi e costi dell'attività di impresa con il loro patrimonio, così alterando la par condicio tra i partecipanti. A ciò si aggiungeva l'argomento formale del carattere tassativo dell'elenco di cui al previgente art. 34 del d.lgs. n. 163/2006 (Sclafani). Per converso, appariva altrettanto restrittivo della concorrenza escludere dalle gare soggetti oggettivamente in grado di fornire la prestazione prevista dal bando, solo perché non organizzati in forma imprenditoriale. La necessità di individuare un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze ha indotto il Consiglio di Stato ad investire della questione la Corte di Giustizia UE con un rinvio. In quella sede la Corte di Giustizia ha confermato il principio della irrilevanza della forma giuridica rivestita dall'operatore economico osservando che anche i soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, che non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e che non assicurano una presenza regolare sul mercato possono partecipare ad un appalto pubblico. Pertanto, le università, gli istituti di ricerca e i relativi raggruppamenti anche con altre amministrazioni pubbliche, se idonei in base al bando di gara a garantire l'esecuzione dell'appalto, possono presentare offerte. La Corte di Giustizia ha, infatti, chiarito che appartiene alla discrezionalità di ciascuno Stato membro decidere se autorizzare o meno un ente pubblico ad operare sul mercato (Corte Giust., IV, sent. 23 dicembre 2009, CONISMA, causa C-305/08). In particolare non può ritenersi operante un divieto per gli enti pubblici di partecipare alle procedure ad evidenza pubblica in quanto la nozione eurounitaria di operatore economico prescinde da requisiti soggettivi (come la natura privatistica ed fine di lucro) ed è determinata essenzialmente dal requisito oggettivo dell'idoneità del soggetto ad offrire beni e servizi sul mercato, nell'ambito di un'attività di impresa che può anche non essere l'attività principale dell'ente, purché però sia compatibile con il perseguimento dei fini istituzionali anche il finanziamento dell'ente attraverso la spesa pubblica non può essere di ostacolo alla partecipazione perché non incide sull'oggettiva idoneità dell'operatore ad eseguire la prestazione indicata nel bando l'unica accortezza richiesta dal diritto europeo è di verificare che l'ente in questione non sia beneficiario di aiuti di Stato non compatibili con il Trattato, perché in tal caso, secondo la giurisprudenza comunitaria, la sua esclusione dalla gara sarebbe doverosa. Sulla nozione di operatore economico si è soffermato il Consiglio di Stato anche con una recente sentenza specifica sull'aggiudicazione dell'appalto a favore di un RTI di cui faceva parte un Dipartimento universitario. Il Consiglio di Stato ha ricordato, in primo luogo, che la nozione di operatore economico di cui all'art. 3, comma 1, lett. p), del codice dei contratti pubblici, è in senso ampio «tale da ricomprendervi – nei limiti dell'affidamento dei terzi e della responsabilità patrimoniale, che postula la personalità giuridica – qualunque aggregazione riconducibile ad unità economica, sia esso persona o ente, indipendentemente dalla sua forma giuridica.» Pertanto, eventuali limitazioni preclusive delle procedure di gara che si basino sulla forma giuridica e sull'organizzazione interna degli operatori economici risulterebbero in contrasto con il principio del favor partecipationis, il quale mira, come è noto, ad assicurare la partecipazione più ampia di offerenti ad una gara d'appalto. Nel caso concreto ha dunque ritenuto necessario e sufficiente, indipendentemente dall'accertamento del carattere della personalità giuridica, «un adeguato grado di autonomia organizzativa, contabile e dispositiva, tali da supportare – nella concreta prospettiva del contratto di cui si verte – un'autonoma offerta di prestazioni». Alla luce di ciò, i giudici amministrativi hanno concluso che «i Dipartimenti rappresentano articolazioni interne dell'Università all'occorrenza abilitate [...] ad offrire per conto della rispettiva Università degli studi prestazioni sul mercato concorrenziale, senza l'esplicato e formale coinvolgimento dell'Ateneo di appartenenza nella procedura di formazione del contratto (Cons. St., V, n. 7912/2020). Gli enti privati senza fini di lucroIn materia di fondazioni, la giurisprudenza è stata oscillante. In un primo momento: è stato ritenuto che l'assenza dello scopo lucrativo, escludendo l'attività di impresa, ponesse le fondazioni al di fuori del perimetro della norma in esame. Successivamente, è stata valorizzata la capacità giuridica delle fondazioni di esercitare anche le attività di impresa che siano funzionali al perseguimento degli scopi statutari (Cons. St., VI, n. 3897/2009). In tal senso, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa richiesti dal bando è stato ritenuto requisito sufficiente per ammettere le fondazioni alle gare, in considerazione dell'interesse eurounitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, sia nell'interesse della stazione appaltante alla selezione della migliore prestazione, che non consentono di escludere delle offerte sul mero presupposto della mancanza di un fine di lucro da parte del soggetto offerente (Cons. St., III, n. 5882/2012). Anche la legittimazione delle fondazioni a partecipare alle gare trova il suo fondamento nel principio di matrice europea di irrilevanza dei requisiti soggettivi. Infatti, può prendere parte alla gara – a prescindere dal termine di volta in volta utilizzato dalla lex specialis – qualsiasi organismo che, pur non operando per fini di lucro, sia presente sul mercato con l'offerta, anche occasionale, della prestazione indicata nel bando. Vale la regola già indicata per gli enti pubblici secondo la quale spetta alla stazione appaltante verificare la compatibilità della prestazione offerta con le finalità statutarie dell'ente (Cons. St., VI, n. 3897/2009). Analoghe considerazioni valgono con riferimento alle associazioni di volontariato la cui particolarità consiste nello scopo non lucrativo che viene perseguito in assenza di un rapporto di lavoro con i propri associati, i quali prestano la loro opera in qualità di volontari e quindi senza percepire alcun compenso. Tale peculiarità che, astrattamente, potrebbe essere ritenuta un fattore distorsivo della concorrenza nella competizione con altri operatori che, invece, sopportano il costo della manodopera, secondo la giurisprudenza non può essere di ostacolo alla loro partecipazione alla gare in quanto risulta decisivo il requisito oggettivo dell'idoneità ad eseguire la prestazione contemplata dal bando, essendo sufficiente che l'offerta economica sia ancorata al puntuale computo degli oneri derivanti dalla prestazione, indicando livelli di profitto pari a zero (Cons. St., III, n. 116/2016). In altri termini, se ai fini dell'ammissione alle gare, non è