Mancato versamento del deposito cauzionale1. Bussole di inquadramentoIl deposito cauzionale Nella prassi, si identifica con il deposito cauzionale una somma di denaro rilasciata dal conduttore a garanzia delle obbligazioni a suo carico, fino al termine del rapporto ed alla riconsegna dei locali. Il deposito cauzionale, di cui è cenno nell' art. 1608 c.c. con l'espressione «garanzie idonee», è stato istituzionalizzato dall'art. 11 della l. n. 392/1978. Dalla correlazione tra il disposto dell'art. 1608 c.c. e l'art. 11 della l. n. 392/1978 – che prevede espressamente che il deposito non possa superare le tre mensilità del canone e che esso è produttivo di interessi legali – si è dedotto che tale l'obbligo sussiste indipendentemente da una clausola pattizia che lo preveda e che l'inadempimento a detto obbligo, cui si accompagni la mancata fornitura di mobilio sufficiente, autorizzi il locatore alla risoluzione del contratto (Trib. Brescia 17 febbraio 1992). La funzione del deposito è, quindi, quella di assicurare l'adempimento di tutti gli obblighi, legali e convenzionali, del conduttore, ivi compresa l'osservanza della destinazione, la regolarità dei versamenti periodici, l'esatta restituzione del bene locato e, quindi, non soltanto di quella relativa al pagamento del canone (Cass. II, n. 14655/2002). La somma versata a tale titolo non può essere opposta in compensazione, a meno che le parti lo convengano espressamente, con i canoni dovuti perché altrimenti verrebbe meno la sua funzione di garanzia per le altre obbligazioni eventualmente ancora rimaste a carico del conduttore. Quindi, in assenza di una definizione normativa, la giurisprudenza configura il deposito cauzionale, nella misura in cui abbia ad oggetto denaro o, eventualmente, altre cose fungibili, come pegno irregolare con funzione di garanzia delle obbligazioni gravanti sul conduttore; sicché, una volta versato, esso diviene di proprietà del locatore residuando in capo al conduttore un diritto di credito esigibile solo nel momento in cui, cessato il contratto e venuta meno la sua finalità, il conduttore potrà chiederne la restituzione. Detto ciò, in caso di mancato versamento del deposito cauzionale, il locatore può richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento. Se il contratto non impone la corresponsione della cauzione, questa non può essere chiesta successivamente alla conclusione dello stesso. La clausola risolutiva espressa La clausola risolutiva espressa è la pattuizione delle parti di un contratto che assumono un determinato adempimento, venendo meno il quale il contratto stesso si risolve. È disciplinata dall' art. 1456 c.c. secondo cui il contratto si risolve qualora una determinata obbligazione non viene eseguita secondo le modalità stabilite. In tal caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva. Con la previsione in contratto della clausola risolutiva espressa, l'intento delle parti è unicamente quello di sostituire il proprio sovrano apprezzamento a quello del giudice circa l'opportunità della risoluzione: una volta che il creditore deluso dichiari all'inadempiente la di lui mancata ottemperanza all'obbligazione dedotta in contratto e la propria intenzione di avvalersi della clausola, il contratto è risolto al punto da rendere superflua ogni valutazione del giudice circa la gravità dell'inadempimento perché è dalla parte adempiente che dipende la risoluzione del contratto. È infatti questa, in buona sostanza, che può decidere se, nonostante l'inadempimento del debitore, egli mantenga un interesse all'adempimento dell'obbligazione: si deve, quindi, dire che, nonostante l'inadempimento, la risoluzione avviene solo se così vuole il creditore. Quanto ai presupposti per la risoluzione, in presenza della clausola risolutiva espressa e una volta richiestane l'applicazione dalla parte adempiente, a nulla rileva la gravità o meno dell'inadempienza perché essa opera di diritto, sempre che ne sussistano i presupposti, vale a dire l'esatta specifica della prestazione la cui mancata esecuzione può dar luogo alla risoluzione e la precisa volontà di fare operare la risoluzione non già in conseguenza del provvedimento del giudice adìto, ma dalla volontà del creditore dell'uso. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Il mancato versamento del deposito cauzionale da parte del conduttore comporta la risoluzione del contratto di locazione?
