Rinegoziazione del canone in caso di provvedimento autoritativo di riduzione dell'attività commerciale

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

 

La sospensione delle attività

La pandemia denominata Covid-19 (c.d. Coronavirus), ha impattato sulle comuni abitudini di vita quotidiana, attraverso le limitazioni dei diritti e delle libertà fondamentali, in esito ai recenti e progressivi provvedimenti legislativi. Sia l'evento pandemia in sé considerato, quanto la natura legislativa dei provvedimenti imposti autoritativamente e conseguenti al c.d. lockdown, quale unica misura contenitiva di contrasto alla diffusione del virus, ed a tutela della salute pubblica ( art. 32 Cost. ), in assenza di una cura specifica, hanno generato un vero e proprio “blocco economico dell'intero sistema produttivo” del Paese, in particolare dei rapporti giuridici pendenti coinvolti. L'emergenza Covid-19 (dichiarata con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020) ha – come è noto – fortemente interessato il territorio nazionale, coinvolgendo, in particolare, le regioni del nord Italia e le attività d' impresa ivi presenti (prime zone rosse). Nonostante l'introduzione delle prime misure di contenimento della diffusione del virus, ci si rendeva progressivamente conto della pericolosità della malattia – dichiarata “pandemia” dall'O.M.S. l'11 marzo 2020 – e dell'assoluta necessità di impedire il “tracollo” del sistema sanitario. Pertanto, si susseguivano una serie di provvedimenti legislativi emergenziali, sotto forma di d.P.C.M. (decreti Presidenza del Consiglio dei Ministri). A seguito dell'aggravarsi della situazione, il Governo è intervenuto con misure di contenimento volte a prevenire la diffusione del virus, tra le quali, la sospensione delle attività non produttive c.d. strategiche ed indispensabili. Ci si riferisce al d.l. n. 6/2020 recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19” ed ai successivi d.P.C.M.

 

Normativa emergenziale

L' art. 3, comma 6-bis, del d.l. n. 6/2020 , inserito dall'art. 91 del d.l. n. 18/2020, convertito, con modificazioni, in l. n. 27/2020 prevede che il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi adempimenti.

Secondo l'Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione (Relazione tematica n. 56 dell'8 luglio 2020), la norma è di ardua interpretazione su due piani. Secondo un primo profilo, la responsabilità del debitore inadempiente, a causa della necessità di rispettare le misure di contenimento, sembrerebbe elisa già in virtù dell' art. 1218 c.c. Sotto altro profilo, invece, la norma non esclude tout court la responsabilità “da adeguamento” alle misure anti-Covid, piuttosto stabilendo che il rispetto di queste debba essere «sempre valutato» ai fini del giudizio di responsabilità. Quindi, lo sforzo di adattamento alle prescrizioni sanitarie non assurge ad esimente automatica dell'inadempimento. Dunque, secondo questa interpretazione, non spetta al singolo debitore, semmai alla pubblica autorità, soppesare i rischi dell'epidemia. L'inadempimento non sarebbe in tale caso giustificato dalla causa straordinaria di giustificazione tratteggiata dalla legislazione emergenziale. Di conseguenza, secondo questa linea interpretativa, l'obbligato per slegarsi dalla responsabilità, non può limitarsi ad allegare assiomaticamente che l'inadempimento è ascrivibile alle misure anti-contagio, dovendo, per converso, in linea con la previsione dell'art. 1218 c.c., offrire la prova circostanziata del collegamento eziologico fra l'inadempimento e la causa impossibilitante, rappresentata dal rispetto delle prescrizioni di contenimento dell'epidemia. Oltre a ciò, si osserva che la norma d'emergenza contiene anche un richiamo all'art. 1223 c.c. Secondo un'acuta impostazione ermeneutica, la norma attenderebbe alla finalità di sterilizzare gli effetti sostanziali derivanti dall'inadempimento del debitore in una situazione fisiologica; il legislatore avrebbe inteso regolare una causa emergenziale di giustificazione, destinata ovviamente a cessare con la fine dell'emergenza. Ne discenderebbe una figura di debitore definibile come “immune”. Tuttavia, qualora l'eccezione di inadempimento fosse preclusa, il creditore finirebbe per essere chiamato a sopportare l'intero fardello delle conseguenze economiche dell'emergenza, pagando per una prestazione che egli non ha ancora ricevuto, e che vi è il rischio non riceva più.

Percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali

Le disposizioni dell' art. 6-novies del d.l. n. 41/2021 , conv., con modif., in l. n. 69/2021, come sostituito dall'art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 73/2021, conv., con modif., in l. n. 106/2021, sono volte a consentire un percorso regolato di condivisione dell'impatto economico derivante dall'emergenza epidemiologica da Covid-19, a tutela delle imprese e delle controparti locatrici, nei casi in cui il locatario abbia subito una significativa diminuzione del volume d'affari, del fatturato o dei corrispettivi, derivante dalle restrizioni sanitarie, nonché dalla crisi economica di taluni comparti, e dalla riduzione dei flussi turistici legati alla crisi pandemica in atto. Locatario e locatore sono infatti tenuti a collaborare tra di loro per rideterminare il canone di locazione. Il primo aspetto su cui va richiamata l'attenzione, concerne l'ambito di applicazione della norma. Sulla base di quanto indica la rubrica, emerge che riguarderebbe solo le locazioni commerciali (art. 27 l. n. 392/1978). Quanto alle condizioni per l'applicazione della norma, questa richiede che l'impresa conduttrice "abbia subìto una significativa diminuzione del volume d'affari, del fatturato o dei corrispettivi". Da osservare, inoltre, che la norma sembra volere dire che solo le vicende che siano derivate dalla «crisi pandemica in atto» possano rilevare in relazione a quanto essa dispone. Ciò si ricava dalla parte introduttiva della disposizione che fa riferimento all'"impatto economico derivante dall'emergenza epidemiologica da Covid-19". La norma prevede che conduttore e locatore siano "tenuti a collaborare tra di loro per rideterminare il canone di locazione". Nella formulazione dell'art. 6-novies  del d.l. n. 41/2021 risultante dalla sostituzione operata dal d.l. n. 73/2021, si è specificato che il conduttore e il locatore sono invitati a collaborare tra di loro in buona fede per rideterminare temporaneamente il canone di locazione per un periodo massimo di cinque mesi nel corso del 2021 nei casi in cui il conduttore: 1) non abbia avuto diritto di accedere, a partire dall'8 marzo 2020, ad alcuna delle misure di sostegno economico adottate dallo Stato per fronteggiare gli effetti delle restrizioni imposte dall'emergenza sanitaria da Covid-19; ovvero 2) non abbia beneficiato di altri strumenti di supporto di carattere economico e finanziario concordati con il locatore anche in funzione della crisi economica connessa alla pandemia stessa.

Infine, le predette disposizioni si applicano esclusivamente ai locatari esercenti attività economica che: 1) abbiano registrato un ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi nel periodo compreso tra il 1° marzo 2020 e il 30 giugno 2021 inferiore almeno del 50 per cento rispetto all'ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo compreso tra il 1° marzo 2019 e il 30 giugno 2020; e 2) la cui attività sia stata sottoposta a chiusura obbligatoria per almeno 200 giorni anche non consecutivi a partire dall'8 marzo 2020.

Si tratta di una previsione che sembra indicare un obiettivo, specificando le condizioni di applicazione, ma non definisce che cosa in concreto le parti dovrebbero fare. Del resto, tra le parti, sembra difficile ipotizzare – soprattutto con riguardo al profilo economico del rapporto contrattuale – una “collaborazione”, prospettandosi piuttosto un'attività di contrattazione, nella quale, ciascuna parte cercherà di fare il proprio interesse, che non coinciderà – ma sarà anzi contrapposto – a quello della controparte.

Da quanto appreso dal Dossier del Senato (d.l. n. 73/2021 - A.S. 2320 del 19 luglio 2021), presso la X Commissione (Attività produttive) della Camera si era concluso l'esame in sede referente della proposta di legge Zucconi ed altri n. 2763, che prevedeva per il 2021 - a seguito delle difficoltà derivanti dalla pandemia - delle agevolazioni per favorire la rinegoziazione volontaria dei canoni di locazione di immobili destinati ad attività commerciali, artigianali e ricettive. In base a tale proposta, la rinegoziazione doveva consentire ai conduttori la facoltà di corrispondere il 50% del canone di locazione previgente, con un contributo aggiuntivo a fondo perduto del 25% dello stesso canone di locazione. Ai locatori, invece, doveva essere riconosciuto un credito d'imposta pari al 50% del medesimo canone. Tuttavia, la X Commissione (Attività produttive) - dopo aver svolto una serie di audizioni sul tema - approvava un emendamento soppressivo dell'intero articolato. Oltre a ciò, il centro studi del Senato - con il documento in commento - osserva che, nell'ambito dell'autonomia negoziale, locatore e conduttore sono sempre legittimati a rinegoziare il contratto che li vincola, e a determinare liberamente la durata delle nuove condizioni contrattuali (fermo il limite trentennale per i contratti di locazione ex art. 1573 c.c.). Vieppiù, si legge nel documento che "prevedere per legge un richiamo alla rinegoziazione secondo un principio di buona fede, stabilendo i casi in cui tale richiamo opera, sembra una norma destinata a spiegare effetti sia tra le parti che con riferimento ai giudici in caso di contenzioso, fornendo dei parametri legislativamente fissati per poter stabilire se la riduzione del canone fosse in qualche misura “dovuta” e “se il nuovo canone sia ragionevole”.

