Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 190 - (Baratto amministrativo)1(Baratto amministrativo)1 [1. Gli enti territoriali definiscono con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di contratti di partenariato sociale, sulla base di progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione ad un preciso ambito territoriale. I contratti possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati. In relazione alla tipologia degli interventi, gli enti territoriali individuano riduzioni o esenzioni di tributi corrispondenti al tipo di attività svolta dal privato o dalla associazione ovvero comunque utili alla comunità di riferimento in un'ottica di recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla stessa.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. InquadramentoIl baratto amministrativo, di cui all'art. 190 del nuovo Codice, è una tipologia di partenariato pubblico privato che non rientra tra quelle tipizzate dall'art. 180, comma 8, e che presenta, come si vedrà, diverse assonanze con la sussidiarietà orizzontale disciplinata dal precedente art. 189. L'istituto entra nel panorama giuridico nazionale prima con il d.lgs. n. 23/2011, afferente la disciplina dell'imposta municipale secondaria, e poi con l'art. 24 del d.l. n. 133/2014 (cd. decreto Sblocca Italia), convertito in l. n. 164/2014, abrogato dalla lett. m), art. 219 del Codice e sostituito dall'art. 190. L'art. 24 citato prevede che «I comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L'esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell'esercizio sussidiario dell'attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute». L'istituto del baratto amministrativo, nella norma richiamata, prevedeva che i regolamenti comunali definissero le caratteristiche e le regole degli interventi dei cittadini, singoli o associati, purché collegati al territorio di riferimento, in una serie di attività di interesse generale. L'intervento della cittadinanza si configurava come sostitutivo di quello comunale. L'incentivo alla partecipazione scaturiva dal fatto che, in relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni potessero deliberare riduzioni o esenzioni di tributi (temporanee e comunque inerenti al tipo di attività posta in essere). L'art. 190 del Codice riprende, con minime modifiche, il citato art. 24. In primo luogo, il riferimento è, più in generale, agli enti territoriali; resta la necessità di una apposita delibera per definire la disciplina dell'istituto. L'istituto prevede inoltre un'espressa pattuizione – un «contratto» – con l'ente territoriale e in questo la disciplina di cui all'art. 190 è stata richiamata dalla giurisprudenza amministrativa per escludere la possibilità di esclusione o riduzione dei tributi nel caso in cui i cittadini provvedano autonomamente alla raccolta di rifiuti senza un previo concordamento con l'ente (T.A.R. Campania (Napoli) I, n. 125/2019). L'ambito dei possibili interventi viene leggermente ridefinito, senza peraltro che vi sia una rilevante differenza rispetto al decreto Sblocca Italia. Si prevede che «i contratti possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati». Viene quindi esplicitato che tra i cittadini e l'ente territoriale sorge un vero e proprio rapporto contrattuale. In merito alla disciplina di agevolazione tributaria, la nuova norma prevede che «in relazione alla tipologia degli interventi, gli enti territoriali individuano riduzioni o esenzioni di tributi corrispondenti al tipo di attività svolta dal privato o dalla associazione ovvero comunque utili alla comunità di riferimento in un'ottica di recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla stessa». Manca, pertanto, il riferimento alla temporaneità delle esenzioni (comunque recuperabile nelle delibere e, più in generale, insito nelle caratteristiche dell'istituto stesso, in virtù del collegamento con l'attività svolta) e viene superata la priorità attribuita alle associazioni stabili e giuridicamente riconosciute nella concessione delle agevolazioni (norma che in effetti destava qualche perplessità). Come visto, notevoli sono le assonanze con la sussidiarietà orizzontale, per la quale, peraltro, il legislatore delegato prevede una disciplina maggiormente analitica. Differenza significativa tra i due istituti appare il fatto che per il baratto amministrativo vi è la necessità che l'ente territoriale definisca criteri e condizioni con apposita delibera. Diversamente, gli interventi di sussidiarietà orizzontale si inseriscono nel quadro degli strumenti urbanistici vigenti e l'ente locale può prescindere dall'adozione di ulteriori atti generali (pur potendo comunque adottare un regolamento che ne disciplini attività e processi). La regolamentazione del baratto amministrativo (o partenariato sociale)Con l'articolo in trattazione viene delineata un'altra forma di partenariato pubblico privato, che pur già preesisteva, da pochi anni, nel nostro ordinamento giuridico (Musolino; Villamena). Peraltro, nel breve periodo di vita dell'istituto, lo stesso è stato significativamente