Limiti alla possibilità di pagamento in contanti, per una pubblica amministrazione, ma solo per motivi di interesse pubblico

Ranieri Razzante
16 Febbraio 2022

L'esperienza italiana del c.d. “cashback” ha confermato tutte le perplessità e, in questa sede, l'interpretazione delle Corti Superiori, in quanto la stessa Banca Centrale Europea, con due missive, indirizzate ai nostri Governi pro-tempore nel 2019 e nel 2020, aveva raccomandato di non istituire forme restrittive di pagamento con moneta cash se non giustificato (e dimostrabile) da ragioni di ordine e interesse pubblico. Su quest'ultimo profilo, però, come ampiamente noto, le direttive contro il riciclaggio, e le disposizioni italiane...
Massima

«[…] Indipendentemente da qualsiasi esercizio da parte dell'Unione europea della propria competenza esclusiva nel settore della politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro, esso osta a che uno Stato membro adotti una disposizione che, tenuto conto del suo obiettivo e del suo contenuto, stabilisca il regime giuridico del corso legale delle banconote in euro. Per contro, esso non osta a che uno Stato membro adotti, nell'esercizio di una competenza propria, quale l'organizzazione della sua pubblica amministrazione, una disposizione che obblighi detta amministrazione ad accettare il pagamento in contanti delle obbligazioni di pagamento da essa imposte».

Non c'è ostacolo ad una normativa nazionale «che esclude la possibilità di liberarsi da un'obbligazione di pagamento imposta da un'autorità pubblica mediante banconote in euro, a condizione che, in primo luogo, tale normativa non abbia per oggetto né per effetto di stabilire il regime giuridico del corso legale di tali banconote, in secondo luogo, che non comporti, de jure o de facto, un'abolizione di tali banconote, segnatamente rimettendo in causa la possibilità di liberarsi, in generale, da un'obbligazione di pagamento mediante tale contante, in terzo luogo, che sia stata adottata tenendo conto di motivi d'interesse pubblico, in quarto luogo, che la limitazione ai pagamenti in contanti derivante da tale normativa sia idonea a realizzare l'obiettivo di interesse pubblico perseguito e, in quinto luogo, che non ecceda i limiti di quanto è necessario per la realizzazione dello stesso, nel senso che esistano altri mezzi legali per liberarsi dall'obbligazione di pagamento».

Il caso

Due cittadini tedeschi (J. Dietrich, N. Häring), debitori del canone radiotelevisivo nel Landdell'Assia, proponevano, all'organismo radiotelevisivo operante in tale territorio (Hessischer Rundfunk), di poter pagare in contanti il suddetto canone, dovuto in applicazione dell'articolo 2, paragrafo 1, del RBStV.

Tale proposta veniva respinta dall'emittente, la quale inviava loro avvisi di pagamento, in cui stabiliva gli arretrati del canone radiotelevisivo a loro carico, nonché una penalità di mora.

I ricorrenti nel procedimento principale proponevano, nell'anno 2016, ricorsi di annullamento avverso tali avvisi, che venivano però respinti dal Tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno (Verwaltungsgericht Frankfurt am Main).

Nell'anno 2018 il Tribunale amministrativo superiore del Land dell'Assia respingeva, altresì, i loro appelli nei confronti di tali sentenze.

Le questioni giuridiche

Avverso tali sentenze venivano proposti ricorsi per cassazione dinanzi al giudice del rinvio, la Corte amministrativa federale.

I ricorrenti sostenevano che l'articolo 14, paragrafo 1, seconda frase, del BBankG, e l'articolo 128, paragrafo 1, terza frase, TFUE prevedevano un obbligo assoluto e illimitato di accettare le banconote in euro quale mezzo di estinzione dei debiti pecuniari; obbligo che avrebbe potuto essere limitato solo mediante accordo contrattuale tra le parti, oppure in forza di un'autorizzazione prevista nel diritto federale o nel diritto dell'Unione. Per contro, nessuna ragione pratica, quale, come nel caso di specie, il numero elevato di contribuenti, avrebbe giustificato il fatto che tale obbligo fosse escluso.

