L'errore sulla forma utilizzata per proporre opposizione ad un decreto ingiuntivo in materia locatizia può costare caro ma non troppo

07 Febbraio 2022

Le Sezioni Unite della Cassazione prendono atto delle notevoli differenze operative cui si perviene a seconda che l'errore sul modello dell'atto introduttivo del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia risulti soggetto alla disciplina del mutamento del rito dettata dall'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 (ove, cioè, si tratti di controversia promossa in forme diverse da quelle regolate dal medesimo decreto legislativo), oppure soggetto all'operatività del principio di conversione, il quale comporta lo slittamento in avanti del momento di efficacia dell'atto (ove, cioè, sia adottata la forma propria del rito ordinario in luogo di quella tipica del rito speciale delle controversie di lavoro, o viceversa).
Massima

Allorché l'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c. (sostanzialmente mutuato dalle controversie lavoristiche), sia erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 - che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto legislativo sulla c.d. semplificazione dei riti - producendo l'atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di 40 giorni contemplato nell'art. 641, comma 1, c.p.c.

Il caso

La controversia, giunta fino al massimo consesso decidente, originava da un decreto ingiuntivo ottenuto dal locatore per il pagamento di somme a titolo di indennità di occupazione ed oneri accessori inerenti alla locazione dell'immobile di sua proprietà.

Il conduttore ingiunto aveva proposto opposizione con atto di citazione, anziché con ricorso, nonostante trattavasi di controversia in materia di locazione ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c.

Dopo aver disposto il passaggio dal rito ordinario al rito speciale, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l'opposizione, perché tardiva rispetto al termine (40 giorni) stabilito dall'art. 641, comma 1, c.p.c., avendo riguardo alla data del deposito in cancelleria dell'atto di citazione erroneamente adoperato dall'opponente, anche considerando la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale (nella specie, la citazione era stata notificata il 9 ottobre 2014, ma depositata il 20 ottobre 2014, a fronte del decreto ingiuntivo notificato il 18 luglio 2014).

Sul gravame interposto dal soccombente, la Corte d'Appello, da un lato, aveva ritenuto fondata la questione di diritto attinente alla violazione dell'art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, circa la salvezza degli effetti della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, ma aveva osservato che l'appellante si era limitato a chiedere genericamente la riforma della sentenza di primo grado, senza prospettare alcuna questione di merito e senza chiedere nemmeno l'accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo, sicché nessuna utilità avrebbe potuto ricevere dall'accoglimento del gravame per effetto del mutamento del rito.

Il conduttore proponeva, dunque, ricorso per cassazione, ma è soprattutto il ricorso incidentale spiegato dal locatore a sollecitare l'esame della questione decisa, con rilevanza nomofilattica, dalla Sezioni Unite, atteso che, con quest'ultimo gravame, si sosteneva che non potesse trovare applicazione, nel giudizio de quo, la disciplina sul mutamento del rito contenuta nell'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, con la conseguente salvezza degli effetti della domanda proposta secondo le norme del rito erroneamente scelto, anche ai fini dell'osservanza del termine di cui all'art. 641 c.p.c., atteso che, con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, non “viene promossa” una controversia, non si introduce un giudizio autonomo e neppure un grado autonomo, ma si apre soltanto una fase del giudizio già pendente.

La questione

Alle Sezioni Unite, veniva demandata, in via preliminare, la risoluzione della questione di diritto - non decisa in senso univoco da precedenti pronunce della Cassazione - relativa alla natura di impugnazione o di ordinario giudizio di cognizione del procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo, questione incidente, in seconda battuta, sull'operatività del mutamento del rito ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011.

In effetti, alcune pronunce dei giudici di Piazza Cavour (Cass. civ., sez. un., 18 luglio 2001, n. 9769; Cass. civ., sez. un., 8 ottobre 1992, n. 10984; Cass. civ., sez. un., 8 marzo 1996, n. 1835), sia pure in tema di competenza per l'opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c., avevano sostenuto l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione.

