Risoluzione automatica della locazione commerciale in caso di morosità1. Bussole di inquadramentoIl pagamento del canone Nel diritto codificato, secondo quando dispone l' art. 1571 c.c. , la locazione è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a fare godere all'altra (conduttore), una cosa mobile od immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo. In altre parole, come risulta dal citato art. 1571 c.c., è necessario, affinché un diritto personale di godimento sia qualificato come locazione, che a fronte della prestazione del concedente vi sia la previsione di un corrispettivo a carico del concessionario. Invece nell'ambito della legislazione speciale – le locazioni abitative disciplinate ai sensi degli articoli da 1 a 5 della l. n. 431/1998, e quelle ad uso diverso disciplinate dagli articoli da 27 a 42 della l. n. 392/1978 – l'originaria determinazione del canone è libera. Fanno eccezione, per l'abitativo, le c.d. locazioni convenzionate, studentesche universitarie e transitorie. Tali ultime, infatti, devono applicare il canone di locazione previsto negli accordi territoriali tra le associazioni della proprietà edilizia e degli inquilini. Fermo ciò, attesa l'importanza del canone nell'ambito del rapporto che le parti pongono in essere, vale la pena di considerare quanto segue. Il canone costituisce l'interesse remunerativo dell'investimento immobiliare. Ciò unitamente all'altro importante aspetto, costituito dall'incremento di valore del medesimo. Da questo insieme, costituzionalmente rilevante, si ottiene una rendita, nonché il mantenimento della ricchezza rispetto ai fenomeni erosivi causati dall'inflazione, e più in generale, dalla perdita di valore della moneta. Va rilevato che questo binomio costituisce una delle forme più tradizionali ed antiche per la tutela della ricchezza e del risparmio. La risoluzione per morosità nelle locazioni ad uso diverso dall'abitativo Le disposizioni del codice civile, che riguardano la morosità del conduttore e le sue conseguenze, si applicano ai rapporti di locazione di immobili sottratti alla legislazione speciale, ed ai rapporti di locazione di immobili ad uso diverso da abitativo. Pertanto, il criterio di valutazione adottato è ispirato al principio dettato dall' art. 1455 c.c. , per cui l'inadempimento di una delle parti del contratto, al fine di giustificare la risoluzione, non deve avere scarsa importanza “avuto riguardo all'interesse dell'altra”. La clausola risolutiva espressa La clausola risolutiva espressa è la pattuizione delle parti di un contratto, che assumono un determinato adempimento, venendo meno il quale, il contratto stesso si risolve. È disciplinata dall' art. 1456 c.c. , secondo cui il contratto si risolve qualora una determinata obbligazione non viene eseguita secondo le modalità stabilite. In tal caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva. Con la previsione in contratto della clausola risolutiva espressa, l'intento delle parti è unicamente quello di sostituire il proprio sovrano apprezzamento a quello del giudice, circa l'opportunità della risoluzione: una volta che il creditore deluso dichiari all'inadempiente la di lui mancata ottemperanza all'obbligazione dedotta in contratto, e la propria intenzione di avvalersi della clausola, il contratto è risolto, al punto da rendere superflua ogni valutazione del giudice circa la gravità dell'inadempimento, perché è dalla parte adempiente che dipende la risoluzione del contratto. È infatti questa, in buona sostanza, che può decidere se, nonostante l'inadempimento del debitore, egli mantenga un interesse all'adempimento dell'obbligazione: si deve quindi dire che, nonostante l'inadempimento, la risoluzione avviene solo se così vuole il creditore. Quanto ai presupposti per la risoluzione, in presenza della clausola risolutiva espressa. una volta richiestane l'applicazione dalla parte adempiente, a nulla rileva la gravità o meno dell'inadempienza, perché essa opera di diritto, sempre che ne sussistano i presupposti, vale a dire l'esatta specificazione della prestazione, la cui mancata esecuzione può dare luogo alla risoluzione, e la precisa volontà di fare operare la risoluzione non già in conseguenza del provvedimento del giudice adìto, ma dalla volontà del creditore. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
