Uso promiscuo dell'immobile locato in spregio alle previsioni contrattuali1. Bussole di inquadramentoLocazione ad uso promiscuo Si tratta dell'ipotesi in cui un unico immobile sia locato per una pluralità di usi, ossia una porzione utilizzata per finalità abitative e la rimanente ad uso diverso, senza tuttavia la possibilità di scinderle materialmente, oppure si pensi al caso del conduttore che lavora nel medesimo alloggio dove vive. Detto ciò, in mancanza di una disposizione espressa, nella l. n. 392/1978 , così come nella l. n. 431/1998, dell'ipotesi di locazione di immobile adibito ad uso promiscuo, nulla impedisce ai contraenti di concordare la destinazione a più usi dell'immobile locato. Tuttavia, la diversità della disciplina prevista dal legislatore a seconda della diversa destinazione dell'immobile comporta la necessità di stabilire, in riferimento a tale tipologia di locazioni, quale sia il regime giuridico concretamente applicabile. Su questo punto, si è confrontata la magistratura (sia di legittimità che di merito), giungendo alla conclusione per cui può farsi applicazione analogica del principio dell'uso “prevalente” stabilito dall'art. 80, comma 2, della l. n. 392/1978 – non abrogato dalla novella del 1998 – in base al quale l'intero rapporto è assoggettato al regime giuridico previsto per la destinazione preminente, anche se le soluzioni divergono allorché tale principio viene applicato alle singole fattispecie sottoposte all'esame di giudici. In proposito, si è ripetutamente affermato che rientra nella disponibilità delle parti – e non incorre nella nullità assoluta di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978 – stabilire quale debba essere in concreto la destinazione da dare all'immobile locato (Cass. III, n. 20331/2006); sicché, come nell'uso abitativo non contrasta con la suddetta norma l'espressa previsione che l'immobile debba servire non a dimora stabile del conduttore ma a realizzare altre sue esigenze di natura transitoria o turistica, così nell'uso non abitativo è concesso ai contraenti di escludere la possibilità di usare l'immobile locato come luogo aperto al pubblico degli utenti e dei consumatori. Il mutamento del regime giuridico Le disposizioni della legge sull'equo canone prevedono che, se il conduttore adibisce l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione. Di conseguenza, decorso tale termine senza che la risoluzione sia stata chiesta, al contratto si applicherà il regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile. Qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente. Dunque, l' art. 80 della l. n. 392/1978 va interpretato nel senso che la norma trova applicazione ogni qual volta il mutamento d'uso rimanda all'applicazione di un diverso regime giuridico. A questo punto, come sostenuto in giurisprudenza, l'uso diverso da quello contrattualmente stabilito non va individuato soltanto nella generale dicotomia di uso abitativo e non abitativo la quale, seppure costituisce la più macroscopica ipotesi di uso diverso da quello pattuito, non ne esaurisce l'intera gamma, bensì nel mutamento di regime giuridico. Non, quindi, qualsiasi modifica della destinazione dell'immobile è rilevante ai sensi dell'art. 80 citato, ma solo quella connessa ad una diversa disciplina normativa (Cass. III, n. 2962/1996). Pertanto, la norma trova applicazione anche quando il contratto originario preveda un uso non contemplato dalla c.d. legge dell'equo canone ed il successivo mutamento dia luogo all'adibizione ad un uso da essa contemplato (Cass. III, n. 1684/1989; Cass. III, n. 3310/1989). Locazioni caratterizzate dalla pluralità dei rapporti Dalla presente tematica esulano i casi di locazione di immobili apparentemente unici, ma in realtà composti di più locali funzionalmente autonomi e, perciò, destinati ad usi diversi fra loro – per esempio, locali con ingressi e servizi indipendenti – con riferimento ai quali si parla, più propriamente, di locazioni ad uso plurimo, caratterizzate dalla pluralità dei rapporti, ciascuno dei quali segue la propria normativa, e parimenti dicasi nell'ipotesi del proprietario di due ben separate unità immobiliari site nel medesimo palazzo, entrambe locate allo stesso soggetto, ma di cui una sia ad uso abitativo e l'altra no, trattandosi di due distinti rapporti, ciascuno soggetto alla sua peculiare disciplina. Nel determinare la prevalenza, l'interprete deve tener conto, in primo luogo, della volontà delle parti e, se tale indagine ermeneutica non raggiunga un risultato positivo, rimanendo incerto quale fra gli usi consentiti le parti abbiano inteso quello prevalente, va analizzato l'uso “effettivo” preminente. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
In caso di uso promiscuo in spregio alle previsioni contrattuali, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto?
Valutazioni sulla prevalenza dell'uso Nel caso in cui l'uso promiscuo dell'immobile locato sia stato previsto dal contratto, il rapporto, in virtù dell'applicazione analogica del criterio indicato dall'art. 80, ultimo comma, della l. n. 392/1878, deve considerarsi regolato dall'uso prevalente voluto dalle parti, a meno che, avendo il conduttore adibito l'immobile per un uso diverso, non debba assumere rilievo l'uso effettivo, secondo la previsione del richiamato art. 80 (Cass. III, n. 9612/2003). Per meglio dire, quando l'uso promiscuo sia stato pattuito dalle parti, il giudice, al fine di stabilire quale regime giuridico debba essere applicato al contratto, deve, in primo luogo, accertare quale sia stata la volontà delle parti in ordine all'uso prevalente e se variazioni consensuali in ordine a tale punto siano sopravvenute nel corso del rapporto. Solo dopo aver proceduto a tale accertamento e nell'ipotesi che da taluna delle parti venga prospettata l'esistenza di un rapporto di prevalenza diverso da quello pattuito, tale da incidere sulla disciplina giuridica del contratto, il giudice potrà procedere all'accertamento dell'uso effettivo e conseguentemente, in applicazione del richiamato disposto dell'ultimo comma dell'art. 80, applicare al contratto il corrispondente regime giuridico (Cass. III, n. 12120/2005; Cass. III, n. 4482/1994; Cass. III, n. 583/1993). Per quanto attiene, poi, al giudizio sulla concreta prevalenza dell'uso, si è sottolineato che il mero dato quantitativo della superficie adibita ai due usi non può fondare, di per sé, il riconoscimento della prevalenza dell'uno sull'altro, trattandosi di un criterio correlato ad una valutazione complessiva dell'importanza, soprattutto economica, delle varie utilizzazioni (Cass. III, n. 2768/1997). In definitiva, la prevalenza non va stabilita sulla base di un criterio spaziale, ma con riferimento all'importanza delle varie utilizzazioni (Trib. Perugia 19 settembre 1985: così, ad esempio, è stata ritenuta la prevalenza dell'uso non abitativo con riguardo al caso della panetteria con annessa abitazione, considerata la maggiore incidenza della destinazione commerciale nell'economia del rapporto). L'inadempimento può comportare la risoluzione del contratto Il cambiamento di destinazione può verificarsi all'interno della medesima categoria delle locazioni abitative, come nel caso di mutamento da abitazione transitoria ad abitazione primaria. La ratio della norma è quella di impedire che le parti possano stipulare contratti simulati al solo scopo di eludere la disciplina legislativamente prevista per ciascun tipo di locazione; ed il mezzo offerto al locatore dall' art. 80 della l. n. 392/1978 è stato di prevedere, al fine di ottenere la risoluzione del contratto, una specifica ipotesi di inadempimento atta ad evitare che il locatore venga a subire, per il comportamento successivo del solo conduttore, una disciplina giuridica del rapporto diversa da quella accettata da ambo le parti con lo stipulare un determinato tipo di contratto (Cass. III, n. 9689/1994; Cass. III, n. 11952/1992; Cass. III, n. 5689/1990; Cass. III, n. 4600/1986). Quindi, il mutamento anche parziale dell'uso dell'immobile locato (nella specie, da abitazione a gabinetto di estetista) attuato unilateralmente dal