Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 109 - (Recesso)1(Recesso)1 [1. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-ter e 92, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque momento previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite23. 2. Il decimo dell'importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti. 3. L'esercizio del diritto di recesso è preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture. 4. I materiali, il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante a norma del comma 1, sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori o dal direttore dell'esecuzione del contratto , se nominato, o dal RUP in sua assenza, prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 34. 5. La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all'appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto. 6. L'appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero è effettuato d'ufficio e a sue spese.]
[1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [3] Comma modificato dall'articolo 73, comma 1, lettera a), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [4] Comma modificato dall'articolo 73, comma 1, lettera b), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. InquadramentoL'art. 109 della disposizione in esame, come in precedenza l'art. 134 dell'abrogato codice appalti, disciplina il potere delle stazioni appaltanti di esercitare il diritto potestativo di recesso dai contratti stipulati all'esito della fase cd. pubblicistica della procedura di scelta del contraente. La norma cambia limitatamente alla espressa estensione dell'istituto anche ai contratti di servizi e forniture, mentre per il resto conferma la precedente impostazione del legislatore, che non è intervenuto sostanzialmente sul punto nemmeno con il correttivo. Solo sotto il profilo formale, ha recepito il suggerimento di sostituire l'espressione del comma 1 «in qualunque tempo» con quella «in qualunque momento», come suggerito dal Cons. St., Comm. Spec., nel parere 30 marzo 2017 n. 782 sullo schema del correttivo, volendo significare la possibilità di recedere in un tempo brevissimo, cioè appunto in qualunque momento del tempo di durata del contratto, non correlato esclusivamente al trascorrere degli eventi e agli eventi stessi o ad un evento determinato. Peraltro, il legislatore poteva forse compiere l'ulteriore sforzo formale, ma con ricadute ed effetti sostanziali, di chiarire espressamente se l'atto di recesso sia un provvedimento autoritativo unilaterale che debba comunque osservare l'obbligo generale di motivazione ex art. 3 della l. n. 241/1990 ovvero se la norma del Codice si ponga in posizione potiore (Caringella, Protto). Infatti, può rilevare la questione, nell'esercizio del potere, dell'obbligo di esternare compiutamente le ragioni giuridiche a supporto della scelta di recedere dal contratto, ancorché la scelta sia condizionata dalle più variegate fattispecie e sopravvenienze nonché caratterizzato da valutazioni di merito e di opportunità di recedere dal rapporto. E ciò, rispetto al destinatario degli effetti titolare di diritti soggettivi, per meglio bilanciare la posizione non pienamente paritetica e speciale della Stazione appaltante che, seppur utilizzando strumenti privatistici, assimilabili a quelli previsti dall'art. 1671 c.c., con esclusione del «mancato guadagno», non potrebbe non dover dare contezza della corrispondenza del recesso al pubblico interesse, tenendo altresì presente che si tratta di utilizzo di risorse pubbliche, in applicazione dei principi desumibili dagli art. 4 e 30, comma 1, del presente Codice (id est economicità, efficacia, tempestività e correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità) e più in generale dall'art 97 della costituzione e dell'art. 1 della l. n. 241/90. Principi sempre da coniugare, caso per caso, a criteri di opportunità e convenienza della scelta, rientranti nell'alveo della riserva di amministrazione, tendenzialmente non suscettibili di sindacato giurisdizionale. Tuttavia, in applicazione del criterio ermeneutico dell'ubi voluit dixit, il carattere di «specialità» della norma sugli appalti pubblici e comunque i generali principi civilistici sull'istituto giustificano appieno la mancata previsione di una puntuale motivazione della scelta (ex art. 3 l. n. 241/1990), scelta che comunque non può essere scriteriata e discostarsi dal perseguimento di un interesse pubblico, tenuto conto che il recesso ha pur sempre carattere oneroso per le risorse pubbliche, essendo riconosciuta al receduto una somma pari ad un decimo dell'importo delle opere, servizi o forniture non eseguite, somma calcolata con le modalità previste dal comma 2, con possibilità di ingenerare danno erariale e correlata responsabilità ammnistrativo-contabile, ove ne ricorrano i presupposti. Con la conseguenza che la stazione appaltante, intesa in senso lato e che riveste il ruolo di committente che utilizza risorse pubbliche, attraverso i propri organi e uffici competenti, (il RUP direttamente o su proposta di questi), dovrà sempre preoccuparsi di