sperimentato sul territorio, ed è pertanto possibile tracciarne alcuni principi operativi cardine. Prendendo il via dalle attività che possono essere oggetto del baratto, anche la norma del 2014 delineava un ambito preciso di intervento e, pertanto, è evidente che l'attività cui collegare le agevolazioni non può essere individuata liberamente dal Comune, ma deve essere riconducibile alle tipologie di attività normativamente tipizzate. In linea generale, deve ritenersi che i soggetti beneficiari delle agevolazioni tributarie possano essere cittadini singoli o associati necessariamente coincidenti con i soggetti abilitati a presentare progetti di riqualificazione. Quanto all'oggetto del baratto, e dunque alla tipologia di interventi negoziabili, paiono potersi individuare due categorie: da un lato, le prestazioni di pulizia, manutenzione, abbellimento ovvero valorizzazione di aree verdi, piazze o strade; dall'altro, gli interventi finalizzati al decoro urbano, ovvero al recupero e al riuso con finalità di interesse generale aventi ad oggetto le aree ed i beni immobili inutilizzati. La determinazione delle singole prestazioni deve essere condotta sulla base di un'interpretazione stretta: la normativa, infatti, non autorizza l'ente locale ad ammettere la riduzione o l'esonero dai tributi in relazione a qualsiasi intervento dei cittadini per la cura dei beni di interesse locale. L'attività a cui ricollegare il beneficio deve essere riconducibile solo a quelle enumerate, si ritiene tassativamente, dalla legge. L'art. 24 del decreto Sblocca Italia prevedeva che «l'esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell'esercizio sussidiario». Tale ultima locuzione era intesa nel senso che il Comune poteva deliberare le agevolazioni solamente in riferimento ad attività rispetto alle quali si fosse astenuto dall'intervenire. Ora, pur nella mancanza di questo inciso nell'art. 190 (inciso che potrebbe peraltro essere reinserito in sede di correttivo), la collocazione sistematica della norma porta a ritenere ancora vigente tale limite. Infatti, il baratto amministrativo instaura una dinamica di sussidiarietà orizzontale: ciò comporta la possibilità di applicare il beneficio tributario solo in relazione allo svolgimento di quelle attività di interesse sociale dallo svolgimento per le quali l'ente locale non si sia assunto l'impegno ad intervenire, poiché, diversamente, l'ente territoriale si troverebbe ad accordare uno sgravio fiscale, che corrisponde all'accettazione di una riduzione delle entrate locali, nonostante il perdurante impegno, con relativi esborsi, nella gestione dell'attività in regime di condivisione con i privati. Ciò si rende necessario in quanto la riduzione dei tributi, che è il corrispettivo che l'ordinamento prevede per l'attività in parola, è soggetta al rispetto del principio della riserva di legge, ex art. 23 della Costituzione (Falsitta). In merito ai tributi oggetto del baratto, in continuità con la norma del 2014 si prevede che i tributi oggetto di riduzione o esenzione debbano essere «inerenti il tipo di attività posta in essere». Il concetto di inerenza del tributo, per cui si prevede l'agevolazione, all'attività svolta dai cittadini (singoli o associati), dovrà essere valutato attentamente in sede di individuazione della agevolazione, e dovrà rispettare i canoni di ragionevolezza e corrispondenza tra beneficio reso ed agevolazione concessa. Non paiono, pertanto, esservi particolari limitazioni ai tributi per i quali potranno essere previste agevolazioni, purché le attività svolte siano legate ai presupposti impositivi propri di ciascun tributo. La formulazione ampia della disposizione lascia intendere che il collegamento tra la natura dell'attività ed i presupposti impositivi di ciascun tributo debba essere inteso in modo non rigido, nei limiti determinati dal rispetto del principio di ragionevolezza. Perciò, anche in considerazione nella limitata varietà di tributi locali, sarà da ammettere, ad esempio, che la riduzione o l'esenzione dal versamento della T.A.R.I (Tassa rifiuti) possa essere prevista per prestazioni di pulizia dei giardini pubblici; lo stesso si può dire in merito alla T.A.S.I. (Tributo per i servizi indivisibili), trattandosi di un tributo gravante su servizi indivisibili forniti dall'ente territoriale. Ancora, in merito ad un progetto di riqualificazione di un bene immobile l'ente potrebbe disporre un'agevolazione sulla quantificazione dell'IMU (Imposta municipale unica). In merito, infine, alla quantificazione dell'agevolazione corrispondente alla remunerazione dell'attività svolta, deve in primo luogo evidenziarsi come tanto la disciplina del 2014, quanto quella del 2016, non si esprimano sul punto. Pertanto, nella assenza di criteri oggettivi di corrispondenza, occorrerà rifarsi a elementi di ragionevolezza nella quantificazione della agevolazione economica. È necessario correlare strettamente l'agevolazione alla attività svolta, il che presuppone la fissazione di precise metodologie di controllo. Sicuramente l'agevolazione fiscale dovrà essere connessa all'arco temporale