Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 179 - (Disciplina comune applicabile)1

Mariano Protto

(Disciplina comune applicabile)1

[1. Alle procedure di affidamento di cui alla presente parte si applicano le disposizioni di cui alla parte I, III, V e VI , in quanto compatibili.

2. Si applicano inoltre, in quanto compatibili con le previsioni della presente parte, le disposizioni della parte II, titolo I a seconda che l'importo dei lavori sia pari o superiore alla soglia di cui all'articolo 35, ovvero inferiore, nonché le ulteriori disposizioni della parte II indicate all'articolo 164, comma 2.

3. Le disposizioni della presente parte si applicano, in quanto compatibili, anche ai servizi.]

[1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

Inquadramento

L'art. 179 introduce la parte IV del Codice, precedendo i titoli relativi al partenariato pubblico privato, all'in house ed al contraente generale.

Emerge chiaramente la volontà del legislatore delegato di conferire un quadro di maggiore stabilità e coerenza agli istituti in oggetto. In particolare, l'impianto normativo delineato per il partenariato pubblico privato pare volto a costruire un quadro di maggior chiarezza, tanto per le amministrazioni quanto per i privati.

Il Codice del 2006, peraltro, nella versione rimasta in vigore fino al 19 aprile 2016, non conteneva una vera e propria disciplina organica del partenariato pubblico privato.

Invero, l'analisi delle direttive europee recepite dal d.lgs. n. 50/2016 dimostra che anche la normativa europea non ha optato per una disciplina unitaria dell'istituto, scelta che autorevole dottrina ha in parte criticato, rilevando la «mancanza di una chiara base di diritto europeo non delegittima le disposizioni nazionali che si richiamano al PPP, non essendo tale tematica parte delle competenze esclusive dell'Unione» ed auspicando il passaggio da una nozione meramente descrittiva ad una giuridica (Chiti, 1).

Ed infatti il legislatore italiano ha (legittimamente) scelto di disciplinare la materia in maniera più organica, rispetto sia al Codice in vigore che alle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE.

I criteri di delega (rectius, principi e criteri specifici) contenuti nell'art. 1, comma 1, lett. ss) e tt) della l. n. 11/2016, dimostrano la chiara intenzione del legislatore delegante di disciplinare dettagliatamente la materia del partenariato pubblico privato, con la volontà di incentivarne l'utilizzo, garantendo altresì il rispetto dei principi comunitari di tutela della concorrenza, parità di trattamento e trasparenza.

Infatti, il primo dei due principi è quello della «razionalizzazione ed estensione delle forme di partenariato pubblico privato, con particolare riguardo alla finanza di progetto e alla locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità, incentivandone l'utilizzo anche attraverso il ricorso a strumenti di carattere finanziario innovativi e specifici ed il supporto tecnico alle stazioni appaltanti, garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti». Mentre il secondo, in un'ottica efficientistica, consiste nella «previsione espressa, previa indicazione dell'amministrazione competente, delle modalità e delle tempistiche per addivenire alla predisposizione di specifici studi di fattibilità che consentano di porre a gara progetti con accertata copertura finanziaria derivante dalla verifica dei livelli di bancabilità, garantendo altresì l'acquisizione di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e atti di assenso comunque denominati entro la fase di aggiudicazione».

L'articolo in commento, che apre la parte IV del Codice, illustra le norme del Codice applicabili all'istituto. Il primo comma prevede, infatti, l'applicazione al partenariato pubblico privato delle disposizioni di cui alla parte I (ambito di applicazione, principi, disposizioni comuni ed esclusioni), III (contratti di concessione), V (infrastrutture e insediamenti prioritari e VI (disposizioni finali e transitorie), in quanto compatibili. La differente strutturazione del Codice sembra amplificare la differenza con la precedente disciplina, che in realtà non è così netta, atteso che il vecchio art. 152, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, prevedeva l'applicazione della parte I (principi e disposizioni comuni e contratti esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione del Codice), della parte II, titolo III, capo I (programmazione, direzione ed esecuzione dei lavori), della parte IV (contenzioso) e della parte V (disposizioni di coordinamento, finali e transitorie).

In continuità con il passato, al comma 2 si prevede l'applicazione al partenariato della disciplina dei contratti di appalto, sotto e sopra soglia, mentre il comma 3, come norma di chiusura, dispone che, come previsto dal vecchio Codice, la normativa della parte IV si applica anche ai servizi, per quanto compatibile.

