È nulla per difetto di causa la clausola del regolamento che esonera il condomino/costruttore dal pagamento delle spese condominiali

Gianluigi Frugoni
14 Febbraio 2022

La validità della clausola del regolamento di condominio, che esonera dal pagamento delle spese il costruttore, deve essere esaminata prescindendo dalla derogabilità convenzionale dell'art. 1123 c.c. sui criteri legali di ripartizione delle spese condominiali (pacifica), dovendo l'indagine spingersi alla verificazione della sussistenza di una legittima causa contrattuale che la giustifichi.
Massima

La clausola di esonero del costruttore dal pagamento delle spese condominiali contenuta nel regolamento contrattuale di condominio si palesa nulla per difetto di causa (ex artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 2, c.c.), laddove non sia possibile individuare nel diverso criterio di ripartizione delle spese elementi oggettivamente valutabili, legati al vantaggio (almeno potenziale), di cui il singolo condomino potrà fruire. L'assunzione dei sacrifici economici da parte dei condomini nella ripartizione delle spese è giustificata dalla fruizione dei relativi (e proporzionali) vantaggi, per cui anche la discriminazione tra condomini, per essere giustificata, deve seguire il criterio di proporzionalità e funzionalità e tale giustificazione non si rinviene nella mera condizione soggettiva di “costruttore” di uno o più condomini; di modo che questa condizione soggettiva, rompendo il predetto nesso costi-vantaggi, diviene semplicemente lo strumento atto ad acquisire ricchezza tramite i costi da altri sopportati.

Il caso

Un condomino, già costruttore dell'edificio ed originario esclusivo proprietario dello stesso, ha proposto opposizione al decreto per ingiunzione emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Roma per il pagamento di spese condominiali sostenendo di nulla dovere perché il regolamento contrattuale lo esonerava da tali contribuzioni.

Ha, inoltre, avanzato domanda riconvenzionale per la declaratoria di nullità delle delibere che avevano approvato a maggioranza di ripartire le spese condominiali anche a suo carico in deroga al regolamento contrattuale.

Il Tribunale di Roma ha rigettato l'opposizione e la domanda riconvenzionale del condomino/costruttore rilevando, anzitutto, che la prova della natura contrattuale della clausola regolamentare, nel caso del regolamento richiamato dagli atti di acquisto, dovesse essere data mediante la allegazione di tutti gli atti di compravendita dei condomini e non solo di alcuni a campione, discendendo la vincolatività della clausola dalla sua approvazione da parte di tutti i condomini.

Il giudice adìto ha anche provveduto ad esaminare la clausola regolamentare richiamata dall'opponente rilevando che, quand'anche si fosse data la prova della sua natura convenzionale, essa sarebbe comunque nulla per difetto di causa (ex artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 2, c.c.), dovendo la clausola esprimere le ragioni per le quali venga imposto un sacrificio economico individuale agli altri condomini a fronte del beneficio goduto dal condomino/costruttore e le ragioni per le quali si attui quindi tale discriminazione tra i partecipanti al condominio.

La questione

Il Tribunale di Roma ha affrontato l'annosa questione sulla validità della clausola del regolamento di condominio che esonera il condomino costruttore dell'edificio al pagamento delle spese condominiali.

L'indagine è stata posta, tuttavia, da un punto di vista diverso rispetto a quello tradizionale adottato dalla giurisprudenza precedente.

Sinora le pronunce emesse hanno sempre ritenuto valida la clausola in esame qualora risulti prevista da una convenzione cui tutti i partecipanti vi abbiano prestato consenso, ciò in applicazione dell'art. 1123, comma 1, c.c. che consente ai condomini di derogare ai criteri legali di ripartizione delle spese, tramite appunto una convenzione (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016, n.16321; Cass. civ.,sez. II, 17 gennaio 2003, n. 641; Cass. civ.,sez. II, 25 marzo 2004, n. 5975; Cass. civ.,sez. II, 16 dicembre 1988, n. 6844).