rilevante l'assenza del fine di lucro, non lo è nemmeno il carattere volontario delle prestazioni svolte all'interno dell'associazione. L'illegittimità dell'esclusione di soggetti non aventi natura imprenditoriale è stata ribadita in diverse pronunce della giurisprudenza di prime cure. In particolare il T.A.R. Campania, richiamando pronunce del Consiglio di Stato ha ribadito l'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente non avente natura imprenditoriale (nella specie era stato escluso un consorzio di imprese in quanto una delle consorziate – non avendo natura di impresa – non era iscritta alla CCIAA), confermando che l'assenza di fini lucrativi nell'attività del soggetto non può essere considerata come causa di esclusione dalla procedura, tenuto conto che una simile impostazione avrebbe violato apertamente i principi di trasparenza e massima partecipazione nelle gare di appalto (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 6519/2018). Le società semplici e le società pubblicheIn passato il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione interpretativa sulla compatibilità del diritto italiano, che esclude le società semplici, con i principi eurounitari di parità di trattamento e trasparenza. La Corte dopo aver ribadito che uno degli obiettivi della disciplina europea in materia di appalti pubblici è l'apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile la quale giova non solo agli operatori ma anche all'amministrazione – ha stabilito che il diritto nazionale non può vietare ad un imprenditore di partecipare a gare d'appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica, dal momento che la discrezionalità riconosciuta alla Stati membri nell'autorizzare l'attività imprenditoriale è funzionale al perseguimento dei principi di parità di trattamento e trasparenza. Quindi, la normativa italiana che esclude a priori le società semplici dalle gare pubbliche non è ragionevole, in quanto non può ritenersi che l'assenza di un capitale minimo, la responsabilità limitata ai soci che hanno agito in nome e per conto della società e l'esclusione dalle procedure fallimentari renda la partecipazione delle società semplici alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici idonea a ledere i principi di trasparenza e di non discriminazione. Su questa scia l'art. 45 del Codice, recependo le indicazioni della giurisprudenza sovranazionale, ha inserito un generico riferimento alle «società», ammettendo così alle gare tutti i soggetti con forma giuridica societaria, anche quelle che non svolgono attività commerciale. Una posizione particolare è poi occupata dalle c.d. società pubbliche, ossia le società a partecipazione pubblica. Come noto, la veste societaria impone l'applicazione del regime privatistico, salvi i casi espressamente previsti dalla legge. La circostanza, quindi, che al capitale sociale partecipi lo Stato non preclude l'ammissione alle procedure di aggiudicazione, in quanto non incide sull'autonomia negoziale del soggetto concorrente. In questo senso, si sono espresse sia la giurisprudenza nazionale che quella europea affermando che il socio pubblico non è in grado di alterare le dinamiche concorrenziali, in quanto le società partecipate agiscono secondo le modalità e gli strumenti del diritto privato. Pertanto, se tali società operano in condizione di parità rispetto alle altre imprese, la violazione della par condicio 51 si realizzerebbe escludendole e non ammettendole (Cons. St., VI, n. 3499/2008; Id., V, n. 6325/2004; CGARS, n. 692/2002; Corte Giust., I, 11 gennaio 2005, in C-26/03.). Quindi, il fatto che un concorrente riceva sovvenzioni da amministrazioni pubbliche, o benefici della loro partecipazione al capitale sociale, non altera la concorrenza, purché sia rispettata la disciplina eurounitaria sugli aiuti di Stato. Infatti, le garanzie offerte dall'evidenza pubblica valgono ad escludere che la partecipazione al capitale sociale di un ente pubblico possa rappresentare un fattore distorsivo della concorrenza offrendo alla società partecipata un illegittimo vantaggio (Chieppa, Giovagnoli). Non possono partecipare alle procedure di aggiudicazione gli ordini professionali i quali, oltre a non rivestire forma societaria, non possono svolgere attività di impresa 54 ma tale esclusione non è discriminatoria perché si fonda sulla mancanza di capacità imprenditoriale di tali soggetti (Cons. St., V, n. 1344/2004). I consorzi e i consorzi stabiliPreme soffermarsi sulla disciplina in materia di consorzi. Si chiarisce, anzitutto, che il consorzio può essere con attività interna, solitamente costituito per regolamentare la concorrenza tra società, per esercitare il controllo qualitativo dei prodotti o per la creazione di marchi di qualità, in cui ogni impresa continua a svolgere autonomamente tutte le fasi della propria attività; il consorzio con attività esterna, costituito per avere rapporti con terzi, integrando fra loro le competenze dei soggetti consorziati mediante la gestione di una o più fasi imprenditoriali, quali la gestione di gare d'appalto, di particolari lavorazioni o di reti commerciali. Nell'ambito degli appalti pubblici operano solo i consorzi con attività esterna. Il consorzio esterno può essere costituito per svolgere un solo lavoro e/o una sola funzione, oppure svolgere più lavori e/o funzioni, nel medio e lungo periodo; inoltre può essere stabile o temporaneo. Ai consorzi ordinari, per quanto riguarda la qualificazione, si applica la stessa disciplina delle RTI. Tuttavia, i consorzi si distinguono da questi ultimi in quanto forniti di autonoma soggettività giuridica, oltre che per la rilevanza esterna dell'organizzazione consortile. Il consorzio, infatti, svolgendo una funzione di intermediazione tra le imprese consorziate ed i terzi è legittimato a stipulare contratti in nome proprio e con propria autonoma responsabilità, sebbene per conto delle consorziate. In realtà, più interessante e problematica è la disciplina relativa al consorzio stabile. Mentre il consorzio ordinario è di regola costituito per la partecipazione alla gara e lo svolgimento di un singolo appalto, il consorzio stabile è destinato a svolgere una serie di attività permanenti nel tempo. L'istituto del consorzio stabile, quale forma di partecipazione alle procedure di affidamento, è stato introdotto dall'art. 10, comma 1, lett. c) della l. n. 109/1994, poi riprodotto nell'art. 36 del d.lgs. n. 163/2006 ed è oggi contemplato, come anticipato, nell'art. 45, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016. La costante giurisprudenza amministrativa delinea il consorzio stabile come soggetto giuridico autonomo, costituito in forma collettiva e con causa mutualistica, che opera in base ad uno stabile rapporto organico con le imprese associate, in forza del quale può giovarsi, senza dover ricorrere all'avvalimento, degli stessi requisiti di idoneità