La questione del criterio della "residenza abituale" in materia di affido del minore viene rimessa alle Sezioni Unite

Sabrina Apa
17 Gennaio 2022

In materia di affido del minore si tratta di stabilire se possono aversi più accertamenti tra loro compatibili che, formatisi diacronicamente dinanzi a giudici di Stati diversi, e fondati su distinti "fatti" di "residenza abituale" nel tempo susseguitisi, consentano di affermare che ogni qual volta venga in rilievo il criterio della residenza abituale, si assiste alla formazione di giudicati rebus sic stantibus, destinati a valere fintantoché il dato fattuale integrativo della nozione di "residenza abituale" non conosca obiettive modifiche nel tempo.

Il fatto. Il giudice della Federazione Russa cui si era rivolta la ricorrente, si pronunciava sull'affido dei minori alla stessa, ritenendo la residenza abituale dei figli in Russia per fatti maturati a far data dall'epoca in cui la madre si era allontanata dall'Italia per raggiungere il proprio Paese di origine, portando con sé i figli. Di siffatta condotta il giudice competente, secondo la Convenzione dell'Aja del 1980, la Corte di Tverskoy, chiamato a pronunciare sulla richiesta di "rientro" formulata dal padre, aveva escluso in capo alla donna il configurarsi della fattispecie di illecita sottrazione dei minori.

Il Tribunale italiano, investito della domanda di affido ex art. 337-bis c.p.c. dal padre, cittadino italiano, accertava la "residenza abituale" dei minori in Italia, per i periodi a valere dalla nascita dei due bambini, sino al loro allontanamento, e, ancora, da quando la madre aveva fatto spontaneo rientro in Italia con i figli. Più esattamente, in ordine al lasso di tempo indicato, il Tribunale italiano e, quindi, la Corte d'Appello, quale giudice del reclamo, nel dare contenuto alla nozione di "residenza abituale" dei minori, valorizzavano il carattere spontaneo del rientro della madre in Italia, la sottoscrizione da parte della stessa di un accordo conciliativo con l'ex compagno, in cui ella si era impegnata a non sottrarre i figli "dalle loro abitudini di vita come già consolidate in Italia" e, ancora, l'illiceità della condotta materna per i fatti di nuovo allontanamento dal territorio italiano che, tradottisi in un ritenuto "tentativo" di sottrazione, non avevano condotto all'attivazione della procedura di "rientro" ex Convenzione dell'Aja del 1980 ed alle correlate regole sulla giurisdizione, pur nella valorizzata valenza penale di quelle condotte (così per le indagini avviate e la misura cautelare adottata ai danni della madre, in relazione al delitto di cui all'art. 574-bis c.p., dal GIP del Tribunale italiano).

Nel composito quadro fattuale, il giudice italiano investito della cognizione della controversia, non astenendosi nella pendenza del giudizio davanti al tribunale russo, dava conto di una "residenza abituale" dei minori in Italia destinata a trovare consistenza, all'interno di spazi temporali diversi da quelli accertati dal giudice russo. Il Tribunale italiano e la Corte d'appello richiamavano da un lato, gli iniziali anni di vita dei minori, in cui si erano formate e radicate loro abitudini ed esperienze e, dall'altra, la condotta della madre che, già dichiarata genitore affidatario dal tribunale russo, – era rientrata spontaneamente in Italia, con espresso riconoscimento, in ragione dell'accordo raggiunto con l'altro genitore, della residenza abituale dei figli in territorio italiano, in tal modo intesa da quei giudici come riattualizzata nei suoi contenuti.

Avverso la pronuncia della Corte d'Appello, la madre presenta ricorso in Cassazione.

La questione sottoposta alla Corte. La Suprema Corte sottolinea che la premessa da cui muovere è quella, da tempo affermata dalle Sezioni Unite, in adesione ai principi convenzionali ed internazionali, secondo cui, in materia di affido, la giurisdizione è fondata sul criterio della "residenza abituale" del minore al momento della domanda, per un accertamento di mero fatto da operarsi dal giudice, sui dati emergenti agli atti processuali (Cass., S.U. n. 32359/2018 e n. 8042/2018).

Segnatamente, nel caso di specie, la questione riguarda la fissazione della regola volta ad individuare a chi spetti la giurisdizione tra più Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja del 1996 là dove venga in applicazione il criterio della "residenza abituale" in materia di affido del minore in un contesto in cui trova applicazione la diversa Convenzione dell'Aja del 1980 che regola gli “aspetti civili della sottrazione internazionale di minori".

In particolare, la Cassazione chiede alle Sezioni Unite di stabilire se: a) nell'ipotesi in cui vengano adottate più decisioni sull'affido del minore da giudici di più Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja del 1996, si realizzi, per ciò stesso, sempre e comunque, un conflitto tra giurisdizioni dei diversi Stati destinato ad essere risolto in forza del principio della prevenzione e nell'ipotesi in cui siano state adottate più pronunzie assistite da forza del giudicato, o suscettibili di passare in cosa giudicata, in applicazione della regola della improcedibilità dell'azione successivamente introdotta; o se, piuttosto: b) siano ammissibili, e tra loro compatibili, più iniziative giudiziarie coltivate davanti agli organi giurisdizionali di più Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja del 1996 e, quindi, più pronunce sulla giurisdizione, nella diversità degli accertamenti sottesi alla integrazione della nozione di "residenza abituale" che, nel tempo, e per fatti diversi, il minore abbia avuto presso più Stati aderenti.

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