Ricorso per cassazione ed accordi e contratti collettivi nazionali di lavoro

05 Gennaio 2022

La riforma realizzata dal d.lgs. 40/2006 ha generalizzato la possibilità di un sindacato diretto della S.C., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in ordine alla violazione e falsa applicazione delle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, anche di diritto comune. L'elaborazione compiuta in questi anni su tale previsione è oggetto delle brevi considerazioni che seguono.
Il sindacato della S.C. sui contratti collettivi nazionali di lavoro

Ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nel testo modificato dall'art. 2 d.lgs. 40/2006, il ricorso per cassazione è proponibile, secondo quanto era già stato previsto per i contratti collettivi di lavoro nel settore del pubblico impiego, per violazione o falsa applicazione, oltreché di norme di diritto, anche di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro di diritto comune.

Fino all'entrata in vigore di tale modifica normativa, l'opinione dominante, in dottrina come in giurisprudenza, era nel senso che il contratto collettivo di diritto comune, ossia non reso efficace erga omnes da speciali disposizioni di legge, non costituiva norma di diritto nel senso dell'art. 1 preleggi, con la conseguenza che la sua violazione da parte del giudice di merito era denunciabile in cassazione solo per violazione e falsa applicazione delle norme del codice civile sull'interpretazione del contratto (artt. 1362 ss.) oppure per vizi di motivazione di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., atteso che l'accertamento della volontà dei contraenti dava luogo a questioni di fatto (cfr., tra le altre, Cass. civ., 22 marzo 2007, n. 7065).

Tuttavia era significativamente avvertita l'esigenza di assicurare l'uniforme interpretazione di disposizioni contrattuali interessanti categorie anche molto ampie di lavoratori o di datori di lavoro, esigenza che poteva essere soddisfatta dalla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 65 r.d. 12/1941, solo attraverso il sindacato sulle clausole dei contratti collettivi di lavoro operato ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ossia quello per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto.

Proprio in tale prospettiva di rafforzamento della funzione nomofilattica della Corte di legittimità si legge la richiamata riforma di cui al d.lgs. 40/2006.

Come è stato efficacemente evidenziato in sede di legittimità, infatti la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., come modificato dall'art. 2 del d.lgs. 40/2006, è equiparata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch'essa comporta, in sede di legittimità, l'interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.) come criterio interpretativo diretto e non già alla stregua di canone esterno di commisurazione dell'esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. civ., 16 settembre 2014, n. 19507).

La natura dei contratti collettivi nazionali

Le modifiche apportate al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. dal d.lgs. 40/2006 hanno riportato al centro del dibattito della dottrina la tradizionale problematica afferente la natura dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Secondo alcuni, difatti, a seguito di tale riforma, le questioni di interpretazione del contratto collettivo nazionale non potrebbero invero più essere considerate come questioni di fatto, senza che possa contraddire tale conclusione l'assoggettamento dell'interpretazione dello stesso alle norme dettate dagli artt. 1362 e ss. c.c. per i contratti, invece che agli artt. 11 e 12 delle preleggi, considerato che non tutte le norme di diritto devono essere interpretate con i medesimi criteri (v., ex ceteris, Roselli, Violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro, in Il nuovo giudizio di cassazione (a cura di) Ianniruberto - Morcavallo, 2a ed., Milano 2010, 243 ss.).

Per altri, invece, non potrebbe desumersi da un mero regime processuale previsto dalla legge ordinaria per la contrattazione collettiva la natura di fonte di diritto oggettivo dei contratti collettivi nazionali di lavoro, che deve sempre trovare legittimazione in una fonte di rango superiore e che, in questo settore, deve essere comunque rispettosa dell'art. 39 Cost. (cfr. Amoroso, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 2019, 271, per il quale, pertanto, può ritenersi sussistente il riconoscimento come fonte di diritto oggettivo alla sola contrattazione collettiva nel pubblico impiego privatizzato di livello nazionale stipulata nel rispetto del procedimento di cui all'art. 43 del d.lgs. 165/2001).

Sulla questione, un'altra parte della dottrina ha evidenziato che nulla impone di porre il problema in termini di teoria delle fonti, in quanto la ratio della riforma del 2006, è stata soprattutto quella di consentire n diretto esercizio della funzione nomofilattica della Corte di cassazione sulla parte normativa dei contratti collettivi, stante la possibilità, idonea a prevenire il contenzioso seriale che caratterizza la materia, di una soluzione una tantum, autorevole ed estintiva delle ragioni del contendere (Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano 2006, 63-64).