In presenza di una clausola risolutiva espressa nel contratto di locazione ad uso diverso, l'inadempimento del conduttore al pagamento del canone legittima il locatore alla risoluzione del contratto e all'intimazione dello sfratto per morosità?
La tolleranza della parte creditrice non determina l'eliminazione della clausola risolutiva In materia di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l'eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove lo stesso creditore, contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza, manifesti l'intenzione di avvalersi della clausola, in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento (App. Roma 2 novembre 2020, n. 4987). Per meglio dire, la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine pattuito, rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto, secondo la quale il pagamento non puntuale anche di una sola rata, determina la risoluzione. Tale clausola, tuttavia, riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni (Trib. Roma 21 marzo 2019, n. 1541: nel caso di specie, avente ad oggetto la convalida dello sfratto per morosità per il mancato pagamento di due mensilità, il giudice capitolino ha ritenuto non operante la clausola risolutiva espressa apposta nel contratto di locazione, in quanto sia prima che durante il giudizio, il locatore aveva riconosciuto un termine e, dunque, tollerato il tardivo pagamento del canone da parte del conduttore). L'abituale tolleranza, quindi, non esclude la pretesa di ottenere il ripristino della rigorosa osservanza degli obblighi contrattuali, ma tale pretesa può spiegare effetti solo per l'avvenire e non può essere addotta per trarre conseguenze giuridiche sfavorevoli al conduttore per le prestazioni già scadute. In altri termini, se da un lato è vero che la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo), non determina alcuna modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersi della clausola risolutiva espressa eventualmente inserita in contratto; dall'altro lato, la tolleranza del creditore di fronte a pagamenti tardivi può invece incidere sulla posizione soggettiva del debitore, escludendone la colpa (Trib. Palermo 9 luglio 2024, n. 3960). Poiché l'imputabilità dell'inadempimento si presume ai sensi dell'art. 1218 c.c., grava sul conduttore dimostrare che il proprio inesatto inadempimento trovi giustificazione alla stregua di diversi possibili profili (oggettivi e soggettivi) concernenti la fase di esecuzione del contratto, idonei ad escludere un giudizio di rimproverabilità della condotta inadempiente. Pertanto, per ciò che più rileva, tra i profili rilevanti ai suddetti fini, vi è la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito con la clausola risolutiva espressa, ritenendosi che tale condotta, in mancanza di una preventiva diffida, sia idonea a fondare l'affidamento legittimo della controparte nella mancata utilizzazione della facoltà dalla stessa attribuita al creditore. Ne consegue che la tolleranza del creditore rende “inoperante'' la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale ritorna a dispiegare i suoi effetti solo se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, intesa a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle proprie obbligazioni (Trib. Palermo 21 dicembre 2022, n. 5385). La durata del periodo del mancato integrale pagamento del canone, nonché l'entità degli importi delle mensilità riguardo alle quali ciò si è verificato, ne comportano, per il giudice, una connotazione in termini di gravità tale da determinare la risoluzione contrattuale in base alla disciplina codicistica di cui agli artt. 1453 ss. c.c. , trattandosi di locazione ad uso diverso da quello abitativo. Del resto, l'obbligazione inerente al pagamento dei canoni ha carattere primario ex art. 1587 c.c. nell'àmbito dei contratti di locazione, sicché il suo mancato rispetto, anche sotto il profilo temporale, non può, appunto, che incidere sul sinallagma in termini tali da giustificare, ex art. 1455 c.c., l'interesse del locatore alla risoluzione contrattuale (Trib. Roma 1° settembre 2023). Comunicazione mail del locatore di intolleranza di eventuali ritardi Quando il contratto di locazione prevede la risoluzione ipso iure del contratto in caso di inadempimento di una obbligazione specificamente determinata, costituita dal “mancato pagamento, anche parziale, della pigione o delle quote di oneri accessori entro venti giorni dalla scadenza”, in tal caso, opera la piena operatività della clausola