Riforma Cartabia. Estinzione del reato e improcedibilità dell’azione: questioni controverse

31 Dicembre 2021

Con la l. n. 134 del 2021 è stata approvata la c.d. legge Cartabia di riforma, fra l'altro, del codice di procedura penale. Al di là di alcune previsioni di dettaglio, il nocciolo duro della riforma è costituito dalle modifiche alla disciplina dell'art. 161-bis c.p. e dell'art. 344-bis c.p.p....
Premessa

Con la l. n. 134 del 2021 è stata approvata la c.d. legge Cartabia di riforma, fra l'altro, del codice di procedura penale. La legge si compone di due parti: la prima contiene la delega per la riforma, ancorché parziale, seppur ampia, del processo penale, la seconda, oltre ad altre norme, riguarda la disciplina della prescrizione e della improcedibilità ed è immediatamente operativa (seppur differita nel tempo al maturarsi delle condizioni temporali).

Al di là di alcune previsioni di dettaglio, il nocciolo duro della riforma è costituito dalle modifiche alla disciplina dell'art. 161-bis c.p. e dell'art. 344-bis c.p.p.: con la prima previsione cessa il decorso della prescrizione con la sentenza di primo grado; con la seconda si cadenzano i tempi dei giudizi di impugnazione ordinari, con effetti di improcedibilità dell'azione penale in caso di loro superamento (con una molteplicità di scansioni in relazione alla gravità dei reati).

Inevitabilmente una così significativa modifica normativa e strutturale non può non prospettare questioni interpretative e applicative, sulle quali si stanno confrontando, con esiti diversi, gli operatori di giustizia.

Il relativo panorama di operatività della citata previsione è piuttosto ampio, stante una certa improvvisazione nella formulazione dei dati normativi. Tuttavia, alcuni dubbi interpretativi si prospettano nodali e fortemente significativi, anche per la loro forte incidenza nelle vicende processuali quantitativamente più numerose.

La retroattività dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione

Un primo profilo problematico riguarda la questione della retroattività della nuova previsione (art. 344-bis c.p.p.) ai reati commessi antecedentemente al 1° gennaio 2020, considerato che l'art. 2 della legge n. 134 del 2020 fissa in questa data l'operatività delle nuove previsioni.

Al riguardo, superando le tesi che vorrebbero fare riferimento alla natura processuale, con effetti sostanziali e conseguente possibile retroattività della norma, in alternativa alla norma processuale e quindi governata dal principio del tempus regit actum, appare maggiormente sostenibile la tesi della inoperatività della previsione di reati commessi prima del 1° gennaio 2020 in considerazione oltre che della ratio e funzionalità della nuova disciplina, della incompatibilità strutturale dei due rimedi che, se per un verso, non consentono di far correre la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, non consentono di far operare l'improcedibilità prima di questa previsione. Di recente la VII sezione della Cassazione ha dichiarato è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 comma 3 l. n. 134/2021, in relazione agli artt. 3, 25 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che le disposizioni relative al nuovo istituto si applichino ai soli procedimenti di impugnazione aventi ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020, in quanto la previsione di un regime transitorio è funzionale all'esigenza di coordinamento con la riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di sospensione del termine di prescrizione nei giudizi di impugnazione, anch'essa applicabile ai reati commessi dal 1° gennaio 2020 ed essendo ragionevole la graduale introduzione dell'istituto per consentire un'adeguata organizzazione degli uffici giudiziari (Cass. sez. VII, 19 novembre 2021, n. 43883). L'opzione pare pienamente condivisibile: in altri termini, i “due orologi” sono complementari in successione e non in parallelo (v. SPANGHER, I due orologi. Il tempo del reato ed il tempo del processo: breve storia). Si tratta di un meccanismo integrato che altera profondamente l'originario impianto decisionale rappresentato dall'art. 129 c.p.p. la cui operatività, quanto al comma 2 pare, d'ora in avanti, interdetta dopo il primo grado.

Coerentemente con il rinnovato impianto strutturale – ricondotto cronologicamente ad unità (1° gennaio 2020) - il legislatore ha dovuto introdurre una specifica previsione in punto di tutela degli interessi civili, differenziando le conseguenze della prescrizione (non più prospettabile in appello) da quello nuovo della improcedibilità (art. 578 comma 1-bis c.p.p.).

Proscioglimento e causa di improcedibilità

Come anticipato, una ulteriore questione affrontata dagli interpreti riguarda la possibilità di applicare alla declaratoria di improcedibilità di cui al comma 2 dell'art. 129 c.p.p., cioè la possibilità, prevista per la prescrizione, di consentire il proscioglimento anche in presenza della causa di improcedibilità.