Preliminarmente, il giudice del rinvio rilevava che l'esclusione della possibilità di pagare il canone radiotelevisivo mediante banconote in euro violava una disposizione del diritto federale, di rango superiore, l'articolo 14, paragrafo 1, seconda frase, del BBankG. Tale disposizione doveva essere interpretata nel senso che obbligava gli organismi pubblici ad accettare le banconote in euro in sede di adempimento di obbligazioni di pagamento imposte dall'autorità pubblica; obbligo che non contemplava eccezioni in tale contesto.

Alla luce di ciò, il giudice adito precisava di non disporre di indizi relativi al fatto che la possibilità di pagare il canone radiotelevisivo in contanti avrebbe messo in pericolo la dotazione finanziaria degli organismi di radiodiffusione.

In tal sede, il giudice del rinvio riteneva che i procedimenti principali sollevassero tre questioni relativamente alle quali si rendeva necessaria, in via pregiudiziale, una pronuncia della Corte di Giustizia Europea.

Le soluzioni giuridiche

In primo luogo, si chiedeva alla Corte se la competenza esclusiva dell'Unione Europea, nel settore della politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro, ostava all'adozione, da parte di uno Stato membro, di un atto giuridico che prevedeva l'obbligo degli organismi pubblici dello Stato di accettare banconote, in euro, in sede di adempimento di un'obbligazione pecuniaria imposta da un'autorità pubblica.

Si chiedeva, altresì, se lo status delle banconote denominate in euro vietava, agli organismi pubblici di uno Stato membro, di rifiutare l'adempimento di un'obbligazione pecuniaria imposta da un'autorità pubblica con tali banconote, o se il diritto dell'Unione ammetteva norme che escludevano il pagamento con tali banconote per determinati obblighi pecuniari imposti da un'autorità pubblica.

Nel caso di risposta affermativa alla prima questione e di risposta negativa alla seconda questione, si richiedeva alla Corte se un atto giuridico di uno Stato membro, la cui moneta è l'euro, adottato nell'ambito della competenza esclusiva dell'Unione in materia di politica monetaria, poteva trovare applicazione nei limiti in cui, e fino a quando, l'Unione non aveva esercitato la propria competenza.

In primis, la Corte di Giustizia, riunita in Grande Sezione, ricordava che, alla luce della giurisprudenza costante, essa non era competente ad interpretare il diritto interno di uno Stato membro. E pertanto, la stessa non risolveva la controversia in quanto spettava al giudice nazionale decidere la causa conformemente alla decisione della Corte.

In premessa affermava che, nell'ambito della «politica monetaria», l'Unione Europea disponeva di una competenza esclusiva per gli Stati membri la cui moneta è l'euro.

Rilevava poi che la nozione di «corso legale» di un mezzo di pagamento, denominato in un'unità monetaria, significava che tale mezzo di pagamento non poteva essere rifiutato in adempimento di un debito espresso nella stessa unità monetaria, con il fine di estinguere l'obbligazione di pagamento.

Conseguentemente, specificava che il solo legislatore europeo era autorizzato a precisare il regime giuridico del corso legale riconosciuto alle banconote in euro, e pertanto «nell'ipotesi in cui l'Unione non abbia esercitato la propria competenza esclusiva, l'adozione o il mantenimento da parte di uno Stato membro di una disposizione rientrante in tale competenza non potrebbero essere giustificati da questa sola circostanza».

Ne discendeva, dunque, che tale corso legale non richiedeva un'assoluta accettazione ma solo un'accettazione di principio delle banconote denominate in euro come mezzo di pagamento; e non risultava, altresì, necessario che il legislatore europeo fissasse in maniera specifica le eccezioni a codesto obbligo di principio, a patto che venisse garantita, per ogni debitore, la possibilità di liberarsi di un'obbligazione di pagamento attraverso tale contante.

