Crea falsi profili social al posto dell'amica e si propone per scambi sessuali: è stalking?

13 Gennaio 2022

Integrano il reato di atti persecutori le molestie poste in essere da un soggetto, anche se non direttamente nei confronti della vittima, ma sostituendosi ad essa tramite profili social o account intestati falsamente alla stessa ed utilizzandoli al fine di far credere a terzi che questa sia disponibile ad approcci sessuali, quando in conseguenza di ciò la vittima venga poi effettivamente avvicinata da tali soggetti a tale scopo.

Integrano il reato di atti persecutori le molestie poste in essere da un soggetto, anche se non direttamente nei confronti della vittima, ma sostituendosi ad essa tramite profili social o account intestati falsamente alla stessa ed utilizzandoli al fine di far credere a terzi che questa sia disponibile ad approcci sessuali, quando in conseguenza di ciò la vittima venga poi effettivamente avvicinata da tali soggetti a tale scopo.

Il caso. L'imputato veniva condannato in primo e secondo grado per il delitto di atti persecutori commesso nei confronti di un'amica di lunga data con la quale, sebbene inizialmente avessero iniziato per gioco a scambiarsi profili sui social allo scopo di scherzare con amici o persone di loro conoscenza, inducendole a pensare che la stessa fosse disponibile sessualmente, successivamente anche se gli veniva revocato il consenso al “gioco”, continuava nella medesima attività per un lungo periodo di tempo. Contestualmente, veniva disposta la condanna anche per il delitto di diffamazione e sostituzione di persona.

Nell'ambito del proprio ricorso per cassazione, l'imputato deduceva, innanzitutto, la carenza di prova circa la sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, affermando di non aver mai perseguitato direttamente la vittima né con molestie né con minacce o altri comportamenti, avendo, al più, ingannato unicamente i suoi interlocutori. In altri termini, non avrebbe mai avuto intenti persecutori nei confronti della vittima.

Relativamente alle altre due fattispecie delittuose ritenute in sentenza, invece, lamentava la loro insussistenza in ragione del fatto che le conversazioni intervenivano con singoli interlocutori, ragione per cui, peraltro, mancava uno dei presupposti tipici dei reati contestati.

Lo stalking. Come è noto, il delitto di atti persecutori, previsto dall'art. 612-bis c.p. è un reato a forma libera, nel senso che non prevede, per la sua commissione, uno specifico modus operandi dell'agente, ma può essere posto in essere attraverso condotte reiterate che comportino, tuttavia, nella vittima un «perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita».

Affinchè, tuttavia, il giudice possa ritenere configurata l'ipotesi delittuosa, i comportamenti posti in essere dall'imputato devono avere necessariamente come oggetto della propria condotta la vittima o possono essere rivolti anche solo indirettamente alla stessa?

La valutazione giudiziale. In primo luogo, precisano i Giudici di legittimità, lo stato di ansia e preoccupazione e l'alterazione delle abitudini di vita della vittima devono essere il risultato di una condotta illecita da valutarsi sotto più punti di vista, nel suo complesso, nell'ambito della quale, infatti, possono avere rilievo anche comportamenti indiretti nei confronti della persona offesa (Cass. n. 8050/2021).

È irrilevante, in questo senso, ai fini della configurabilità della condotta del reato di cui all'art. 612-bis c.p., la presenza della persona offesa durante le minacce o le molestie o il fatto che le stesse siano immediatamente dirette nei suoi confronti.

Infatti, è sufficiente da un lato, la consapevolezza del soggetto agente che di tali condotte minacciose o moleste sia informata la vittima e dall'altro, che il proprio comportamento possa indurre sulla vittima quello stato di ansia e preoccupazione tipizzato dalla norma.

Idoneità delle condotte “indirette”. Nel caso di specie, le condotte volte a sostituirsi alla vittima, inducendo terzi soggetti a ritenere la stessa disponibile a prestazioni di natura sessuale, con la conseguenza che tali persone, a conoscenza delle abitudini di vita della persona offesa, la avvicinavano a tale scopo, comportano certamente, secondo la Corte, un “effetto complessivamente persecutorio”, consistente in una intrusione non voluta nella propria sfera privata.

Il dolo. Con riguardo all'elemento soggettivo, la sentenza precisa che, essendo richiesto il dolo generico, il reato è integrato laddove vi sia la volontà di porre in essere condotte minacciose o moleste con la consapevolezza che le stesse possano produrre uno di quegli eventi meglio precisati dalla norma, a prescindere che l'agente si sia preordinato le condotte stesse, e anche quando siano del tutto casuali o realizzate sul momento, ove si presenti l'occasione.

Sostituzione di persona. La Corte, poi, rispondendo alle doglianze relative al reato di sostituzione di persona ha precisato, altresì, che certamente sussiste il reato tutte quelle volte che un soggetto utilizzi o crei account o profili su social network servendosi di dati personali propri di un'altra persona, del tutto inconsapevole, con la finalità «di far ricadere su quest'ultima il suo agire» (Cass. n. 25215/2020), ma che lo stesso si configura anche tutte le volte che la vittima sia consapevole della sostituzione e ad essa si sia opposta, nonostante l'agente abbia perseguito nella propria condotta.

Diffamazione. Infine, relativamente al delitto di diffamazione, interessante è la precisazione dei Giudici di legittimità che, con riguardo alla ritenuta non configurabilità del reato commesso in assenza di più soggetti contemporaneamente, ha spiegato che ove siano propalate frasi offensive nei confronti di un soggetto, può parlarsi di diffamazione anche quando questa sia posta in essere in momenti diversi, purchè tuttavia sia rivolta a più destinatari.

È proprio il caso di specie, in cui l'agente ha leso l'onore e la reputazione della vittima inducendo più soggetti terzi, in diverse chat a pensare che la stessa avesse un atteggiamento sessualmente spregiudicato e disponibile, contrariamente alla realtà.

Fonte: diritto e giustizia

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