Mandato d'arresto europeo e consegna dei residenti extracomunitari: la parola alla Corte di giustizia

07 Febbraio 2022

La Corte costituzionale chiede alla Corte di giustizia, in prima battuta, di chiarire se l'art. 4, punto 6, della direttiva 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato alla luce dell'art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, osti a una normativa, come quella italiana, che
Massima

La Corte costituzionale ha sottoposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea - in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - una questione, dal duplice risvolto, sul mandato d'arresto europeo. In prima battuta, chiede se l'art. 4, punto 6, della direttiva 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato alla luce dell'art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, osti a una normativa, come quella italiana, che – nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza – precluda in maniera assoluta e automatica alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest'ultimo. In seconda battuta e in caso di risposta affermativa, chiede di descrivere sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all'autorità giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare la consegna.

Il caso

La Corte d'appello di Bologna, ponendosi sulla scia della Suprema Corte di Cassazione (Sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 10371, in Cass. pen., 2020, p. 3174), investiva la Corte costituzionale di alcune questioni concernenti il motivo di rifiuto della consegna disciplinato all'epoca dall'art. 18-bis, lett. c) della l. 22 aprile 2005, n. 69. Tale previsione consentiva di respingere la richiesta dello Stato membro di emissione qualora la persona attinta dall'euromandato fosse stata cittadino italiano ovvero cittadino europeo residente in Italia, subordinando la decisione negativa alla condizione che la pena fosse espiata nel nostro Stato. Il rimettente riferiva di dover giudicare il caso di una persona che, pur essendo ben radicata nel territorio nazionale, non possedeva nel contempo la cittadinanza europea e, pertanto, non poteva invocare l'applicazione dell'istituto.

Dubitava perciò della legittimità costituzionale della norma che determinava una disparità di trattamento contraria a una pluralità di principi costituzionali e sovranazionali. In primo luogo, apparivano violati gli artt. 11 e 117, comma primo, Cost., in relazione all'art. 4, punto 6, della Decisione quadro 2002/584/GAI che sarebbe stato oggetto di un recepimento parziale e contrastante con la ratio dell'istituto. Il motivo di rifiuto de quo, infatti, è strumentale al perseguimento di finalità di rieducazione e reinserimento e il legislatore europeo, a tale scopo, ha valorizzato il dato della residenza effettiva nello Stato di esecuzione, senza dare rilievo dirimente allo status civitatis. Ciò che, in effetti, differenzia cittadino e residente sono solo i presupposti per l'applicazione della norma: il secondo per essere assimilato al primo deve dimostrare di aver stabilito nello Stato ospite la sede principale delle sue relazioni sociali (lavorative, economiche e familiari). La legge italiana, dunque, avrebbe realizzato una compressione ingiustificata delle potenzialità operative dell'istituto dalla quale scaturiva la frizione con l'obbligo di dare completa attuazione alla decisione quadro. Invero, l'art. 4, punto 6, consentiva allo Stato membro di scegliere se introdurre il motivo in questione nel proprio ordinamento, ma non permetteva di manipolarne il contenuto, descrivendo un campo di applicazione diverso e meno ampio. In secondo luogo, tale assetto, nella misura in cui precludeva al residente extracomunitario di usufruire di un meccanismo che favorisce l'esecuzione della pena in un contesto nel quale sono maggiori le opportunità rieducative incideva irragionevolmente sull'art. 27, comma 3, Cost. e, laddove produceva ripercussioni sulla vita familiare, anche dell'art. 2 Cost. L'ingiusto sradicamento del condannato, ancora, riverberava effetti negativi sul rispetto di altre previsioni sovranazionali - segnatamente, dell'art. 8, della Convezione europea dei diritti dell'uomo, dell'art. 17, paragrafo 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dell'art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - che, nell'economia dell'ordinanza di rimessione, fungevano da parametro interposto ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost. Un ultimo profilo di contrasto, infine, scaturiva, in una dimensione puramente interna, dalla diversità del trattamento riservato dalla legge di attuazione al residente extracomunitario: questi, nel caso di euromandato processuale, ai sensi dell'art. 19, lett. c), poteva beneficiare di una consegna condizionata al ritorno in Italia per l'espiazione della pena, diversamente da quanto accadeva appunto per l'euromandato esecutivo. Era apprezzabile, perciò, una lesione del principio di uguaglianza e, quindi, dell'art. 3 Cost.