tecnica e finanziaria delle consorziate stesse, secondo il criterio del «cumulo alla rinfusa» (Cfr., T.A.R. Campania, Salerno, n. 1709/2016. In senso conforme, T.A.R. Lazio,Roma, I-quater, n. 1324/2017, si veda anche il Comunicato del Presidente ANAC dell'8 giugno 2016). Tale criterio si sostanzia nella possibilità di scelta per il consorzio di provare il possesso dei requisiti o con attribuzioni proprie e dirette o attraverso quelle delle sue consorziate esecutrici e non esecutrici. Sul punto, giova precisare che, benché all'alba dell'entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), la nuova formulazione ambigua dell'art. 47 abbia ingenerato dubbi interpretativi in ordine all'applicabilità del principio del «cumulo alla rinfusa», l'Autorità nazionale Anticorruzione e la Giustizia amministrativa si sono orientati, prevalentemente, nell'ammettere l'applicabilità di tale principio in virtù della necessità di preferire, nel contrasto di disposizioni, l'applicazione che salvaguardia la massima partecipazione delle imprese alle gare. Ai fini dell'esistenza di un consorzio stabile è necessaria la sussistenza della «comune struttura di impresa» che, da un lato, è strettamente correlata alla concreta capacità dei consorzi stabili di assumere direttamente in proprio l'esecuzione delle prestazioni, dall'altro connota una nuova forma di cooperazione di imprese che, senza dar luogo ad un soggetto unitario, creano un'unica struttura imprenditoriale. Infatti, a differenza degli ordinari consorzi, che possono operare con la sola struttura aziendale delle imprese consorziate, il consorzio stabile deve dotarsi di un'autonoma struttura di impresa al fine di essere in grado di eseguire direttamente i lavori affidati senza doversi avvalere delle strutture aziendali delle imprese consorziate. In sostanza, il consorzio stabile è istituito come una nuova e più capace impresa, avente ad oggetto esclusivo la realizzazione di lavori pubblici con corrispondente ed effettiva struttura imprenditoriale. Il Codice degli appalti pubblici prevede per la costituzione dello stesso che vi siano almeno tre soci, con una comune struttura d'impresa ed un periodo temporale previsto di attività per almeno cinque anni. Nel consorzio stabile è operativo il principio della «porta aperta», per cui è sempre ordinariamente possibile entrare o uscire dalla compagnia consortile. Essi integrano una forma di associazionismo imprenditoriale di tipo «forte», in quanto la collaborazione tra i consorziati non è destinata ad esaurirsi nell'ambito della singola gara, come nel caso dei raggruppamenti temporanei d'imprese, né i consorzi stabili sono assimilabili ai consorzi ordinari, che sono meri strumenti di ripartizione di commesse pubbliche tra i partecipanti, senza creare un soggetto pienamente autonomo e distinto dalle consorziate (Abrate). Il consorzio stabile, infatti, è dotato di propria soggettività giuridica ed autonoma qualificazione; esso, cioè, è del tutto scisso, giuridicamente (in quanto possiede la personalità giuridica) ed economicamente (in quanto dotato di un fondo consortile autonomo) dalle singole consorziate che lo compongono, stipula in proprio il contratto ed è responsabile direttamente per la sua corretta esecuzione. Le disposizioni contenute ai commi 3, 4, 5 dell'art. 45Come si è anticipato, rispetto alla disciplina del 2006, all'art. 45 sono stati introdotti i commi 3, 4, 5. In particolare, il comma 3 legittima le stazioni appaltanti a richiedere ai raggruppamenti di operatori economici aggiudicatari di assumere una determinata forma giuridica dopo l'aggiudicazione del contratto, purché detta modificazione sia funzionale a garantire la buona esecuzione della commessa. La previsione recepisce una corrispondente disposizione di diritto europeo ed incide sulla libertà di organizzazione dei singoli partecipanti al raggruppamento, il sacrificio della quale è ammesso, una volta aggiudicato il contratto, solo in quanto funzionale alla corretta esecuzione contrattuale. Ciò non legittima, quindi, la stazione appaltante a subordinare l'accesso alla procedura di affidamento al possesso di una peculiare forma giuridica, ma solo ad esigere che l'operatore economico aggiudicatario assuma la veste giuridica ritenuta più idonea ad assicurare la miglior esecuzione del quid affidato. D'altro canto le direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE chiariscono che gli operatori economici «non possono essere obbligati dagli enti aggiudicatori ad avere una forma giuridica specifica ai fini della presentazione di un'offerta o di una domanda di partecipazione» (rispettivi artt. 26, 19 e 37): per cui una disposizione che avesse imposto limiti all'accesso, sarebbe stata non solo lesiva della concorrenza e della par condicio (a beneficio degli operatori individuali rispetto ai raggruppamenti), ma pure limitativa della libertà d'iniziativa economica ex art. 41 Cost.. La discrezionalità della stazione appaltante nel decidere se inserire o meno una clausola di questo tenore nella lex specialis incontra, quindi, un duplice limite. In primo luogo, non sarà comunque possibile introdurre restrizioni all'accesso alla procedura connesse alla forma giuridica dell'offerente. Sussiste, infatti, una sostanziale «indifferenza dell'ordinamento, alla veste giuridica a mezzo della quale gli operatori concorrono alle procedure di gara ed alle eventuali modifiche della veste assunta inizialmente, quanto meno fino alla presentazione delle offerte» (Cons. St., III, n. 1328/2013). In secondo luogo, ogni eventuale vincolo che venga imposto al raggruppamento aggiudicatario dovrà trovare la propria ragion d'essere – e il proprio limite – nella garanzia della buona esecuzione contrattuale. Le stesse direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE specificano che l'assunzione di una determinata forma giuridica possa essere richiesta solo «nella misura in cui ciò sia necessario, ad esempio nei casi in cui sia prevista la responsabilità in solido» (rispettivi Considerando (9), (15) e (18)). Dunque, è ipotizzabile che una richiesta del genere venga avanzata solo quando il mutamento di veste giuridica del raggruppamento aggiudicatario, chiamato, per esempio, a costituire una società, sia finalizzato a facilitare la gestione operativa dei rapporti con la stazione appaltante. Si specifica che il comma 4 dell'art. 45 legittima le stazioni appaltanti a richiedere agli operatori economici, persone giuridiche, di indicare nell'offerta o nella domanda di partecipazione a procedure per l'affidamento di appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture che prevedano anche servizi o lavori di posa in opera e di installazione, i nominativi e le qualifiche professionali del personale che sarà impiegato nell'esecuzione del contratto. Anche in questo caso il d.lgs. n. 163/2006 (Allegati IX A e XIII cit.) consentiva alla stazione