Morte dell’ex coniuge prima del giudicato sull’assegno di divorzio: per la pensione di reversibilità bastano i provvedimenti provvisori presidenziali?

02 Febbraio 2022

Nell'ipotesi in cui l'ex coniuge muoia in pendenza del giudizio che deve ancora definire il diritto all'assegno di divorzio sussiste un contrasto nella giurisprudenza della Cassazione in merito alla prosecuzione del processo di divorzio. Senza la prosecuzione, resterebbe la sola sentenza parziale di divorzio, passata in giudicato, che, per un verso, scioglie il vincolo matrimoniale e, per un altro verso, priva l'ex coniuge delle tutele che, viceversa, avrebbe, se lo scioglimento fosse stato causato dal decesso.

Lo ha ricordato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 25, pubblicata il 28 gennaio 2022.

L'ex coniuge muore prima che venga determinato l'assegno: escluso il diritto alla pensione di reversibilità? La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 12-bis l. n. 898/1970 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) e dell'art. 5 l. n. 263/2005 (Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il d.l. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80/2005, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto n. 642/1907, al codice civile, alla l. n. 53/1994, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato), nella parte in cui non prevedono, ai fini della corresponsione della pensione di reversibilità e di una quota dell'indennità di fine rapporto, che il requisito della titolarità dell'assegno divorzile, in caso di morte dell'obbligato intervenuta successivamente a una sentenza parziale di divorzio, ma prima della definitiva determinazione dell'assegno, sussista anche in presenza di provvedimenti provvisori presidenziali che riconoscano provvidenze economiche all'ex coniuge.

Il caso. Il coniuge divorziato aveva agito in giudizio chiedendo la determinazione della quota di pensione di reversibilità nonché della quota di trattamento di fine rapporto di sua spettanza. Entrambe le richieste venivano respinte in ragione della non titolarità, in capo alla ricorrente, di un assegno di divorzio, atteso che il divorzio era stato pronunciato con sentenza parziale, con riserva di esaminare nel prosieguo le questioni di carattere economico e il relativo giudizio si era però concluso, in conseguenza della morte del coniuge in corso di causa, con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, non impugnata e, pertanto, divenuta irrevocabile.

La ricorrente proponeva reclamo, motivando la mancata impugnazione della sentenza di cessazione della materia del contendere con l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità volto a ravvisare, in caso di morte di uno dei coniugi in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, la cessazione della materia del contendere e che, pertanto, la parte reclamante non aveva potuto impugnare la conforme sentenza emessa dal Tribunale, impedendo che la stessa divenisse irrevocabile.

La ricorrente, quindi, reclamava il suo diritto alla pensione di reversibilità e ad una quota di indennità di fine rapporto, in ragione dell'assegno di divorzio percepito, sino alla scomparsa dell'ex coniuge, in virtù di provvedimenti provvisori del Presidente del Tribunale, invocando, in caso di rigetto della sua domanda, la violazione dei principi costituzionali relativi al divieto di disparità di trattamento.

Le censure del giudice a quo. Per il rimettente, il quadro normativo vigente impedirebbe di riconoscere alla reclamante nel giudizio principale il diritto alla pensione di reversibilità e alla quota di indennità di fine rapporto, in mancanza della sentenza che accerta il diritto all'assegno di divorzio ai sensi dell'art. 5 della l. n. 898/1970. Tale presupposto difetterebbe, nel caso di specie, in presenza di un assegno riconosciuto in via meramente provvisoria con provvedimento del Presidente del tribunale, il che – secondo il rimettente – evidenzierebbe un vulnus costituzionale.

In particolare, la disciplina censurata contrasterebbe con l'art. 2 Cost. nella misura in cui subordina la funzione solidaristica della pensione di reversibilità alla sussistenza di presupposti meramente formali. Inoltre, sussisterebbe anche una violazione dell'art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento fra chi versi nella situazione della parte reclamante nel giudizio principale, ossia l'essere già divorziato, ma non ancora titolare di assegno di divorzio, e chi abbia già ottenuto una sentenza di divorzio o, viceversa, chi non l'abbia ottenuta e goda ancora delle tutele coniugali. In altri termini, ricorrerebbe una disparità di trattamento tra chi abbia già conseguito una sentenza relativa all'assegno di divorzio non passata in giudicato e, quindi, suscettibile di essere travolta e chi abbia ottenuto un mero provvedimento presidenziale che abbia riconosciuto in via provvisoria un assegno.