La Corte costituzionale, dopo aver riservato alla pronuncia definitiva la decisione sulle eccezioni preliminari articolate dalla difesa erariale e sulla censura incentrata sull'art. 3 Cost., ha ritenuto necessario devolvere alla Corte di giustizia due questioni preliminari, tese a lumeggiare la portata delle previsioni della decisione quadro per verificare quale sia la loro incidenza sulla posizione del residente extracomunitario. La particolare importanza dei temi da trattare, che riguardano sia aspetti cruciali del meccanismo di consegna, sia la tutela di diritti fondamentali, ha spinto il Giudice delle leggi a chiedere che il rinvio pregiudiziale sia deciso con le forme del procedimento accelerato, ai sensi dell'art. 105 del regolamento di procedura della Corte di giustizia.

La questione

La Corte costituzionale, dunque, chiede alla Corte di giustizia, in prima battuta, di chiarire se l'art. 4, punto 6, della direttiva 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato alla luce dell'art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, osti a una normativa, come quella italiana, che – nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza – precluda in maniera assoluta e automatica alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest'ultimo. In seconda battuta e in caso di risposta affermativa, chiede poi di descrivere sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all'autorità giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare la consegna.

Le soluzioni giuridiche

La decisione della Corte costituzionale si inserisce in un quadro alquanto complesso, tanto dal punto di vista normativo, che interpretativo. Da oltre dieci anni, il legislatore, la Suprema Corte di Cassazione e il Giudice delle leggi sono impegnati nello scrutinio della disciplina del cosiddetto “microsistema” di consegna differenziata per il cittadino e il residente, contenuta originariamente negli artt. 18 lett. r), e 19, lett. c) e ora compendiata negli artt. 18-bis, comma 2 e 19, lett. b).

Per tale ragione, la Corte costituzionale si è soffermata preliminarmente sulla descrizione del dato normativo e ha posto a confronto le formulazioni dell'art. 18-bis, lett. c) e dell'art. 19, comma 1, lett. c), vigenti all'epoca in cui è stata adottata l'ordinanza di rimessione, con quelle attuali al fine di descrivere le ripercussioni del mutamento intervenuto a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10. La novella, infatti, allo scopo di allineare la disciplina interna alla decisione quadro, ha apportato consistenti modifiche alla struttura dell'euromandato, riprogettando, tra l'altro, l'architettura del “microsistema”.

Il Giudice delle leggi ha quindi rilevato che effettivamente sussiste la preclusione denunciata dal rimettente: nella declinazione esecutiva, nessuna delle versioni normative consentiva allora e consente attualmente di respingere la richiesta di consegna di un cittadino di uno Stato terzo, residente o dimorante in Italia. L'analisi all'art. 19, che governa la stessa materia nella dimensione processuale dell'euromandato, permette invece di notare che il legislatore, ponendosi consapevolmente in contrasto con l'indirizzo della Suprema Corte, ha ridisegnato il perimetro applicativo: quando veniva sollevata la questione di legittimità costituzionale, l'extracomunitario poteva beneficiare di una consegna condizionata, ora esclusa.

Ciò posto, la Corte costituzionale non ha adottato la stessa decisione assunta sulla questione sollevata dalla Suprema Corte (C. cost., 1 aprile 2021, n. 60), restituendo gli atti al giudice rimettente affinché considerasse lo ius superveniens, affermando che una simile soluzione non poteva essere replicata sia per le differenze che distinguevano le situazioni di fatto sia perchè appariva necessario investire la Corte di giustizia di un quesito di rilevanza strategica per il futuro della cooperazione giudiziaria.