La norma si applica anche all'in house ed al contraente generale. Per gli aspetti relativi a questi due istituti, si rimanda ai commenti relativi ai Titoli II e III della Parte IV.

In buona sostanza, viene individuato un nucleo di norme che costituisce una sorta di terreno comune con il c.d. sistema tradizionale (vale a dire i contratti di appalto e di concessione).

Le norme sulla evidenza pubblica, sulle modalità di pubblicazione e di pubblicità dei bandi di gara, sui sistemi di qualificazione e sui requisiti di idoneità, oltre che quelle sui criteri di aggiudicazione e di comunicazione con gli operatori economici partecipanti, si applicano pertanto anche al partenariato pubblico-privato.

Peraltro, come sarà più chiaro all'esame degli articoli del titolo I, il legislatore delegato ha tentato di tener conto delle particolarità del quadro istituzionale e socioeconomico italiano, rendendo possibile una maggiore osmosi tra privato e pubblico volta, in primo luogo, a superare le difficoltà della pubblica amministrazione a spendere in investimenti (la percentuale del PIL destinata alle spese di investimento è tra le più basse tra i paesi dell'Unione Europea) ed in secondo luogo ad incentivare la scelta del privato a dialogare (e ad investire capitali) con la pubblica amministrazione, impegnandosi nella realizzazione di opere che garantiscano un cash flow autonomo, svincolato dalla tristemente nota problematica del ritardo della pubblica amministrazione nei pagamenti.

La disciplina «comune» applicabile al PPP

Sarà quindi applicabile al partenariato pubblico-privato, «in quanto compatibile», la disciplina generale della modalità di affidamento, enunciata al Titolo IV della parte I del Codice e, in particolare, i principi ivi consacrati (art. 30), la definizione del ruolo e delle funzioni del responsabile del procedimento (art. 31), nonché il regime delle fasi delle procedure di affidamento ed i controlli sulle stesse (art. 32 e 33).

Sempre «in quanto compatibili», saranno applicabili le previsioni di cui al capo II del titolo III della parte II del Codice, in virtù altresì del rinvio, implicito, contenuto nello stesso comma primo dell'art. 181. L'amministrazione aggiudicatrice potrà, dunque, ricorrere a tutte le procedure di affidamento ivi previste.

Giova, però, osservare che nulla avrebbe comunque impedito di attribuire una maggiore discrezionalità alle stazioni appaltanti in relazione alla conformazione della procedura di affidamento come peraltro avvenuto per le concessioni.

In effetti, la scelta del legislatore si rivela indice sintomatico di una certa vischiosità culturale nella preferenza per regole e procedure rigide.

Il nostro ordinamento ha infatti privilegiato, fino a tempi recentissimi, l'adozione di meccanismi procedurali caratterizzati da una forte rigidità e vincolatività, al fine di garantire la trasparenza delle scelte pubbliche e assicurarne, quindi, un più agevole controllo e prevenire i fenomeni di arbitrio e corruttela che possono viziare il corretto svolgimento della selezione della migliore offerta.

Un'impostazione che appare il retaggio di una concezione fondata sul rigido rispetto del principio di legalità rispetto a quello del buon andamento e oggi messa in discussione alla luce della considerazione che siffatta rigidità conduce spesso a risultati inefficienti, mentre invece l'efficienza richiede una certa varietà e flessibilità delle forme e degli istituti.

Ciò vale, a maggior ragione, nel caso di operazioni contrattuali caratterizzate da ampia complessità come i contratti di partenariato pubblico-privato.

La complessità di queste operazioni non dipende dall'oggetto, ma dalla strutturazione dell'operazione stessa che impone l'analisi di molteplici circostanze e la necessità di coniugare nel modo più efficiente gli aspetti giuridici con quelli aziendalistici ed economico-finanziari.

Invero, già il Libro verde del 2004 aveva suggerito, per i contratti di partenariato, di attingere a procedure caratterizzate da ampia flessibilità e, fra queste, quale esempio paradigmatico individuava proprio il dialogo competitivo.