operare a monte e nello specifico caso un bilanciamento degli interessi pubblici al più efficiente, efficace ed economico utilizzo delle risorse pubbliche mediante un'analisi a tutto tondo del rapporto costi benefici, immediati e futuri, rispetto alla scelta di sciogliere il vincolo contrattale attraverso il recesso unilaterale. Infine, come ricordato dal parere del Consiglio di Stato Commissione Speciale, nel parere n. 00855/2016 del 1° aprile 2016, la disposizione non trova riscontro nelle direttive europee di riferimento né in uno specifico criterio direttivo, ritenendola conforme al criterio direttivo di cui all'art. 1, comma 1, lett. b) della legge delega, relativo alla necessità di riordinare complessivamente la materia degli appalti pubblici. Non solo, ma occorre altresì aggiungere, come più avanti meglio evidenziato, che si tratta di una applicazione alla specifica materia della disposizione contenuta nell'art. 21-sexies della l. n. 241/1990, che tra i più generali poteri di autotutela prevede appunto la facoltà di recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione nei casi previsti dalla legge. come nella specie, o dal contratto, in tal caso lasciata all'autonomia negoziale delle parti, ma non c'è dubbio che in materia di appalti pubblici non è necessaria una apposita clausola contrattuale, valendo altresì a tutto concedere, l'integrazione automatica delle clausole a sensi dell'art. 1339 c.c. Le regole del procedimento di recesso dal contratto.In materia la p.a. è dotata, in generale, di potere di autotutela in grado di incidere sul contratto, ma tale potere trova dei limiti dopo la stipula del contratto e l'avvio della sua esecuzione, come chiarito da Cons. St., Ad. plen., n. 14/2014. Infatti, il recesso dal contratto, seppure riconducibile al potere di autotutela, è caratterizzato dalla regolamentazione unilaterale del rapporto che vede coinvolte posizioni di diritto soggettivo tra committente (pubblico o comunque tenuto ad applicare il presente Codice) ed appaltatore ed è regolamentato dalle regole pubbliciste del contratti pubblici e dalle norme e dai principi in materia di contratti previsti dal Codice Civile (cfr. ad es. l'art. 1671 c.c.), applicando in via analogica il modello per il quale la p.a., salvo che la legge disponga diversamente, può agire secondo le norme di diritto privato (art. 1, comma 1-bis, l. n. 241/1990). In questo caso la p.a. è legata alla legge speciale in materia di contratti pubblici che però interviene a regolare il rapporto dopo la stipula del contratto secondo il riferito modello, e cioè dall'insieme delle norme speciali, individuate dal d.lgs. n. 50/2016 e delle norme civilistiche, Le indicazioni chiare dell'Adunanza Plenaria n. 14/2014, in materia di lavori pubblici, ma applicabili a tutti i tipi di contratto, in ordine ai rapporti di tale potere pubblicistico con l'istituto del recesso, sono stati confermati e precisati dalla recente giurisprudenza, secondo cui qualora la p.a., dopo la stipula del contratto di appalto, accerti sopravvenute ragioni di inopportunità nella prosecuzione del rapporto negoziale, non può utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell'aggiudicazione, ma deve esercitare il diritto potestativo regolato dall'art. 134 del d.lgs. n. 163/2006 (oggi art. 109 d.lgs. n. 50/2016). Per cui sarebbe illegittimo un provvedimento di revoca dell'aggiudicazione di una gara adottato quante volte sia già stato stipulato il contratto di appalto, «atteso che in tal caso la revoca verrebbe adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti, non essendo tale l'aggiudicazione della gara in seguito alla stipulazione del contratto; in tal caso, per sciogliersi dal vincolo discendente da quest'ultimo, l'amministrazione deve ricorrere all'istituto del recesso ai sensi dell'art. 134 del d.lgs. n. 163/2006» (Cons. St., V, n. 1174/2016). In definitiva, dopo il contratto, nei settori regolati dal codice, non è possibile la revoca del l'aggiudicazione, sia perché preclusa dal recesso ex art. 109, sia perché l'aggiudicazione esaurisce il suo effetto con la stipulazione e non è quindi passibile con lo strumento della revoca che, operando ex nunc, presuppone un atto a efficacia perdurante al momento del ritiro. Confermata la misura di autotutela «esecutiva», occorre analizzare, sia dal punto di vista dell'amministrazione che delle imprese, la specifica disciplina che appare estremante scarna in ordine alla modalità di esercizio e alla garanzia del contraddittorio procedimentale. Si tratta di esercizio d'ufficio di una attività di verifica e valutazione in ordine alla sopravvenuta opportunità di recedere da tutti i tipi di contratto (lavori, servizi, forniture, misti), sottoscritti a seguito dell'applicazione delle norme sui contratti pubblici, sia per gli importi sotto soglia che sopra soglia. L'iniziativa d'ufficio, di norma, rientra nella competenza del responsabile del procedimento (RUP) individuato dalla stazione appaltante come prevede in generale l'art. 6 della l. n. 241/90 e, in particolare, l'art. 31, del d.lgs. n 50/2016. L'avvio dell'attività preordinata