La buona fede nei contratti e l'intervento integrativo del giudice

Il dovere di rinegoziare va ricondotto al dovere di eseguire il contratto secondo buona fede, come impone l' art. 1375 c.c. Tale conclusione si conferma utilizzando un'altra norma – anch'essa declinazione del canone di correttezza contrattuale – ossia l'art. 1366 c.c., secondo cui "il contratto deve essere interpretato secondo buona fede". La norma va anzitutto letta in pendant con l'art. 1362 c.c. atteso che «nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti». Cioè la lettura di un contratto di durata, secondo le regole della correttezza, non può che portare l'interprete a rinvenire nel regolamento la comune volontà delle parti di ridiscutere le originarie condizioni di esecuzione quando queste si allontanino dall'iniziale logica economica dell'operazione, per effetto di eventi rilevanti e non previsti né causati dalle parti. Pertanto, vìola il dovere di buona fede il contraente che pretenda l'adempimento di una clausola in base ad una lettura vantaggiosa del testo contrattuale, che la controparte ha tuttavia diritto di intendere nel diverso significato giustificato dall'interpretazione di buona fede, vale a dire, da una lettura che tenga conto della natura del contratto e di ogni circostanza comune valevole ad illuminare il significato dell'operazione economica complessiva. Come osservato più volte, occorre un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 1175 c.c., che sulla base dell'art. 2 Cost., impone, in funzione dell'inderogabile dovere di solidarietà contrattuale, di non recare danno ad altri. Tale interpretazione consente di potere sostenere che la violazione del dovere necessiti dell'intervento integrativo del contratto da parte del giudice. L'Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione (Relazione n. 56 dell'8 luglio 2020) ha precisato che è significativo che l'art. 1374 c.c. tratteggi l'intervento diretto sul contratto squilibrato, da parte del giudice, in ossequio ad un principio di eterointegrazione correttiva del contratto secondo equità. Invero, secondo i giudici "l'obbligo di rinegoziare è un obbligo di contrarre le modifiche del contratto primigenio suggerite da ragionevolezza e buona fede; la parte che per inadempimento dell'altra non ottiene il contratto modificativo, cui ha diritto, può chiedere al giudice che lo costituisca con sua sentenza". Approfondendo queste considerazioni, è stato, poi, affermato che "la rinegoziazione implica l'obbligo di contrarre secondo le condizioni che risultano “giuste” avuto riguardo ai parametri risultanti dal testo originario del contratto, riconsiderati alla luce dei nuovi eventi imprevedibili e sopravvenuti. Qualora le due parti siano disponibili, si incontrano e concludono; qualora una delle due si neghi, è il giudice a decidere". Sulla scorta di queste affermazioni, la relazione “tematica” in parola è giunta a ritenere che "al giudice potrebbe essere ascritto il potere di sostituirsi alle parti, pronunciando una sentenza che tenga luogo dell'accordo di rinegoziazione non concluso, determinando in tal modo, la modifica del contratto originario". Ciò in applicazione della previsione dell'art. 2932 c.c.

L'istituto dell'impossibilità parziale temporanea della prestazione

Inizialmente, si è ipotizzato quale miglior strumento in tema Covid-19, l'utilizzo dell'istituto della «impossibilità parziale sopravvenuta» prevista dall' art. 1464 c.c. Il ragionamento si basa sul fatto che nella vicenda del Covid-19, la prestazione di una parte (locatore) è divenuta solo parzialmente impossibile, in quanto è stato violato l'obbligo del locatore di consegnare e mantenere il bene in condizione da essere utilizzato secondo l'uso contrattualmente stabilito ai sensi dell'art. 1575 c.c., ovviamente, tenendo presente che la situazione di «impossibilità sopravvenuta parziale», allo stato, non ha le caratteristiche proprie della definitività. Inoltre, l'eventuale equiparazione economica dell'impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione contrattuale alla sua impossibilità totale non è rimessa alla valutazione del giudice di merito, bensì a quella del contraente interessato, il quale, può recedere o chiedere una corrispondente riduzione della sua controprestazione, con ciò residuando una scelta discrezionale fra le parti. Difatti, l'art. 1464 c.c. rimette unicamente al creditore la facoltà di scelta tra la riduzione della prestazione ed il recesso, quest'ultimo da esercitarsi in ossequio al canone di buona fede. In sintesi, qualora il creditore opti per ricevere la prestazione parziale, si verificherebbe il riequilibrio del principio di proporzionalità insieme a quello di correttezzavigente in tema di contratti – in forza di un provvedimento legislativo (factum principis) – considerato che i locali nei quali viene svolta l'attività aziendale nel periodo del lockdown sono rimasti chiusi, ed è divenuta temporaneamente e parzialmente impossibile la prestazione dell'affittante, con la conseguenza che l'affittuario ha diritto ad una riduzione dell'affitto. Del resto, se pensiamo all'art. 1374 c.c., il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

 

Domanda
A seguito della chiusura dell'esercizio commerciale per lockdown, il conduttore può chiedere giudizialmente la rinegoziazione del canone di locazione?

Orientamento favorevole all'applicazione della normativa emergenziale e degli strumenti codicistici

 

Il codice civile, nella parte riservata alla disciplina generale del contratto, da una parte, consacra, all' art. 1372, comma 1, c.c. , la regola pacta sunt servanda, sancendo, in linea di principio, l'irrilevanza di eventuali sopravvenienze rispetto al dovere di rispettare gli impegni assunti, e dall'altra, prevede in modo esplicito, rispettivamente agli artt. 1463,1464 e 1467 c.c., alcuni rimedi per l'impossibilità sopravvenuta (totale e parziale) e per l'eccessiva onerosità sopravvenuta, individuando così in modo chiaro le sopravvenienze “rilevanti” e tali da determinare, in via privilegiata, lo scioglimento del vincolo contrattuale. Proprio in merito all'art. 1464 c.c., molti giudici vi hanno trovato rifugio al fine della rideterminazione del canone di locazione (Trib. Venezia 30 settembre 2020; Trib. Roma 27 agosto 2020; Trib. Venezia 28 luglio 2020; Trib. Roma 29 maggio 2020: riduzione del canone limitatamente al solo periodo di impossibilità parziale). Secondo la successiva giurisprudenza, va respinta la richiesta di ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., con salvezza delle eccezioni, attesa la notoria incidenza degli effetti dell'emergenza sanitaria sulle attività economiche, e particolarmente per le zone turistiche. Ciò a seguito della riduzione dell'attività e della presenza di turisti: circostanze, queste, da considerare imprevedibili e straordinarie, in quanto hanno alterato il rapporto tra le prestazioni contrattuali regolate dalle parti al momento della stipula del contratto. Sul punto, deve tenersi conto degli artt. 1175,1375,1374 c.c. nonché del comma 6-bis dell'art. 3 del d.l. n. 6/2020, nel testo vigente, con riferimento agli artt. 1218,1223,1623 c.c. (Trib. Firenze 27 gennaio 2021).