La Consulta ricorda il quadro normativo. Secondo l'art. 9, comma 2, l. n. 898/1970, il diritto alla pensione di reversibilità scaturisce, insieme con altri presupposti, dalla titolarità del diritto all'assegno di divorzio. Quest'ultimo, a sua volta, è giustificato da ragioni assistenziali e compensativo-perequative, che coniugano, nei rapporti orizzontali, la solidarietà con l'esigenza di riequilibrare gli effetti delle scelte condivise nello svolgimento della vita coniugale. In virtù di tale presupposto, anche il diritto alla pensione di reversibilità rispecchia, sul piano assiologico, una funzione solidaristica (cfr. Corte Cost., n. 419/1999, n. 286/1987 e n. 7/1980), che sottende, al contempo, istanze perequativo-compensative.

Analogamente, ai sensi dell'art. 12-bis, comma 1, l. n. 898/1970, la pretesa di una quota dell'indennità di fine rapporto dipende, fra l'altro, dalla titolarità dell'assegno divorzile ed è giustificata dalla prevalente funzione perequativo-compensativa. I diritti alla pensione di reversibilità e ad una quota di indennità di fine rapporto svolgono, in sostanza, funzioni che, nei rapporti orizzontali tra ex coniugi, riflettono istanze di rilievo costituzionale, che attengono alla solidarietà e all'effettività del principio di eguaglianza.

Al fine di evitare che, nell'ambito di processi relativi a pretese previdenziali, coinvolgenti gli enti obbligati a tali prestazioni, possano porsi, tramite accertamenti incidenter tantum, questioni inerenti alla spettanza in astratto del diritto all'assegno di divorzio, l'art. 5 l. n. 263/2005, disposizione di interpretazione autentica, ha previsto che per “titolarità dell'assegno” deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970.

Morte dell'ex coniuge quando l'assegno di divorzio non è ancora definitivo: la parola alle Sezioni Unite. Escluso, dunque, dal legislatore l'accertamento incidenter tantum, si pone il problema delle ipotesi in cui l'ex coniuge muoia in pendenza del giudizio che deve ancora definire il diritto all'assegno di divorzio. In tali casi, la prosecuzione del processo serve a far valere il diritto alle prestazioni inerenti all'assegno di divorzio, che sono in concreto maturate dall'ex coniuge sopravvissuto nei confronti dell'altro ex coniuge, nel periodo che intercorre fra la sentenza parziale di divorzio e la morte di quest'ultimo, prestazioni patrimoniali trasmissibili iure hereditario. Al contempo, l'accertamento del diritto all'assegno, nell'ambito di un giudizio in via principale e a cognizione piena, consente di dare fondamento ai diritti alla pensione di reversibilità e a una quota dell'indennità di fine rapporto.

Senza la prosecuzione del processo, resterebbe la sola sentenza parziale di divorzio, passata in giudicato, che, per un verso, scioglie il vincolo matrimoniale, non offrendo le garanzie che spetterebbero all'ex coniuge in conseguenza del divorzio, e, per un altro verso, essendo la modificazione dello status correlata al divorzio antecedente alla morte, priva l'ex coniuge delle tutele che, viceversa, avrebbe se lo scioglimento fosse stato causato dal decesso.

Ebbene, in merito alla prosecuzione del processo di divorzio, nelle ipotesi sopra richiamate, sussiste un contrasto nella giurisprudenza della Cassazione. Secondo una prima ricostruzione, il procedimento di divorzio deve poter proseguire, permanendo l'interesse dell'altra parte alla pronuncia (Cass. civ., n. 16951/2014). Secondo una diversa impostazione, la morte di una delle parti del processo determinerebbe la cessazione della materia del contendere in ordine alle domande accessorie ancora sub iudice, anche ove avvenisse dopo l'eventuale sentenza parziale di scioglimento per divorzio dello status coniugale, a nulla rilevando il suo passaggio in giudicato (così Cass. civ., n. 4092/2018). Da ultimo, i divergenti indirizzi giurisprudenziali hanno indotto la prima sezione della Corte di cassazione, con l'ordinanza interlocutoria 29 ottobre 2021, n. 30750, a inviare gli atti al primo presidente perché valuti l'opportunità di rimettere l'esame della questione alle Sezioni Unite civili.

Insufficiente motivazione sulla rilevanza: questione inammissibile. Il giudice a quo, tuttavia, senza dare atto del contrasto giurisprudenziale sopra ricordato, ha assunto che la parte reclamante non avrebbe potuto impugnare la sentenza di cessazione della materia del contendere, relativa al giudizio avente ad oggetto l'accertamento del presupposto costitutivo dei diritti previsti dalle norme censurate. Il rimettente, pertanto, non ha dato una spiegazione adeguata del perché debba applicare le norme censurate, determinando un vizio di motivazione sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate: conseguentemente, la carente motivazione sulla rilevanza determina l'inammissibilità della questione medesima.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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