al recesso è sempre obbligatorio, come atto dovuto, nei casi previsti dagli artt. 88, comma 4-ter, e 92, comma 4, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, comportanti appunto il vincolato esercizio del diritto di recesso nei casi di informativa antimafia ostativa alla prosecuzione del rapporto contrattuale per preminenti ragioni di interesse pubblico. In tutti gli altri casi, la stazione appaltante esercita un potere unilaterale ampiamente discrezionale di recedere dal contratto «in ogni momento», valutando le eventuali sopravvenienze ed ogni altro opportuno elemento in relazione a concrete situazioni che vanno ad incidere sul contratto in esecuzione. Il legislatore, infatti, ha prescritto che la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque momento, previo pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite. Il comma 2 precisa che il decimo dell'importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti (il cd. quinto d'obbligo non viene considerato) del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti. Se la revoca risarcisce il solo danno emergente, lo scopo del recesso è garantire un maggiore affidamento al contraente privato, a seguito della stipulazione del contratto stesso: in tal caso, la stazione appaltante ha l'obbligo di provvedere al ristoro anche del mancato guadagno che deriva dall'interruzione del rapporto (Pazzaglia). È previsto, prima del provvedimento formale di recesso unilaterale idoneo a sciogliere il vincolo contrattuale, solo l'obbligo di un preventivo incombente procedurale, che tiene luogo dell'obbligo generale di comunicare l'avvio del procedimento, che potrà concretizzarsi utilizzando le modalità e i contenuti indicati negli art. 7 e 8 della l. n. 241/1990, indicando altresì il termine di conclusione del procedimento, che non potrà essere inferiore al prescritto termine di 20 giorni decorrenti dalla ricezione, giuridicamente rilevante del preavviso di recesso. Infatti, il comma 3 prescrive che l'esercizio del diritto di recesso sia preceduto da una formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture. La norma, come detto, nulla precisa circa il contenuto della comunicazione del «preavviso di recesso», la qualificazione giuridica del contraddittorio «procedurale» e le sue forme, e se e quali atti debba e/o possa adottare la stazione appaltante all'esito del contraddittorio, che si pone ovviamente in un contesto diverso e con funzioni parimenti diverse rispetto alla iscrizione delle riserve nei documenti contabili. In ogni caso, l'esistenza del vincolo contrattuale impedisce l'adozione di meri comportamenti materiali che sarebbero sine titulo ove non preceduti da formale preavviso di recesso, esponendo la Stazione appaltante a responsabilità di tipo risarcitorio e contabile, oltre che l'eventuale sussumibilità della condotta in una fattispecie penalmente rilevante. Diverso sarebbe il caso in cui il recesso sia formalizzato in un atto o in un ordine di servizio ovvero in qualsiasi altra forma astrattamente idonea allo scopo e contenente i requisiti e caratteri essenziali per la corretta manifestazione della volontà di recedere, senza la preventiva comunicazione e la concessione di un temine dilatorio. In questo caso, in disparte la stigmatizzazione del comportamento dal punto di vista della correttezza, si propende comunque per un approccio sostanzialistico in ordine alla legittimità e correttezza dello strumento attraverso il quale si manifesta la volontà e prendono corpo gli effetti giuridici del recesso. Tranne nei casi in cui si possa oggettivamente giustificare, anche a posteriori, l'esistenza di particolari ragioni di celerità e di urgenza o, addirittura di emergenza, l'omesso preavviso può rendere illegittimo l'atto di recesso e censurabile dal Giudice competente sia mediante l'accertamento della illegittimità, la disapplicazione e/o l'annullamento e sia mediante una tutela risarcitoria, sia in forma specifica che per equivalente. Ovviamente, il vizio formale non obbliga a mantenere in vita il contratto, nel senso che la stazione appaltante, se è ferma nel ritenere che la drastica soluzione scelta sia la più corrispondente agli interessi pubblici, ben può rinnovare la procedura, comunicare il preavviso nel rispetto del termine di legge e recedere dal contratto. Più in generale, la disposizione non chiarisce ed anzi lascia intendere che il mero spirare del termine di preavviso abiliti la stazione appaltante a prendere senza indugio «in consegna i lavori, servizi o forniture», ad effettuare «il collaudo definitivo» e a verificare «la regolarità dei servizi e delle forniture». E ciò per facta concludentia, cioè di fatto facendo seguire al preavviso comunicato [anche con le modalità indicate dell'art. 21-bis della l. n. 241/1990 e con l'uso della P.E.C.] un mero comportamento esecutivo e materiale, in ipotesi con l'ausilio della polizia ammnistrativa o della forza pubblica, senza la necessaria intermediazione di un atto conclusivo del succinto procedimento (Caringella, Protto). Tuttavia, anche per ragioni pratiche di conservazione e prova documentale degli