conduttore che importi una variazione della disciplina applicabile al contratto, fa sorgere in capo al locatore un interesse rilevante ai fini della risoluzione del contratto stesso per inadempimento (Trib. Cagliari 6 marzo 1995). L'art. 80 citato, essendo diretto ad evitare che venga elusa la disciplina fissata per le diverse tipologie locative, deve essere riferito a tutti i casi in cui la variazione comporti l'applicazione di una diversa disciplina, e si applica anche al mutamento che trasforma l'uso di immobile previsto per le esigenze abitative transitorie del conduttore, disciplinato dall'art. 26, lett. a), in quello diverso di abitazione utilizzata per destinazione abitativa stabile, e viceversa (Cass. III, n. 969/2007). In definitiva, la locazione promiscua, commerciale ed abitativa, di un immobile urbano è regolata secondo l'uso indicato dalle parti, fuori dei casi in cui tale uso si ponga come assolutamente marginale rispetto all'altro, ed in tale ipotesi può aver luogo una simulazione di contratto. Tuttavia, il mutamento di destinazione dell'immobile già locato ad uso promiscuo, rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all' art. 80 della l. n. 392/1978 , deve consistere in un'alterazione nell'àmbito del preesistente rapporto tra i due usi congiunti (Trib. Milano 17 maggio 2000). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale Il locatore, in caso di riscontrato uso promiscuo in spregio alle previsioni contrattuali della res locata da parte del conduttore, può avvalersi della facoltà di chiedere la risoluzione del contratto, e, a tale fine, prima di agire in giudizio può formalizzare tale richiesta per iscritto al conduttore, manifestandogli la possibilità di addivenire ad una risoluzione consensuale del rapporto, in modo da evitare il ricorso al giudice, con notevole risparmio in termini di costi e tempo. Funzione e natura del giudizio Trattasi di un ordinario giudizio di cognizione, con il quale il locatore evoca dinanzi al giudice il conduttore al fine di conseguire nei suoi confronti la risoluzione del contratto di locazione dell'immobile, per effetto dell'uso promiscuo riscontrato in spregio alle previsioni contrattuali. Aspetti preliminari Mediazione Il locatore, il quale intende esercitare in giudizio nei confronti del conduttore l'azione volta a conseguire la risoluzione del contratto di locazione per effetto dell'uso promiscuo riscontrato in spregio alle previsioni contrattuali, deve prima esperire il procedimento di mediazione previsto dall' art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 , quale condizione obbligatoria di procedibilità. Competenza Il giudice competente è il Tribunale del luogo in cui è posto l'immobile, perché, in tema di locazioni, la competenza territoriale appartiene al giudice del locus rei sitae, come del resto si ricava dagli artt. 21 e 447-bis c.p.c., la quale ha natura inderogabile, con la conseguente invalidità di un'eventuale clausola difforme, rilevabile ex officio anche in sede di regolamento di competenza (Cass. VI, n. 12404/2020). Legittimazione Il locatore è il soggetto legittimato attivo all'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto di locazione per effetto dell'uso promiscuo dell'immobile riscontrato in spregio alle previsioni contrattuali, ed il conduttore quello legittimato passivo. Profili di merito Onere della prova In applicazione degli ordinari criteri di riparto dell'onere della prova, il locatore deve assolvere quello riguardante l'inadempimento del conduttore per effetto dell'uso promiscuo riscontrato in spregio alle previsioni contrattuali dell'immobile condotto in locazione senza la preventiva autorizzazione scritta del locatore, tenendo presente che l'azione ha natura contrattuale, in quanto si fonda sul mancato adempimento, da parte del conduttore, di una delle obbligazioni principali su di esso gravante: quella di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto. Conseguentemente, il locatore deve solo fornire la prova dell'intervenuto uso promiscuo in spregio alle condizioni