Liquidazione del danno da premorienza e iniquità dei criteri delle Tabelle milanesi

Giuseppe Davide Giagnotti
03 Gennaio 2022

Qualora la vittima di un danno alla salute, che sia conseguenza di un fatto illecito, sia deceduta prima della conclusione del relativo giudizio, per cause non ricollegabili alle menomazioni sofferte, l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato defunto e non a quella statisticamente probabile.

Il giudice di merito è tenuto a liquidare il danno secondo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e d'invalidità, ad un danneggiato che sia rimasto in vita fino al termine del giudizio, per poi diminuirne l'importo in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.

Con l'ordinanza n. 41933, depositata il 29 dicembre 2021, la Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, ha affrontato il tema dell'iniquità dei criteri delle tabelle milanesi, per la liquidazione del danno da premorienza.

Il fatto. L'origine della vicenda processuale si rinviene nella domanda di risarcimento, proposta da una donna, per i gravi danni riportati, in occasione di un sinistro stradale.

La donna era poi deceduta prima della conclusione del giudizio di primo grado, che si era però concluso con il riconoscimento, ai suoi eredi, iure successionis, di un'importante somma a titolo di danno biologico e di danno non patrimoniale.

La sentenza era stata impugnata, in via principale, dalla compagnia assicuratrice ed in via incidentale dagli eredi della vittima.

I giudici di secondo grado, all'esito del giudizio, avevano rigettato l'appello incidentale ed accolto parzialmente quello principale, diminuendo sensibilmente l'importo del risarcimento, sul presupposto che, in assenza di un nesso di causalità certo fra le menomazioni sofferte dalla danneggiata e la sua morte, la liquidazione del danno doveva essere parametrato alla durata effettiva della sua vita e non a quella probabile. Essi, pertanto, adottando i criteri delle tabelle milanesi allora vigenti, avevano ritenuto che l'intensità del danno subito doveva considerarsi maggiore nei primi due anni e decrescente a partire dal terzo.

Avverso tale pronuncia, gli eredi proponevano ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.

La quantificazione del danno iure ereditatis in assenza di collegamento certo fra il decesso e le menomazioni. La Terza Sezione della Corte ha voluto preliminarmente dare atto della corretta impostazione della sentenza di secondo grado, per quanto attiene alla liquidazione del danno iure ereditatis, nel caso in cui il danneggiato sia deceduto per cause non direttamente collegate alle menomazioni causategli dal fatto illecito.

In tal caso, infatti, la quantificazione del risarcimento spettante agli eredi dev'essere parametrata all'effettiva durata della vita del defunto, dal momento che la durata della vita, dopo il verificarsi del fatto illecito e delle sue conseguenze lesive, è ora un dato noto e non più ancorato alla mera probabilità statistica. D'altro canto, non sarebbe ammissibile l'ipotesi di un risarcimento del danno, per il tempo successivo alla morte dello stesso danneggiato (Cass. n. 12913/2020, n. 10897/2016).

Tale principio opera nel solo caso di decesso avvenuto precocemente, rispetto all'aspettativa di vita ordinaria, dato che, in caso contrario, i normali criteri di liquidazione del danno tengono già debitamente conto delle ridottissime aspettative di vita del danneggiato, escludendo la necessità di ulteriori riduzioni (Cass. n. 25157/2018).

L'iniquità del concetto di danno decrescente. I Giudici della Suprema Corte, inoltre, hanno anche ritenuto utile precisare che la scelta di affidare alle tabelle milanesi il ruolo di guida, per la liquidazione del danno non patrimoniale, era stata dettata dalla necessità di garantire l'equità della valutazione dei singoli casi concreti e l'uniformità di giudizio in tutto il territorio nazionale. Alla luce di tale premessa, essi si sono poi chiesti se, per la liquidazione del danno da premorienza, l'utilizzo delle dette tabelle garantisse il rispetto del criterio dell'equità.

Sotto tale profilo, pertanto, hanno censurato la scelta di considerare il danno biologico non come una funzione costante, ma di ritenerlo maggiore in prossimità dell'evento e poi progressivamente decrescente, col passare del tempo, fino a stabilizzarsi.

Tale assunto è fallace sia dal punto di vista medico legale, dal momento che i postumi della malattia si definiscono permanenti, proprio perché stabili nel tempo e sia sotto un profilo logico-giuridico, poiché applica al danno biologico l'indimostrato presupposto che esso si riduca col passare del tempo, mentre tale danno si configura piuttosto come una rinuncia forzata e irreversibile ad una serie di attività, da parte del danneggiato, dovuta alla perdita di alcune abilità, che egli non potrà più recuperare (Cass. n. 7513/2018).

L'iniquità delle tabelle milanesi, pertanto, sta proprio nell'ingiustificata disparità nella liquidazione del danno, a seconda che la vittima sia o meno sopravvissuta almeno fino al termine del processo. Nel primo caso, infatti, l'importo liquidato per il risarcimento del danno, in funzione della percentuale d'invalidità e dell'età del danneggiato, sarà decisamente più alto di quello spettante al soggetto deceduto prima della fine del giudizio, anche nel caso in cui entrambi abbiano sopportato pregiudizi identici, per lo stesso arco temporale. Tale eventualità non può ritenersi né equa, né ammissibile.

La via tracciata dalla Terza Sezione. I Giudici della Terza Sezione, pertanto, nel criticare i criteri adottati nelle tabelle milanesi, indicano un principio di diritto da seguire, per non incorrere in scelte inique.

Essi affermano che, ove la vittima di un danno alla salute, conseguenza di un fatto illecito, sia deceduta prima della conclusione del relativo giudizio, per cause non ricollegabili alla menomazione sofferta, l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile.

Il giudice di merito è tenuto a liquidare il danno secondo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e d'invalidità, ad un danneggiato che sia rimasto in vita fino al termine del giudizio, per poi diminuirne l'importo in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.

(Fonte: Diritto e Giustizia.it)

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