effetti giuridici dello scioglimento definitivo del rapporto si ravvisa l'opportunità di redigere un atto meramente dichiarativo e di un verbale delle operazioni effettuate anche contestualmente al momento della materiale presa in consegna del cantiere ovvero dei servizi e delle forniture. Dal punto di vista della p.a.., si può affermare che tale potere officioso può essere utilizzato nei casi in cui, per effetto di sopravvenienze e nei casi in cui emergano situazioni patologiche della fase di esecuzione del contratto, in ipotesi diverse da quelle indicate per la risoluzione, anche se non è da escludere che il recesso potrebbe far riferimento ad alcune cause previste dall'art. 108 per la risoluzione portate alle estreme conseguenze ovvero nei casi in cui non si sia attivata la risoluzione ovvero non si sia dato seguito all'avvio della stessa. A seconda dei casi e delle esigenze di celerità della esecuzione ovvero di rispettare i cronoprogrammi, tali valutazioni per il recesso, anche con riferimento alle prestazioni eseguite e all'utilizzo dei materiali, possono essere fatte sulla scorta dei documenti contabili non oggetto di riserve e di verificazioni anche prima di effettuare il collaudo definitivo e la verifica della regolarità dei servizi e delle forniture. Di poi, sotto i profili più pratici dei reciproci rapporti economici, affinché l'impresa possa ottenere il pagamento dei «materiali utili» esistenti nei cantieri e/o presenti nei magazzini oltre, al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite preventivamente occorre che la stazione appaltante effettuai le sue valutazioni, e che tale valutazione sia riferita al periodo precedente ovvero anche fotografando lo stato di fatto al momento della comunicazione del preavviso di recesso. Prestazioni eseguite ed accettate e relativi prezzi, per chiarezza di rapporti ben potrebbero, meglio dovrebbero, essere riassunti nel «preavviso di recesso»; lo stesso dicasi qualora, ai sensi del comma 5, l'amministrazione possa valutare la necessità di trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. Il valore, o meglio il prezzo delle prestazioni eseguite deve essere riconosciuto e pagato dalla stazione appaltante solo per quelle già accettate dal direttore dei lavori o del direttore dell'esecuzione del contratto, se nominato, o del RUP in sua assenza, prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3. In buona sostanza si possono pagare solo quelle prestazioni che non sono state oggetto di contestazioni o riserve e che siano oggettivamente certe ed esigibili, anche nelle more del collaudo o della verifica delle regolarità dei servizi e delle forniture, sempreché poi tali certezze siano traferite nel collaudo definitivo fino al momento del recesso e non vi siano discordanze tra i due giudizi, fatti salvi eventuali errori ed omissioni e necessità di rettifiche per circostanze e dati che incolpevolmente non siano state considerate. Gli ultimi due commi riguardano più specificamente i contratti di lavori, anche se non è escluso che utilizzando la stessa formula legislativa dell'art. 206 della legge «in quanto compatibili» si possa e si debba, se del caso, applicare anche ai contratti di fornitura di beni di natura continuativa o periodica, e di servizi, quando insorgano appunto controversie in fase esecutiva. La disposizione consente alla stazione appaltante di trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso, sorge l'obbligo di pagare all'appaltatore, oltre alle prestazioni eseguite, anche il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, con un compenso che deve essere determinato nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto. Dal suo canto, secondo il successivo ultimo comma, l'appaltatore ha l'obbligo di rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i magazzini e i cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito. L'inosservanza dell'obbligo da parte dell'impresa, autorizza la stazione appaltante ad effettuare d'ufficio lo sgombero a spese dell'impressa stessa, attraverso l'autotutela esecutiva, meglio se formalizzata in una determinazione corredata di apposito verbale di constatazione, ai sensi degli art. 21-ter e art. 21-quater l. n. 241/1990 nonché dell'art. 823 c.c. (Cons. St., V, n. 3531/2015) avvalendosi eventualmente di mezzi propri, delle forze dell'ordine e, per i Comuni, della Polizia Municipale. Per completezza, come più avanti precisato, non è escluso ed anzi sarebbe sempre consentito alla P.A., entro il termine dilatorio di preavviso e comunque prima che si realizzino irreversibilmente gli effetti giuridici e materiali, di revocare il recesso qualora, a seguito delle osservazioni del destinatario del potere ovvero melius re perpensa, si possa riesaminare la decisione e proseguire nel contratto fino alla naturale scadenza. Dalla lettura della norma emerge evidente come assume veste privilegiata il diritto potestativo della stazione appaltante che inserito in un quadro di riferimento che comunque milita in favore dell'interesse pubblico perseguito anche attraverso l'esecuzione del contratto. Tale posizione di