A causa della pandemia che ha mutato il flusso del turismo e l'andamento delle attività commerciali, si è verificata un'alterazione del sinallagma contrattuale con riferimento alla prestazione del locatore, perché le modalità di godimento dell'immobile sono state modificate e limitate; ciò si traduce in una “impossibilità parziale e temporanea” della prestazione di parte intimante che “ai sensi del combinato disposto degli artt. 1218,1256 e 1464 c.c. determina il diritto per il conduttore ad usufruire di una riduzione del canone” destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della parte locatrice potrà tornare ad essere compiutamente eseguita e quindi il godimento dell'immobile potrà tornare ad essere pieno. Pertanto, per la determinazione del quantum dovuto, è necessario tenere conto della successione della normativa emergenziale che ha inciso sulle modalità di apertura degli esercizi commerciali e del flusso turistico (Trib. Venezia 15 settembre 2023).

Orientamento contrario all'applicazione della normativa emergenziale e degli strumenti codicistici

Nel giudizio di esecuzione, secondo una parte della magistratura di merito, il richiamo all'art. 91 del decreto c.d. Cura Italia non è pertinente. Infatti, la norma si limita ad affermare l'assenza d'obblighi di risarcimento danni e/o il maturare di decadenze o penali, ma non afferma assolutamente l'automatica sospensione sine die e/o la cancellazione dell'obbligo di versamento dei canoni d'affitto/locazione (Trib. Pordenone 3 luglio 2020). Secondo altro giudicante, nella fattispecie, non sussiste né l'ipotesi dell'impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c. ), in quanto l'immobile era stato occupato anche durante l'epidemia, e il pagamento del canone non poteva venire meno se non con l'ipotesi del ritiro dei mezzi di pagamento, come la moneta elettronica) utilizzabili (in sostanza, entrambe le prestazioni hanno continuato ad essere possibili), né dell'impossibilità parziale sopravvenuta (art. 1464 c.c.), in quanto, non si può considerare la vicenda dell'emergenza sanitaria come una prestazione (locatore) divenuta solo parzialmente impossibile, e non può ritenersi violato l'obbligo del locatore di consegnare e mantenere il bene in condizione da potere essere utilizzato secondo l'uso contrattualmente stabilito, ai sensi dell'art. 1575 c.c., non essendo riconducibile alcuna condotta di tale tipo al locatore, ma ad un'attività provvedimentale. Superata l'emergenza, infatti, l'immobile sarà nuovamente e totalmente utilizzabile, e, comunque, anche durante l'emergenza, lo stesso è stato occupato per la sua interezza da cose e beni del conduttore, e, dunque, la limitazione non ha in realtà riguardato l'uso dell'immobile in sé; dell'impossibilità temporanea (art. 1256 c.c.) in quanto il divieto di esercitare temporaneamente l'attività non determina l'impossibilità per il conduttore di utilizzare l'immobile, che è la prestazione dovuta dalla contro parte (locatore). Inoltre, la mancanza degli incassi dovuta alla chiusura forzata dell'esercizio commerciale non determina l'impossibilità di adempiere alla propria obbligazione (canone), atteso che il periodo interessato non è tale da esulare dal c.d. rischio d'impresa; della eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), in quanto l'immobile ha conservato il proprio valore locativo nel periodo interessato e, comunque, l'onerosità deve attenere ad aspetti obiettivi e non alle condizioni soggettive, come la perdita di reddito del conduttore (Trib. Roma 16 dicembre 2020). 

Dunque, secondo questo orientamento, nessuna norma connessa all'emergenza conseguente alla pandemia COVID-19 ha previsto per il conduttore di sospendere o rifiutare il pagamento del canone. Inoltre, una richiesta di riduzione del canone ad opera del conduttore non può fondarsi sull'art. 1464 c.c. ma neanche sul terzo comma dell'art. 1467 c.c. Inoltre, né l'art.1374 c.c. né il dovere di solidarietà sociale di cui al precetto costituzionale consentono di ritenere esistente nel nostro ordinamento un obbligo delle parti di rinegoziare i contratti divenuti svantaggiosi per una di esse, o un potere del giudice di modificare i regolamenti negoziali liberamente concordati dalle parti nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, al di fuori delle specifiche ipotesi espressamente previste dalla legge (Trib. Roma 5 aprile 2022).