Il sindacato di legittimità sui contratti collettivi di lavoro non nazionali

Sotto un distinto profilo, resta fermo, per i contratti collettivi di lavoro diversi da quelli nazionali, che il sindacato di legittimità può essere esercitato soltanto con riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ovvero ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., a condizione, per detta ipotesi, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato, ma prospettino, sotto molteplici profili, l'inadeguatezza della motivazione anche con riferimento alle norme del codice civile di ermeneutica negoziale come canone esterno di commisurazione dell'esattezza e congruità della motivazione stessa (v., con riferimento ai contratti collettivi aziendali, Cass. civ., 28 ottobre 2016, n. 21888; per i contratti collettivi di ambito territoriale, Cass. civ., 7 settembre 2016, n. 17716; per i contratti collettivi integrativi, Cass. civ., 3 dicembre 2013, n. 27062).

Onere di produzione dei contratti o accordi collettivi nazionali sui quali il ricorso si fonda

L'art. 369 c.p.c., nel testo novellato dall'art. 7 d.lgs. 40/2006, prescrive al ricorrente di produrre insieme col ricorso, a pena di improcedibilità e insieme ad altri documenti, i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro sui quali il ricorso si fonda e che il precedente art. 360, n. 3 include fra le norme di diritto (Roselli, Violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro, cit., 477).

Sulla portata di tale disposizione sono intervenute in due occasioni le Sezioni Unite della Corte di cassazione.

In particolare, Cass. civ., Sez. Un., 4 novembre 2009, n. 23329, ha escluso la necessità del deposito dei contratti collettivi del settore pubblico, in considerazione del regime di pubblicità che si accompagna alla entrata in vigore (nel senso che, in tema di giudizio per cassazione, la possibilità di valutare la conformità alla legge e al c.c.n.l. del settore pubblico di un contratto integrativo — che non può, come tale, essere direttamente interpretato in sede di legittimità — è condizionata alla specifica produzione e indicazione di quest'ultimo quale contratto su cui si fonda il ricorso, atteso che lo stesso, stipulato dalle amministrazioni pubbliche sulle singole materie, nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, se pure applicabile al territorio nazionale in ragione della P.A. interessata, ha una dimensione decentrata rispetto al comparto e non è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ai sensi dell'art. 47, comma 8, del d.lgs. 165/2001, v. tuttavia Cass. civ., 30 marzo 2018, n. 3981).

Per altro verso, Cass. civ., Sez. Un., 23 settembre 2010, n. 20075, MGL, 2011, 284, con nota di Vallebona, risolvendo il contrasto sorte in sede di legittimità, ha affermato che per il settore privato non basta il deposito delle parti del contratto collettivo, che riguarda la singola controversia, ma, a pena di improcedibilità del ricorso, deve essere depositato il testo integrale dell'accordo stesso, regola che va osservata tanto nel ricorso ex art. 360, che in quello previsto dall'art. 420-bis (principio ribadito da ultimo da Cass. civ., 4 marzo 2019, n. 6255, che ha ritenuto di conseguenza insufficiente la produzione per estratto o mediante rinvio generico al fascicolo; peraltro, Cass. civ., 7 luglio 2014, n. 15437, ha evidenziato che l'onere gravante sul ricorrente, ai sensi dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., di depositare, a pena di improcedibilità, copia dei contratti o degli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, può essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali — nel rispetto del principio di cui all'art. 111 Cost., letto in coerenza con l'art. 6 della CEDU, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli — anche mediante la riproduzione, nel corpo dell'atto d'impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell'elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d'ufficio che lo contiene, risultando forniti in tal modo alla S.C. tutti gli elementi per verificare l'esattezza dell'interpretazione offerta dal giudice di merito).

Riferimenti
  • AA.VV., Il nuovo giudizio di cassazione, Ianniruberto e Morcavallo (a cura di), Milano, 1a ed., 2007 e 2a ed., 2010;
  • La riforma del giudizio di cassazione, Cipriani (a cura di), Padova, 2009;
  • AA.VV., Le recenti riforme del processo civile. Commentario diretto da Chiarloni, Bologna, 2007;
  • Amoroso, Il giudizio civile di cassazione, Milano 2019;
  • Bove, Il sindacato della Corte di cassazione. Contenuto e limiti, Milano, 1993;
  • Pessi, Il giudizio di cassazione nelle controversie di lavoro, ADL, 2008, 683;
  • Santoro Passarelli, Note per un discorso sulla giustizia del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2013, n. 3, 513 ss.;
  • Satta, voce Corte di cassazione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Volume X, Milano, 1962, 814;
  • Satta, Le impugnazioni, Milano 1962; Tarzia, Manuale del processo del lavoro, Milano, 2005;
  • Vidiri, Il giudizio di cassazione, in Il diritto processuale del lavoro, Vallebona (a cura di), in Trattato di diritto del lavoro, diretto da Persiani-Carinci, Padova, 2011, IX, 491.

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