preminenza e (limitato ed amministrato) privilegio della p.a, appare in linea con l'indirizzo della Corte cost. (sent. 30 aprile 2015, n. 71), che, seppure a proposito del diritto soggettivo di proprietà, ha precisato che tale potere spetterebbe non in quanto soggetto pubblico, ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della p.a. che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici ad essa assegnati. Ora, se ciò è vero è altrettanto pacifico che tale posizione di preminenza deve essere bilanciata da strumenti di tutela, procedimentale e processuale, che consentano appunto di far emergere gli interessi e i diritti delle imprese. In particolare, strumento di tutela procedimentale è quella di presentare memorie e documenti atti a confutare quanto contestato con la comunicazione del preavviso di recesso, anche se si può ritenere che una qualificazione giuridica possa ottenersi limitatamente al quantum, nonché quella di iscrivere tempestivamente apposita riserva nei registri e documenti contabili prima del collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture. In via amministrativa ed alternativa ai rimedi giurisdizionali, fermo restando sempre l'obbligo o quanto meno l'opportunità di iscrivere apposite riserve, l'impresa (e l'amministrazione) potrà accedere alle forme di tutela previste dagli art. 205 e seguenti della legge in esame, oltre che, ove previsto dal bando originario, l'eventuale ricorso all'arbitrato di cui all'art. 209 per le controversie su «diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario di cui agli artt. 205 e 206». Calata tale esigenza nel caso in esame, come sopra accennato, giova segnalare come la disposizione legislativa accanto al preavviso di recesso, non ha introdotto un analogo sub procedimento con previsione di termine finale e poteri decisori specifici come quelli previsti in generale dall'art. 10-bis della l. n. 241/90 sul preavviso di rigetto. Tuttavia, per non vanificare la ratio e la finalità della previa comunicazione del preavviso e l'assegnazione di un termine non inferiore a venti giorni, l'impresa destinataria della comunicazione ben può presentare memorie e documenti a sostegno e giustificazione della propria posizione nel contratto e sulla bontà e correttezza delle prestazioni. Ancorché la norma taccia, l'uso di tale strumento partecipativo non parrebbe esonerare la stazione appaltante dall'obbligo di prendere in esame tali giustificazioni ed eventualmente ripensare l'iniziativa di recesso, mantenendo in piedi il contratto. Nel caso negativo, anche per il rispetto dei principi di buona fede e correttezza, nel provvedimento formale che invece dispone il recesso va quanto meno dato atto della partecipazione del privato il quale potrà utilizzare le memorie e documenti, presentati in via amministrativa, innanzi al giudice ordinario ovvero alla Sezione specializzata per le imprese, che eventualmente riterrà di adire per far accertare l'illegittimità e/o l'illiceità del recesso, entro i limiti suddetti. Rispetto a questo rimedio giurisdizionale, rinviando al commento delle specifiche disposizioni, l'impresa che ritenesse non corretta e causa di danni l'applicazione della norma in esame, può esperire, oltre ai citati rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale di cui alla Parte VI, titolo I capo II della legge in esame, anche quelli giurisdizionali innanzi al giudice ordinario secondo la competenza per valore e territorio e delle sezioni specializzate. E ciò in applicazione del consolidato principio in base al quale in linea generale, una volta instaurato, a seguito di aggiudicazione conseguente ad un procedimento di evidenza pubblica, il rapporto negoziale privatistico tra la P.A. e l'aggiudicatario, tutte le controversie attinenti alle successive vicende verificatesi durante la fase di esecuzione del contratto, rientrano, di regola, nella giurisdizione del giudice ordinario, tenuto conto della condizione di parità tra le parti e, dunque, della natura di diritto soggettivo connotante la posizione di quella privata (Cass. S.U., n. 9252/2014; Cass. S.U., n. 2264/2016). In attesa di un futuro pronunciamento delle Sezioni Unite della Cassazione, seppure con riferimento al precedente quadro normativo, di recente è stato affermato che la deliberazione della P.A. di recedere dal contratto di appalto, consequenziale all'informativa prefettizia di infiltrazioni mafiose nell'impresa appaltatrice, resa ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 e ora dall'art. 92, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011, è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l'esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali, fra i soggetti indicati nell'art. 1 del medesimo d.P.R. e le imprese, nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata; conseguentemente, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto ai sensi dell'art. 11,comma 2, citato d.P.R., la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. St., III, n. 319/2017). È espressione di autotutela pubblicistica anche il recesso ex artt. 163 comma 7 per lavori di