Mancato rilascio dell'immobile concesso in comodato ad uso abitativo alla scadenza del termine

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

Il contratto di comodato di durata determinata

Il contratto di comodato è il contratto con il quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il codice civile prevede due forme di comodato, quello con una durata determinata ( art. 1803 c.c. ) e quello c.d. precario (art. 1810 c.c.). Il primo riguarda il comodato che sorge con la consegna della cosa per un tempo predefinito o per un uso che consente di stabilirlo. L'obbligo di restituzione sorge soltanto alla scadenza del termine oppure quando il comodatario se ne sia servito in conformità del contratto, salva la facoltà del comodante di richiedere la restituzione immediata dell'immobile nel caso in cui sopravvenga un suo urgente ed imprevisto bisogno. Scaduto il termine di durata del comodato, qualora l'immobile non venga volontariamente rilasciato dal comodatario, il proprietario può agire giudizialmente nei confronti dell'occupante (con ricorso ex art. 447-bis c.p.c.) per fare valere il suo diritto a riottenere la piena disponibile del bene concesso in uso.

Il contratto di comodato precario

Il comodato precario è, invece, quello senza determinazione di durata ed è disciplinato dall' art. 1810 c.c. , in applicazione del quale quando il termine di restituzione non è stato convenuto dalle parti e non può desumersi dall'uso cui il bene deve essere destinato, il comodatario, prescindendo da giusti motivi del comodante, è tenuto a restituire il bene stesso non appena quest'ultimo gliene faccia richiesta. Esso è caratterizzato da una libera facoltà di recesso unilaterale del rapporto riconosciuta in capo al comodante. Se manca l'indicazione del termine finale, questo può, quindi, desumersi dall'uso per cui l'immobile è stato concesso in comodato, circostanza quest'ultima apparentemente innocua, ma che assume importante rilievo se si considera che, ad esempio, è ormai fermo il principio per cui, nella previsione di destinazione dell'immobile ad abitazione familiare, la determinazione della durata della concessione va rapportata a tale uso.

Differenza tra comodato e locazione

Il contratto di comodato è, dunque, un contratto reale ad effetti obbligatori ( art. 1376 c.c. ) ed a forma libera (art. 1325 c.c.). Si tratta di un contratto unilaterale, cioè con obbligazioni a carico di una sola parte (art. 1333 c.c.), che trova in genere la sua causa nei rapporti di cortesia e di fiducia esistente tra le parti o nella volontà di sopperire all'altrui esigenza temporanea. Il contratto di comodato è essenzialmente gratuito. La causa del contratto è individuata nella concessione in godimento senza corrispettivo e va distinta dai motivi che possono riguardare il comodante o il comodatario, come legami affettivi, riconoscenza, solidarietà, i quali restano irrilevanti (Cass. III, n. 8548/2008). Tale caratteristica distingue il comodato dalla locazione: il comodato è essenzialmente gratuito, l'assenza di corrispettivo è elemento decisivo della causa e diviene determinativo della ricostruzione della fattispecie. Anzi, la rinuncia a percepire il canone da parte del locatore trasforma automaticamente il conduttore in comodatario. Attraverso il contratto d'uso gratuito, il comodatario diventa quindi titolare di un diritto personale di godimento dell'immobile ma non ne ha alcun diritto di proprietà. Egli, infatti, può godere dell'immobile ed utilizzarlo gratuitamente fin quando lo prevede il contratto o la parola del comodante se in forma verbale. In ogni caso, non può cedere il diritto a terzi, a meno che non vi sia il parere favorevole del comodante che, in difetto, può richiedere immediatamente la restituzione dell'immobile. Per il contratto di comodato non è richiesta la forma scritta, con conseguente possibilità di conclusione a seguito di un comportamento concludente. La consegna del bene, richiesta per il perfezionamento del contratto in questione, attesa la natura reale, non deve necessariamente essere eseguita in forma solenne o nella sua materialità, potendo anche consistere nel semplice mutamento del titolo della pregressa detenzione, ove quest'ultima faccia già capo al comodatario (Trib. Piacenza 17 marzo 2021, n. 132).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
A seguito di formale richiesta, se il comodatario non rilascia l'immobile ad uso abitativo alla scadenza del termine, il comodante può chiedere giudizialmente la restituzione dell'immobile?