Orientamento favorevole alla buona fede come integrazione del contratto

La buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente, nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale oltre l'alea normale del contratto: la clausola generale di buona fede e correttezza, invero, ha la funzione di rendere flessibile l'ordinamento, consentendo la tutela in presenza di fattispecie non contemplate dal legislatore. Dunque, il locatore di un immobile ad uso commerciale, vìola il principio della buona fede se non adempie all'obbligo di rinegoziazione del canone a seguito delle sopravvenienze legate all'epidemia da Covid-19: in tal caso, deve accogliersi il ricorso d'urgenza del conduttore volto alla riduzione del canone ed alla sospensione della fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni contrattuali del conduttore (Trib. Roma 27 agosto 2020: il provvedimento in esame nasce da un procedimento ex art. 700 c.p.c. ; secondo il giudicante, ferma la circostanza che alcuna delle parti ha manifestato la volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale, le conseguenze non erano quelle dell'impossibilità totale temporanea né quelle dell'impossibilità parziale definitiva; trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull'obbligo di corrispondere il canone è stato quello di subire, ex art. 1464 c.c. una sua riduzione). Secondo altro provvedimento del giudice di Milano, a causa dell'emergenza sanitaria in corso, è da ritenersi necessaria, alla luce del principio di buona fede e correttezza, nonché dei doveri di solidarietà costituzionalizzati (art. 2 Cost.), una rinegoziazione del canone di locazione, al fine di riequilibrare il sinallagma, cosi come caldeggiato anche dalla Suprema Corte nella relazione tematica n. 56 dell'8 luglio 2020; una rinegoziazione dell'importo del canone – nel senso di una sua temporanea riduzione – e/o delle modalità di corresponsione del canone stesso, verrebbe dunque a riequilibrare lo scambio, richiedendo al locatore un sacrifico ampiamente inferiore a quello cui il conduttore sarebbe soggetto ove fosse tenuto a corrispondere l'intero canone, a fronte di un'utilità significativamente ridotta, seppur temporaneamente, esercitando parte conduttrice nell'immobile locato un'attività commerciale, segnatamente di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (Trib. Milano 21 ottobre 2020, afferma, dunque, che diviene necessaria la rinegoziazione del canone; da notare, però, che nel caso di specie la questione non era stata prospettata dalla conduttrice, e che la questione è stata dunque sollevata d'ufficio dal giudice). Alla luce dell'attuale situazione, devono essere allora tenute presenti le disposizioni di cui agli artt. 1175 c.c. (correttezza) 1375 c.c. (buona fede), 1374 c.c. (l'equità), nonché il disposto del comma 6-bis dell'art. 3 del d.l. n. 6/2020 (Trib. Firenze 27 gennaio 2021). In questi casi, il giudice, nel procedimento di sfratto per morosità, facendo applicazione dei principi generali che impongono di valutare la gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione del contratto, non ha convalidato lo sfratto per morosità intimato dal locatore, rigettando altresì la richiesta di emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. Si è fatto quindi riferimento ai principi generali di buona fede contrattuale (Trib. Foggia 27 aprile 2021). Difatti, affinché possa essere ammissibilmente invocata la risoluzione contrattuale vi deve essere la imputabilità dell'inadempimento, poiché difettando il requisito della colpevolezza dell'inadempimento, la risoluzione non si verifica né, di conseguenza, può in alcun modo essere legittimamente pronunciata. Pertanto, il giudice, per valutare la risoluzione del contratto per inadempimento, non è tenuto solo a constatare che l'evento si sia verificato, ma deve esaminare, con riferimento al principio della buona fede, il comportamento dell'obbligato, potendo la risoluzione essere dichiarata solo ove sussista (almeno) la colpa di quest'ultimo (Trib. Cremona 7 aprile 2022: a causa dell'emergenza sanitaria mondiale in corso era da ritenersi necessaria alla luce del principio di buona fede e correttezza nonché dei doveri di solidarietà costituzionalizzati una rinegoziazione del canone di locazione al fine di riequilibrare il sinallagma contrattuale; nella vicenda, il giudice, tenuto conto dei provvedimenti restrittivi e della conseguente comprovata diminuzione di redditività, ha disposto la riduzione del canone di locazione del 100% per il mese di aprile 2020, unico mese di reddito pari a zero, e una riduzione del canone di locazione del 50% per i mesi colpiti da chiusura del locale per circa metà mese ciascuno; infine, facendo una media per l'anno successivo ancora colpito da misure restrittive e chiusure a singhiozzo, il giudicante ha disposto la riduzione del canone di locazione del 30% per il periodo giugno 2020-aprile 2021).

Orientamento contrario alla buona fede come integrazione del contratto

Il magistrato non può correggere la volontà delle parti quand'anche le scelte di queste gli appaiano incongrue, limitandosi negli eccezionali casi in cui la legge l'ammetta, a colmare le lacune riscontrate, inserendo regole ulteriori e coerenti con il programma concordato dalle stesse parti. Un intervento sostitutivo del giudice sembrerebbe ammissibile al più ogni volta che dal regolamento negoziale dovessero emergere i termini in cui le parti hanno inteso ripartire il rischio derivante dal contratto, fornendo al giudice (anche in chiave ermeneutica) i criteri atti a ristabilire l'equilibrio negoziale. Al di fuori di questo angusto contorno, la determinazione del contenuto del contratto appartiene alla sfera decisionale riservata ai contraenti (Trib. Roma 16 dicembre 2020: ad avviso del magistrato capitolino, era del tutto errato anche invocare concetti quali la buona fede nell'esecuzione del contratto da parte del locatore, a seguito della Relazione tematica proveniente dal Massimario della Cassazione dell'8 luglio 2020; a tal proposito, il giudice ha ritenuto che la conclusione della suddetta relazione tematica, in materia di rilevanza della buona fede, sia ben diversa da come talvolta è stata intesa anche da parte di altri giudici di merito).