appaltante di richiedere all'offerente già nel bando o nell'avviso di specificare «il nome e le qualifiche professionali del personale incaricato della prestazione del servizio». Detta indicazione può assumere valenza di requisito di capacità tecnica al fine della partecipazione o di elemento dell'offerta. Questa dicotomia è riflessa negli artt. 83 e 95 del Codice. Infatti, l'art. 83 stabilisce che «Le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità», anche in relazione alle «competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all'impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite» (comma 8). L'art. 95 esemplifica tra i criteri di scelta dell'offerta economicamente più vantaggiosa basata sul miglior rapporto qualità/prezzo «l'organizzazione, le qualifiche e l'esperienza del personale effettivamente utilizzato nell'appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un'influenza significativa sul livello dell'esecuzione dell'appalto». In quest'ottica le competenze tecniche e professionali del personale impiegato nell'esecuzione del contratto parrebbero assumere rilievo sia in relazione all'accesso alla gara, a dimostrazione dei requisiti di capacità tecnica dell'offerente, sia in sede di valutazione della sua offerta tecnica. Tale disposizione è finalizzata ad assicurare l'elevata qualificazione dell'aggiudicatario, fermo restando che spetterà alla stazione appaltante modulare ragionevolmente, nel rispetto del principio di proporzionalità, requisiti d'accesso e criteri di valutazione, così da evitare di richiedere il possesso di qualifiche professionali troppo elevate in rapporto all'oggetto dell'affidamento, con conseguente riduzione della platea di offerenti in spregio al principio di libera concorrenza. Senza contare che richiedere qualifiche troppo stringenti potrebbe pregiudicare le piccole e medie imprese, che, al contrario, sulla base delle direttive europee e della l. n. 11/2016 dovrebbero essere agevolate nell'accesso alle procedure pubbliche. Infine, il comma 5 dell'art. 45 consente alle stazioni appaltanti di richiedere ai raggruppamenti di operatori economici condizioni per l'esecuzione del contratto differenti da quelle previste per i singoli partecipanti, purché rispettose del principio di proporzionalità e sorrette da ragioni oggettive. Le direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE specificano che tali condizioni «potrebbero ad esempio comprendere la richiesta» al raggruppamento di «nominare una rappresentanza congiunta o un partner capofila ai fini della procedura» o la «richiesta di informazioni sulla loro costituzione» (cfr. i Considerando (9), (15) e (18) delle direttive 23, 24, 25 del 2014). Alla luce di quanto riportato, sembra che le condizioni cui fanno riferimento le direttive attengano a misure operative ed organizzative volte principalmente a facilitare i rapporti tra raggruppamento e stazione appaltante. Trattandosi di indicazioni meramente esemplificative, saranno le stazioni appaltanti a scegliere di volta in volta le condizioni da imporre, nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, cui si affiancano i limiti intrinseci della discrezionalità amministrativa. In questa prospettiva, condizioni troppo gravose imposte ai soli raggruppamenti – e non agli operatori individuali – potrebbero rivelarsi anticoncorrenziali e lesive della parità di trattamento. Si segnala che la giurisprudenza ha più volte ribadito che la clausola della lex specialis che preclude in termini generali e incondizionati la partecipazione alla gara dei concorrenti riuniti in raggruppamenti orizzontali o misti costituisce un'illegittima restrizione dell'accesso alle procedure ad evidenza pubblica, tanto più se la legge di gara ammette i raggruppamenti verticali di imprese. Ciò perché la disciplina nazionale ed europea degli appalti ammette espressamente la partecipazione alle gare dei raggruppamenti temporanei costituiti da imprenditori in possesso dei requisiti prescritti ed esclude la possibilità di imporre una forma giuridica specifica ai fini della presentazione di un'offerta o di una domanda di partecipazione (cfr. artt. 45, comma 3 e 48 del d.lgs. n. 50/2016, art. 19 della Direttiva n. 2014/24/UE). Le amministrazioni aggiudicatrici possono individuare le caratteristiche di capacità economico-finanziaria, tecnica e di idoneità professionale necessarie per partecipare alla gara, e definire la relativa modulazione anche per i concorrenti a composizione plurisoggettiva (tanto più a fronte di requisiti super-specialistici), ma non possono introdurre «ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal codice e da altre disposizioni di legge vigenti». Da ciò si ricava che i concorrenti in possesso dei requisiti prescritti hanno diritto a partecipare alla gara indipendentemente dalla forma organizzativa prescelta e che l'interesse pubblico alla selezione della migliore offerta consente alla stazione appaltante di specificare nei documenti di gara le modalità con cui i raggruppamenti devono ottemperare ai requisiti di partecipazione, anche richiedendo loro condizioni per l'esecuzione diverse da quelle imposte ai singoli partecipanti (purché siano proporzionate e giustificate da ragioni oggettive), ma ciò non legittima l'imposizione di un divieto di partecipare attraverso il modulo organizzativo del raggruppamento, espressamente previsto dalla legge, o di una limitazione delle tipologie di raggruppamenti ammessi (ex multis Cons. St., V, n. 2785/2020). Problemi attuali: le forme aggregate di partecipazione previste dal codiceCome osservato nelle pagine che precedono, tra le forme di aggregazione contemplate dal d.lgs. n. 50/2016, rientrano in primo luogo i raggruppamenti temporanei di imprese, caratterizzati principalmente dalla occasionalità, dovuta al fatto che il gruppo si costituisce ai fini dell'aggiudicazione per l'assolvimento di funzioni complesse mediante l'impiego di competenze tecniche, necessaria per l'esecuzione dell'opera. Ad essi, si aggiungono i consorzi, la cui disciplina, in via di principio, è ricavabile dall'art. 2602 c.c. («Con il contratto di consorzio, più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese»). La norma richiama lo schema dell'organizzazione comune e si distingue dall'associazione temporanea in quanto si realizza un rapporto di immedesimazione organica tra il consorzio e i singoli consorziati. Dal tenore della disposizione normativa, il contratto di consorzio è stipulato da più imprenditori che svolgono la medesima attività economica al fine di predisporre un'organizzazione unica, al fine di garantire il coordinamento della produzione. Tali forme di partecipazione sono disciplinate dall'art. 3, comma 1, lett. u) e v), d.lgs. n. 50/2016 rispettivamente come «un insieme di imprenditori, o fornitori, o prestatori di servizi, costituito, anche mediante scrittura privata, allo scopo di partecipare