somma urgenza affidati a non legittimato. In entrambi i casi da ultimo menzionati, in definitiva, non viene in rilievo un potere privato di recesso civilistico ma un accertamento autoritativo postumo di una causa di esclusione (assenza dei requisiti dell'esecutore). L'affermazione è coerente con quanto affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui nel caso di controversia tra privato e P.A. relativa alla fase di esecuzione di un contratto di appalto, occorre comunque verificare se sussista la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, non potendo escludersi che anche nella fase esecutiva del contratto di appalto l'Amministrazione committente disponga di poteri autoritativi, il cui esercizio si manifesta attraverso atti aventi natura provvedimentale espressione di discrezionalità valutativa, a fronte dei quali la posizione soggettiva del privato si atteggia a interesse legittimo (Cass. S.U., n. 23468/2016). Per concludere al riguardo, ai fini del riparto di giurisdizione si può affermare che nel caso di recesso come atto dovuto a seguito di provvedimenti prefettizi la controversia spetti al G.A., mentre spetta al giudice ordinario degli altri casi di recesso contrattuale. I presupposti dell'esercizio del potere di recesso ed il giudice competente.Come accennato, l'Adunanza Plenaria n. 14 del 2014 ha chiarito che il potere di recesso è esercitabile solo dopo la stipula del contratto secondo le previsioni della specifica disposizione che disciplina il recesso unilaterale, seguendo lo scarno iter procedurale della comunicazione prevista dall'art. 109, comma, 3. come sopra illustrato. La confermata previsione del potere unilaterale di recesso dal contratto stipulato non risolve almeno due ordini di questioni: la prima relativa alla individuazione dei presupposti per l'esercizio di tale potere; la seconda relativa al giudice competente e al riparto di giurisdizione, anche se si può subito accennare che quest'ultima, in assenza di puntuali indicazioni derivanti dall'art. 133, comma, lett. e) n. 1 e 2, del CPA e dell'art. 204 del d.lgs. n. 50/2016, risolta in via giurisprudenziale in favore del G.O., seppure con i limiti interni ed esterni dei poteri del giudice ordinario nei confronti di atti della p.a. nell'esercizio del potere di incidere unilateralmente sul rapporto contrattuale qual è appunto l'atto di recesso dal contratto. In primo luogo, relativamente ai presupposti per il recesso autoritativo, la disposizione in esame pone appunto il potere di recedere dal contratto in materia di appalti pubblici che in generale rappresenta l'esercizio di un potere dai connotati pubblicistici, che, di norma, caratterizza il procedimento di evidenza pubblica per la scelta del contraente che ha natura biunivoca e consta, come noto, di una fase più segnatamente pubblicistica e di un fase esecutiva in cui viene esaltato il rapporto (paritario e) sinallagmatico di prestazione affidata a terzi a fronte di un prezzo o di una utilità economicamente quantificabile. Essa rappresenta una specifica disposizione in materia che è espressione del potere generale attribuito alla pubblica amministrazione ovvero ai soggetti che, ai sensi dell'art. 1, comma 1-ter, della l. 7 agosto 1990.n. 241, sono tenuti ad applicare. Infatti, l'art. 21-sexies della stessa l. n. 241/1990, titolato appunto «Recesso dai contratti», dispone che il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto, richiamando implicitamente anche i principi, del codice civile e la regola delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli artt. 1372 e 1373 c.c., e. per gli appalti privati, dell'art. 1671 CC., nei limiti in cui siano applicabili. In buona sostanza, come chiarito dall'Adunanza Plenaria n. 14/2014 analizzando il precedente omologo istituto, «la posizione dell'amministrazione nella fase del procedimento di affidamento (...) aperta con la stipulazione del contratto è definita dall'insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l'amministrazione, in forza di quest'ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l'amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono». Se così è non c'è dubbio che si tratti di (limitato) potere autoritativo previsto espressamente dalla legge che potrebbe anche essere oggetto di apposita clausola contrattuale. Nell'uno e nell'altro caso è evidente che, in via autoritativa ovvero contrattuale, occorre compiere concretamente attività di integrazione della fattispecie astratta prevista dalla legge. Peraltro, come accennato, vengono meno quasi completamente tutti gli obblighi di osservare i principi che governano l'attività amministrativa, tra i quali quello di motivazione degli atti, sancito dall'art. 3 della l. n. 241/1990. E sul punto la giurisprudenza della Cassazione conforta tale interpretazione, laddove, confermando un risalente orientamento, in motivazione si afferma che il recesso, pur comportando anch'esso lo scioglimento del rapporto per volontà unilaterale dell'Amministrazione, costituisce espressione di un diritto potestativo il cui esercizio non postula la sussistenza di particolari condizioni, ma