Contratto di comodato senza determinazione di durata e privo della forma scritta

Nessuna norma prevede per il contratto di comodato immobiliare la necessità della forma scritta; né essa può essere affermata per analogia con quanto stabilito a proposito di altri contratti aventi diversa natura. Nel caso in esame, parte ricorrente aveva concesso l'immobile gratuitamente a parte resistente, per un breve periodo di tempo, e che lo stesso, alla richiesta di restituzione da parte ricorrente non aveva adempiuto. Pertanto ai fini della prova è sufficiente che l'attore in restituzione dimostri che avendo la disponibilità materiale della cosa stessa, l'abbia consegnata ad altri a titolo gratuito affinché se ne servisse per un uso determinato, con l'obbligo di custodirla con la diligenza del buon padre di famiglia e di restituirla alla scadenza del contratto ovvero a sua richiesta. Dedotta, inoltre, l'esistenza di un contratto di comodato senza determinazione di durata, quale titolo giustificativo della detenzione di un bene immobile da parte del contenuto, se quest'ultimo contesta il diritto di proprietà del richiedente è tenuto a fornire la prova di tale diverso rapporto volto ad impedire l'accoglimento della domanda di rilascio del bene (Trib. Roma 22 giugno 2022, n. 10108).

In tema di comodato precario, il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante gliela richieda

In riferimento al contratto di comodato, il termine finale può, ai sensi dell'art. 1810 c.c., risultare dall'uso cui la cosa deve essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo. In mancanza di tale destinazione, invece, l'uso del bene viene a qualificarsi a tempo indeterminato, sicché il comodato deve intendersi a titolo precario e, perciò, revocabile ad nutum da parte del proprietario. All'uopo, si rileva come non possa desumersi la determinazione della durata del comodato dalla destinazione abitativa cui per sua natura è adibito un immobile, in difetto di espressa convenzione sul punto, derivando da tale destinazione soltanto l'indicazione di un uso indeterminato e continuativo, inidoneo a sorreggere un termine finale (Trib. Taranto 26 settembre 2018, n. 2388: nella fattispecie, il proprietario dell'immobile oggetto di causa aveva concesso lo stesso in comodato senza termine finale e in più occasioni aveva comunicato al comodatario la volontà di far cessare il rapporto; conseguentemente, in assenza di contestazioni da parte del convenuto, si riteneva che quest'ultimo dovesse rilasciare immediatamente l'immobile occupato, perché non aveva titolo per detenerlo). Tale figura contrattuale, prevista dal citato articolo sotto la dizione “comodato senza determinazione di durata”, non vale ad annullare l'essenzialità del termine del contratto, ma mira a sottolineare soltanto che, in simile ipotesi, il termine possa essere determinato da uno solo dei contraenti mediante l'esecuzione del recesso, evitando in tal modo che il rapporto possa protrarsi all'infinito (Trib. Roma 6 marzo 2017, n. 4537). Pertanto, in tema di comodato precario, il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante gliela richieda, ai sensi dell'art. 1810 c.c. Tuttavia, in ogni caso in cui il giudice disponga lo scioglimento del contratto che ha legittimato l'occupazione dell'immobile ad uso abitativo, viene riconosciuto all'occupante congruo termine per il rilascio dello stesso e per reperire altra idonea sistemazione abitativa (Trib. La Spezia 16 novembre 2020, n. 548).

Detentore sine titulo e quindi abusivo del bene altrui

In mancanza di particolari prescrizioni sulla durata, ovvero di elementi certi ed oggettivi che consentano ab origine di prestabilirla, l'uso corrispondente alla generica destinazione dell'immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario e, dunque, revocabile ad nutum da parte del comodante, a norma dell'art. 1810 c.c. La figura del “precario” o del “comodato precario” (ex art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare ad nutum mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l'immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore sine titulo e quindi abusivo del bene altrui (Trib. Termini Imerese 17 gennaio 2024 n. 75).