risolutiva espressa. Nel caso di specie, la locatrice aveva comunicato con mail l'indisponibilità a tollerare ritardi nel pagamento dei canoni futuri anche di una sola rata trimestrale del canone di locazione e degli oneri accessori (Trib. Milano 15 ottobre 2024, n. 9005). È irrilevante la volontà del conduttore di adempiere dopo l'intimazione dello sfratto Nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, non solo non è applicabile la speciale sanatoria prevista dall' art. 55 della l. n. 392/1978 , ma la volontà del conduttore di adempiere dopo l'intimazione di sfratto è irrilevante. Infatti, l'offerta od il pagamento del canone, laddove effettuati dopo l'intimazione di sfratto, non comportano l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell'art. 1453, comma 3, c.c., dalla data della domanda, che è quella già avanzata ex art. 657 c.p.c. con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto, il conduttore non può più adempiere. Pertanto, è ininfluente il tardivo adempimento, una volta che il locatore abbia domandato la risoluzione del contratto (App. Trento 17 luglio 2020, n. 148). Il contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, nel quale è inserita una clausola risolutiva espressa, deve allora intendersi risolto a partire dalla data di inadempimento contrattuale accertata con il procedimento di convalida di sfratto, e da tale momento, è esclusa la tassabilità del canone di locazione non percepito (Comm. Trib. Prov. Brescia 29 maggio 2019, n. 333). La clausola risolutiva espressa fa sorgere in capo al locatore il diritto potestativo di avvalersi della stessa anche a mezzo della notifica di atto di intimazione di sfratto per morosità Il procedimento per convalida di sfratto per morosità, di cui all' art. 657 c.p.c. è utilizzabile dal locatore non soltanto per far valere un'azione di risoluzione del contratto di natura costitutiva ai sensi dell'art. 1453 c.c., ma anche per far valere sempre nella forma speciale, un'azione di accertamento dell'intervenuta risoluzione di diritto del contratto locativo, in forza del verificarsi di una delle fattispecie di cui agli artt. 1454 (diffida ad adempiere), 1456 (clausola risolutiva espressa) e 1457 (termine essenziale) c.c. (Cass. III, n. 19602/2013). Premesso ciò, la stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui, ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice (Cass. III, n. 23624/2012). Pertanto, in materia di inadempimento contrattuale, a fronte di una clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta, di volersi avvalere dell'effetto risolutivo di diritto di cui all'art. 1456 c.c., non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, potendo essa manifestarsi, in maniera del tutto legittima, anche con lo stesso atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato. Difatti, la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. fa sorgere in capo al locatore, il diritto potestativo di avvalersi della stessa, anche a mezzo della notifica di atto di intimazione di sfratto per morosità (Trib. Trento 17 giugno 2015, n. 605). Ciò posto, nel caso in cui il locatore si sia avvalso della predetta clausola risolutiva espressa, il giudice, chiamato ad accertare l'avvenuta risoluzione del contratto per l'inadempimento convenzionalmente sanzionato, non deve effettuare alcuna indagine sulla gravità dell'inadempimento stesso, giacché, le parti hanno già preventivamente valutato l'importanza di un determinato inadempimento, non lasciando spazio a un diverso apprezzamento (Trib. Roma 7 febbraio 2018, n. 2981: nella specie, nel contratto di locazione, le parti avevano inserito una clausola che considerava inadempimento, tale da dare luogo alla risoluzione, qualsiasi mancato o ritardato pagamento, totale o parziale del canone di locazione o delle quote per oneri e servizi accessori). È necessaria la specifica domanda di avvalersi della clausola risolutiva In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili, perché la risoluzione stessa possa essere dichiarata sulla base di una clausola risolutiva espressa, è richiesta la specifica domanda, con la conseguenza che, una volta proposta l'ordinaria domanda, ai sensi dell' art. 1453 c.c. , con l'intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell'avvenuta risoluzione ope legis di cui all'art. 1456 c.c., in quanto quest'ultima è ontologicamente diversa dalla prima, sia per quanto concerne il petitum – perché con la domanda di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c. si chiede una sentenza costitutiva mentre quella di cui all'art. 1456 c.c. postula una sentenza dichiarativa – sia per quanto concerne la causa petendi – perché nell'ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell'art. 1453 c.c., il fatto costitutivo è l'inadempimento grave e colpevole, nell'altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa (Cass. III, n. 24207/2006). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale Il locatore comunica con lettera raccomandata al conduttore moroso nel pagamento del canone di locazione, che avvalendosi della clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione ad uso diverso, ove non provvederà a rilasciare l'immobile, entro il termine fissato con diffida ex art. 1454 c.c. , gli notificherà l'intimazione di sfratto per morosità, con il possibile aggravio di costi a suo carico. Funzione e natura del giudizio L'intimazione di sfratto per morosità, con la contestuale citazione per la convalida, è un procedimento speciale, caratterizzato dalla sommarietà del rito, la cui funzione è quella di risolvere – in assenza di opposizione del conduttore – il contratto di locazione, consentendo all'avente diritto di rientrare nel possesso della res locata, per effetto dell'altrui inadempimento all'obbligazione primaria di pagare il canone. Aspetti preliminari Mediazione L'azione proponibile dall'avente diritto ai sensi dell' art. 658 c.p.c. non richiede per la sua immediata esperibilità la preventiva instaurazione di un procedimento di mediazione, la cui osservanza, è prevista obbligatoriamente ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 in materia condominiale o locatizia prima di avviare un giudizio a cognizione piena. Competenza Ai sensi dell' art. 661 c.p.c. , quando si intima la licenza o lo sfratto per morosità, la citazione a comparire per la convalida deve farsi inderogabilmente davanti al tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata (forum rei sitae). Legittimazione Il locatore è il soggetto legittimato attivo ad intimare lo sfratto per morosità con la contestuale citazione per la convalida, mentre il conduttore è il soggetto legittimato passivo. Profili di merito Onere della prova L'onere di allegare, nello speciale procedimento sommario i presupposti per l'utile esperimento del procedimento di intimazione di sfratto per morosità con la contestuale citazione per la convalida, grava sul locatore. Contenuto dell'atto di citazione L'azione si propone con atto di citazione, nel quale, deve essere indicata l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale è proposta l'azione ex art. 658 c.p.c. , seguita dalle generalità dell'istante (data di nascita e codice fiscale) e l'indicazione del difensore (che deve a sua volta inserire il proprio codice fiscale, e l'indicazione di pec e numero di fax per la ricezione delle comunicazioni da parte della cancelleria) dal quale è rappresentato e difeso e presso il quale è elettivamente domiciliato. La parte istante deve, infatti, eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede il giudice adito. Nell'atto devono essere indicate le generalità del conduttore e la precisa indicazione dell'immobile, compresi i dati catastali dello stesso. Sùbito dopo la parte narrativa, va indicata l'intimazione formale dello sfratto per morosità nei confronti del conduttore, con l'invito a rilasciare nella disponibilità dell'intimante l'immobile precedentemente locato, libero e sgombero da persone e cose, con la successiva vocatio in jus dello stesso conduttore a comparire dinanzi al giudice adito, indicando l'udienza di comparizione, ed inserendo l'invito a costituirsi nei prescritti modi e termini di legge. Tra la data di notifica dell'intimazione e quello dell'udienza indicata nell'atto, devono intercorrere almeno 20 giorni liberi. L'atto deve contenere l'avviso ex art. 663 c.p.c. , secondo cui se l'intimato non comparisce o comparendo non si oppone, il giudice convaliderà l'intimato sfratto per morosità. A seguito della riforma del processo civile per effetto del d.lgs. n. 149/2022 in attuazione della legge di delega n. 206/2021, la sostituzione dell'art. 663 c.p.c. comporta la necessità di precisare nel ricorso che se l'intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida con ordinanza esecutiva la licenza o lo sfratto. Al riguardo, la norma prevede