Tuttavia, la questione, inerente alla qualificazione del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo quale giudizio o grado autonomo, o quale semplice fase (eventuale) del giudizio ordinario già pendente, da rimeditare altresì alla luce del principio del giusto processo, è comunque rilevante ai fini dell'applicabilità dell'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, il quale si riferisce espressamente alla controversia che “viene promossa” in forme diverse da quelle previste dal medesimo decreto (v., per tutte, Cass. civ., sez. VI/III, 12 marzo 2019, n, 7071, secondo la quale, nell'opposizione a decreto ingiuntivo in materia di locazione, come tale soggetta al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., non può trovare applicazione l'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, il quale non attiene ai procedimenti di natura impugnatoria, come l'opposizione a decreto ingiuntivo).

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite riconoscono che, nella giurisprudenza di legittimità, anche nella sua massima composizione, circa la natura del giudizio di opposizione al decreto di ingiunzione - questione affrontata sotto varie angolature - prevale, però, la tesi che nega che esso dia vita ad un procedimento di impugnazione (v., altresì, Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839; Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. ,19889; Cass. civ., sez. un., 27 dicembre 2010, n. 26128).

Ad esempio, Cass. civ., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20604, a proposito delle conseguenze della mancata notifica del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro e del decreto di fissazione dell'udienza, pur ritenendo applicabile per identità di ratio il principio dettato per l'appello, ha comunque rimarcato che il procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo deve “considerarsi un ordinario processo di cognizione anziché un mezzo di impugnazione”.

Dal canto suo, Cass. civ., sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246, relativa ai termini di costituzione dell'opponente, ha affermato che il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo “ha natura di giudizio di cognizione piena, che devolve al giudice dell'opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d'ingiunzione”.

Inoltre, Cass. civ., sez. un., 10 luglio 2015, n. 14475, concernente la produzione in appello dei documenti già allegati con la domanda d'ingiunzione, ha spiegato che la (eventuale) fase di opposizione a decreto ingiuntivo “completa il giudizio di primo grado”, trattandosi di “giudizio di primo grado bifasico”, sicché “le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio”.

Infine, Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596, in tema di esperimento del procedimento di mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, ha ribadito, di recente, che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo “è stato ormai da tempo definito come suddiviso in due fasi, la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione piena”, e che “l'opposizione a decreto ingiuntivo non è l'impugnazione del decreto”.

Si ritiene, pertanto, “stabilizzato” nella giurisprudenza di vertice quanto già affermava Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7448, ad avviso della quale l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è una actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio”, non quale “giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.

A questo punto, si segnala che l'applicabilità dell'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 e della relativa disciplina di mutamento del rito nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, quale giudizio di primo grado strutturato in due fasi, risulta poi più volte affermata, o comunque data per scontata, in alcune pronunce del Supremo Collegio, specie riguardo al contenzioso in materia di liquidazione dei compensi di avvocato di cui all'art. 28 della legge n. 794/1942, come sostituito dall'art. 14 del citato decreto legislativo, dove si fa esplicito riferimento all'opposizione proposta a norma dell'art. 645 c.p.c. (v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2018, n. 4885).

In particolare, in ordine agli effetti del mutamento del rito ex art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, ordinato nell'àmbito di procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo erroneamente introdotto, si occupano altre decisioni degli ermellini (v. tra le altre, Cass. civ., sez. VI/II, 5 giugno 2020, n. 10648; Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 2020, n. 186; Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2019, n. 24069; Cass. civ. sez. VI/II, 18 maggio 2019, n. 13472; Cass. civ., sez. II, 14 maggio 2019, n. 12796; Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2018, n. 24515).

Si osserva, poi, che, nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2011, si chiariva che la regola posta dal comma 5 dell'art. 4 era diretta proprio “al fine di escludere in modo univoco l'efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento del rito”, il che è stato inteso come esplicitazione, appunto, della volontà legislativa di abbandonare quella sorta di “conversione del rito con effetti retroattivi” implicita nella valutazione di intempestività dell'atto di opposizione proposto secondo un modello formale erroneo.

Osservazioni

Si è, quindi, condivisibilmente statuito nel senso dell'inapplicabilità, nel caso in esame, della disciplina sul mutamento del rito contenuta nell'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011.