Le parti possono far dipendere la cessazione della durata da un determinato evento futuro purché certo nel suo verificarsi

La cessazione del comodato precario non può essere subordinata a un evento futuro che sia incerto anche nel suo verificarsi, perché in tal modo si protrarrebbe indefinitamente la durata del rapporto, in contrasto, oltre che con i princìpi generali in tema di contratto di durata senza prefissione di un termine (per i quali è normalmente previsto il recesso ad nutum), con la disciplina dettata dall'art. 1810 c.c., e con il carattere di gratuità del contratto, che non si concilia con un illimitato sacrificio del comodante. Di conseguenza, le parti possono far dipendere la cessazione della durata del contratto di comodato da un determinato evento futuro, purché si tratti di un evento che sia certo nel suo verificarsi (Cass. III, n. 1172/2019).

Orientamento prevalente

Le condizioni per la restituzione della casa familiare oggetto di comodato

Ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto – e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato – ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire di un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante (Cass. S.U., n. 20448/2014: il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare; ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., sorge per un uso determinato ed ha, in assenza di un'espressa indicazione della scadenza, una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari – nella specie, relative a figli minori – che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile).

La richiesta dell'immobile per una necessità sopravvenuta, urgente ed imprevista del comodante

È caratterizzato comunque dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione del bene, oltre che alla scadenza pattuita, anche in via immediata, in presenza però di una sua necessità sopravvenuta, urgente ed imprevista (Cass. III, n. 21785/2019; Cass. III, n. 3553/2017; Trib. Nola 25 settembre 2019, n. 1962).

La portata del bisogno non deve essere grave, ma certamente concreto e serio. Deve, dunque, trattarsi di un motivo che obbiettivamente giustifichi la restituzione e, come tale, non voluttuario e né capriccioso o artificiosamente indotto e, soprattutto, imminente, restando così esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. In tal senso è stato affermato che il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene deve essere imprevisto e dunque sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato, oltre che urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili (Cass. III, n. 20448/2014).

Il comodato non dà luogo al possesso ad usucapionem

Il comodato precario di immobile dà luogo alla detenzione dell'immobile e non al possesso ad usucapionem in favore del comodatario con la conseguenza che se quest'ultimo si oppone alla richiesta di risoluzione del contratto di comodato sostenendo di aver usucapito il bene deve provare l'intervenuta interversione del possesso e non solo il mero potere di fatto sull'immobile. Detta interversione non può aver luogo mediante semplice atto di volizione interna ma deve estrinsecarsi in attività materiali in opposizione al proprietario concedente vale a dire in una manifestazione esteriore dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio con correlata sostituzione all'animus detinendi dell'animus rem sibi habendi (Trib. Piacenza 19 giugno 2019, n. 384).

La mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all'obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario. Infatti, la semplice inerzia e la mancata restituzione dell'appartamento non possono considerarsi attività tali da manifestare in modo inequivocabile al proprietario l'intenzione di cambiare l'animus detinendi in animus possidendi (App. Brescia 23 ottobre 2023, n. 1590: nella specie, la Corte territoriale ha condiviso la conclusione raggiunta dal Tribunale secondo la quale non vi era mai stata alcuna interversione del possesso, dalla quale poteva decorrere il termine ventennale utile al compimento dell'usucapione del diritto di proprietà sul bene).

Il comodatario può stipulare un valido il contratto di locazione

Non solo il proprietario o il possessore, bensì chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, e quindi anche il comodatario, il quale ne ha la detenzione qualificata, può, salvo che non vi ostino specifiche previsioni pattizie, concedere il bene in locazione o costituirvi altro rapporto obbligatorio, ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione allorché il rapporto giunga a compimento. L'unica “condizione” che il comodatario, che voglia concedere a terzi il godimento dell'immobile in comodato, deve rispettare è data dall'ottenimento del preventivo consenso del comodante ex art. 1804, comma 2, c.c. (Trib. Velletri 22 febbraio 2022, n. 406): nella specie, detta condizione era sussistente e rispettata per effetto della clausola già inserita, a monte, nel contratto di comodato stesso che autorizzava espressamente e in via preventiva la comodataria a locare il bene a terzi, senza che fosse necessaria alcuna, ulteriore manifestazione di consenso da parte della comodante).