Pertanto, la Corte di Giustizia stabiliva che lo Stato membro, nell'esercizio delle proprie competenze, quale l'organizzazione della sua amministrazione pubblica, fosse legittimato ad adottare misure che obbligavano tale amministrazione ad accettare pagamenti in contanti.

Tuttavia, la Corte precisava che tale obbligo, in linea di principio, poteva essere limitato per motivi di interesse pubblico; pertanto, le restrizioni dovevano risultare proporzionate all'obiettivo di interesse pubblico perseguito, in quanto il principio di proporzionalità fa parte dei principi generali del diritto dell'Unione europea.

Relativamente al caso di specie, nelle sue osservazioni scritte, l'emittente radiotelevisiva pubblica sottolineava che l'obbligo di pagare il canone con mezzi di pagamento alternativi al contante era necessario al fine di garantire un effettivo recupero dello stesso ed evitare consistenti costi aggiuntivi. In ragione di ciò, la Corte affermava come fosse coerente con un interesse pubblico che i debiti di somme nei confronti delle pubbliche autorità potessero essere estinti in modo tale da non implicare per le stesse un eccessivo ed irragionevole costo.

E dunque, il motivo di pubblico interesse poteva giustificare una limitazione ai pagamenti in contanti quando il numero particolarmente elevato di contribuenti era molto elevato.

Tuttavia, spettava al giudice del rinvio verificare se una restrizione di tal genere fosse proporzionata a codesto obiettivo, in virtù del fatto che i mezzi legali alternativi di pagamento del canone radiotelevisivo non risultavano facilmente accessibili a tutte le persone debitrici, il che avrebbe implicato di prevedere, per i soggetti che non avevano accesso a tali mezzi, la possibilità di pagare in contanti.

Osservazioni

Il complesso processo di costruzione del mercato interno dei pagamenti, che si evince anche dall'analisi di tale sentenza, ha coinvolto tutti gli Stati dell'Unione e si è naturalmente intersecato con le attività del Sistema europeo delle Banche centrali e con il funzionamento dell'Eurozona.

Contestualmente è stato avviato un processo di “elettronificazione dei pagamenti”, senza però che venisse inquadrato, esaurientemente e chiaramente, l'adempimento delle obbligazioni pecuniarie.

È risultato quasi necessario un intervento della Corte di Giustizia su tale materia, essendo il mercato interno dei pagamenti, come detto, assai articolato e disarmonico.

L'esperienza italiana del c.d. “cashback” ha confermato tutte le perplessità e, in questa sede, l'interpretazione delle Corti Superiori, in quanto la stessa Banca Centrale Europea, con due missive, indirizzate ai nostri Governi pro-tempore nel 2019 e nel 2020, aveva raccomandato di non istituire forme restrittive di pagamento con moneta cash se non giustificato (e dimostrabile) da ragioni di ordine e interesse pubblico.

Su quest'ultimo profilo, però, come ampiamente noto, le direttive contro il riciclaggio, e le disposizioni italiane, non lasciano spazio e dubbio: il contante è solo “limitato” ma non “vietato” nel suo utilizzo. Diversamente, secundum legem, ancora a nessuno e dato pronunciarsi.

Guida all'approfondimento

R. Razzante, Manuale di legislazione e prassi antiriciclaggio, Giappichelli, 2020.

R. Razzante, Il “demon-contante” non sempre conduce al riciclaggio, in ilPenalista, febbraio 2021.

R. Razzante, Il contante come strumento di pagamento a rischio, in Rivista 231, n.4/2020.

R. Razzante, Uso del contante tra principio nominalistico e normative settoriali: qualche considerazione di politica nel diritto, in Il Foro Napoletano, 1/2021, 101-113.

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