di svolgimento delle attività, e potrà essere rivolta sia ai cittadini uti singuli che all'associazione. L'ente locale deve motivare la decisione, indicando i presupposti di fatto che ha ritenuto rilevanti ai fini della valutazione ed i criteri che ha ritenuto di adottare ai fini della quantificazione. In caso di incapienza del tributo, ossia di scostamento positivo tra il valore dell'attività di interesse sociale e il valore del tributo non riscosso, non si esclude che l'agevolazione possa estendersi, per la differenza, a favore dei singoli soggetti che compongono l'associazione, qualora la prestazione sia prestata in tale forma. I regolamenti locali dovrebbero disciplinare anche tali situazioni. In osservanza del principio di responsabilità, deve essere assicurata la corrispondenza effettiva tra il quantum del beneficio e della prestazione attraverso un sistema di monitoraggio che l'ente locale deve necessariamente allestire. Si tratta di un aspetto fondamentale che gli enti territoriali non devono trascurare posto che il riscontro di uno scostamento tra i due valori produce conseguenze rilevanti su più fronti. Il privato, infatti, deve effettivamente prestare l'attività e lo deve fare nella misura convenuta: laddove costui si riveli inadempiente, anche solo parzialmente, dovrà esigersi il pagamento dell'obbligazione tributaria senza riduzioni o con riduzioni riproporzionate. La previsione a monte di uno scambio squilibrato a favore della parte privata o il mancato controllo sulla prestazione, tale da garantirne la misura, può essere fonte di responsabilità amministrativa del funzionario pubblico. Spetta ai regolamenti comunali stabilire i requisiti previsti per accedere all'istituto, risultando dalla prassi, una certa omogeneità nel subordinare l'ammissione ai requisiti della maggiore età e della sede o residenza nel comune interessato e di attribuire rilevanza allo status reddituale, famigliare o di salute del cittadino. Oggetto di soluzioni divergenti è l'assenza di condanne penali: in alcuni casi è prevista l'assenza di qualsiasi condanna penale, in altri si circoscrive la condanna ostativa ai delitti contro la P.A., il patrimonio, l'ordine pubblico, ai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, c.p., e ai delitti contro la libertà personale, in altri ancora prevedono il baratto quale forma di riparazione del danno nei confronti del Comune, ai fini previsti dalla legge penale, ovvero quale misura alternativa alla pena detentiva e alla pena pecuniaria, con le modalità previste dalla normativa in materia di lavoro di pubblica utilità. Il baratto amministrativo al vaglio del giudice contabileIncidendo sui tributi locali era evidente che l'istituto del baratto amministrativo coinvolgesse in prima battuta il giudice contabile. Una recente pronuncia della Corte dei conti, in sede di controllo, ha meglio delineato le caratteristiche ed i limiti del baratto amministrativo. Con la deliberazione n. 27 del 23 marzo 2016 infatti, la Sezione Regionale di Controllo per l'Emilia-Romagna, rispondendo alla richiesta di parere formulata dal Comune di Bologna, ha in primo luogo chiarito che il baratto amministrativo deve essere disciplinato da un apposito regolamento deliberato dall'ente locale, con il quale vengono fissati criteri e condizioni dello stesso. Tuttavia, nella pronuncia in argomento, la Corte dei conti ha escluso che, attraverso tale istituto, sia possibile ottemperare al pagamento di tributi locali pregressi, in quanto in tale ipotesi mancherebbe il requisito dell'inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta dai soggetti amministrati, e inoltre questo potrebbe determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio. L'orientamento della magistratura contabile va quindi nella direzione di consentire la possibilità di deliberare riduzioni e/o esenzioni solo per tributi connessi inequivocabilmente all'attività sussidiaria posta in essere dai cittadini, escludendo qualsivoglia estensione dell'ambito delle agevolazioni anche ai debiti pregressi. Per il giudice contabile «non si ritiene, viceversa, ammissibile la possibilità di consentire che l'adempimento di tributi locali, anche di esercizi finanziari passati confluiti nella massa dei residui attivi dell'ente medesimo, possa avvenire attraverso una sorta di datio in solutum ex art. 1197 c.c. da parte del cittadino debitore che, invece di effettuare il pagamento del tributo dovuto, ponga in essere una delle attività previste dalla norma e relative alla cura e/o valorizzazione del territorio comunale». Infatti, «tale ipotesi non solo non rientrerebbe nell'ambito di applicazione della norma, in quanto difetterebbe il requisito dell'inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta dai soggetti amministrati, elementi che, peraltro, devono essere preventivamente individuati nell'atto regolamentare del Comune, ma potrebbe determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio considerato che i debiti tributari del cittadino sono iscritti tra i residui attivi dell'ente» (C. conti, sez. contr. Emilia Romagna, delib. n. 27 del 