3. Azioni processuali

Tutela stragiudiziale

Il comodante, alla scadenza del contratto di comodato registrato, chiede al comodatario l'immediata restituzione della res, avvisandolo che, in difetto, decorso il termine di 15 giorni concesso con la diffida comunicata al medesimo occupante sine titulo ex art. 1454 c.c. provvederà ad instaurare il relativo giudizio ex art. 447-bis c.p.c. con aggravio di costi e tempo.

Funzione e natura del giudizio

L'azione del comodante finalizzata a conseguire dal comodatario la restituzione della res alla scadenza del contratto, è un ordinario giudizio di cognizione instaurato in forma di ricorso ex art. 447-bis c.p.c.

Aspetti preliminari

Mediazione

L'azione ordinaria proponibile dal comodante ai sensi dell' art. 447-bis c.p.c. nei confronti del comodatario per conseguire la restituzione della res immobile richiede per la sua immediata esperibilità la preventiva instaurazione di un autonomo procedimento di mediazione, la cui osservanza è prevista obbligatoriamente ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 in materia di comodato prima di avviare un giudizio a cognizione piena.

Competenza

Ai sensi degli artt. 21 e 447-bis c.p.c. per le cause in materia di comodato, è competente il giudice del luogo dove è posto l'immobile (forum rei sitae). Ai sensi dell'art. 447-bis, comma 2, c.p.c. sono nulle le clausole di deroga alla competenza.

Legittimazione

Il comodante è il soggetto legittimato attivo nell'instaurare il giudizio ex art. 447-bis c.p.c. per conseguire la restituzione della res dal comodatario e quest'ultimo è invece il soggetto legittimato passivo.

Profili di merito

Onere della prova

L'onere di allegare i presupposti per attivare il procedimento ex art. 447-bis c.p.c. al fine di ottenere la restituzione della res immobile nei confronti del comodatario grava sul comodante.

Contenuto del ricorso

L'azione si propone con ricorso, nel quale il comodante deve indicare l'autorità competente dinanzi alla quale intende chiamare in giudizio il comodatario, unitamente alle sue generalità ed a quelle del proprio difensore, il quale dovrà avere cura di indicare la propria pec ed il numero di fax per la ricezione delle relative comunicazioni.

Inoltre, il comodante deve anche eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede lo stesso giudice adìto.

Nell'atto devono essere indicate le esatte generalità del comodatario e la precisa ubicazione dell'immobile con i relativi identificativi catastali, avendo cura di riportare nella narrazione del fatto, le ragioni addotte rispettivamente a fondamento della causa petendi e del petitum richiesto, anche in via mediata, e delle richieste formulate nelle conclusioni dell'atto – azione di restituzione della res immobile a suo tempo concessa in comodato ad uso abitativo per l'intervenuta scadenza del termine ed il correlato inadempimento del comodatario nella restituzione – con la correlata documentazione probatoria che intende offrire a corredo della domanda.

Al riguardo, trattandosi di ricorso, occorre indicare sùbito, a pena di decadenza, tutte le prove che si intendono sottoporre all'attenzione del giudice, come ad esempio l'interrogatorio formale del comodatario e le esatte generalità degli eventuali testimoni che si intendono ascoltare sulle posizioni “fattuali” dell'atto introduttivo della controversia, che dunque devono già essere opportunamente “capitolate” oltre a tutta la relativa documentazione probatoria (contratto di comodato, lettera di contestazione dell'inadempimento del comodatario nella restituzione della res, verbale del procedimento di mediazione conclusosi negativamente). Ciò non toglie però che, nella narrazione del “fatto”, occorre opportunamente soffermarsi sulla concreta posizione assunta nella vicenda dal comodatario, laddove il medesimo, responsabile della violazione ascrittagli nel contratto riguardante l'inosservanza dei relativi obblighi, tra cui quello di restituire la res al temine del rapporto di comodato ad uso abitativo, abbia continuato a rimanere inerte, nonostante la tempestiva conoscenza della relativa contestazione, comprovata dalla precedente corrispondenza intercorsa o da un'eventuale diffida ricevuta dal comodante al fine di attivarsi per porre rimedio alla situazione creatasi in suo danno, potendo risultare utile ai sensi dell'art. 116 c.p.c., sul piano della valutazione del relativo comportamento laddove risulti inserito in un contesto fattuale idoneo a farlo ritenere come gravemente inadempiente, anche all'esito del precedente procedimento di mediazione avviato dallo stesso comodante nei confronti del medesimo soggetto responsabile.