Invero, la fattispecie processuale sottoposta allo scrutinio delle Sezioni Unite concerne un'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione, come tale soggetta al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., norma che richiama anche l'art. 426 c.p.c. per il passaggio dal rito ordinario ex art. 163 ss. c.p.c. a quello speciale.

Secondo alcuni, la disciplina del mutamento del rito dettata dall'art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 opera unicamente, come prevede il comma 1 della norma, ossia “quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto”; il comma 3 si riferisce alle modalità procedurali per il caso in cui “la controversia rientra tra quelle per le quali il presente decreto prevede l'applicazione del rito del lavoro”, ed il comma 4 dispone che “la causa sia riassunta davanti al giudice competente con il rito stabilito dalle disposizioni del presente decreto”.

D'altronde, il d.lgs. n. 150/2011 attua la delega contenuta nell'art. 54 della legge n. 69/2009, ai fini della “riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell'àmbito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale”, e, in particolare, “i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale”, da ricondurre ad uno dei tre modelli processuali c.d. semplificati contemplati dal d.lgs. n. 150/2011.

Detta disciplina non opera, invece, nelle ipotesi di mutamento dal rito ordinario al rito speciale delle controversie di lavoro (qui locatizie), o viceversa, restando tali fattispecie tuttora regolate dagli artt. 426 e 427 c.p.c., tanto che l'art. 2 del d.lgs. n. 150/2011 stabilisce espressamente che, per le controversie assoggettate al rito del lavoro dal capo II del decreto legislativo, espressamente l'inapplicabilità, fra gli altri, degli artt. 426, 427 e 439 c.p.c.

Ad identiche conclusioni sistematiche è giunta Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2018, n. 13072 - proprio in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni locatizi proposta con citazione e non secondo il rito di cui all'art. 447-bis c.p.c. - nel senso, cioè, che l'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 disciplina esclusivamente il mutamento del rito in caso di controversia promossa in forme diverse da quelle previste nel medesimo decreto, e non costituisce una norma generale abrogativa e sostitutiva delle norme specifiche di cui agli artt. 426 e 427 c.p.c., che rimangono le norme generali di coordinamento tra rito ordinario e rito lavoristico/locatizio (v., conformi, Cass. civ., sez. VI/III, 25 settembre 2019, n. 23909; Cass. civ. sez. I, 11 giugno 2019, n. 15722).

In relazione all'opposizione a decreto ingiuntivo per crediti relativi ad un rapporto di locazione di immobili urbani - e perciò disciplinata dall'art. 447-bis c.p.c. - che sia proposta con atto di citazione notificato alla controparte, anziché con ricorso depositato nella cancelleria, emerge piuttosto, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la necessità di procedere alla conversione dell'atto introduttivo secondo il criterio di cui all'art. 156, comma 3, c.p.c., potendosi, quindi, ritenere tempestiva l'opposizione, nonostante l'errore sulla forma dell'atto, qualora sia avvenuta entro il termine stabilito dall'art. 641 c.p.c. l'iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria della citazione, non essendo invece sufficiente che, entro tale data, la stessa sia stata soltanto notificata alla controparte (in materia di controversie di opposizione a decreti ingiuntivi per crediti derivanti da locazione, v., fra le più recenti, Cass. civ. sez. VI/III, 19 settembre 2017, n. 21671; Cass. civ., sez. VI/III, 29 dicembre 2016, n. 27343; Cass. civ. sez. III, 2 aprile 2009, n. 8014; riguardo all'applicazione, in generale, del principio di conversione nelle ipotesi di introduzione del processo - sia che si tratti di impugnazione sia di opposizione a decreto ingiuntivo - secondo un modello formale errato, v., altresì, Cass. civ., sez. un., 10 febbraio 2014, n. 2907; Cass. civ., sez. un., 8 ottobre 2013, n. 22848; Cass. civ., sez. un., 23 settembre 2013, n. 21675; Cass. civ., sez. un., 14 marzo 1991, n. 2714).