In altra decisione di merito (Trib. Roma 9 aprile 2021, n. 6174), il criterio della buona fede impone, sì, al contraente di attivarsi in favore dell'altro, ma pur sempre «nei limiti dell'interesse proprio» (Cass. VI, n. 23069/2018), o «nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori» (Cass. I, n. 17642/2012), o «nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio a suo carico» (Cass. III, n. 10182/2009), oppure sempre che «non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse» (Cass. III, n. 5240/2004). Ne discende, secondo il giudice di merito, che la rinuncia ad un diritto contrattuale per addivenire ad un accordo, costituisce certamente “un apprezzabile sacrificio che non può essere preteso (Trib. Roma 9 aprile 2021, n. 6174, cit.).

Orientamento contrario all’intervento del giudice per l’imposizione del percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali

A seguito dell'introduzione dell'art. 6-novies del d.l. n. 41/2021 (conv., con modif., in l. n. 69/2021, come sostituito dall'art. 4-bis, comma 1, d.l. n. 73/2021, conv., con modif., in l. n. 106/2021), i giudici di merito hanno osservato che, in tema di locazione di immobile a uso non abitativo, in caso di mancato pagamento del conduttore a causa della chiusura dell'attività imposta dalla normativa emergenziale per il contrasto all'epidemia da Covid-19, l'art. 6-novies del d.l. n. 41/2021 dispone solo che le parti sono chiamate a collaborare secondo la buona fede ma senza alcuna previsione di conseguenze per il mancato accordo. Inoltre, l'art. 1375 e l'art. 1374 c.c. non costituiscono i presupposti normativi affinché il giudice possa intervenire per modificare il contenuto delle prestazioni contrattuali autonomamente determinate dalle parti e che hanno forza di legge tra le stesse. Pertanto, in caso di totale inadempimento della parte conduttrice, deve essere dichiarata la risoluzione del contratto di locazione tra le parti (Trib. Firenze 22 settembre 2021, n. 1605). Dunque, secondo questa posizione, l'art. 4-bis del d.l. n. 73/2021, introdotto in sede di conversione del d.l. c.d. "Sostegni-bis", da una parte non impone al locatore di ridurre il canone per le attività commerciali e dall'altra non esclude la possibilità di procedere con una rinegoziazione a prescindere dalla situazione economica delle imprese. Negoziazione che deve essere ispirata al principio di buona fede e condotta in base alla ragionevolezza della richiesta (Trib. Brescia 21 dicembre 2021, n. 3123).

3. Azioni processuali

 

Tutela stragiudiziale

Il conduttore, a seguito della chiusura dell'esercizio commerciale per lockdown, chiede di rinegoziare il canone di locazione, invitando il locatore a rivedere la propria pretesa di pagamento entro il termine stabilito nella diffida comunicatagli ai sensi dell' art. 1454 c.c. , precisando che in difetto, senza ulteriore preavviso, procederà con il ricorso ex art. 447-bis c.p.c.

L'accordo raggiunto sulla modifica del canone può essere comunicato all'Agenzia delle Entrate direttamente utilizzando, se si è in possesso del codice Pin, i servizi telematici dell'Agenzia, la quale, con la risposta n. 38/2022 ad un'istanza di interpello avanzata dal locatore in merito alla possibilità di ottenere un contributo a fondo perduto a seguito della rinegoziazione del canone locativo ha recentissimamente precisato che il contributo non spetta con riferimento ai contratti di locazione che, seppure in essere al 29 ottobre 2020, sono stati rinegoziati prima del 25 dicembre 2020, data di entrata in vigore dell'art. 9-quater d.l. n. 137/2020 (c.d. decreto ristori). Infatti in base al provvedimento prot. n. 180139/2021 del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 6 luglio 2021, è stato previsto che il contributo spetta a condizione che la locazione abbia una decorrenza non successiva al 29 ottobre 2020 e risulti in essere alla predetta data e che inoltre il contratto di locazione sia oggetto di rinegoziazione in diminuzione del canone previsto per tutto l'anno 2021 o per parte di esso. Ciò significa che il contributo è destinato ai locatori che dal 25 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021 hanno rinegoziato l'importo del canone del contratto di affitto, per tutto o parte dell'anno 2021, riducendolo. Tali rinegoziazioni devono avere data di decorrenza pari o successiva al 25 dicembre 2020 (data di entrata in vigore della legge istitutiva del contributo) Questo sulla base del principio generale secondo cui la norma non dispone che per l'avvenire, e quindi va applicata alle rinegoziazioni effettuate a decorrere dal 25 dicembre 2020 per contratti di locazione in essere al 29 ottobre 2020 e solo con riferimento ai canoni del 2021 "rinegoziati".  Ciò consente indubbiamente al conduttore di disporre di un argomento in più da poter utilizzare correttamente in sede di trattative stragiudiziali condotte con il locatore al fine di contenere i costi sopportati durante la pandemia, evitando da un lato l'interruzione del rapporto locatizio in essere per effetto dell'eccessiva onerosità sopravvenuta del costo costituito dal canone di locazione destinato ad incidere in modo significativo sui costi generali dell'attività d'impresa, e dall'altro, sulla possibile adesione del locatore per effetto della possibilità di conseguire il suddetto “ristoro” evitando la necessità di doversi attivare per la ricerca di una nuova opportunità per la messa a reddito dell'immobile.