Il ricorso deve, quindi, essere sottoscritto dal difensore su atto separato contenente la procura alla lite, sottoscritta dalla parte rappresentata dal medesimo difensore ed autenticata da quest'ultimo.

Richieste istruttorie

L'onere di chiedere l'interrogatorio formale del comodatario sui fatti oggetto di contestazione riguardanti le circostanze fattuali ritenute idonee a configurare il grave inadempimento ai propri obblighi contrattuali – nel caso di specie, conseguente all'omessa restituzione della res al termine del rapporto contrattuale – grava sul comodante, il quale adempie al suddetto onere allegando la fonte negoziale del proprio diritto – copia del contratto di comodato ad uso abitativo al cui interno sia prevista la data di scadenza – spettando al comodatario l'onere di allegare la prova contraria.

4. Conclusioni

Nel comodato, solo nel caso di cui all' art. 1810 c.c. , connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dall'impossibilità di desumerlo dall'uso cui doveva essere destinata la cosa, è consentito al comodante di richiederne ad nutum il rilascio al comodatario.

L' art. 1809 c.c. concerne, invece, il caso del comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale. Esso è, dunque, caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata della res solo in caso di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno, e sul quale grava anche il correlato onere sul piano probatorio, atteso che il termine finale del comodato, in tanto può, a norma dell'art. 1810 c.c., risultare dall'uso cui la cosa doveva essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo, mentre in mancanza di particolari prescrizioni di durata, in mancanza cioè di elementi certi ed oggettivi che consentano ab origine di prestabilirne la durata, l'uso corrispondente alla generica destinazione dell'immobile si configura come indeterminato e continuativo, come tale inidoneo a sorreggere un termine finale, con la conseguenza che, in tali ipotesi, la concessione deve intendersi a tempo parimenti indeterminato e cioè a titolo precario, onde la revocabilità ad nutum da parte del comodante, a norma dell'art. 1810 c.c. (Trib. Genova 2 febbraio 2017).

Pertanto, nel contratto di comodato, la determinazione della durata – che è notoriamente un elemento essenziale di tale tipologia negoziale – può, in mancanza di pattuizione espressa, ritenersi tacitamente convenuta, sempre che sia desumibile dall'uso particolare della cosa in vista del quale le parti si sono indotte a concludere il contratto.

Ciò premesso, nell'ipotesi di bene immobile, la determinazione della durata non può ragionevolmente desumersi dalla generica destinazione in concreto attribuita (abitativa, commerciale, ecc.) perché da tale destinazione deriverebbe solo un uso non contingente o particolare ma potenzialmente indeterminato e duraturo, dal quale non potrebbe quindi inferirsi il relativo termine finale. Sicché, in tali ipotesi di generica destinazione, la concessione della res deve ritenersi a tempo indeterminato e, quindi, a titolo precario ex art. 1810 c.c. con la piena facoltà per il comodante di richiedere giudizialmente al comodatario la restituzione immediata dell'immobile.

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ove ci si trovi di fronte ad un contratto di comodato di alloggio ad uso abitativo, il comodato stesso costituisce una detenzione, e non un possesso ad usucapionem, in favore tanto del comodatario, quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che laddove il convivente del comodatario si opponga alla richiesta di risoluzione del comodato formulata dal comodante sostenendo di avere usucapito il bene deve provare l'intervenuta interversione del possesso e non solo il mero potere di fatto sull'immobile (Cass. II, n. 24479/2017).