A legislazione invariata (fatta salvo, cioè, l'intervento futuro del legislatore sul punto) deve escludersi questa possibilità, sia perché non prevista dalla citata norma che fa riferimento solo all'estinzione del reato, ma anche perché esclusa proprio per gli effetti che conseguono alla declaratoria di improcedibilità che non consente ogni tipo di pronuncia. Non casualmente, infatti, neppure una diversa questione di improcedibilità (mancanza di querela) non solo non è richiamata dall'art. 129 cpv. c.p.p., dopo essere stata prevista nel comma 1 della stessa previsione, ma trova ulteriore riscontro negativo in quanto previsto dall'art. 469 c.p.p.

Inoltre, un eventuale riconoscimento di questa possibilità innesterebbe effetti distanti: da un lato, l'immagine negativa per chi non avesse ottenuto il proscioglimento; dall'altro, la ricorribilità per cassazione di chi avendo chiesto la pronuncia, questa non fosse stata decisa dal giudice (nonché, in ogni caso, in termini di difetto di motivazione).

Il regime transitorio

Il terzo profilo oggetto di confronto riguarda il regime transitorio di cui ai commi 3, 4 e 5 del citato art. 2 della l. n. 134 del 2021. Dopo aver indicato nel più volte citato termine del 1° gennaio 2020 quello di decorrenza della riforma, il legislatore individua diversi momenti per la definizione dei procedimenti prima dell'entrata a regime della stessa.

Nel caso in cui gli atti siano già pervenuti ai giudici d'appello o a quelli di Cassazione, il termine è di due anni per l'appello e di un anno per il giudizio di cassazione, decorrenti dalla data di entrata in vigore della riforma (19 ottobre 2021). Per le impugnazioni effettuate entro il 31 dicembre 2024 i tempi sono più lunghi.

La particolare brevità del primo termine, rispetto a quello più lungo, ha posto una questione interpretativa legata al rapporto tra le due previsioni.

Per un verso, pur ritenendo che, invero, sia mancato un coordinamento delle due previsioni, per un verso si ritiene possibile interpretare congiuntamente le due disposizioni, consentendo comunque anche per la prima situazione i tempi più lunghi, trattandosi comunque di impugnazioni effettuate entro il 31 dicembre 2024; per un altro, si reputa che le due previsioni – sicuramente effetto di una stratificazione normativa non coerente – disciplinino situazioni diverse, giustificate anche dal fatto che nel primo caso non avrebbe senso la presenza di tempi più lunghi essendo gli atti ormai nella disponibilità dei giudici delle impugnazioni. Invero, quest'ultima soluzione appare preferibile anche perché confortata dalla lettera della legge. Per superare le difficoltà che alcune sedi, soprattutto in appello, potrebbero avere per smaltire in tempi brevi la pendenza si è pensato di utilizzare l'istituto delle proroghe di cui al comma 2 dell'art. 344-bis c.p.p. Anche questa ipotesi ricostruttiva tuttavia non trova un sicuro aggancio normativo.

Inammissibilità dell'impugnazione e declaratoria di improcedibilità

Il profilo che sta sollevando le maggiori criticità è quello relativo al rapporto tra inammissibilità dell'impugnazione e declaratoria di improcedibilità.

Si tratta di una questione di notevole rilievo in considerazione del fatto che la prevalenza dell'inammissibilità determinerebbe la irrevocabilità della decisione impugnata, mentre la improcedibilità fa venir meno ogni decisione.

L'orientamento favorevole alla prevalenza dell'inammissibilità (v., ancora, ord. Cass. sez. VII, 19 novembre 2021, n. 43883) si rifà, oltre al fatto logico della mancanza di potere del giudice del giudizio di impugnazione, soprattutto alla giurisprudenza delle Sezioni Unite sul rapporto tra inammissibilità ed estinzione del reato che, com'è noto, ha visto progressivamente la Cassazione ritenere che per qualsiasi causa di inammissibilità (anche nel caso di motivo manifestamente infondato) non poteva essere riconosciuta la prescrizione (anzi, la Cassazione ha proprio utilizzato l'inammissibilità in funzione sterilizzante).

Quest'ultimo elemento non appare convincente in quanto omologa due situazioni (estinzione e improcedibilità) che – come detto – sono alternative.

Inoltre, nel caso dell'estinzione, il giudice d'appello conserva alcuni poteri (artt. 129, 578, 622 c.p.p. ed il giudizio sulla responsabilità degli enti) che sono preclusi al giudice dell'improcedibilità, di cui pertanto appare corretto impedire l'esercizio a fronte di una non corretta iniziativa processuale.

L'opinione contraria fa leva soprattutto sulla considerazione che l'improcedibilità si configura come una conseguenza dell'esaurimento del tempo assegnato dal legislatore al giudice, al cui spirare gli è preclusa ogni decisione, senza che ai sensi dell'art. 344-bis c.p.p. rilevi il tempo dell'impugnazione, configurandosi il dies a quo come un dato automatico che prescinde dai tempi dell'iniziativa di parte. Si prospettano infatti questioni in ordine alle iniziative, anticipate ed a quelle tardive, all'arrivo degli atti prima del decorso totale del tempo, nonché dopo il suo spirare.