Funzione e natura del giudizio

È un ordinario giudizio di cognizione, con il quale, il conduttore, a seguito della chiusura dell'esercizio commerciale per lockdown, chiede di rinegoziare il canone di locazione, evocando dinanzi al giudice il locatore.

In questo caso, il riconoscimento del diritto del conduttore ad una riduzione del canone, proporzionata alla sopravvenuta diminuzione del godimento, costituisce una specifica applicazione di un principio generale che presiede la disciplina delle locazioni, riconducibile a quello della sinallagmaticità fra godimento e corrispettivo, per cui ove quel godimento non è attuabile secondo le previsioni contrattuali, il conduttore è abilitato a pretendere una riduzione del corrispettivo e legittimato a chiedere la risoluzione del rapporto, quando quella diminuzione è tale da comportare il venire meno dello stesso interesse del conduttore alla persistenza della locazione. Tale situazione si verifica indubbiamente nell'ipotesi in cui per effetto delle disposizioni emergenziali, la prestazione del locatore di assicurare il godimento dell'immobile per la destinazione contrattuale non è adempiuta nella sua interezza, per effetto dell'imposta preclusione dell'attività commerciale riconducibile ad un provvedimento autoritativo. Ebbene, in una situazione del genere, il conduttore ha, perciò, diritto, quanto meno, alla riduzione del canone in proporzione al diminuito uso del bene. Circa la misura della stessa, è opportuno evidenziare che l'art. 216, comma 3, del d.l. n. 34/2020, conv., con modif., in l. n. 77/2020, prevede che la sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19 è sempre valutata, ai sensi degli artt. 1256,1464,1467 e 1468 c.c. e a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell'assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito. La ratio legis sottesa a tale disposizione è chiaramente esplicata nella relazione illustrativa alla legge laddove afferma che il contratto di locazione, nel periodo in cui al conduttore è inibita per un factum principis l'utilizzabilità dell'immobile locato secondo l'uso pattuito, non realizza lo scopo oggettivo per il quale fu stipulato. Si verifica quindi un'alterazione in concreto del sinallagma che, in un contratto commutativo, non può che determinare un intervento di riequilibrio da parte dell'ordinamento ... la norma in commento introduce un rimedio azionabile dal conduttore per ricondurre il rapporto all'equilibrio originariamente pattuito, consistente del diritto alla riduzione del canone locatizio mensile per tutto il periodo in cui, per il rispetto delle misure di contenimento, sono stati di fatto privati del godimento degli immobili locati. Significativo, e degno di nota, è che il legislatore abbia avvertito l'esigenza di precisare che la previsione del beneficio del credito di imposta in favore del conduttore, previsto dall'art. 65, comma 1, d.l. n. 18/2020, nella misura del 60% del canone, lascia impregiudicata la questione se la legge civile attribuisca al conduttore il diritto ad una riduzione del canone - ed eventualmente ad un esonero dal relativo pagamento - relativamente al periodo di tempo in cui egli sia stato costretto, per factum principis, a tenere chiusa la sua attività commerciale. Col che resta chiarito che il beneficio resta confinato all'esclusivo ambito fiscale e non si ripercuote sull'equilibrio sinallagmatico delle prestazioni negoziali. Se la ratio legis della prevista riduzione del canone di locazione degli immobili adibiti a palestre, piscine e impianti sportivi è quella enunciata nella Relazione illustrativa, è stato ravvisato secondo un orientamento giurisprudenziale che si impone, anche alla luce dei principi costituzionali, l'applicazione analogica della disposizione in esame a tutte le locazioni ad uso diverso di immobili adibiti allo svolgimento di attività il cui svolgimento è stato identicamente precluso dalle misure restrittive adottate dalle Autorità per fronteggiare l'emergenza epidemiologica. Appare, infatti, irragionevole, perché privo di valida giustificazione, il trattamento diverso di situazioni sostanzialmente identiche, in violazione del divieto di disparità di trattamento, sancito dall'art. 3 Cost. (Trib. Milano 7 febbraio 2022).

Aspetti preliminari

 

Mediazione

Il conduttore, il quale intenda esercitare in giudizio nei confronti del locatore l'azione volta a rinegoziare il canone a seguito della chiusura dell'esercizio commerciale per lockdown, deve prima esperire il procedimento di mediazione previsto dall' art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 , quale condizione obbligatoria di procedibilità.

Competenza

Il giudice competente è quello del luogo in cui è posto l'immobile, perché in tema di locazioni, la competenza territoriale appartiene al giudice del locus rei sitae, come del resto si ricava dagli artt. 21 e 447-bis c.p.c., la quale ha natura inderogabile, con la conseguente invalidità di un'eventuale clausola difforme, rilevabile ex officio anche in sede di regolamento di competenza (Cass. VI, n. 12404/2020).

Legittimazione

Il conduttore è il soggetto legittimato attivo, ed il locatore quello legittimato passivo.

Profili di merito

 

Onere della prova

Il conduttore ha l'onere di allegare la fonte negoziale del proprio diritto, e la prova della chiusura dell'attività per lockdown, al fine di fare accertare il proprio diritto alla rinegoziazione del canone di locazione.

Contenuto del ricorso

L'azione si propone con ricorso, nel quale il conduttore deve indicare l'autorità competente dinanzi alla quale intende chiamare in giudizio il locatore, unitamente alle sue generalità ed a quelle del proprio difensore, il quale dovrà avere cura di indicare la propria pec ed il numero di fax per la ricezione delle relative comunicazioni.