Dunque, il Giudice delle leggi ritiene di non poter procedere oltre nell'esame della questione, in quanto l'interrogativo sollevato dalla Corte d'appello esige in primis una risposta sul piano del diritto dell'Unione europea: per un verso, il quesito verte essenzialmente su una disposizione - l'art. 4, punto 6, della decisione quadro - che richiede l'elaborazione di un'interpretazione autonoma e uniforme nell'intero territorio europeo; per altro verso, la soluzione incide sulla tutela di diritti fondamentali della persona, materia nella quale i legislatori e i giudici dei singoli Stati membri non possono discostarsi dalle indicazioni fornite nella decisione quadro, innalzando il livello delle garanzie attraverso l'imposizione di presidi che siano espressione dell'assetto ordinamentale interno. Una simile pretesa, infatti, potrebbe compromettere il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione europea.

Prima di concludere, comunque, la Corte espone le proprie osservazioni al fine di contribuire alla soluzione del quesito.

In questa prospettiva, muove dalla ricognizione delle precedenti decisioni della Corte di giustizia per evidenziare i profili di novità del tema.

Ricorda così che nel caso Kozlowski (C. giust. UE, 17 luglio 2008, C-66/08, in Cass. pen., 2008, p. 4399) è stata enunciata la nozione autonoma e uniforme dei concetti di residenza e cittadinanza. Qui osserva che tali statuizioni, pure astrattamente applicabili ai cittadini di Stati terzi, sono state assunte in un contesto differente nel quale si trattava di chiarire in quali condizioni si potesse ritenere compiuto il requisito per l'applicazione dell'art. 4, punto 6, della decisione quadro. Diversamente, ora si tratta di saggiare la legittimità di una previsione che dinanzi alla sussistenza di tale requisito non consente comunque di rifiutare la consegna dei cittadini di Stati terzi. Un aspetto che, del resto, non era stato esaminato neppure dalla successiva sentenza Wolzemburg (C. giust. UE, 6 ottobre 2009, C-123/08, in Cass. pen., 2010, p. 1185), che aveva affrontato il diverso tema della condizione del cittadino di uno Stato membro in relazione al principio di non discriminazione. Nell'occasione, la Corte di giustizia aveva chiarito che, nel recepire l'art. 4, punto 6, della decisione quadro gli Stati membri possono differenziare il trattamento del cittadino rispetto a quello del residente, pretendendo per quest'ultimo ulteriori requisiti per l'accesso all'istituto (nel caso di specie, si trattava della legislazione belga che richiedeva una permanenza sul territorio nazionale non inferiore a cinque anni), ma non aveva preso posizione su eventuali preclusioni in danno di residenti extracomunitari. Un contributo utile, infine, non proviene neppure dalla decisione assunta nel caso Lopes da Silva Jorge (C. giust. UE, 5 settembre 2012, C-42/11, in Riv. dir. int., 2013, p. 231), incentrata ancora sull'applicazione del principio di non discriminazione e sempre con riguardo alla posizione del cittadino europeo.

La Corte, comunque, sottolinea l'influenza che le prime due decisioni hanno esercitato ai fini della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 18, lett. r) pronunciata da C. cost., 24 giugno 2010, n. 227, in Cass. pen., 2010, p. 4148, che ha equiparato il trattamento del cittadino europeo a quello riservato al cittadino italiano. Qui ha segnalato come la stessa sentenza Kozlowski abbia rimarcato l'importanza che l'art. 4, punto 6, riveste ai fini della realizzazione di un sistema di cooperazione che, insieme ad istanze di carattere repressivo, permetta di perseguire anche finalità di matrice rieducativa. In questa ottica, tratteggiando la relazione che la norma presenta con l'istituto del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure della libertà personale, disciplinato dalla decisione quadro 2008/909/GAI, la Corte ha aggiunto che ultimo istituto, tanto nella versione europea che nella sua trasposizione nell'ordinamento italiano, non contempla differenze di trattamento sotto il profilo soggettivo, essendo perciò applicabile anche ai cittadini di Stati terzi.