alla procedura di affidamento di uno specifico contratto pubblico, mediante presentazione di una unica offerta» ovvero come «i consorzi previsti dall'ordinamento, con o senza personalità giuridica». Infine, rientrano nelle forme aggregate anche le ‘aggregazioni di imprese aderenti al contratto di rete' ai sensi dell'art. 3, comma 4-ter, della l. 9 aprile 2009n. 33 e il ‘gruppo europeo di interesse economico' (GEIE) di cui al d.lgs. 23 luglio 1991 n. 240. Come illustrato in precedenza, la differenza tra consorzi stabili e ordinari non è meramente formale, ma anche e soprattutto sostanziale: i primi, infatti, svolgono attività destinate a perdurare nel corso del tempo e non limitate esclusivamente al singolo appalto. Affinché un consorzio stabile possa partecipare ad una gara d'appalto, non è più sufficiente che i requisiti siano posseduti solo dal Consorzio ed è necessario che la loro sussistenza sia «valutata a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati». Il consorzio stabile è considerato come soggetto individuale e distinto dalle imprese consorziate, dotato di autonoma personalità giuridica. È formato da non meno di tre consorziate che devono aver operato stabilmente, nel settore dei contratti pubblici, per un periodo non inferiore ai 5 anni, dando luogo ad una comune struttura d'impresa che si distingue dall'organizzazione comune tipica dei consorzi ordinari. Secondo T.A.R. Veneto, 12 febbraio 2016, n. 138, tra il consorzio stabile e le imprese consorziate esiste un «rapporto organico», per cui il primo è l'unico diretto responsabile ai fini della prova dei requisiti richiesti dalla norma in commento. La disciplina relativa ai consorzi stabili è contenuta nell'art. 47, d.lgs. n. 50/2016, con riferimento ai requisiti richiesti per l'ammissione alle procedure ad evidenza pubblica. A differenza della disciplina previgente, nel nuovo Codice il legislatore afferma che i requisiti economico-finanziari, nonché tecnico-organizzativi, appartenenti alle singole imprese, sono cumulabili (c.d. cumulo alla rinfusa), favorendo l'ingresso dei c.d. consorzi stabili neo costituiti quali, pertanto, possono utilizzare sia i requisiti propri sia quelli specifici delle singole imprese. Inoltre, secondo T.A.R. Lombardia, Sez. IV, 23 dicembre 2017, n. 2476, «I consorzi di imprese artigiane devono essere equiparati ai consorzi stabili ai fini del cumulo dei requisiti anche nel vigore del nuovo Codice». Le prestazioni saranno effettuabili dal consorzio tramite la propria autonoma struttura organizzativa, oppure dalle singole imprese, senza che ciò implichi subappalto, ferma la responsabilità solidale inerente all'esecuzione delle prestazioni. I consorzi ordinari, invece, sono costituiti esclusivamente ai fini della partecipazione ad una gara pubblica (T.A.R. Sicilia, III, n. 2974/2013). Il consorzio ordinario presenta il medesimo scopo aggregativo, ma se ne differenzia, al di là di ogni aspetto nominalistico e formale, come sottolineato dalla giurisprudenza, per il fatto che «il consorzio stabile ha una durata e una composizione consortile minima prefissata e, soprattutto, è caratterizzato dalla presenza di una comune impresa effettivamente costituita. A ciò consegue che i consorzi stabili sono destinati per loro natura allo svolgimento di una serie di attività permanenti nel tempo e certamente non legate al singolo appalto; di contro, i consorzi ordinari sono di regola costituiti al fine di partecipare a una singola gara o alla realizzazione di un singolo appalto» (T.A.R. Veneto, I, n. 362/2016). La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto ammissibile alle gare di appalto anche i consorzi sotto forma di cooperative, in quanto si configura una c.d. «cooperativa di secondo grado» a cui si applica il disposto dell'art. 27, comma 1, del d.lgs. 14 dicembre 1947, n. 1577, che descrive la funzione di integrazione a sostegno delle singole economie. Non è ammessa la partecipazione individuale dei soggetti facenti parte del consorzio di cooperative, quale unico centro di imputazione della responsabilità, essendo dotato di soggettività giuridica autonoma (Cons. St., III, n. 647/2016). In aggiunta, la l. 25 giugno 1909, n. 422, all'art. 1, stabiliva che «le società cooperative di produzione e lavoro legalmente costituite, possono riunirsi in consorzio per assumere, in tutte le parti del Regno, appalti di opere pubbliche dello Stato e degli enti morali». Il Consiglio di Stato ha valorizzato soprattutto il rapporto organico intercorrente tra le cooperative consorziate, nel senso di promuovere, in favore del consorzio, l'utilizzo dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria propri delle cooperative consorziate, vietando l'affidamento ad un soggetto terzo ed estraneo al consorzio (c.d. divieto di una designazione «a cascata»). La Suprema Corte, poi, con riferimento ai rapporti verso terzi ha enunciato il principio secondo cui, «il consorzio di cooperative ammesso ai pubblici appalti, non è solidalmente responsabile nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte da un'impresa consorziata nell'esecuzione di un contratto di appalto a quest'ultima assegnato dal consorzio, trovando applicazione il generale principio di cui all'art. 1372, comma 2, c.c., e ciò, a maggior ragione, nel caso in cui il consorzio sia costituito in forma di società cooperativa a r.l., attesa l'intensa autonomia di cui sono dotate le società di capitali, la quale esclude che le vicende dei rapporti facenti capo ai singoli soci possano ripercuotersi sulla società» (Cass. civ., I, n. 1636/2014). È, infine, ammessa la partecipazione dei consorzi tra imprese artigiane (T.A.R. Veneto, I, n. 746/2014), estendendo l'ambito operativo della norma anche alle «imprese industriali di minori dimensioni, purché in numero non superiore ad un terzo, nonché enti pubblici ed enti privati di ricerca e di assistenza finanziaria e tecnica, e sempre che le imprese artigiane detengano la maggioranza degli organi deliberanti». Anche il contratto di rete è menzionato tra gli strumenti volti a facilitare la partecipazione delle aggregazioni tra imprese alle procedure ad evidenza pubblica, come si evince dal disposto dell'art. 13, comma 2, l. n. 180/2011, rubricato «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese», il quale prevede che «Nel rispetto della normativa dell'Unione Europea in materia di appalti pubblici ed al fine di favorire l'accesso delle micro, piccole e medie imprese, la Pubblica Amministrazione e le Autorità competenti, purché ciò non comporti nuovi o maggiori oneri finanziari, provvedono a semplificare l'accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole e medie imprese, privilegiando associazioni temporanee di imprese, forme consortili e reti di impresa, nell'ambito della disciplina che regola la materia dei contratti pubblici». La disciplina è contenuta nel