Inoltre, il conduttore deve anche eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede lo stesso giudice adito, e, indicate nel ricorso le esatte generalità del locatore, precisare altresì l'ubicazione dell'immobile con i relativi identificativi catastali, avendo cura di riportare nella narrazione del fatto, le ragioni addotte rispettivamente a fondamento della causa petendi e del petitum richiesto, anche in via mediata, e delle richieste formulate nelle conclusioni dell'atto – azione del conduttore per la rinegoziazione del canone di locazione a seguito di chiusura dell'attività nel periodo pandemico per lockdown – con la correlata documentazione probatoria che intende offrire a corredo della domanda.

Al riguardo, trattandosi di ricorso, occorre indicare sùbito, a pena di decadenza, tutte le prove che si intendono sottoporre all'attenzione del giudice, come ad esempio l'interrogatorio formale del locatore e le esatte generalità degli eventuali testimoni che si intendono ascoltare sulle posizioni “fattuali” dell'atto introduttivo della controversia, che dunque devono già essere opportunamente “capitolate”, oltre a tutta la relativa documentazione probatoria (contratto di locazione, richiesta di rinegoziazione del canone locatizio inoltrata al locatore, verbale del procedimento di mediazione conclusosi negativamente).

Ciò non toglie però che, nella narrazione del “fatto”, occorre opportunamente soffermarsi sulla concreta posizione assunta nella vicenda dal locatore, laddove il medesimo – si sia reso responsabile dell'ingiustificato diniego ad addivenire ad una soluzione conciliativa, volta a rinegoziare il canone per effetto del lockdown subito dal conduttore nel periodo pandemico – e sia rimasto inerte, nonostante la tempestiva conoscenza della relativa questione, comprovata dalla precedente corrispondenza intercorsa o da un'eventuale diffida ricevuta dal conduttore, potendo risultare utile ai sensi dell' art. 116 c.p.c. , sul piano della valutazione del relativo comportamento, laddove risulti inserito in un contesto fattuale idoneo a farlo ritenere come gravemente inadempiente, sotto il profilo della buona fede contrattuale, anche all'esito del precedente procedimento di mediazione avviato dallo stesso conduttore nei confronti del medesimo soggetto responsabile.

Il ricorso deve, quindi, essere sottoscritto dal difensore su atto separato, contenente la procura alla lite, sottoscritta dalla parte rappresentata dal medesimo difensore, ed autenticata da quest'ultimo.

Richieste istruttorie

L'onere di chiedere l'interrogatorio formale del locatore sui fatti oggetto di contestazione, riguardanti le circostanze fattuali ritenute idonee a configurare l'inadempimento ai propri obblighi contrattuali e legali – nel caso di specie, concernente l'ingiustificato diniego a rinegoziare il contratto di locazione per effetto del lockdown nel periodo pandemico – grava sul conduttore, il quale, deve allegare anche la fonte negoziale – copia del contratto di locazione – e normativa del proprio diritto, spettando al locatore l'onere di allegare la prova contraria.

Il conduttore ha anche l'onere di formulare una richiesta di prova testimoniale, indicando i relativi capitoli di prova, ed i nominativi dei testimoni, al fine di provare le circostanze sulle quali si basa la relativa azione, volta ad accertare l'esistenza delle condizioni presupposte per chiedere al locatore la rinegoziazione del canone locativo.

4. Conclusioni

L'azione riguarda il caso in cui il conduttore evoca in giudizio il locatore per non avere quest'ultimo ottemperato all'obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di ricontrattare le condizioni economiche del contratto di locazione, a seguito delle sopravvenienze legate all'insorgere della pandemia per Covid-19.

Infatti, la crisi economica dipesa dalla pandemia e la chiusura forzata delle attività commerciali, devono qualificarsi quale fatto sopravvenuto nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, ragione per cui, appare difficilmente controvertibile l'assunto che, nel caso delle locazioni commerciali il contratto è stato stipulato sul presupposto di un'impiego – dal punto di vista squisitamente temporale, senza soluzione di continuità – dell'immobile per l'effettivo svolgimento di una determinata attività economica.

Pertanto, se, da un lato, in mancanza di specifiche clausole di rinegoziazione del canone, i contratti a lungo termine devono continuare ad essere rispettati ed applicati dai contraenti sino a quando rimangono intatte le condizioni ed i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio, dall'altro, qualora si ravvisi invece una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi dell'esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente, deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva o correttezza nella fase esecutiva del contratto, ai sensi dell' art. 1375 c.c.

In tale ottica, la buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente, proprio nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili, non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale oltre l'alea normale del contratto.

La clausola generale di buona fede e correttezza, invero, ha la funzione di consentire in àmbito contrattuale, la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore, con particolare riferimento all'obbligo delle parti di riportare l'equilibrio negoziale entro l'alea normale del contratto locatizio.

La verificata cessazione della quasi totalità dell'attività commerciale con il progressivo degrado dell'attività svolta nel locale in sostanziale stato di abbandono, tenendo conto di elementi che possiedono le caratteristiche imposte dall'art. 2729 c.c. lasciano desumere - con ragionamento presuntivo - la sussistenza dei gravi motivi di recesso del conduttore ex art. 27, comma 8, della l. n. 392/1978, considerati tali da sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti, tali da rendere oltremodo gravosa per il medesimo conduttore la prosecuzione del rapporto di locazione (Cass. III, n. 27569/2023).

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