Secondo tale orientamento, l'errore sulla forma dell'atto introduttivo, come citazione o come ricorso, ai fini del prodursi degli effetti sostanziali e processuali della domanda - inteso quale errore sul singolo atto, isolatamente considerato (e non già quale “errore sul rito”) - se non comporta ex se una nullità comminata dalla legge, va comunque valutato alla luce dei requisiti indispensabili che l'atto deve avere per raggiungere il suo scopo ex art. 156, comma 2, c.p.c. (v., però, Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2011, n. 8491, la quale ha affermato che l'art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle delibere condominiali, che vanno pertanto proposte con atto di citazione, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 163 c.p.c., e, incoerentemente, nella motivazione, ha precisato, peraltro, che, qualora la domanda di annullamento di una delibera condominiale sia stata proposta impropriamente con ricorso, anziché con citazione, ai fini della tempestività dell'impugnazione è sufficiente che, entro il termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c., l'atto venga meramente depositato nella cancelleria del giudice adìto, e non anche notificato).

Essendo in gioco la valutazione della tempestività di un atto introduttivo di un processo al fine di impedire una decadenza, non rileva la manifestazione di volontà sostanziale ad esso sotteso, quanto la sua idoneità ad instaurare un valido rapporto processuale diretto ad ottenere l'intervento del giudice ai fini di una pronuncia nel merito (argomentando anche dall'art. 2966 c.c.).

La pendenza del giudizio, quale momento idoneo ad impedire una decadenza, anche in nome delle esigenze di instaurazione del contraddittorio con la controparte, finisce così per correlarsi al compimento dell'atto che rappresenta ex ante il corretto esercizio del diritto di azione nella sua tipica forma legalmente precostituita, oppure al verificarsi del medesimo effetto altrimenti prodotto ex post dall'atto difforme dal modello legale, allorché la fattispecie possa dirsi successivamente integrata dagli elementi necessari alla sua funzione tipica.

Questo indirizzo interpretativo, sul funzionamento della conversione nelle ipotesi di introduzione del processo secondo un modello formale errato - secondo le Sezioni Unite - merita di essere confermato, anche per l'esigenza di “assicurare un sufficiente grado di stabilità di applicazione” (v. Cass. civ., sez. un., 31 luglio 2012, n. 13620; Cass. civ., sez. un., 6 novembre 2014, n. 23675).

Per completezza, si segnala che, il giorno prima della sentenza in commento, lo stesso supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 12 gennaio 2022, n. 758) - in una fattispecie in tema di riscossione di sanzione amministrativa pecuniaria per violazione del codice della strada, in cui l'opposizione c.d. recuperatoria era stata proposta con citazione tempestivamente notificata nel termine di 30 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, anziché con ricorso, come previsto dall'art. 7 del d.lgs. n. 150/2011 - aveva affermato che, nei procedimenti c.d. semplificati, disciplinati da quest'ultimo decreto legislativo, qualora l'atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento, a norma dell'art. 4 del medesimo d.lgs. n. 150/2011, è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l'atto di citazione.

Riferimenti

Lupano, Sull'introduzione del processo secondo un modello formale errato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 121;

Poli, Le Sezioni Unite sul regime del ricorso proposto erroneamente al posto della citazione e viceversa, in Riv. dir. proc., 2014, 1201;

Bugarelli, Decreto ingiuntivo ottenuto da avvocato: opposizione con ricorso o citazione?, in www.altalex.com, 2013;

Izzo, L'impugnativa della deliberazione condominiale va effettuata con citazione o ricorso e la sua tempestività dipende dalla data di notifica o da quella del deposito in cancelleria?, in www.dirittoegiustizia.it, 2010;

Luiso, Il rito dell'appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative e la conversione del ricorso in citazione, in Riv. dir. proc., 2007, 945;

Minetola - Murra, Considerazioni sui processi da ricorso introdotti con citazione, in Giust. civ., 2001, I, 1628;

Volpe, Inammissibilità in materia locatizia dell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta con atto di citazione e non con ricorso, in Corr. giur., 1997, 940;

Vidiri, Controversie soggette al rito del lavoro ed appello proposto con citazione, in Giur. merito, 1982, 1083.

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