può aver luogo in qualsiasi momento, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato, richiedendosi soltanto, a tal fine, la corresponsione di un indennizzo in favore dell'appaltatore (Cass. I, n. 21595/2014; Cass. I, n. 8565/1993; Cass. S.U., n. 1402/1972). Occorrerebbe verificare se l'obbligo di preventiva comunicazione e di motivazione possa discendere dall'art. 41, commi 1 e 2, lett. c), della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea che stabiliscono che i cittadini hanno diritto ad una amministrazione imparziale ed equa nonché l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni in ogni materia. Peraltro, in generale, giova rammentare, come sopra riportato, che la normativa sul recesso, come chiarito dal Consiglio di Stato nel parere del 2016 non trova riscontro nelle direttive comunitarie. Non solo, ma si può ritenere che sia un potere unilaterale che ha una doppia natura, pubblica e privata, e nel contempo sia attributario di un duplice potere di autodeterminarsi a sciogliere il contratto e i suoi effetti senza l'intermediazione del giudice e di dare contezza e correlata responsabilità solo del perseguimento degli interessi pubblici al migliore utilizzo delle risorse appunto pubbliche. Più in particolare, il comma 1 della norma sul recesso prevede due casi in cui tale potere si mostra vincolato dall'esito negativo delle informative antimafia in relazione al rinvio a quanto dispongono gli artt. 88, comma 4-ter, e 92, comma 4, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Si tratta di una speciale previsione in ordine all'obbligo di recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza ha riferito alla nozione dell'autotutela autoritativa le cui controversie sono devolute alla cognizione del G.A. (Cons. St., III, n. 319/2017). Per tutti gli altri casi non codificati, come già sopra argomentato, non viene previsto nemmeno un obbligo generico di motivazione e nulla viene precisato per le situazioni «ordinarie» che consentono alla stazione appaltante di valutare i presupposti che supportino il recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità, che peraltro giammai può consentire di trincerarsi dietro una riserva di amministrazione non sindacabile dal giudice ritenuto competente. E ciò anche perché, nell'ambito della normativa che regola l'attività dell'amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso basata su presupposti quali la rinnovata valutazione dell'interesse pubblico per sopravvenienze e sul piano giuridico avente effetti di cessazione ex nunc del rapporto negoziale, come si evince dalle condivisibili affermazioni dell'Adunanza Plenaria n. 14/2014. Ma è principio logico, oltre che giuridico, immanente nel nostro ordinamento che l'esercizio del potere non può mai essere arbitrario. Ne consegue che, pur in assenza di puntuale previsione, non può non affermarsi, bilanciando gli interessi pubblici e privati coinvolti, l'obbligo di giustificare l'atto di recesso, del quale non viene precisata la forma e la natura, in relazione alle circostanze che, caso per caso, dovessero presentarsi, al fine di dare contezza dell'opzione pregiudizievole per il privato contraente che va supportata comunque da una valutazione comparativa degli interessi e diritti convolti per il perseguimento degli interessi generali attraverso lo strumento del contratto (di lavori, servizi o forniture). E cioè per garantire, anche secondo le affermazioni della Corte costituzionale, una adeguata tutela e sindacato da parte del giudice competente attraverso lo scrutino dell'iter logico giuridico seguito, ancorché spesso si tratti esclusivamente di meri fatti e comportamenti che fanno insorgere l'opportunità di recedere dal contratto. In estrema sintesi, tale impostazione sembra fornire dei criteri ermeneutici ed applicativi della norma, che consentano di affermare decisamente che, anche nel silenzio della norma, l'atto di recesso debba essere comunque frutto di un bilanciamento di interessi, privilegiando quelli pubblici, e rapportato alla concreta fattispecie che di volta in volta si possa verificare. In secondo luogo, in punto di tutela giurisdizionale, come sopra accennato, la norma sembra dare per scontato che, trattandosi della fase di esecuzione del contratto che va ad incidere su diritti soggettivi scaturenti dal contratto stesso, ogni controversia relativa appartenga al G.O., ancorché si tratti di esercizio di un potere, tenendo altresì presente che la ricordata diposizione dell'art. 133, comma 1, lett. e), si disinteressa completamente delle fasi successive alla stipula del contratto con particolare riguardo al potere di recesso. Se tale impostazione può essere condivisa, non essendo ammissibile, come chiarito da tempo dalla Corte cost. n. 204/2004, ipotesi di giurisdizione esclusiva al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore, non risolve altresì le problematiche relative all'effettività della tutela. Infatti, il G.O., com'è noto non potrebbe annullare un atto formalmente ammnistrativo e redatto in forma scritta, che la dottrina che segue la tesi pubblicista qualifica come