23 marzo 2016). La pronuncia della Corte dei Conti sicuramente esprime in primo luogo la preoccupazione di garantire al meglio la solidità del bilancio dell'ente locale, che vedrebbe diversamente venir meno risorse finanziarie già iscritte a bilancio, benché ancora da incassare, ma contribuisce anche a chiarire meglio i confini dell'istituto in trattazione. Pertanto, si deve ritenere che la riduzione del tributo debba essere inerente all'attività svolta anche ratione temporis. Tuttavia, tale limitazione sembrerebbe non escludere il baratto per i cittadini che hanno contributi comunali non pagati nell'annualità in corso, venendo meno i paletti posti dal giudice contabile. Sempre il giudice contabile ha altresì precisato che «la prestazione offerta dal cittadino (...) non solo deve corrispondere, in valore alla misura delle imposte locali agevolate, ma la relativa delibera assunta dall'ente pubblico territoriale deve altresì motivare la decisione di avvalersi dell'istituto del baratto sulla base di un'attenta valutazione di tutti gli interessi coinvolti che dimostri la convenienza, anche economica, della scelta effettuata» (C. conti, sez. contr. Veneto, delib. n. 313/2016); pertanto l'ente territoriale, oltre che deliberare un regolamento che disciplini l'applicazione dell'istituto, deve motivare la scelta di utilizzarlo, dimostrando la convenienza anche economica (C. conti, sez. contr. Veneto, delib. n. 313/2016). Sull'inquadramento giuridico delle prestazioni rese in compensazione e l'esclusione dell'applicabilità alle imprese nella stessa pronuncia si è precisato che «la prestazione lavorativa rientrante nel computo delle spese di personale non può che essere quella resa nell'ambito di un rapporto di pubblico impiego legalmente instaurato nei modi e nelle forme previste dalla legge» e che la norma non si può applicare alle imprese, considerato il «rischio dell'elusione delle regole di evidenza pubblica e dell'obbligo del confronto concorrenziale». Se l'istituto tende a promuovere la collaborazione del cittadino, singolo o associato, alle attività di prestazione dell'amministrazione pubblica, quali la manutenzione e rigenerazione di spazi urbani, nella prospettiva della valorizzazione della partecipazione cittadina, si può in astratto comprendere anche la previsione della corrispondenza delle riduzioni o esenzioni dei tributi al tipo di «attività svolta dal privato o dall'associazione ovvero comunque utili alla comunità di riferimento in un'ottica di recupero del valore sociale della prestazione dei cittadini alla stessa» (art. 190). Più di recente il giudice contabile si è pronunciato sulla applicabilità dell'istituto anche ai crediti di natura extra-tributaria connessi all'erogazione di servizi pubblici o prestazioni a domanda individuale. Nella delibera 29 gennaio 2020, n. 2, la Corte dei conti, sez. Autonomie, si è pronunciata sulla questione (nello stesso senso, cfr. delibera n. 21 del 21 febbraio 2020 della Corte dei conti Lombardia). I magistrati contabili ricordano preliminarmente che la norma in esame ha riprodotto, attraendola nella materia dei contratti pubblici di partenariato sociale, la fattispecie disciplinata dal precedente art. 24, d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (cd. «sblocca Italia»), conv., con modif., dalla l. 11 novembre 2014, n. 164, e successivamente abrogato dalla lett. m), art. 129, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (recante disposizioni correttive dell'art. 217, d.lgs. n. 50/2016), tratteggiando appena l'istituto del baratto amministrativo, dovendo per questo, in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale, essere completata dai regolamenti degli enti territoriali, chiamati a definire i criteri e le condizioni del partenariato sociale assicurando il rispetto delle regole di contabilità pubblica e di salvaguardia dei vincoli e degli equilibri finanziari del bilancio, nonché dei principi di trasparenza, di parità di trattamento e di non discriminazione. Il disposto dell'art. 190, poi, si caratterizza quale norma eccezionale, così che non può essere applicato oltre i casi e i tempi in esso considerati, vale a dire al di fuori delle fattispecie qualificabili come «riduzioni o esenzioni di tributi»; unico ulteriore spiraglio di applicazione possibile, nell'ambito della discrezionalità degli enti territoriali espressa in sede di adozione della disciplina attuativa dell'istituto, riguarda le«prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Cost.», ovvero quelle entrate che, pur non avendo espressamente natura tributaria, sono imposte unilateralmente dall'amministrazione (ad esempio, il Cosap-canone per l'occupazione di suolo pubblico, piuttosto che il CIP-canone per le iniziative pubblicitarie). La Corte dei conti, sez. Autonomie, in buona sostanza, conclude enunciando, in relazione alla questione di massima posta, i seguenti principi di diritto: «È compito dell'ente locale favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini prevista dal quarto comma dell'art. 118 della Costituzione, anche attraverso la predeterminazione di