Il Tribunale di Roma, pur ribadendo il principio di cui sopra, ritiene che la clausola convenzionale che esonera il condomino/costruttore dal pagamento delle spese, al pari di ogni patto contrattuale, debba tuttavia osservare i requisiti di validità disposti dal codice civile in tema di contratto in generale, dovendo in particolare sussistere una valida causa che la giustifichi a norma degli artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 2), c.c.

Le soluzioni giuridiche

Partendo dalla premessa che, con l'opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento degli oneri condominiali deliberati, il condomino, può solo contestare “la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell'ingiunzione, oppure il verbale della delibera assembleare ma, non anche la validità della stessa, che deve invece essere contestata separatamente con l'impugnazione disciplinata dall'art. 1137 c.c., (v., ex plurimis, Cass. civ.,sez. II, 20 luglio 2010, n. 17014), il Tribunale di Roma ha esaminato la domanda riconvenzionale dell'opponente con la quale ha chiesto di dichiararsi la nullità della delibera che aveva approvato un piano di riparto che gli addebitava pro quota il pagamento delle spese condominiali.

Ha, in proposito, osservato che l'atto collegiale non aveva modificato i criteri di riparto della spesa - ciò avrebbe richiesto una espressa e consapevole modifica del criterio generale assunto come legittimo dall'opponente - ma aveva, piuttosto, applicato nel caso concreto un criterio difforme da quello regolamentare, rilevando conseguentemente che il vizio avrebbe potuto, al più, integrare un vizio di mera annullabilità, deducibile solo con la tempestiva impugnazione dei bilanci.

Circa l'opponibilità della clausola regolamentare agli altri condomini, il magistrato capitolino ha evidenziato che la natura convenzionale della clausola richiede che il regolamento sia stato approvato in sede assembleare da tutti i partecipanti del condominio o, nel caso in cui sia stato predisposto dall'originario costruttore, che venga trascritto nei registri immobiliari oppure, richiamato nei singoli atti di compravendita (Cass. n. 1748/2013).

Sulla scorta di tale principio, ha rigettato la domanda in quanto l'opponente non aveva fornito la prova della sua opponibilità a tutti gli altri condomini avendo allegato solo qualche atto di compravendita a campione e non invece tutti gli atti di compravendita.

il giudice, pur in mancanza di una specifica domanda, ha esaminato anche la clausola regolamentare e, partendo dal dato testuale dell'art. 1123, comma 1, c.c. secondo il quale le parti possono, derogare ai criteri normativi di riparto delle spese condominiali con apposita convenzione tra tutti i compartecipi, è giunto ad affermare che la derogabilità dell'art. 1123 c.c. non esaurisce l'indagine in ordine alla validità della convenzione tramite la quale sono posti i differenti criteri di ripartizione delle spese condominiali, dovendosi tale indagine spingere sino alla verificazione della sussistenza di una legittima causa contrattuale che la giustifichi.

E nella fattispecie ha ritenuto che è il nesso funzionale e proporzionale tra costi e vantaggi che sta alla base della giustificazione non solo dei criteri legali ma anche dei criteri convenzionali, relativamente ai quali detto nesso funzionale è assunto quale causa (negoziale) dell'accordo, osservando che l'assunzione dei sacrifici economici da parte dei condomini nella ripartizione delle spese è giustificata dalla fruizione dei relativi (e proporzionali) vantaggi, per cui anche la discriminazione tra condòmini, per essere giustificata, deve seguire il criterio di proporzionalità e funzionalità.

La mera condizione soggettiva di uno o più condomini (l'essere stato nella specie colui che ha costruito l'edificio ed originario proprietario) secondo il Tribunale romano non può da sola assurgere a causa giustificatrice dell'esonero dalla contribuzione e conseguentemente ha rilevato il difetto di causa della clausola e dichiarato la sua nullità a norma degli artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 2), c.c.

Osservazioni

È senz'altro condivisibile la tesi del giudice capitolino, secondo la quale per provare la natura contrattuale della clausola del regolamento che esonera il condomino/costruttore dal pagamento delle spese condominiali sia necessario allegare gli atti di compravendita di tutti i partecipanti al condominio.