contrattuali riguardanti la res, allegando la fonte negoziale del rapporto e l'assenza di una preventiva autorizzazione in tale senso. Contenuto del ricorso L'azione si propone con ricorso, nel quale il locatore deve indicare l'autorità competente dinanzi alla quale intende chiamare in giudizio il conduttore, unitamente alle sue generalità ed a quelle del proprio difensore, il quale dovrà avere cura di indicare la propria pec ed il numero di fax per la ricezione delle relative comunicazioni. Inoltre, il locatore deve anche eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede lo stesso giudice adìto, e, indicate nel ricorso le esatte generalità del conduttore, precisare altresì l'ubicazione dell'immobile con i relativi identificativi catastali, avendo cura di riportare nella narrazione del fatto, le ragioni addotte rispettivamente a fondamento della causa petendi e del petitum richiesto, anche in via mediata, e delle richieste formulate nelle conclusioni dell'atto – azione di risoluzione del contratto di locazione per l'uso promiscuo in spregio alle condizioni contrattuali dell'immobile da parte del conduttore, senza alcuna preventiva autorizzazione scritta – con la correlata documentazione probatoria che intende offrire a corredo della domanda. Al riguardo, trattandosi di ricorso, occorre indicare subito a pena di decadenza tutte le prove che si intendono sottoporre all'attenzione del giudice, come ad esempio l'interrogatorio formale del conduttore e le esatte generalità degli eventuali testimoni che si intendono ascoltare sulle posizioni “fattuali” dell'atto introduttivo della controversia, che dunque devono già essere opportunamente “capitolate”. oltre a tutta la relativa documentazione probatoria (contratto di locazione, lettera di contestazione dell'inadempimento del conduttore, fotografie e/o riprese video degli ambienti interni dell'immobile locato, verbale del procedimento di mediazione conclusosi negativamente). Ciò non toglie, però, che, nella narrazione del “fatto”, occorre opportunamente soffermarsi sulla concreta posizione assunta nella vicenda dal conduttore, laddove il medesimo, responsabile della violazione ascrittagli nel contratto riguardante l'inosservanza dei relativi obblighi, tra cui quello di preservare lo stato e la destinazione della cosa locata, abbia continuato a rimanere inerte, nonostante la tempestiva conoscenza della relativa contestazione, comprovata dalla precedente corrispondenza intercorsa o da un'eventuale diffida ricevuta dal locatore al fine di attivarsi per porre rimedio alla situazione creatasi in suo danno, potendo risultare utile ai sensi dell' art. 116 c.p.c. , sul piano della valutazione del relativo comportamento laddove risulti inserito in un contesto fattuale idoneo a farlo ritenere come gravemente inadempiente, anche all'esito del precedente procedimento di mediazione avviato dallo stesso locatore nei confronti del medesimo soggetto responsabile. Il ricorso deve, quindi, essere sottoscritto dal difensore su atto separato contenente la procura alla lite, sottoscritta dalla parte rappresentata dal medesimo difensore ed autenticata da quest'ultimo. Richieste istruttorie L'onere di chiedere l'interrogatorio formale del conduttore sui fatti oggetto di contestazione riguardanti le circostanze fattuali ritenute idonee a configurare il grave inadempimento ai propri obblighi contrattuali – nel caso di specie, idonee a giustificare l'azione di risoluzione per effetto dell'uso promiscuo dell'immobile locato in spregio alle condizioni contrattuali – grava sul locatore, il quale deve allegare anche la fonte negoziale del proprio diritto, dunque, la copia del contratto di locazione. Il locatore ha anche l'onere di formulare una richiesta di prova testimoniale indicando i relativi capitoli di prova ed i nominativi dei testimoni al fine di provare le circostanze in punto di fatto sulle quali si basa la relativa azione. Il locatore può anche produrre idonea documentazione – estraendola dalle banche dati in uso ai competenti enti pubblici – volta a comprovare la conformità della reale destinazione dell'immobile concesso in locazione rispetto a quella inizialmente dedotta nel contratto, ed a quella difforme successivamente eseguita in concreto dal conduttore senza la preventiva autorizzazione del conduttore. 