La stessa direttiva 2014/24/UE, al considerando n. 42, ha indicato l'opportunità «che gli Stati membri abbiano la facoltà di ricorrere ad una procedura competitiva con negoziazione o al dialogo competitivo in varie situazioni qualora non risulti che procedure aperte o ristrette senza negoziazione possano portare a risultati di aggiudicazioni di appalti soddisfacenti. È opportuno ricordare che il ricorso al dialogo competitivo ha registrato un incremento significativo in termini di valore contrattuale negli anni passati. Si è rivelato utile nei casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici non sono in grado di definire i mezzi atti a soddisfare le loro esigenze o di valutare ciò che il mercato può offrire in termini di soluzioni tecniche, finanziarie o giuridiche. Tale situazione può presentarsi in particolare per i progetti innovativi, per l'esecuzione di importanti progetti di infrastruttura di trasporti integrati, di grandi reti informatiche o di progetti che comportano un finanziamento complesso e strutturato».

Al proposito, non è indifferente il rapporto che si delinea, anche in ragione dell'art. 179, fra il contratto di partenariato e il contratto di concessione, atteso che nell'ordinamento eurounitario la prima nozione risulta assorbita nella onnicomprensiva definizione di concessione, che si presenta, pertanto, quale vero e proprio genus autonomo.

Il legislatore nazionale ha, invece, preferito tenere distinte le figure del partenariato pubblico-privato e della concessione, prevedendo definizioni e discipline parzialmente differenti. La distinzione appare agevole, confrontando la struttura del contratto di partenariato con la definizione codicistica di «concessione», prevista dalle lett. uu) per le concessioni di lavori e vv) per quelle di servizi, del comma 1 dell'art. 3.

Spicca, in primo luogo, all'interno di questa previsione, la specificazione della controprestazione della pubblica amministrazione, che deve consistere «unicamente» nel «diritto di gestire le opere oggetto del contratto o (in) tale diritto accompagnato da un prezzo». L'art. 165 sottolinea, poi, che nelle concessioni la «maggior parte dei ricavi di gestione proviene dalla vendita dei servizi resi al mercato».

Ricorrendo alle categorie sopra descritte, la norma dispone, quindi, che oggetto di concessione possano essere solo opere «calde» con esclusione di quelle «fredde», in quanto inidonee ad assicurare all'operatore economico un ritorno economico sufficiente al rimborso e alla remunerazione del capitale investito. Si viene così valorizzando uno dei caratteri che la dottrina tradizionale riteneva tipico del modello concessorio, ossia la trilateralità, che costituisce elemento specifico oggetto della concessione. La concessione instaura, infatti, un rapporto qualificato, oltre che fra pubblica amministrazione ed operatore economico, anche fra quest'ultimo e i terzi utenti o, più genericamente, il mercato.

La differenziazione di disciplina fra concessione e contratto di partenariato sembra quindi doversi individuare proprio nell'elemento che contraddistingue la prima dal partenariato, poiché la prima, regolata nella parte III del Codice ha ad oggetto, esclusivamente «opere calde» o comunque opere in grado, per buona parte, di auto-finanziarsi. Ciò comporta un ridotto impegno contributivo da parte della pubblica amministrazione e la sottoposizione dell'attività dell'operatore economico alla variabile del mercato.

Da questo consegue il trattamento di favore che il legislatore nazionale – sulla scorta dell'insegnamento europeo – riserva al modulo concessorio, per il quale vige una disciplina caratterizzata da estrema flessibilità. Il Codice sancisce, infatti, il «principio di libera amministrazione», in virtù del quale «le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzare la procedura per la scelta del concessionario», nonché «di decidere il modo migliore per gestire l'esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi (...)» (art. 166). Inoltre, il Codice consente all'amministrazione di giovarsi sia delle procedure di scelta del contraente valevoli per l'appalto nei settori ordinari e per i settori speciali, sia, ovviamente, di quelle previste per i contratti di partenariato pubblico-privato (artt. 181 e 183). La flessibilità riconosciuta in materia di concessioni raggiunge, infine, la massima estensione con la previsione della «negoziazione» che consente una ulteriore componente di flessibilità delle procedure cui l'ente pubblico può ricorrere: ai sensi dell'art. 171, comma 7, infatti, «la stazione appaltante può condurre liberamente negoziazioni con i candidati e gli offerenti».