D'altro canto, si legge ancora nell'ordinanza, una estensione nella direzione indicata dal giudice rimettente non contrasterebbe né con il principio del mutuo riconoscimento, né con la ratio sottesa al sistema dell'euromandato di contrastare la criminalità ed evitare l'impunità di delinquenti che si trovino in un territorio diverso da quello nel quale si suppone sia stato commesso un reato: l'implementazione e l'applicazione del “microsistema” non consentono al condannato di sfuggire alla sanzione per la quale è ricercato, ma assicurano l'esecuzione della pena in un contesto che favorisca la risocializzazione, realizzando un interesse che non è soltanto del singolo, ma anche dell'intera Unione (C. giust. UE, 23 novembre 2010, C-145/09, in Cass. pen., 2011, p. 1223).

La Corte, quindi, ritorna sul tema del radicamento della persona richiesta in consegna nello Stato membro di esecuzione per affermare che il diritto a non subire una brutale recisione dei legami di carattere familiare, sociale, lavorativo ed economico, è tutelato da una pluralità di fonti, anche nell'ipotesi in cui l'interessato sia cittadino di uno Stato terzo e non soltanto nella dimensione dell'esecuzione della pena. A tal proposito, richiama la direttiva 2003/109/CE sui soggiornanti di lungo periodo e la direttiva 2003/86/CE sul diritto al ricongiungimento familiare e aggiunge che indicazioni nella medesima direzione provengono anche dalla giurisprudenza sovranazionale. La Corte europea dei diritti dell'uomo, infatti, tende a valorizzare in misura sempre maggiore lo scopo rieducativo che deve connotare la pena e, pertanto, ritiene in contrasto con l'art. 8 della Convenzione le esecuzioni che si svolgano a notevole distanza dal luogo di residenza del condannato, a causa delle ripercussioni sulla possibilità di mantenere rapporti regolari e frequenti con i familiari (C. eur. dir. uomo, 26 aprile 2016). Un approccio che, del resto, trova precisa corrispondenza nelle Regole penitenziarie europee che, all'art. 17, paragrafo 1, prevedono che i detenuti debbano essere assegnati, per quanto possibile, a carceri vicine al loro domicilio o a luoghi di riabilitazione sociale. Del resto, approdi simili sono stati raggiunti in materia di espulsione degli stranieri, laddove si considera l'allontanamento quale extrema ratio, proprio per la sua incidenza sul complesso di diritti protetti dall'art. 8 della Convenzione (C. eur. dir. uomo, 24 novembre 2020).

Osservazioni

Una considerazione preliminare riguarda la diversità di conclusioni assunte su due questioni di identico tenore. Come si è visto, decidendo sulla questione sollevata dalla Suprema Corte di Cassazione, la Corte costituzionale ha restituito gli atti al rimettente. Ora, invece, ha ritenuto di non dover assume un provvedimento simile.

Il Giudice delle leggi spiega che la differenza deriva dal fatto che, nel primo caso, era necessario rimeditare, alla luce delle modifiche apportate dalla novella, gli approdi raggiunti: pur non applicabili, infatti, le innovazioni avrebbero comunque mutato in maniera significativa il quadro sistematico nel quale si collocavano le censure elaborate dal giudice di legittimità. Peraltro, la restituzione degli atti poggiava anche sulla circostanza che la persona richiesta in consegna era residente in Italia da meno di cinque anni e che pertanto, se fosse stata accolta la questione di legittimità costituzionale, i cittadini di uno Stato terzo avrebbero beneficiato di un trattamento migliore di quello riservato attualmente ai cittadini europei.