Il regolamento contrattuale ha infatti natura di contratto normativo plurisoggettivo (Cass. civ., sez. II, 4 giugno 2010, n.13632) e per la sua opponibilità al condominio deve essere conseguentemente fornita la prova che il suo richiamo sia specificamente avvenuto in tutti gli atti di compravendita.

Si osserva, tuttavia, che la pronuncia (incidentale) sulla nullità della convenzione regolamentare di esonero dal pagamento delle spese condominiali avrebbe richiesto la vocatio in jus di tutti i condomini.

Secondo Cass. civ., sez. VI, 9 novembre 2020, n.24957, poiché il regolamento di condominio cosiddetto contrattuale, si configura dal punto di vista strutturale, come un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune, ne consegue che l'azione di nullità del regolamento medesimo proposta da un condomino deve essere proposta non nei confronti del condominio (e, quindi, dell'amministratore), carente di legittimazione in ordine ad una siffatta domanda, ma nei confronti di tutti gli altri condomini, versandosi in una situazione di litisconsorzio necessario.

Circa il merito della clausola, il Tribunale di Roma osserva che la ripartizione delle spese comuni richiede, per sua stessa natura, il riferimento a criteri oggettivamente valutabili, legati al vantaggio (almeno potenziale) di cui il singolo condomino potrà fruire e così avviene con gli stessi criteri legali previsti dall'art. 1123 c.c. ove il valore della proprietà e la misura dell'uso rappresentano i criteri proporzionali di ripartizione per le spese che sono destinate a incidere sul valore o sul godimento del bene.

Anche nell'eventuale deroga ai criteri legali il rapporto tra sacrificio e vantaggio non può venire meno perché così sarebbe violato il principio proporzionale che regola il diritto del condomino sulle cose comuni.

Nella sentenza si legge che Il nesso funzionale e proporzionale tra costi e vantaggi sta alla base della giustificazione non solo dei criteri legali ma anche dei criteri convenzionali, relativamente ai quali detto nesso funzionale è assunto quale causa (negoziale) dell'accordo. Per meglio dire, l'assunzione dei sacrifici economici da parte dei condomini nella ripartizione delle spese è giustificata dalla fruizione dei relativi (e proporzionali) vantaggi, per cui anche la discriminazione tra condomini, per essere giustificata, deve seguire il criterio di proporzionalità e funzionalità.

Una tale giustificazione non si rinviene nella mera condizione soggettiva di uno o più condòmini; di modo che questa condizione soggettiva, rompendo il predetto nesso costi-vantaggi, diviene semplicemente lo strumento atto ad acquisire ricchezza tramite i costi da altri sopportati.

Opportunamente il Tribunale di Roma chiarisce che un criterio di ripartizione legato a una condizione personale non può considerarsi di per sé indice di difetto di causa e di nullità strutturale della relativa convenzione. Al contrario, deve ritenersi ammissibile un tale criterio ma ove sia legato a vicende suscettibili di valutazione oggettiva. Al fine di usufruire di un esonero dalle spese il costruttore dovrà esplicitare quindi nella convenzione la causa patrimoniale dell'esonero in modo che l'esonero sia giustificato da proporzionali vantaggi attribuiti agli altri condomini.

Così, ad esempio, il costruttore ben potrà fruire di un esonero dalle spese qualora esso si giustifichi quale remunerazione della vendita o di costi ad essa connessi. In tal caso, però, la necessità che il prezzo sia determinato o determinabile, pena la nullità del contratto, richiederebbe la indicazione di un termine oltre il quale le spese condominiali vengano assunte anche dalla società costruttrice, il che impedirebbe la strumentalizzazione della propria condizione soggettiva.

Resta da vedere se la tesi del giudice romano troverà conferma in sede di legittimità.