Risoluzione del contratto per mancato versamento del deposito cauzionale L'inosservanza dell' art. 1608 c.c. , a norma del quale tra le obbligazioni essenziali del conduttore vi è quella di prestare una garanzia – fornendo la casa di mobili sufficienti, o versando un deposito cauzionale, oppure in altro modo – che sia idonea ad assicurare il pagamento della pigione, comporta la risoluzione del contratto di locazione (Trib. Brescia 17 febbraio 1992; Trib. Roma 20 luglio 1983). In argomento, inoltre, si osserva che la domanda con la quale il locatore richiede l'attribuzione del deposito cauzionale, effettuato dal conduttore in funzione di garanzia dell'adempimento di tutti gli obblighi incombenti a suo carico, qualora non possa essere ritenuta conseguenziale – per non essere il deposito stesso commisurato all'entità del corrispettivo dovuto – alla domanda di quantificazione del canone, resta soggetta alla disciplina ordinaria della competenza per valore (Cass. III, n. 2622/1983). Risoluzione del contratto in forza di clausola risolutiva espressa La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice (Cass. III, n. 23624/2012). Qualora le parti di un contratto (nella specie, di locazione) stiano in giudizio per la risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c. e la clausola risolutiva espressa, pure stipulata ai sensi dell'art. 1456 c.c., non sia stata esercitata ma rinunciata dalla parte a vantaggio della quale era stata pattuita, l'adempimento dell'obbligazione regolato dalla predetta clausola assume ciononostante rilievo ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento (cui l'art. 1455 c.c. subordina la risoluzione), nella quale peso preponderante assume proprio l'iniziale valutazione che le stesse parti avevano fatto, sicché quella obbligazione rimasta inadempiuta continua a rilevare nel contesto dei reciproci inadempimenti (Cass. III, n. 18320/2015). In riferimento agli obblighi di garanzia del conduttore, i giudici hanno precisato che, in un contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo, la clausola che impone al conduttore l'obbligo di fornire una fideiussione a prima richiesta non va incontro alla sanzione di nullità posta dall' art. 79 della l. n. 392/1978 , in quanto la garanzia fideiussoria non assolve le funzioni tipiche del deposito cauzionale, ma tende a garantire più di una obbligazione del conduttore; diversamente, in caso di mancata prestazione della fideiussione è pertanto ammissibile la risoluzione del contratto per inadempimento, in forza della clausola risolutiva espressa specificamente prevista dalle parti (Trib. Vicenza 13 giugno 2002; Trib. Verona 22 agosto 1990). Da ultimo, si osserva che il diritto potestativo di risolvere il rapporto, in conseguenza dell'inadempimento di una parte, quando sia prevista la clausola risolutiva espressa, diritto che si esercita mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola stessa ( art. 1456, comma 2, c.c. ), è soggetto a prescrizione ai sensi dell'art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge, e l'inizio della decorrenza della prescrizione coincide, secondo la regola generale dettata dall'art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere, e cioè con il verificarsi del primo inadempimento in caso di prestazioni periodiche (Cass. III, n. 6386/2018). Diversità di azioni tra risoluzione per inadempimento e accertamento di avvenuta risoluzione Si tenga, peraltro, presente che l'ordinaria domanda ex art. 1453 c.c. di risoluzione del contratto per inadempimento è ontologicamente diversa dalla domanda di accertamento dell'avvenuta risoluzione ope legis di cui all'art. 1456 c.c. sia per quanto concerne il petitum e sia la causa petendi: quanto al primo, infatti, con la domanda di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c. si chiede una sentenza costitutiva, mentre quella di cui all'art. 1456 c.c. postula una sentenza dichiarativa; quanto alla causa petendi, perché nell'ordinaria domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c., il fatto costitutivo è l'inadempimento grave e colpevole, nell'altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa: conseguentemente, ove la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. sia stata proposta per la prima volta in appello, deve considerarsi domanda nuova, e pertanto preclusa a norma dell'art. 345 c.p.c. (Cass. III, n. 29654/2018). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale Il locatore, il quale non abbia ricevuto dal conduttore il deposito cauzionale convenuto in sede di stipula del relativo contratto di locazione, può contestare per iscritto con lettera raccomandata – o via pec – detto inadempimento alla controparte, invitandola a provvedere entro un congruo termine, al fine di evitare il ricorso all'azione legale, con l'addebito delle relative spese. Conseguentemente, in tale modo, il conduttore ha la possibilità di rimediare all'omissione dell'anzidetto obbligo convenzionale, evitando ulteriori conseguenze sul piano legale, anche per quanto attiene al pagamento delle correlate spese. Funzione e natura del giudizio È un ordinario giudizio di cognizione, con il quale il locatore evoca dinanzi al giudice il conduttore per conseguire nei suoi confronti la risoluzione del contratto per il mancato versamento del deposito cauzionale, attivando, a tale fine, la clausola risolutiva espressa contenuta nello stesso contratto di locazione. Aspetti preliminari Mediazione Il locatore, il quale intende esercitare in giudizio nei confronti del conduttore l'azione volta a conseguire la risoluzione del contratto di locazione per l'inadempimento al versamento del deposito cauzionale, deve prima esperire il procedimento di mediazione previsto dall' art. 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28/2010 , quale condizione obbligatoria di procedibilità. Competenza Il giudice competente è il Tribunale del luogo in cui è posto l'immobile, perché, in tema di locazioni, la competenza territoriale del giudice del locus rei sitae, come si ricava dagli artt. 21 e 447-bis c.p.c., ha natura inderogabile, con la conseguente invalidità di un'eventuale clausola difforme, rilevabile ex officio anche in sede di regolamento di competenza (Cass. VI, n. 12404/2020). Legittimazione Il locatore è il soggetto legittimato attivo all'esercizio dell'azione di risoluzione del rapporto locatizio, ed il conduttore quello legittimato passivo. Profili di merito Onere della prova L'onere di allegare la situazione generatrice del grave inadempimento del conduttore – mancato versamento del deposito cauzionale – grava sul locatore, il quale nell'agire per la risoluzione del contratto di locazione, in forza della clausola risolutiva espressa, deve anche indicare le eventuali ulteriori correlate violazioni commesse dalla controparte nel corso del rapporto, rapportandole al contenuto degli obblighi contrattuali precedentemente intercorsi, anche sotto il profilo della loro gravità ai sensi dell' art. 1455 c.c. , costituendo anche quest'ultimo elemento, un presupposto dalla cui valutazione dipende l'accoglimento della relativa domanda di risoluzione, fermo restando l'operatività della clausola anzidetta laddove attivata dal locatore. Contenuto del ricorso L'azione si propone con ricorso, nel quale il locatore deve indicare l'autorità competente dinanzi al quale intende chiamare in giudizio il conduttore, unitamente alle sue generalità ed a quelle del proprio difensore, il quale dovrà avere cura di indicare la propria pec ed il numero di fax per la ricezione delle relative comunicazioni. Inoltre, il locatore deve anche eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede lo stesso giudice adito, e, indicate nel ricorso le esatte generalità del conduttore, precisare altresì l'ubicazione dell'immobile con i relativi identificativi catastali, avendo cura di riportare nella narrazione del fatto, le ragioni addotte rispettivamente a fondamento della causa petendi e del petitum richiesto, anche in via mediata, e delle richieste formulate nelle conclusioni dell'atto (azione di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore), con la correlata documentazione probatoria che intende offrire a corredo della domanda. Al riguardo, trattandosi di ricorso, occorre indicare subito a pena di decadenza tutte le prove che si intendono sottoporre all'attenzione del giudice, come ad esempio l'interrogatorio formale del conduttore e le esatte generalità degli eventuali testimoni che si intendono ascoltare sulle