d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, all'art. 3, comma 4-ter, intendendosi con la locuzione di ‘contratto di rete' uno strumento giuridico di tipo organizzativo, con una finalità duratura, non limitata al singolo affare (peculiarità che lo contraddistingue dal raggruppamento temporaneo). È uno strumento giuridico nuovo, introdotto nell'ordinamento italiano nel 2009, per consentire alle imprese di agire mediante una collaborazione duratura nel tempo, in settori specifici, attraverso lo scambio di informazioni di natura tecnica e/o commerciale La natura giuridica è controversa: secondo parte della dottrina, si ha un mero rapporto obbligatorio; altri, invece, ritengono che possa essere qualificato o come rapporto associativo ovvero come rapporto di scambio, a seconda delle caratteristiche che presenta il regolamento contrattuale. Tutto ciò in quanto è possibile distinguere diverse tipologie del contratto di rete a seconda che si realizzi o meno la costituzione di un fondo patrimoniale comune e si proceda alla nomina di un organo comune, poiché solo nel primo caso, la rete di imprese acquista soggettività giuridica, per effetto dell'iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede. L'ulteriore conseguenza è la configurazione di un autonomo centro di imputazione di interessi e rapporti giuridici, stante il divieto di eludere i principi di libera concorrenza. L'Unione Europea, nel Regolamento CEE n. 2137 del 25 luglio 1985, ha previsto, infine, la figura del Gruppo Europeo di Interesse Economico, disciplinato, nell'ordinamento italiano, dal d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240. La ratio è quella di attuare una maggiore collaborazione fra imprese internazionali, ma anche fra liberi professionisti appartenenti a Stati diversi. La caratteristica peculiare è quella di creare un centro autonomo di interessi volto a ricomprendere sia persone giuridiche sia persone fisiche legate fra loro da un contratto di associazione. Il Regolamento del 25 luglio 1985, n. 2137, del Consiglio delle Comunità europee, all'art. 3, stabilisce che «il fine del gruppo è di agevolare o di sviluppare l'attività economica dei suoi membri, di migliorare o di aumentare i risultati di questa attività; il gruppo non ha lo scopo di realizzare profitti per sé stesso». Secondo l'art. 4, un gruppo deve essere composto almeno da due società o altri enti giuridici ovvero da due persone fisiche, purché svolgano un'attività a titolo principale e a condizione che abbiano sede in Stati membri diversi. Si tenga infine conto che anche gli enti morali senza scopo di lucro rientrano nel novero di cui all'art. 45 e possono essere qualificati come prestatori di servizi, attesa la personalità giuridica che essi vantano e la loro capacità di esercitare anche attività d'impresa. Questioni applicative1) Ove un consorzio stabile che ripeta la qualificazione da una consorziata non designata ai fini dell'esecuzione dei lavori, quali sono le conseguenze della perdita dei requisiti da parte di quest'ultima? CGARS, Ord., 29 dicembre 2020, n. 1211 ha rimesso all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato le questioni: a) se, nell'ipotesi di partecipazione ad una gara d'appalto di un consorzio stabile, che ripeta la propria qualificazione, necessaria ai sensi del bando, da una consorziata non designata ai fini dell'esecuzione dei lavori, quest'ultima vada considerata come soggetto terzo rispetto al consorzio, equiparabile all'impresa ausiliaria nell'avvalimento, sicché la perdita da parte della stessa del requisito durante la gara imponga alla stazione appaltante di ordinarne la sostituzione, in applicazione dell'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50/2016 e/o dell'art. 63, Direttiva 24/2014/UE, derogandosi, pertanto, al principio dell'obbligo del possesso continuativo dei requisiti nel corso della gara e fino all'affidamento dei lavori; b) in caso di risposta negativa al quesito sub a), se comunque, qualora la consorziata – non designata ai fini dell'esecuzione dei lavori – derivi la qualificazione da un rapporto di avvalimento con altra impresa, trovino applicazione le disposizioni normative sopra citate e la conseguente deroga al richiamato principio dell'obbligo del possesso continuativo dei requisiti. Ha chiarito il CGARS che ai consorzi stabili è data la facoltà di dimostrare il possesso dei requisiti di qualificazione richiesti dalla lex specialis di procedura con attribuzioni proprie e dirette del consorzio o tramite il cumulo, c.d. alla rinfusa, dei requisiti delle singole imprese designate per l'esecuzione delle prestazioni. Secondo una prima tesi, il rapporto consorzio-consorziata non esecutrice dei lavori è analogo all'avvalimento, per cui ritiene che la stazione appaltante deve applicare l'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, il quale stabilisce che «La stazione appaltante verifica, conformemente agli artt. 85, 86 e 88, se i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi, soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ai sensi dell'art. 80. Essa impone all'operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione. Nel bando di gara possono essere altresì indicati i casi in cui l'operatore economico deve sostituire un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione, purché si tratti di requisiti tecnici». Secondo altra tesi dovrebbe trovare applicazione diretta l'art. 63 della Direttiva 2014/24/UE (rubricato «Affidamento sulle capacità di altri soggetti») che, dopo aver stabilito (relativamente ai criteri relativi alla capacità economica e finanziaria ed ai criteri relativi alle capacità tecniche e professionali) che «un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi», precisa che «l'amministrazione aggiudicatrice verifica, [...], se i soggetti sulla cui capacità l'operatore economico intende fare affidamento soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ...L'amministrazione aggiudicatrice impone che l'operatore economico sostituisca un soggetto che non soddisfa un pertinente criterio di selezione o per il quale sussistono motivi obbligatori di esclusione. L'amministrazione aggiudicatrice può imporre o essere obbligata dallo Stato membro a imporre che l'operatore economico sostituisca un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione». Osserva la Sezione rimettente che, nella ricostruzione giurisprudenziale il consorzio stabile si qualifica in base al cumulo dei requisiti delle consorziate e tale disciplina si giustifica in ragione del patto consortile che si instaura nell'ambito di un organizzazione stabile, caratterizzato da un rapporto durativo ed improntato a stretta collaborazione tra le consorziate e dalla comune causa mutualistica, nell'ambito del quale la consorziata che si limiti a conferire il proprio requisito all'ente cui appartiene non partecipa all'esecuzione dell'appalto, al quale rimane