L'art. 1811 c.c. subordina l'obbligo restitutorio ad una richiesta del comodante, cui spetta decidere se estinguere il rapporto o lasciare che esso prosegua con gli eredi dell'originario comodatario – il che significa che ove il comodante non si avvalga della facoltà riconosciutagli ex lege di recedere dal contratto, esso continua con gli eredi alle stesse condizioni previste per il contratto originario – perché il comodante, che secondo i principi generali dovrebbe rispettare il termine pattuito con suo dante causa e non ancora scaduto, ha facoltà di recedere dal contratto, determinandone la risoluzione mediante idonea manifestazione di volontà, come se si trattasse di comodato a tempo indeterminato. Ma, se tale volontà non viene manifestata, il rapporto prosegue, con le caratteristiche e gli obblighi iniziali, anche rispetto agli eredi delle originarie parti stipulanti (Cass. III, n.14474/2023).

A ciò aggiungasi che, in tema di comodato immobiliare a tempo determinato, il fallimento del comodante pronunciato dopo la stipulazione del relativo contratto genera l'obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela che lo richieda, il bene oggetto del contratto stesso (Cass. I, n. 27938/2018).

Il comodatario che abbia preventivamente ricevuto il consenso per iscritto dal legittimo proprietario del cespite, può decidere di darlo in locazione ad un terzo, il quale, a sua volta, per essere in buona fede, deve preoccuparsi di acquisire l'atto che legittima il suo dante causa alla stipula di tale contratto, in quanto il comodatario – non ha la proprietà dell'unità immobiliare – derivando il suo diritto a concederlo in locazione unicamente dal rapporto intercorrente tra il medesimo ed il proprietario-comodante, il quale, è terzo di buona fede rispetto a colui che assume la qualità di conduttore soltanto successivamente, per effetto del distinto rapporto stipulato autonomamente con il comodatario.

In caso di cessazione del contratto di comodato per morte del comodante o del comodatario e di mantenimento del potere di fatto sulla cosa da parte di quest'ultimo o dei suoi eredi, il rapporto, in assenza di richiesta di rilascio da parte del comodante o dei suoi eredi, si intende proseguito con le caratteristiche e gli obblighi iniziali anche rispetto ai medesimi successori (Cass. III, n. 2013/2024).

Conseguentemente, è importante che il comodatario si attenga scrupolosamente al contenuto del rapporto che lo lega al proprietario-comodante, il quale, in qualsiasi momento potrebbe richiedergli in restituzione l'immobile concessogli in uso gratuito, anche se a tempo indeterminato, ragione per cui, soltanto se quest'ultimo lo abbia preventivamente autorizzato ad impegnarsi con un terzo per la successiva conclusione del rapporto locatizio, comporta che dovrà rispettare tale contratto intercorrente nei confronti del terzo che medio tempore abbia assunto la qualità di conduttore.

Il conduttore a sua volta, per essere in buona fede, prima di stipulare la locazione, dovrà assolvere all'onere di acquisire preventivamente la conoscenza dei reali poteri del comodatario al fine di non vedersi costretto a restituire l'immobile al legittimo proprietario, il quale, se non ha autorizzato il comodatario a concederlo in locazione, potrà agire giudizialmente nei confronti del conduttore per conseguire la restituzione dell'immobile, in quanto la locazione in questo caso sarebbe intervenuta per effetto di una parte (comodatario) in nuce senza che quest'ultimo avesse il relativo potere e, dunque, sostanzialmente contro la volontà del medesimo proprietario ed a insaputa di quest'ultimo.

Sul piano fiscale, va poi chiarito che in caso d'immobile concesso in locazione da parte del comodatario, il reddito ritratto dal medesimo va imputato al proprietario dell'immobile, cioè al comodante come se l'avesse affittato personalmente anche se da lui materialmente non percepito.

Ciò in quanto, in base all'art. 26 del d.P.R. n. 917/1986, i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto od altro diritto reale per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso, ragione per cui, il contratto produce solo effetti obbligatori mentre, secondo la legge, resta sempre obbligato il titolare del diritto reale sull'immobile, principio quest'ultimo stabilito anche di recente dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. trib., n. 5588/2021) la quale ha accolto il ricorso dell'Agenzia dell'Entrate.

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