Le perplessità sono determinate dal rilievo che in entrambi i casi non sarebbe stata applicata la nuova normativa e che i termini di paragone utilizzati non sono omogenei: è vero che, nel caso di declaratoria di illegittimità costituzionale, il residente extracomunitario, non dovendo superare la soglia di cinque anni, avrebbe beneficiato di un trattamento più favorevole rispetto a quello contemplato dalla disciplina ora vigente per il cittadino europeo, ma è altrettanto vero che neppure quest'ultimo illo tempore avrebbe dovuto compiere tale requisito.

Sia come sia, l'ordinanza della Corte costituzionale propone alla Corte di giustizia un tema che nell'ordinamento italiano è stato trattato nella sola dimensione nazionale: il percorso compiuto finora, pur influenzato dalle decisioni assunte dalla Corte di giustizia, si è sempre sviluppato in ambito domestico e la giurisprudenza nazionale aveva escluso l'opportunità di chiamare in causa il giudice europeo (Cass. sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 10371, cit.).

Anche in questa più ampia collocazione risalta l'importanza che la funzione rieducativa della pena ha assunto nella procedura di cooperazione e, per contro, emerge l'insostenibilità di distinzioni, di carattere normativo o interpretativo, che estromettano i cittadini di Stati terzi.

Se, in effetti, non si può dubitare circa l'opportunità di disciplinare diversamente i requisiti di accesso e pretendere che coloro che non sono cittadini italiani dimostrino effettivamente il loro radicamento nel nostro Stato, indicando gli elementi che testimoniano la legittimità e l'effettività della permanenza, è altrettanto indiscutibile la conclusione secondo la quale, se in possesso dei requisiti, il residente, quale che sia la cittadinanza, ha maturato il diritto a pretendere che l'esecuzione avvenga in Italia.

Questa convinzione trae origine innanzitutto dal rilievo che il tenore testuale della decisione quadro non differenzia i residenti secondo lo Stato di origine e che una simile conclusione non può discendere neppure dalla sentenza della Corte costituzionale che dichiarò l'illegittimità dell'art. 18, lett. r). Come accennato, da tale decisione il legislatore ha tratto un argomento per motivare la scelta compiuta con la riforma del “microsistema”; a ben vedere, però, la limitazione al cittadino europeo fu determinata dalla circostanza che, nei giudizi nei quali fu sollevata la questione, tutte le persone richieste in consegna erano nel contempo cittadini europei e, dunque, per difetto di rilevanza, non fu presa in considerazione la posizione dei residenti provenienti da Stati terzi. Né° dall'arresto possono trarsi implicitamente elementi che muovano nella direzione indicata dal d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10.

Dunque, conducendo lo scrutinio alla luce della decisione quadro e della sua appendice giurisprudenziale, interna e sovranazionale, non si rinvengono ragioni per escludere dal campo applicativo il residente che provenga da uno Stato terzo: per un verso, la nozione enunciata nella sentenza Kozlowski è applicabile a chiunque si sia stabilito in uno Stato membro e abbia consolidato un radicamento significativo; per altro verso, la pretesa di ulteriori requisiti avallata dalla sentenza Wolzemburg consente solo di differenziare il trattamento di cittadini e residenti e fissare il punto nel quale i loro trattamenti devono essere equiparati.

In senso contrario, non appare decisiva neppure l'affermazione secondo la quale una selezione parsimoniosa dei motivi di rifiuto da recepire nella normativa di attuazione contribuisce a rendere più efficace il contrasto alla criminalità. Essa sembra riferibile alle sole ipotesi nelle quali il diniego della consegna non soddisfa la pretesa punitiva dello Stato e non a quella contenuta nell'art. 4, punto 6, che, come accennato, non sacrifica affatto l'esecuzione della pena, ma, diversamente, la rende più efficace sotto il profilo rieducativo.