estranea, tant'è che non sussiste alcuna responsabilità di sorta verso la stazione appaltante. Uno statuto ben diverso è invece quello delle consorziate che, al contrario, siano state indicate per l'esecuzione dell'appalto, per le quali è prevista l'assunzione della responsabilità in solido con il consorzio stabile nei confronti della stazione appaltante.Questo concetto di estraneità conduce la giurisprudenza ad affermare che, nel momento in cui un consorzio stabile partecipa ad una gara per conto di alcune sue consorziate, le altre consorziate – evidentemente estranee a tale partecipazione – possono partecipare autonomamente alla medesima gara. Quindi, il modulo consortile comporta una qualificabilità intesa come risultante delle qualificazioni conseguite da ciascuna delle imprese consorziate, delle quali, quelle non designate per l'esecuzione dei lavori andrebbero considerate ausiliarie; da qui l'applicabilità dell'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50/2016 o comunque della direttiva, che in maniera abbastanza generica si riferisce a soggetti terzi quale che sia la natura giuridica del rapporto che li lega al concorrente. Va ricordata la recente giurisprudenza (Cons. St., VI, n. 6165/2020), secondo la quale «L'esistenza di una comune struttura di impresa per l'esecuzione delle prestazioni contrattuali, oggetto di affidamento, rappresenta un requisito necessario per la configurabilità di un consorzio stabile ai sensi dell'art. 45, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 50/2016. Tale struttura garantisce un'alterità rispetto alle singole imprese e integra un elemento teleologico, riconducibile all'astratta idoneità del consorzio ad eseguire il contratto di appalto, fungendo anche nelle fasi precedenti all'esecuzione da tramite tra la p.a. e le consorziate, che abbiano scelto e previsto nel proprio statuto di operare congiuntamente nel settore dei contratti pubblici, per un determinato arco temporale. Coerentemente alla ratio dell'istituto in esame, che è quella di favorire la partecipazione di piccole e medie imprese alle procedure di gare, ciò non esclude che il consorzio, dotato di una propria «azienda» intesa come complesso di beni organizzati, possa nell'esecuzione delle prestazioni avvalersi delle consorziate, sia pure nei limiti previsti, senza che per ciò solo venga meno la sua alterità». Ove non si ritenesse fondata tale prospettazione, dovrebbe comunque tenersi conto della peculiarità della fattispecie, nella quale, non solo si discute di una delle consorziate non esecutrici, della quale può dunque argomentarsi di terzietà rispetto al consorzio; ma anche a ritenere diversamente, comunque andrebbe valorizzata la circostanza che la consorziata ha perduto il requisito di qualificazione (facendolo perdere al consorzio) per «fatto/colpa» di un'impresa terza dalla quale la consorziata attingeva il requisito di qualificazione in virtù dell'avvalimento, sicché non potrebbe dubitarsi dell'estraneità (rispetto alla consorziata e a maggior ragione al consorzio) del soggetto che, per propria scelta, ha causato la perdita del requisito. Ha affermato il CGARS che nell'ipotesi in cui si ritenga fondata in parte qua la critica dell'appellante alla sentenza appellata, ne discenderebbe la necessità di rivedere il noto orientamento circa l'obbligo del possesso continuativo dei requisiti, la cui applicazione potrebbe condurre – in un caso quale quello in esame, in cui il consorzio stabile ha perduto la qualificazione posseduta tramite una propria consorziata (non designata per l'esecuzione dei lavori), la quale, a sua volta, la derivava da un rapporto di avvalimento, venuto meno per fatto dell'impresa avvalsa – alla violazione dei principi posti dall'art. 63, Direttiva 2014/24/UE. In definitiva, le soluzioni prospettabili sono molteplici: a) si potrebbe ritenere che il principio della continuità del possesso dei requisiti, elaborato da plurime decisioni dell'Adunanza Plenaria, continui ad operare come regola generale, salvo limitate deroghe imposte dal diritto europeo, quale quella recepita dall'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, in ordine alla sostituzione dell'ausiliaria priva dei requisiti, da ritenere eccezionale e di stretta interpretazione, non estensibile al di fuori del rigoroso presupposto dell'avvalimento; sicché il caso di specie andrebbe deciso applicando i principi espressi dalle Plenarie e non estendendovi, invece, l'art. 89 comma 3 citato; b) alla soluzione sub a) si potrebbe tuttavia muovere l'obiezione che determina una irragionevole disparità di trattamento tra casi analoghi, e che la regola recepita dall'art. 89, comma 3, sia espressione di un principio generle da applicarsi in ogni caso di utilizzo di capacità altrui, quale che ne sia la forma giuridica, e quindi anche nel caso di consorzio o ati; sicché il caso di specie andrebbe deciso applicandovi in via estensiva l'art. 89, comma 3, citato; c) nella prospettiva sub b), si potrebbe allora ritenere che l'avvalimento di derivazione eurounitaria imponga una rimodulazione del principio di continuità del possesso dei requisiti, nel senso che i requisiti devono essere posseduti, senza possibilità di sostituzioni «in corsa», alla data di scadenza del bando, mentre per perdite di requisiti successive a tale data, dovrebbe sempre consentirsi l'applicazione dell'art. 89, comma 3, a tutti i casi di concorrenti individuali o associati; d) si potrebbe al contrario dubitare della compatibilità delle regole eurounitarie sull'avvalimento con i principi nazionali di tutela effettiva della concorrenza secondo regole di trasparenza e par condicio, affidabilità dei partecipanti alle gare, oltre che di buona andamento dell'Amministrazione, a cui si ispira il principio della continuità del possesso dei requisiti, e, in tale prospettiva, si potrebbe anche dubitare della compatibilità dell'istituto dell'avvalimento con il principio di concorrenza declinato dai Trattati europei, dovendosi perciò sollevare sotto tale profilo una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia Ue. A che condizioni possono partecipare operatori stranieri? Come rilevato, ai sensi dell'art. 45 del d.lgs. n. 50/2016, sono altresì ammessi «a partecipare alle procedure di affidamento di contratti pubblici ... gli operatori stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi». Nello specifico, il Considerando n. 65 della Direttiva n. 2014/23/UE stabilisce che «i criteri di aggiudicazione o le condizioni di esecuzione della concessione riguardanti aspetti sociali del processo di produzione [...] non dovrebbero essere scelti o applicati in modo da discriminare direttamente o indirettamente gli operatori economici di altri Stati membri o di Paesi terzi che sono parti dell'accordo dell'Organizzazione mondiale del commercio sugli appalti pubblici (AAP) o degli accordi sul libero scambio ai quali l'Unione aderisce [...]». In senso conforme, anche il Considerando n. 17 della Direttiva n. 2014/24/UE, dove si legge che «Scopo dell'AAP è stabilire un quadro multilaterale equilibrato di diritti e doveri in materia di appalti pubblici per liberalizzare ed espandere il commercio mondiale [...] Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero soddisfare gli obblighi previsti da questi accordi attraverso l'applicazione della presente direttiva agli operatori economici dei Paesi terzi firmatari degli stessi»; ma anche il Considerando n. 98 dispone che «I criteri dovrebbero inoltre essere applicati conformemente alla Direttiva 96/71/Ce, quale interpretata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea». Il contenuto dell'art. 45 è rafforzato dall'art. 72 che rinvia alla garanzia della pubblicità dei bandi e degli avvisi di gara nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (G.U.U.E.), in applicazione del «principio dell'accesso reciproco», che vuole garantire che tutti gli operatori economici stabiliti in uno dei Paesi membri abbiano accesso alle gare di appalto indette in altri Stati membri, a condizioni di parità rispetto agli operatori interni e ai soggetti stabiliti in altri Paesi membri». Una disciplina unitaria sul punto è fornita dalla lettura, in combinato disposto, di molteplici disposizioni del Codice. In primo luogo, viene in considerazione l'art. 83, comma 3, secondo cui «i concorrenti alle gare, se cittadini italiani o di altro Stato membro residenti in Italia, devono essere iscritti nel registro della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o nel registro delle commissioni provinciali per l'artigianato, o presso i competenti ordini professionali. Al cittadino di altro Stato membro non residente in Italia, è richiesta la prova dell'iscrizione, secondo le modalità vigenti nello Stato di residenza, in uno dei registri professionali o commerciali di cui all'allegato XVI, mediante dichiarazione giurata o secondo le modalità vigenti nello Stato membro nel quale è stabilito ovvero mediante attestazione, sotto la propria responsabilità, che il certificato prodotto è stato rilasciato da uno dei registri professionali o commerciali istituiti nel Paese in cui è residente». In secondo luogo, si consideri l'art. 86, comma 3, che fa riferimento al Registro online dei certificati (e-Certis), nel quale sono presenti le dichiarazioni ufficiali con cui uno Stato membro fornisce attesta il mancato rilascio dei documenti o certificati comprovanti i requisiti richiesti dalla lex specialis. In terzo luogo, viene in rilievo l'art. 134, comma 7, il quale prevede che «L'ente aggiudicatore che istituisce e gestisce il sistema di qualificazione stabilisce i documenti, i certificati e le dichiarazioni sostitutive che devono corredare la domanda di iscrizione, e non può chiedere certificati o documenti che riproducono documenti validi già nella disponibilità dell'ente aggiudicatore. I documenti, i certificati e le dichiarazioni sostitutive, se redatti in una lingua, diversa dall'italiano, sono accompagnati da una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo originale dalle autorità diplomatiche o consolari italiane del Paese in cui sono stati redatti, oppure da un traduttore ufficiale». Altra previsione rilevante, poi, è contenuta nel d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, rubricato «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa». Ai sensi dell'art. 3, infatti, il ricorso all'autocertificazione, valida sul territorio nazionale, è ammessa solo per i cittadini comunitari, laddove, i «cittadini di Stati non appartenenti all'Unione regolarmente soggiornanti in Italia», possono avvalersi di dichiarazioni sostitutive di certificazione di cui agli artt. 46 e 47, «limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani» (art. 2). Una società di un paese extracomunitario è legittimata a partecipare a una gara indetta in Italia. È ben vero che un Paese che non ha aderito alla Comunità europea, in quanto «Paese terzo», non è diretto destinatario della normativa comunitaria sugli appalti pubblici prevista nelle direttive recepite dalla legislazione italiana, e dal d.lgs. n. 358/1992 e tuttavia non è questa la ragione di per sé sufficiente per escludere imprese extracomunitarie dalla partecipazione a gare pubbliche d'appalto in ambito comunitario. L'ordinamento comunitario, anche in tema di pubblici appalti, è tendenzialmente aperto a principi di apertura degli appalti stessi alla concorrenza internazionale. La giurisprudenza ha affermato che l'impresa extracomunitaria sconta la propria non appartenenza al mercato unico solo nel non potersi avvalere del regime di certezza e pubblicità (albi, elenchi e simili) previsto per le imprese comunitarie. Queste regole hanno trovato consacrazione espressa anche negli artt. 38, commi 4 e 5, e 47 d.lgs. n. 163/2006». (T.A.R. Lazio, III, n. 12103/2017). Al riguardo appare evidente la portata estensiva dell'art. 77-bis del d.P.R. 445/2000 secondo cui «Le disposizioni in materia di documentazione amministrativa [...] si applicano a tutte le fattispecie in cui sia prevista una certificazione o altra attestazione», ammettendo, quindi, la partecipazione degli operatori economici stabiliti anche in Paesi extra UE e i cui rapporti con le amministrazioni aggiudicatrici sono disciplinati dall'art. 49 del d.lgs. n. 50/2016. La previsione sollecita la libera circolazione delle merci e l'esecuzione delle prestazioni, in attuazione dei principi comunitari che perseguono lo sviluppo economico e la concorrenza, in ottemperanza a quanto era stato già chiarito con l'art. 18, comma 1-bis, d.lgs. n. 163/2006. Ab origine, la giurisprudenza amministrativa era orientata nel senso di negare la partecipazione di Stati che erano stabiliti in Paesi sottoscrittori dell'AAP, ma che non erano in condizioni di assicurare il principio di reciprocità, sul quale prevale, ad oggi, il principio di non discriminazione. Gli operatori economici non appartenenti ad alcuno degli Stati membri dell'UE, quindi, sono ammessi a partecipare agli appalti pubblici indetti da stazioni appaltanti italiane qualora abbiano stipulato il Protocollo AAP o altre convenzioni, di natura multilaterale o bilaterale. Tali osservazioni inducono ad affermare come l'operatore economico stabilito in un Paese terzo, non solo, possa ricorrere allo strumento dell'autocertificazione, ma può produrre tutta la documentazione idonea a documentare il possesso dei requisiti ai sensi del d.P.R. n. 445/2000. BibliografiaAbrate, Consorzio Stabile, in l'Amministrativista, 2020; Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021; Chieppa, Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2017; Sclafani, Gli operatori economici, in Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, II ed., Torino, 2019; Tranquilli, Operare economico, in L'Amministrativista, 5 giugno 2020. |