fattispecie convenzionali tipizzate dirette allo svolgimento di attività socialmente utili nella gestione di aree e beni immobili, da compensare con la riduzione o l'estinzione di crediti extratributari disponibili. Qualora i crediti vantati dall'ente traggano origine da prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 della Costituzione, l'esercizio di detto potere discrezionale può espletarsi entro gli spazi che la norma primaria rimette alla determinazione degli enti in sede attuativa. Nei predetti ambiti applicativi, la disciplina dell'istituto del baratto amministrativo prevista dall'art. 190, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, non è suscettibile di interpretazione analogica e può essere applicata alle sole ipotesi di riduzione e/o estinzione di crediti di natura tributaria. Nella disciplina regolamentare deve essere, comunque, assicurato il rispetto sia dei principi di legalità, trasparenza, imparzialità e buon andamento, sia delle regole di contabilità pubblica e di salvaguardia dei vincoli e degli equilibri finanziari». Baratto e sussidiarietà orizzontaleIl Codice colloca quindi, come s'è visto, il baratto amministrativo tra le forme di partenariato pubblico privato contrattuale. La previsione specifica, l'art. 190 del Codice, parla di «partenariato sociale». In tal modo, si delimita l'oggetto di tale contratto in senso finalistico: l'attività deve essere finalizzata a perseguire finalità socialmente utili per la collettività territoriale di riferimento. Si tratta, pertanto, di una di quelle ipotesi di sussidiarietà orizzontale, cui fa riferimento l'ultimo comma dell'art. 118 Cost., a tenore del quale «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà» (De Nictolis). In giurisprudenza si è osservato che la norma è espressione della sussidiarietà orizzontale di cui all'art. 118, comma 4, Cost., in quanto consente alle comunità di cittadini di partecipare alla gestione dei servizi relativi alla cura e alla valorizzazione del territorio. I soggetti amministrati possono diventare soggetti attivi nella cura dei beni comuni con il vantaggio per l'amministrazione locale di beneficiare di risorse, competenze ed esperienze di cui si fanno portatori i soggetti privati (C. conti, sez. contr. Emilia - Romagna, 23.3.2016 n. 27). Il «baratto» si connota, in termini generali, come contratto di scambio di «cosa contro cosa». Nel codice civile, viene qualificato come «permuta», avente per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o altri diritti. Nel diritto amministrativo, la permuta può avere ad oggetto anche lo scambio di servizi (v. art. 545 codice ord. mil.). Nel caso specifico del baratto amministrativo, non si ha uno scambio di cosa contro cosa, ma un meccanismo complesso in cui una prestazione di opere o di servizi (da parte di cittadini) viene remunerata non in denaro ma con una rinuncia totale o parziale ad un credito tributario dell'ente pubblico. Vi è dunque una datio in solutum, sia da parte dell'ente territoriale che dei cittadini. Il cittadino anziché pagare un debito tributario in denaro, lo assolve con una prestazione d'opera o di servizi. L'ente territoriale, anziché pagare in denaro un'opera o un servizio, porta in compensazione un proprio credito tributario (De Nictolis). Si tratta, all'evidenza, di uno strumento che può assolvere a due funzioni: una di tipo economico e una di tipo solidaristico. Sul versante economico, il baratto supplisce alla mancanza reciproca di risorse finanziarie, dell'ente pubblico che non ha liquidità per finanziare un contratto di appalto, del cittadino che non ha risorse per pagare il debito tributario. Sul versante solidaristico, il baratto amministrativo consente forme di «cittadinanza attiva», nella gestione e utilizzo dei «beni pubblici» intesi anche quali «beni comuni» fruibili da parte dell'intera collettività e in relazione ai quali vi è l'interesse di tutta la collettività al loro decoro, buono stato, fruibilità. Si evidenziano sotto tale profilo i ritorni di carattere sociale, culturale, politico della cittadinanza attiva in termini di consapevolezza del valore dei beni comuni, senso di appartenenza alla collettività, partecipazione attiva alla vita amministrativa dell'ente, inclusione sociale, effetti etici e pedagogici del contributo dei singoli cittadini, con la propria opera, alla pulizia, manutenzione, decoro, abbellimento dei beni comuni (De Nictolis). I beni comuni sono infatti possibile strumento del welfare urbano, nella prospettiva dello Stato sociale. Di cui però va delimitato e chiarito ambito e funzione, atteso che nella fisiologia dei principi di divisione del lavoro e delle funzioni degli enti territoriali, compete all'ente territoriale assolvere le funzioni di interesse della collettività rappresentata, reperendo le risorse attraverso la fiscalità generale. Tanto discende pure dalla previsione costituzionale del principio di sussidiarietà orizzontale, atteso che tale tipo di iniziative, secondo la Costituzione, va «favorito» dagli enti territoriali, ma si rimane pur sempre nell'ambito della «sussidiarietà» che