Dunque, in attesa della decisione della Corte di giustizia, si delineano due scenari.

Qualora il giudice europeo escludesse la conformità alla decisione quadro della opzione legislativa italiana aprirebbe senz'altro la strada alla declaratoria di illegittimità costituzionale.

Qualora, invece, non ritenesse contraria al testo sovranazionale la disciplina contenuta nella legge di attuazione italiana, i profili di illegittimità costituzionale della norma, non sarebbero comunque rimossi. Invero, rimarrebbe sul terreno il contrasto con l'art. 27 Cost. poiché la consegna del residente originario di uno Stato terzo e il suo sradicamento comprometterebbe irrimediabilmente la funzione rieducativa della pena, determinando una lesione gravissima di un diritto fondamentale, riconosciuto a chiunque dall'ordinamento italiano. Più precisamente, dinanzi al rilievo che una persona ha maturato un legame tanto saldo e profondo con il nostro ordinamento, stabilendovi la sede principale dei propri interessi, l'impossibilità di perseguire la finalità rieducativa potrebbe innescare il meccanismo del controlimite.

In giurisprudenza:

C. cost., 24 giugno 2010, n. 227

:

È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., l'art. 18, comma 1, lett. r), della legge 22 aprile 2005, n. 69, nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno.

C. cost., 1° aprile 2021, n. 60: È ordinata la restituzione degli atti alla Corte di cassazione, sez. sesta penale, per un nuovo esame, alla luce dello ius superveniens, della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 18-bis, comma 1, lett. c), della legge n. 69 del 2005, come introdotto dall'art. 6, comma 5, lett. b), della legge n. 117 del 2019 - sollevate in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 4, par. 6, della Decisione quadro 2002/584/GAI, nonché in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU, all'art. 17, par. 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, e all'art. 7 CDFUE - nella parte in cui, con riferimento alla procedura di mandato di arresto europeo, non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano. L'art. 15 del d.lgs. n. 10 del 2021, promulgato medio tempore, ha modificato la disposizione censurata, mentre il successivo art. 17 ha modificato l'art. 19 della legge n. 69 del 2005, invocato quale tertium comparationis dal rimettente in riferimento all'art. 3.

In dottrina:

Amalfitano - Aranci, Mandato di arresto europeo e due nuove occasioni di dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia, in www.sistemapenale.it

Amalfitano - Aranci, Mandato d'arresto europeo ed extracomunitario residente o dimorante in Italia: ancora nessuna tutela da parte della Corte costituzionale (nè del legislatore), in www.sistemapenale.it

Bargis, Meglio tardi che mai. Il nuovo volto del recepimento della decisione quadro relativa al m.a.e. nel d.lgs. 2-2-2021, n. 10: una prima lettura, in www.sistemapenale.it.

Calvanese - De Amicis, Mandato d'arresto europeo e consegna “esecutiva” del cittadino nell'interpretazione della Corte di giustizia: verso la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 18, lett. r), della l. n. 69/2005?, in Cass. pen., 2010, p. 1191.

Chelo, Il mandato di arresto europeo, Cedam, 2010.

Colaiacovo, La nuova disciplina del mandato d'arresto europeo tra esigenze di semplificazione della procedura e tutela del diritto di difesa, in Dir. pen. e proc., 2021, p. 868.

Geraci, Il mutuo riconoscimento nella cooperazione processuale: genesi, sviluppi e morfologie, Bari, 2020.

Marandola, Reciproco riconoscimento, in Marandola, Cooperazione giudiziaria penale, Giuffrè, 2018, p. 861.

Michelagnoli, Il radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in tema di mandato d'arresto europeo, (commento a Cass., sez. VI, 1 marzo 2016, n. 15887), in Dir. pen. e proc., 2017, p. 66.

Picciotti, La riforma del mandato di arresto europeo. Note di sintesi a margine del d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, in www.lalegislazionepenale.eu.

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