Invero, cercando di ricostruire il sistema non sembra del tutto infondato rifarsi a quanto previsto dall'art. 648 c.p.p., riconoscendo che nel caso di impugnazione fuori termine che determina il passaggio in giudicato della decisione questo elemento sia prevalente rispetto alla improcedibilità.

Due ulteriori elementi non andrebbero trascurati: da un lato, non tutte le ragioni di inammissibilità sono formali, alcune richiedendo una verifica nel merito; dall'altro, l'ordinanza di inammissibilità è impugnabile e conseguentemente sarebbe necessario considerarne i relativi sviluppi in relazione sia alle decisioni possibili, sia ai tempi delle stesse e dei loro seguiti. Si tratta di un profilo sul quale forse non è inopportuno continuare a riflettere.

Dubbi di legittimità costituzionale

La decisione di improcedibilità si presta anche a qualche riserva sotto il profilo della sua legittimità costituzionale.

Invero, non può non considerarsi che a seguito del decorso del tempo il giudice del gravame non può emettere una decisione di merito.

Ora senza considerare i profili di legittimità costituzionale legati alla ragionevolezza dei tempi, sia in se considerati in relazione alla proporzionalità degli stessi relativamente alle diverse fattispecie considerate, sia agli aspetti relativi alle proroghe possibili, ai loro presupposti, in punto di tassatività, sia con riferimento alla legittimazione a disporla, sia in relazione ai poteri delle parti, il punto nodale risiede proprio nella considerazione che a fronte del decorso del tempo viene meno la funzione decisoria.

Questo dato che per alcuni autori incide sull'obbligatorietà dell'azione penale, probabilmente in modo di pregnante incide sulla funzione giurisdizionale (art. 101 Cost.) sotto il profilo della effettività (come richiesto dalla Cedu e dal Trattato dell'Unione europea) nonché sul diritto delle parti ad ottenere una decisione in relazione alle posizioni di cui sono titolari (art. 24 Cost.).

Si tratta, com'è facile ritenere, di ragioni di forte impatto che si devono misurare con i valori costituzionali della durata ragionevole e del giusto processo sui quali riposerebbe, per una parte della dottrina, la nuova scelta normativa nel pieno rispetto del soggetto sottoposto a processo (art. 111 cost.), secondo altri tali garanzie potrebbero trovare adeguata attuazione– come in altri Paesi (v. Germania) – attraverso un equilibrato contemperamento e con differenziazioni che tengano conto di tempi e di posizioni soggettive.

In conclusione

Le questioni sin qui indicate non esauriscono i profili problematici della nuova decisione di improcedibilità. Senza pretesa di completezza si può fare riferimento agli effetti del decorso del tempo nel caso di giudizio di rinvio con annullamento parziale, probabilmente destinato a far cadere il giudicato sulla responsabilità; alla implicazione sulle impugnazioni della parte civile per i soli interessi civili; all'applicabilità o meno alle impugnazioni straordinarie; ai tempi connessi in caso di ricorso contro la decisione di inammissibilità; al tempo del giudizio di appello in caso di conversione del ricorso del pubblico ministero; all'operatività dell'improcedibilità al giudizio sulla responsabilità degli enti, ammessa ai sensi degli artt. 34, 35 e 37 del d.lgs. n. 231/2001 e più dubbia alla luce dell'art. 8 dello stesso testo; ai tempi di definizione in caso di plurimi annullamenti e regressioni. Solo per citare alcune delle situazioni più significative.

Atteso che il processo è un meccanismo sofisticato, che bisogna trattare con particolare attenzione, è il caso, per concludere, che il legislatore intervenga quanto prima sui delineati e sintetici aspetti delineati, onde assicurare la loro uniforme risoluzione.

Guida all'approfondimento

M. DONINI: Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Pol. Dir.,4, 2021, 591.

A. MARANDOLA, Gli incerti orizzonti dell'improcedibilità per decorrenza dei termini “ragionevoli” nei giudizi d'impugnazione, in a cura di B. Romano A. Marandola, La Riforma Cartabia. La prescrizione, l'improcedibilità e le altre norme immediatamente precettive Pisa, 2021, pp. 55 e ss.

O. MAZZA, La riforma dei due orologi: la prescrizione fra miti populisti e realtà costituzionale, in www.Sistemapenale.it, 21 gennaio 2020, 1 e segg.

Id., A Midsummer Night's Dream: la riforma Cartabia del processo penale (o della sola prescrizione?), in Arch. Pen., 2021, 2, 1 ss.

G. SPANGHER, Art. 344-bis c.p.p.: questioni di incostituzionalità e criticità applicative, in Giust. Insieme, 2 dicembre 2021;

id, Irretroattività e regime transitorio della declaratoria d'improcedibilità (l. n. 134 del 2021) in Giust. Insieme, 22 novembre 2021.

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