non assurge mai ad una alternativa istituzionale e generalizzata, senza con questo volerne dare una lettura riduttiva di mera delega di funzioni pubbliche a soggetti privati, o circoscritta alla sola iniziativa privata non sollecitata dall'ente territoriale. L'istituto, pertanto, ha necessariamente una funzione residuale, un oggetto circoscritto, e riposa, comunque, su una scelta discrezionale e insindacabile dell'ente territoriale, che può (non deve) adottare una delibera in cui fissa criteri e condizioni del partenariato sociale (De Nictolis). Nel fissare tali criteri e condizioni, gli enti territoriali possono anche indicare le finalità perseguite, che possono essere di volontariato cittadino a titolo gratuito (nel qual caso si esula dal baratto amministrativo), di cittadinanza attiva in cambio di esenzioni/riduzioni tributarie, o più semplicemente di datio in solutum del debito tributario per nuclei familiari disagiati (tale più restrittiva finalità è prevista dal regolamento del Comune di Bari sul baratto amministrativo). Rapporti con altre figureLa figura del baratto amministrativo si differenzia da figure apparentemente analoghe, approfondite da acuta dottrina (De Nictolis). Anzitutto, nonostante la collocazione dell'art. 190 nella parte IV del Codice, nell'ambito del PPPC, non sembra che il baratto amministrativo sia assimilabile alle altre ipotesi di PPPC e che ad esso possa applicarsi la disciplina cornice dettata dall'art. 180. L'ultimo comma dell'art. 180, peraltro, pur menzionando i singoli PPPC nominatim, non menziona il baratto amministrativo. E d'altro canto, il baratto amministrativo è definito partenariato sociale, che sembra essere non una species del genus PPPC, ma un altro genere. Non vi è, nel partenariato sociale, a differenza del PPPC, il canone di gestione, il piano economico finanziario. Il PPPC è in genere uno strumento contrattuale finanziario complesso, a fronte della elementarità del «baratto» e della sua finalità di cittadinanza attiva per ragioni di utilità sociale. Non vi è, nel partenariato sociale, l'elemento lucrativo tipico del PPPC. I cittadini, singoli o associati, che assumono a proprio carico la cura o valorizzazione di beni comuni, lo fanno senza un fine di lucro e il beneficio che ne traggono in termini di esenzione o riduzione dei tributi dovuti, sembra dover essere equivalente e non superiore al valore dell'opera prestata. Il baratto amministrativo differisce dalla fattispecie dell'art. 20 del Codice, relativo all'opera pubblica realizzata a spese del privato, sotto un duplice profilo: ‒ dal punto di vista dell'oggetto, nell'art. 20 il privato realizza un'opera pubblica ex novo; dal baratto amministrativo esula la realizzazione ex novo di un'opera pubblica, ammettendosi al più la manutenzione, recupero, riuso, di opere già esistenti; ‒ dal punto di vista della controprestazione dell'ente pubblico: l'art. 20 prevede un contratto a titolo gratuito, con prestazioni solo a carico del privato; l'art. 190 contempla un contratto a prestazioni corrispettive, in cui il Comune assolve al proprio obbligo mediante una datio in solutum. Il baratto amministrativo presenta elementi comuni con le due ipotesi descritte nell'art. 189 e qualificati come «interventi di sussidiarietà orizzontale». Le ipotesi dell'art. 189 e dell'art. 190 presentano molti elementi comuni, oltre che differenziali, e rientrano nell'unico calderone degli interventi di sussidiarietà orizzontale. Verosimilmente si sarebbero potute collocare le ipotesi in un unico articolo e dare loro un'unica disciplina; la distinzione è frutto piuttosto di stratificazione normativa che di scelta consapevole e di ontologiche differenze. Sia nell'art. 189 che nell'art. 190 sono previste forme di collaborazione tra cittadini e ente territoriale, incentivate mediante benefici fiscali, e relative alla gestione o realizzazione di beni comuni. Nell'art. 189 sono previste due ipotesi più dettagliate e più strutturate sia in termini di complessità dell'intervento che di procedimento. Mentre nell'art. 190 sono contemplate ipotesi più variegate ma anche più semplici. Nella fattispecie dell'art. 189, comma 1, l'incentivo fiscale è eventuale, mentre nell'art. 190 è indefettibile. Nella fattispecie dell'art. 189, comma 1, si prevede una forma di manutenzione del verde urbano, riservata solo a cittadini residenti nel comprensorio in cui si trova l'area, e organizzati in un consorzio, laddove nell'art. 190 non c'è tale vincolo di vicinitas e non occorre l'organizzazione in consorzio. Nella seconda ipotesi prevista dall'art. 189, poi, si prevede che i cittadini possano presentare un progetto di un'opera pubblica di interesse sociale, laddove nell'art. 190 gli interventi riguardano sempre immobili già esistenti; inoltre, ancora una volta nell'art. 189 si riserva l'iniziativa solo a gruppi di cittadini, laddove il baratto è consentito anche a singoli cittadini. Al di là di tali differenze di dettaglio, anche l'art. 189 contempla fattispecie riconducibili a un baratto attraverso l'elemento del beneficio fiscale, e in entrambi i casi si è in