atto ammnistrativo negoziale, ma solo disapplicarlo, ai sensi dell'art. 4 della L.A.C., con qualche perplessità circa il potere giudiziale di imporre la prosecuzione nell'esecuzione del contratto fino alla scadenza stabilita e non solo limitarsi alla tutela risarcitoria per equivalente, fornendo la prova dei danni diversi dal lucro cessante. Sul punto, infatti andrebbe chiarito se la previsione dell'indennizzo pari «al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite» sia ostativa e incompatibile con la richiesta del pagamento del «lucro cessante» previsto dall'art. 1671 c.c. ovvero possano valere anche in questo caso, ad esempio, le limitazioni previste espressamente per il potere di revoca dall'art. 21-quinquies l. n. 241/1990. Certamente la legge sembra escludere richieste risarcitorie ex art. 2043 c.c., salvo i limitati casi sopra indicati ovvero domande rientranti nell'ambito della responsabilità contrattuale per la mancata prosecuzione del rapporto che non esonererebbe, cioè non esonera l'attore dall'onere di dimostrare da un lato l'inadempimento e dall'altro l'entità del danno. Tuttavia, la legge pare escludere, in relazione agli interessi pubblici sottesi, qualsiasi forma di risarcimento, posto che la stazione appaltante non si rende inadempiente ma si ritiene che ricorrano i presupposti dell'esercizio di un potere di autotutela che positivamente esclude risarcimenti, ma prevede forme di pagamento, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite, calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta e l'ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti sino a quel momento. Tornando, ai poteri del G.O. di risarcimento in forma specifica, le accennate perplessità potrebbero essere superate ritenendo pienamente applicabile, nei limiti della domanda, la norma codicistica dell'art. 2058 c.c. che prevede la tutela in forma specifica, nei limiti ivi previsti, accedendo ad una impostazione che consenta di superare lo storico divieto di condanna ad un facere specifico della pubblica amministrazione anche attraverso la tesi cd. privatistica della natura negoziale dell'atto di recesso. Se così è il principio di effettività della tutela e quelli costituzionali di pienezza della tutela rinvenibili negli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, consentirebbero di ottenere tutela in prima battuta, non essendo possibile non garantire pienezza di tutela innanzi al giudice adito e portare ad esecuzione, spontanea o coattiva, provvedimenti giudiziali. Ad ulteriore conforto di tale opzione ermeneutica, con specifico riferimento all'applicabilità dell'art. 2058 c.c., alla stessa stregua della ormai consolidata applicabilità dell'art. 2043 c.c., giova segnalare la disposizione dell'art. 34, comma 1, lett. c) del CPA, a mente del quale il giudice ammnistrativo, nei limiti della domanda, ha il potere di condannare la p.a. «delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'art. 2058 del c.c.». In ogni caso, l'appaltatore potrebbe avere tutela in forma specifica attraverso l'attività del commissario ad acta per le sentenze di accertamento e dichiarativa dell'illegittimità del recesso, con disapplicazione del relativo atto, nonché di eventuale condanna al risarcimento in forma specifica ex art. 2058, attraverso lo strumento del giudizio di ottemperanza, ex art. 112, comma 2, lett. c), CPA, «delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario». Certo potrebbe trattarsi di un percorso lungo e faticoso, salvo che il legislatore non ipotizzi di estendere la giurisdizione esclusiva anche alla fase di esecuzione del contratto, alla stessa stregua di quello che accade per le controverse in materia di accordi tra privati e p.a. (cfr. l'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, CPA), sottoponendolo altresì al rito speciale ed abbreviato di cui all'art. 120 CPA. Tuttavia, è bene sottolineare che, qualsiasi forma di tutela e decisione venga in essere, non pare consentito al giudice inibire la riedizione di una corretta procedura di recesso, così come avviene per le espropriazioni per pubblica utilità, nel senso che la Stazione appaltante ha il potere e il dovere di dimostrare che mantenere il vincolo contrattuale non è più rispondente all'interesse pubblico che si voleva perseguire con il contratto e che esistano, nel concreto o in previsione, possibilità di trovare diverse soluzioni per il raggiungimento di tale finalità (Caringella, Protto). BibliografiaCaringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021; Caringella, Protto, Il Codice dei contratti pubblici dopo il correttivo, Roma, 2017; Caringella, Manuale dei contratti pubblici, Roma 2021; De Nictolis, I nuovi appalti pubblici. Appalti e concessioni dopo il d.lgs. 56/2017, Bologna, 2017, 1540 e ss.; Esposito (a cura di), Codice dei Contratti Pubblici, (a cura di Esposito) Milano, 2017; Mastragostino (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, Torino, 2017; Giuffrè, Provenzano, Tranquilli (a cura di), Codice dei Contratti Pubblici, Napoli, 2019; Pozzaglia, La sospensione e lo scioglimento del contratto pubblico. |