altresì che il giudice ordina la rinnovazione della citazione, se risulta od appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. A seguito della Riforma Cartabia approvata con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022, l'art. 663 c.p.c. è stato sostituito, prevedendo l'attuale versione che se l'intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida con ordinanza esecutiva la licenza o lo sfratto. Il giudice ordina che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. Inoltre, la stessa norma, al comma 2, dispone che se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tale caso, il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione. Si tratta di una disposizione volta a coordinare quella di cui all'art. 663 c.p.c. con l'abolizione della formula esecutiva. Pertanto, se lo sfratto è stato intimato per il mancato pagamento del canone di locazione, la convalida è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste, dichiarazione quest'ultima che va pertanto inserita nell'atto di intimazione ex art. 658 c.p.c. Nelle conclusioni, l'intimante deve chiedere al giudice adito la convalida dello sfratto con la condanna del conduttore al rilascio dell'immobile, libero da persone e cose, con la dichiarazione di cessazione del contratto, e la pronuncia dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c. in caso di opposizione dell'intimato, e la sua condanna al pagamento delle spese di lite. Va anche precisata la concessione del termine minimo ex art. 56 della l. n. 392/1978. All'atto vanno allegati il contratto e la dichiarazione di valore riguardante il pagamento del contributo unificato. L'atto deve essere sottoscritto dal difensore, e contenere con separato atto, il mandato alla lite, sottoscritto dalla parte, la cui firma deve essere autenticata dal difensore. Richieste istruttorie Il locatore che agisce ex art. 658 c.p.c. nei confronti del conduttore per conseguire la convalida dell'intimato sfratto per morosità, deve allegare i relativi presupposti, tra cui il contratto di locazione e la lettera di costituzione in mora del conduttore, riguardante il mancato pagamento del canone di locazione, ed eventualmente, anche degli oneri accessori laddove ancora dovuti dal medesimo ex art. 9 della l. n. 392/1978, in misura superiore ad almeno due mensilità del canone locatizio. In tale ottica, nella fase sommaria, in assenza di comparizione del conduttore o di una sua opposizione, basterà quindi che il locatore attesti la persistenza della morosità del conduttore, per conseguire la convalida dell'intimazione, con la sua relativa condanna al rilascio. 4. ConclusioniLa giurisprudenza di legittimità ha, in più occasioni, affermato che la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito, rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia, se il creditore, che non intenda rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni (Cass. VI, n. 14508/2018). Tuttavia, non può essere imposto al locatore, in applicazione del generale principio di buona fede nell'esecuzione del contratto, e del divieto dell'abuso del processo, di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza. Conseguentemente, in tale ottica, assume importanza prima di tutto, la preventiva contestazione rivolta dal locatore al conduttore ex art. 1454 c.c. riferita all'inadempimento dell'obbligo di pagamento del canone, con l'avvertimento che, in difetto di tale adempimento, il contratto di locazione ad uso diverso deve intendersi risolto di diritto, ai sensi dell'art. 1456 c.c., e, successivamente, l'inserimento nell'intimazione di sfratto per morosità, della specifica domanda del locatore, di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto, la quale, andrà reiterata anche in sede di deposito delle memorie che segnano l'avvio del giudizio di merito, nell'eventualità che il conduttore proponga opposizione allo sfratto. Al riguardo, in merito alla domanda di risoluzione del contratto di locazione ex art. 1456 c.c. , è importante considerare che la stessa costituisce una domanda diversa rispetto a quella formulata ex artt. 1453 e 1455, c.c., ragione per cui non può essere formulata per la prima volta nella memoria integrativa disposta con il mutamento del rito a seguito dell'opposizione del conduttore intimato, proprio perché la risoluzione richiesta sulla base di una clausola risolutiva espressa, esige una domanda ad hoc, che è onere del locatore