presenza di un partenariato sociale nella logica della sussidiarietà orizzontale. In astratto, il baratto amministrativo può anche essere ricondotto al genus degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimenti, di cui all'art. 11, l. n. 241/1990. Senonché, essendovi una disciplina speciale nell'art. 190, l'art. 11, l. n. 241/1990, resta fuori gioco: anche perché nel caso del baratto, si tratta non di un rapporto bilaterale a soggetti predeterminati, destinatari di attività provvedimentale della P.A., ma si tratta di compiti propri dell'ente territoriale, che potrebbero essere svolti in house o più spesso scegliendo un privato mediante gara di appalto, e in cui si tratta di capire a che condizioni si può sostituire il procedimento di evidenza pubblica con un baratto (De Nictolis). Questioni applicative1) Il baratto amministrativo è un contratto incluso o un contratto escluso? Il Codice colloca il baratto amministrativo nella Parte IV tra le forme di PPPC. La dottrina s'è chiesta se il baratto amministrativo sia riconducibile alla definizione europea di appalto o concessione e se possa considerarsi un contratto incluso o escluso dalla disciplina europea (De Nictolis). Si è già osservato, nel paragrafo che precede, che si tratta di un partenariato sociale che in nulla sembra assomigliare al PPPC. Inoltre, manca nel baratto amministrativo la finalità lucrativa propria dell'appalto e della concessione, ancorché sia un contratto a prestazioni corrispettive: il cittadino non consegue un guadagno in senso proprio, ma solo una riduzione dei propri obblighi tributari in misura corrispondente al valore dell'opera o servizio prestato; non si tratta di un profitto in senso proprio, ma al più di una copertura dei costi. È dubbio, poi, che i cittadini, singoli o associati, che sono parti del baratto amministrativo, possano essere qualificati come «operatori economici» secondo la definizione europea. È operatore economico una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del d.lgs. n. 240/1991, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi (art. 3, lett. p), Codice). I «cittadini» che sono parti del baratto amministrativo, non sono soggetti che operano professionalmente e offrono sul mercato la realizzazione di opere o la prestazione di servizi. Anzi, come è stato osservato dalla Corte conti, anche a fini antielusivi, andrebbe precluso agli imprenditori di essere parti del contratto di baratto amministrativo. Se si accede alla tesi che i cittadini che sono parte contrattuale del baratto amministrativo non sono operatori economici, viene a mancare un elemento costitutivo essenziale della nozione europea di appalto e di concessione, che vede come controparte contrattuale necessaria un operatore economico (art. 3, lett. ii), uu), vv), Codice). E questo anche se, dal punto di vista oggettivo, le prestazioni che possono formare oggetto del baratto attengono a lavori o servizi afferenti a immobili degli enti territoriali, che rientrano pertanto nelle tipologie oggetto dell'appalto o concessione secondo la nozione europea. Ci si chiede, a questo punto, se il baratto amministrativo possa essere qualificato come contratto incluso nell'ambito di applicazione del Codice, come sembrerebbe in virtù della sua precisa collocazione topografica all'interno del Codice medesimo, o non sia invece, sulla base di indici esegetici sostanziali, un contratto escluso. Il baratto amministrativo non sembra rientrare nella nozione europea di appalto o concessione (De Nictolis). Ne consegue che non rientra nell'ambito di applicazione delle direttive europee su appalti e concessioni, sempre che in concreto il baratto amministrativo si atteggi a un contratto tra un ente territoriale e singoli cittadini o associazioni di cittadini, che non operano ordinariamente sul mercato, per finalità sociali e senza un lucro per il contraente privato. Tuttavia, il Codice italiano dei contratti pubblici ha un ambito più esteso rispetto alle direttive europee, includendo una serie di fattispecie aventi nomi specifici, delle quali occorre di volta in volta verificare se siano o meno riconducibili alla nozione di appalto o concessione, e se soggiacciano a tutta la disciplina del Codice. Norme chiave sono l'art. 1 e l'art. 4 del Codice: l'art. 1 afferma che il Codice si applica ai contratti di appalto e concessione delle amministrazioni aggiudicatrici, nonché ad alcune ipotesi di appalto e concessione di soggetti privati. L'art. 4 menziona più in generale i «contratti» che hanno per oggetto lavori, servizi, forniture e i contratti attivi, esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione oggettiva del Codice. Mentre talune fattispecie, come la sponsorizzazione, o la finanza di progetto, o la locazione finanziaria di opere pubbliche, al di là del diverso nomen iuris, sono comunque species del contratto di appalto o concessione, lo stesso non sembra si possa dire per il baratto amministrativo, fintanto che la parte privata sia un cittadino che non possa qualificarsi operatore economico in senso proprio. In tale ipotesi si ha un contratto che