Il contratto di partenariato, invece, può avere ad oggetto, indifferentemente, opere «calde» e opere «fredde» con, dunque, la possibilità che la controprestazione sia posta, in toto o, comunque, per buona parte, a carico della pubblica amministrazione. Ciò impone una disciplina più articolata, caratterizzata da prescrizioni maggiormente dettagliate, affinché l'amministrazione sia indirizzata a scegliere il procedimento più conveniente in termini di costi, tempi e qualità della prestazione finale offerta. Laddove manca il controllo del mercato, il legislatore ha, dunque, ritenuto necessario garantire una disciplina più pervasiva, che assicuri una congrua vigilanza sullo svolgimento dell'attività dell'operatore economico.

Da ciò consegue, come risulta dall'art. 179, la delimitazione dei procedimenti di aggiudicazione, senza che sia possibile, per il soggetto pubblico, strutturarli liberamente, ricorrere alla negoziazione prevista per le concessioni.

Il partenariato pubblico-privato come modulo organizzatorio

Nell'ambito della parte IV del nuovo Codice, indubbiamente quella del partenariato pubblico privato è la vicenda più innovativa, per le modalità con le quali legge delega e decreto hanno deciso di normare la materia, provando a conferire alla stessa una organicità ed una profondità di disciplina superiore a quella delle direttive del 2014, anche se tale disegno non si pone certamente in contrasto con la normativa comunitaria.

Come meglio si vedrà più avanti, i singoli articoli presentano potenziali profili di criticità, che saranno di volta in volta esaminati. In particolare, occorrerà che le amministrazioni e gli operatori economici individuino correttamente il confine tra le norme che si applicano a tutti i sistemi di affidamento e quelle che disciplinano specificamente i sistemi semplificanti, partenariato pubblico privato in primis.

La cornice costruita dall'art. 179 e dagli articoli di tutto il titolo I, in ogni modo, pare conferire finalmente all'istituto pieno diritto di cittadinanza nel panorama delle opere pubbliche.

Si ricorda che l'enucleazione dei caratteri essenziali del partenariato pubblico privato è stata effettuata a livello europeo, con il Libro Verde del 30 aprile 2004 della Commissione europea (COM, (2004) 327), nel quale, pur non essendo fornita una definizione giuridica del partenariato, ne sono stati indicati gli elementi essenziali, tra i quali:

«la durata relativamente lunga della collaborazione, che implica una cooperazione tra il partner pubblico ed il partner privato in relazione a vari aspetti di un progetto da realizzare»;

«la modalità di finanziamento del progetto, garantito da parte del settore privato, talvolta tramite relazioni complesse tra diversi soggetti»;

«il ruolo importante dell'operatore economico, che partecipa a varie fasi del progetto (progetto, realizzazione, attuazione, finanziamento», mentre «il partner pubblico si concentra principalmente sulla definizione degli obiettivi da raggiungere in termini di interesse pubblico, di qualità dei servizi offerti, di politica dei prezzi, e garantisce il controllo del rispetto di questi obiettivi»;

«la ripartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato, nel quale sono trasferiti rischi di solito a carico del settore pubblico».

Il partenariato pubblico privato, pertanto, si configura come una modulo organizzatorio, che comprende al suo interno più modelli di relazioni stabili tra soggetti pubblici e privati, volti a perseguire obiettivi sostanzialmente coincidenti, in un'ottica che privilegia il principio del buon andamento dell'amministrazione pubblica e l'efficienza dell'azione amministrativa, nelle occasioni in cui, per volontà del legislatore o per reciproca convenienza dei partner, gli interessi pubblici e privati si intrecciano per svolgere in comune un'attività di rilevanza pubblica.

Pertanto, salvo quanto disposto per singole fattispecie tipiche di partenariato, il regime di riferimento per le varie figure di partenariato è rinvenibile nelle norme e nei principi derivanti dal Trattato.

Si precisa, fin d'ora, che alle operazioni di partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat, a partire dalla decisione Eurostat dell'11 febbraio 2004 che, nel definire le caratteristiche fondamentali di un'operazione di partenariato pubblico privato, affinché la stessa sia classificata off-balance (senza impatto sul debito pubblico), pone l'accento sul fatto che i rischi devono necessariamente gravare sul partner privato, nella misura e con le modalità che si osserveranno più avanti.

Bibliografia

Chiti, Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva concessioni, Napoli, 2015.

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