4. ConclusioniL' art. 80 della l. n. 392/1978 , nel testo tutt'ora vigente, dispone che, se il conduttore adibisca l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza. L' art. 80 della l. n. 392/1978 , cit., disciplina, dunque, il mutamento d'uso dell'immobile locato verificatosi nel corso del rapporto, il quale può provenire unilateralmente dal conduttore e risolversi in un'evenienza fattuale rilevante ai fini della modificazione del regime giuridico applicabile. La suddetta norma, nell'ipotesi qui considerata, prevede la facoltà del locatore di risolvere il rapporto locatizio perché intende evitare che venga elusa la disciplina fissata per le diverse tipologie locative, ragion per cui la relativa applicabilità deve essere riferita a tutti i casi in cui la variazione comporti l'applicazione di una diversa disciplina, e, quindi, non solo ai casi di passaggio da una destinazione ad uso non abitativo, rientrante nella previsione degli artt. 27 e 42 della l. n. 392/1978, ad un'utilizzazione abitativa dell'immobile, o viceversa, ma anche ai casi di mutamento nell'ambito del medesimo tipo locatizio, come nel caso di locazione per esigenze abitative transitorie, utilizzata per destinazione abitativa stabile, restando estranei alla norma di cui si discorre soltanto i cambiamenti d'uso dai quali non derivi l'innovazione nella disciplina giuridica del rapporto, ed in relazione ai quali è configurabile solo un inadempimento contrattuale legittimante il ricorso all'ordinaria azione di risoluzione prevista dall'art. 1453 c.c. Con la precisazione che il principio desumibile dalla norma testé citata, secondo il quale, in caso di difformità fra l'uso convenuto e quello effettivo, il regime giuridico del contratto si adegua all'uso che il conduttore ne ha fatto in concreto, trova applicazione anche nel caso in cui produca effetti più sfavorevoli per il conduttore, ed investe, quindi, anche l'eventualità in cui il conduttore, avendo preso in locazione un immobile per uso abitativo ordinario, ne faccia utilizzo in modo del tutto saltuario, e cioè ne goda in modo corrispondente ad una locazione di natura transitoria. Inoltre, sul piano squisitamente probatorio, occorre precisare che, a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell' art. 80 della l. n. 392/1978 (Corte Cost., n. 185/1988), il principio della corrispondenza tra l'effettiva destinazione dell'immobile ed il regime giuridico applicabile al rapporto locatizio non può trovare applicazione in contrasto con la volontà negoziale del locatore relativa alla determinazione del tipo di locazione, ragion per cui, affinché la non corrispondenza tra la realtà effettiva ed il contenuto del contratto possa assumere rilevanza giuridica, è necessario che venga positivamente dimostrata la consapevolezza condivisa di entrambi i contraenti in ordine all'effettiva destinazione dell'immobile ad un uso diverso da quello indicato dal contratto, mentre, nel caso di variazione unilaterale ad opera del conduttore, occorre dimostrare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 80 della l. n. 392/1978 nella consapevole tolleranza del locatore, che abbia omesso di opporsi nei modi e nel termine previsto dalla stessa norma decorrente dall'effettiva conoscenza della variazione stessa (Cass. III, n. 5767/2010). Ciò premesso, come più recentemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, l'indagine da compiersi in concreto sull'uso effettivo dell'immobile da parte del conduttore, diverso da quello pattuito, reso noto al locatore in corso di rapporto, che determini la modifica del regime applicabile, prescinde dalla verifica della sussistenza di un apposito accordo, e men che meno di un accordo redatto per iscritto, che espressamente modifichi il contratto in essere tra le parti (Cass. III, n. 2702/2017). |