Esiste - è bene segnalarlo - un precedente della Corte Suprema (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016,n.16321) che ha affrontato la legittimità del patto di esonero dal pagamento delle spese condominiali in relazione all'art. 2265 c.c. - divieto del patto leonino: nullità del patto con il quale uno o più soci siano esclusi da ogni partecipazione agli utili od alle perdite la cui ratio è ravvisabile nel difetto di causa per contrasto con l'essenza stessa dei diritti del socio - ritenendo che tale norma non sia applicabile al condominio, trovando essa la sua ratio nella speciale posizione che un socio assume nell'ambito societario e nella necessità che lo stesso partecipi al rischio patrimoniale d'impresa, ovvero nell'essenziale scopo lucrativo che viene perseguito tramite una attività imprenditoriale, scopo del tutto estraneo alla situazione di mero godimento di beni comuni, tipica del condominio di edifici.

Di talché sembrerebbe che il giudice di legittimità guardi con un certo sfavore alla possibilità di un sindacato sulla causa del patto di esenzione.

Si aggiunga che, secondo una autorevole dottrina, un'eventuale deroga convenzionale ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali con cui si preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di contribuzione, impedirebbe di individuare un arricchimento del singolo condomino, esonerato dalle spese, che possa definirsi privo di “giusta causa” ai fini dell'art. 2041 c.c.

Le conseguenze economiche del patto, vantaggiose per il singolo partecipante e svantaggiose per il resto del condominio - secondo l'Autore - sarebbero prodotte legittimamente dalla convenzione, essendo essa di valore negoziale accettata dai condomini nell'esercizio della loro autonomia (Scarpa).

Consentire in tali casi di sperimentare l'azione generale di arricchimento finalizzata ad ottenere un indennizzo pari alla contribuzione non versata da parte del condomino esonerato, significherebbe vanificare gli obblighi contrattualmente assunti.

In altre parole - aggiungiamo noi - poiché è la norma stessa (art. 1123, comma 1, c.c.) ad introdurre la possibilità che i condomini stipulino un contratto mediante il quale ripartire in modo difforme dai criteri legali le spese condominiali, fino ad arrivare anche ad esonerare del tutto uno o più condomini dalla relativa contribuzione, non potrebbe mai profilarsi un difetto di causa nell'esonero, posto che questa è una delle possibili conseguenze dello stesso schema negoziale delineato dalla norma.

Ciò vale nei limiti in cui si ritenga che con riferimento ai contratti tipici disciplinati dalla legge non si possa porre in astratto un problema di difetto di causa, teoria che, tuttavia, da tempo è messa a dura critica da coloro che sostengono invece che gli elementi essenziali del contratto debbano essere sempre e comunque valutati in concreto in relazione alla conformità alla legge dell'attività negoziale posta in essere dalle parti.

A maggior ragione, la verifica dovrebbe imporsi per le clausole di un regolamento contrattuale che è considerato un contratto atipico, privo quindi di uno schema delineato da una norma (v. Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2017, n.11970, in tema di nullità della clausola del regolamento che pone a carico del condomino distaccatosi dall'impianto le spese del riscaldamento).

Altro profilo secondo il quale la clausola di esonero potrebbe essere vagliata è quello della sua relazione con l'art. 33 del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), e l'art. 1123, comma 1, c.c., laddove il condomino onerato delle altrui spese agisca quale semplice consumatore.

La durata illimitata del patto di esonero implicherebbe la sua vessatorietà ed in ragione del significativo squilibrio che essa produrrebbe, porterebbe un indebito arricchimento al costruttore.

Peraltro, secondo altro autorevole autore (Triola), ove non sia stato posto un termine di durata alla “diversa convenzione” ex art. 1123 c.c., dovrebbe ammettersi pur sempre il recesso ex art. 1373 c.c. ed in ogni caso la convenzione sarebbe inefficace nei confronti dei successivi acquirenti delle unità immobiliari aventi causa degli originari stipulanti.

Trattasi, in definitiva, di un tema ancora da esplorare a fondo sul quale crediamo si potranno aprire nuovi e significativi scenari.

Riferimenti

Scarpa, La diversa convenzione, in Il nuovo condominio a cura di Triola, Torino, 2013, 896;

Triola, Il condominio, Milano, 2007, 647;

Celeste, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 920.

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