formulare già nella fase speciale iniziale a cognizione sommaria, con la conseguenza che se in quest'ultima non è stata proposta, essendosi fatto riferimento all'ordinaria domanda ex art. 1453 c.c. con l'intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla successivamente in domanda di accertamento dell'avvenuta risoluzione ope legis di cui all'art. 1456 c.c., in quanto quest'ultima, è ontologicamente diversa per petitum e causa petendi. A ciò aggiungasi che la valutazione sull'esistenza o meno di una prassi di tolleranza del ritardo nel pagamento del canone, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice, e che la lettera raccomandata contenente una diffida ad adempiere non può che essere considerata come una manifestazione di volontà confermativa da parte del locatore di avvalersi della clausola risolutiva espressa, la quale, conseguentemente, esonera il medesimo locatore dall'obbligo di dimostrare la gravità dell'inadempimento del conduttore, sulla cui scorta intima lo sfratto per morosità con la contestuale richiesta di convalida. Ciò in quanto, la clausola risolutiva espressa attribuisce al locatore il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento del conduttore, concernente nello specifico, il mancato puntuale pagamento del canone, dispensandolo dall'onere di provarne l'importanza, ai sensi dell' art. 1455 c.c. sul piano della risoluzione del contratto per l'inadempimento della controparte. Inoltre, sempre in merito a quanto sopra evidenziato, va opportunamente considerato che nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione, alle quali, come è noto (v., ex multis, Cass. S.U., n. 272/1999) non si applica la disciplina di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, meglio nota come “termine di grazia”, l'offerta o il pagamento del canone, se effettuati dopo l'intimazione dello sfratto per morosità, non consentono, da una parte, attesa l'insussistenza della persistente morosità di cui all'art. 663, comma 3, c.p.c., l'emissione, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, ma non comportano, dall'altra, nel giudizio susseguente a cognizione piena, l'inoperatività della clausola risolutiva espressa (se correttamente invocata dal locatore già nella fase di sfratto), in quanto, ai sensi dell'art. 1453, comma 3, c.c., dalla data della domanda – che è quella già avanzata ex art. 658 c.p.c., con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto – il conduttore non può più adempiere la sua obbligazione concernente il pagamento del canone (Cass. III, n.28502/2018; Cass. III, n. 13248/2010). Le cause di risoluzione per inadempimento del conduttore debbono preesistere al momento in cui la controparte propone la domanda giudiziale, e il giudice non può prescindere dalla sussistenza dell'inadempimento al momento della domanda, con la conseguenza che non gli è consentito porre a fondamento dell'accoglimento della stessa la sola persistenza della morosità emersa in corso di lite (Cass. III, n. 26493/2022). La contestazione del locatore può riguardare il mutamento totale od anche solo parziale della destinazione della res locata, costituendo una rilevante violazione negoziale in relazione alla volontà dei contraenti ed alla natura e finalità del rapporto di locazione commerciale (Trib. Milano 15 luglio 2024). Sul piano fiscale, secondo la più recente ed ormai costante giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 746/2024) il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo – per i quali ultimi opera, invece, la deroga introdotta dall'art. 8 l. 9 dicembre 1998, n. 431 – è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto od un provvedimento di convalida dello sfratto, atteso che il criterio di imputazione di tale reddito è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione. Ciò in quanto, solo a seguito della convalida di sfratto o della sentenza che dichiari risolto il contratto od a seguito della registrazione della risoluzione del contratto i canoni di locazione non sono più soggetti ad imposizione trovando applicazione l'ordinaria tassazione catastale dell'immobile. Pertanto, la registrazione dell'accordo risolutivo costituisce, dunque, un obbligo fiscale alla cui omissione consegue il persistere dell'obbligazione tributaria, con la conseguente inopponibilità all'Amministrazione Finanziaria di un atto non portato a legale scienza di quest'ultima (Cass. V, n. 27550/2024). |