posizioni “fattuali” dell'atto introduttivo della controversia, che dunque devono già essere opportunamente “capitolate”, oltre a tutta la relativa documentazione probatoria (contratto di locazione; lettera di contestazione dell'inadempimento del conduttore; verbale del procedimento di mediazione conclusosi negativamente). Ciò non toglie, però, che, nella narrazione del “fatto”, occorre opportunamente soffermarsi sulla concreta posizione assunta nella vicenda dal conduttore, laddove il medesimo, responsabile della violazione ascrittagli nel contratto riguardante l'inosservanza dei relativi obblighi, tra cui quello di corrispondere il deposito cauzionale, abbia continuato a rimanere inerte, nonostante la tempestiva conoscenza della relativa contestazione, comprovata dalla precedente corrispondenza intercorsa o da un'eventuale diffida ricevuta dal locatore al fine di attivarsi per porre rimedio alla situazione creatasi in suo danno, potendo risultare utile ai sensi dell' art. 116 c.p.c. , sul piano della valutazione del relativo comportamento laddove risulti inserito in un contesto fattuale idoneo a farlo ritenere come gravemente inadempiente, anche all'esito del precedente procedimento di mediazione avviato dallo stesso locatore nei confronti del medesimo soggetto responsabile. Il ricorso deve, quindi, essere sottoscritto dal difensore su atto separato contenente la procura alla lite, sottoscritta dalla parte rappresentata dal medesimo difensore ed autenticata da quest'ultimo. Richieste istruttorie L'onere di chiedere l'interrogatorio formale del conduttore sui fatti oggetto di contestazione riguardanti le circostanze fattuali ritenute idonee a configurare il grave inadempimento ai propri obblighi contrattuali (nel caso di specie, conseguente all'omesso versamento del deposito cauzionale previsto nel contratto) grava sul locatore, il quale adempie al suddetto onere allegando la fonte negoziale del proprio diritto – copia del contratto di locazione al cui interno sia prevista la corresponsione del suddetto deposito in misura pari a due mensilità del canone convenuto – spettando al conduttore l'onere di allegare la prova contraria, di averlo già corrisposto, con strumenti di pagamento tracciabili (assegno, bonifico). Conclusioni Il mancato versamento del deposito cauzionale è motivo di risoluzione del contratto locatizio (Trib. Brescia 17 febbraio 1992), laddove di ammontare pari ad almeno una mensilità del canone di locazione stabilito a titolo di corrispettivo della locazione, atteso che occorre valutare comunque la gravità dell'inadempimento, come nel caso di una sua mancata integrazione, contrattualmente convenuta, la quale potrebbe non costituire di per sé grave inadempimento idoneo a provocare la risoluzione del contratto di locazione (App. Cagliari 17 maggio 1991). Infatti, anche in presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede ed il divieto di abuso del diritto, preservando l'uno gli interessi dell'altro. Il potere di risolvere di diritto il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa, in particolare, è necessariamente governato dal principio di buona fede, da tempo individuato dagli interpreti sulla base del dettato normativo, come direttiva fondamentale per valutare l'agire dei privati e come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del contratto. Il principio di buona fede si pone allora, nell'ambito della fattispecie dell'art. 1456 c.c., come canone di valutazione sia dell'esistenza dell'inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l'abuso, impedendone l'esercizio ove contrario ad essa. L'inadempimento all'obbligazione, contrattualmente previsto come integrativo del potere di provocare in via potestativa la risoluzione del contratto, deve cioè essere effettivo, proprio perché la previsione negoziale è da interpretare ed eseguire secondo buona fede. Il tema, quindi, attiene non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello oggettivo della condotta inadempiente, che in concreto manca, laddove essa – secondo una lettura condotta alla stregua del canone della buona fede – risulti in concreto inidonea ad integrare la fattispecie convenzionale, onde implausibile, secondo il medesimo canone, risulti l'esercizio del diritto di risoluzione da parte dell'altro contraente. |