ha per oggetto lavori o servizi, ma non un appalto o una concessione. A tale contratto non possono pertanto estendersi senz'altro tutte le disposizioni che presuppongono, esplicitamente o implicitamente, un appalto o una concessione. La soluzione esegetica che pare più corretta è quella di una disciplina minimale del baratto amministrativo, che deriva dalla combinazione dell'art. 190 del Codice, con i «principi» enunciati negli artt. 4 e 30, e con le regole per i «contratti» sotto soglia, disciplinati dall'art. 36 del Codice e con le regole in tema di requisiti generali, ex art. 80 del Codice, e progettazione (De Nictolis). Tale soluzione, coerente con il dato letterale, è quella preferibile anche in chiave logica, teleologica e costituzionalmente orientata: gli istituti di cittadinanza attiva, avuto riguardo alla platea non professionale dei protagonisti, richiedono forme e procedure elementari; complessità di forme e procedure sortirebbero l'effetto di vanificare ogni iniziativa solidaristica. Probabilmente non è stata una scelta felice l'aver incluso il baratto amministrativo nel Codice dei contratti pubblici. Il mantenimento in una fonte separata avrebbe assicurato una maggiore flessibilità di disciplina, slegandolo dall'osservanza di regole del Codice dei contratti pubblici (De Nictolis). 2) A chi compete l'iniziativa del baratto? Vero è che la formulazione normativa dell'art. 190 è estremamente generica e laddove afferma che il partenariato sociale si declina «sulla base di progetti presentati dai cittadini», si presta a una duplice lettura: a) iniziativa dei cittadini; b) gara indetta dall'ente territoriale e riservata a progetti dei cittadini. La seconda lettura semplificherebbe l'individuazione delle procedure di gara, in quanto l'ente potrebbe scegliere una delle procedure previste dal Codice; ma porrebbe altri tipi di problemi, anche di compatibilità europea, inerenti ai limiti entro cui l'ente territoriale può seguire una procedura «riservata» a determinate categorie soggettive. In ogni caso, l'art. 190 non si presta ad essere letto nel senso che l'iniziativa del partenariato sociale sia riservata in via esclusiva all'ente territoriale (De Nictolis). 3) Quali sono le criticità evidenziate nella prima prassi applicativa? Una indagine sulle criticità operative è stata condotta sui patti di collaborazione stipulati dal Comune di Bologna nell'arco di due anni e mezzo, mediante analisi di 280 patti, diramazione di un questionario, esame delle tipologie soggettive di cittadini e oggettive di interventi, della misura del contributo economico comunale (De Nictolis). Il baratto presenta criticità in parte normative e in parte pratiche: ‒ sul piano normativo, l'istituto ha contorni vaghi e potrebbe perciò prestarsi a tentazioni di uso elusivo sia delle regole di evidenza pubblica che dei vincoli di finanza pubblica: tentazioni in cui gli enti locali non devono cadere, pena il fallimento di un istituto nato con buone intenzioni; ‒ sul piano pratico, la finalità ambiziosa di una cittadinanza attiva che partecipa alla gestione dei beni comuni, si scontra con le difficoltà che i singoli cittadini, non organizzati e senza un impulso adeguato, incontrano nell'assumere il ruolo di gestori e manutentori dei beni comuni. Tali difficoltà possono essere superate solo mediante un ruolo attivo e propulsivo degli enti territoriali, che dovranno saper cogliere le opportunità che tale strumento offre. Mediante un impegno serio nella costruzione e applicazione del regolamento sul baratto, delimitandone l'ambito e l'applicazione rispetto all'appalto e alla concessione e dedicando una apposita struttura organizzativa, dotata di adeguate risorse umane e strumentali, alla cooperazione con i cittadini. Ovvero, mediante adeguate forme di incentivazione, ma si potranno studiare anche altre forme di persuasione dei cittadini, con lo strumentario del nudging «la spinta gentile» (Thaler, Sunstein). BibliografiaDenictolis, Il baratto amministrativo (o partenariato sociale), in Sito isttiuzionale deòla giustizia amministrativa; Falsitta, Natura e funzione dell'imposta, con speciale riguardo al fondamento della sua «indisponibilità», in La Rosa (cur.), Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, Milano, 2008; Michiara, I patti di collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. L'esperienza del Comune di Bologna, in Aedon (rivista di arti e diritto on line), n. 2/2016; Musolino, Il «baratto amministrativo» nel nuovo codice dei contratti pubblici: le pubbliche amministrazioni alla prova del partenariato civico (commento al d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50), in Riv. trim. app., 2016; Pula, Il baratto amministrativo: profili giuslavoristici, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2017. H. Thaler, C. R. Sunstein, Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth and Happiness, 2009; versione italiana: La spinta gentile - La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, Feltrinelli, 2014; Villamena, «Baratto amministrativo»: prime osservazioni, in Riv. giur. edil., 2016. |