Regolamento - 25/06/2019 - n. 1111 art. 41 - Motivi di diniego dell'esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale

Rosaria Giordano

Motivi di diniego dell'esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale

Fatto salvo l'articolo 56, paragrafo 6, l'esecuzione di una decisione in materia di responsabilità genitoriale è rifiutata qualora sia dichiarata la sussistenza di uno dei motivi di diniego del riconoscimento di cui all'articolo 39.

Inquadramento

Con riferimento alle pronunce in tema di responsabilità genitoriale l'art. 39 del Regolamento Bruxelles II ter innova parzialmente, attribuendo un rilievo ancora più specifico, nel secondo comma, all'omessa audizione del minore nel procedimento che ha dato luogo all'emanazione della decisione, circoscrivendo tuttavia il perimetro delle ipotesi nella quale tale circostanza può ostare alla circolazione della decisione nello spazio giudiziario europeo. I motivi ostativi al riconoscimento delle pronunce in tema di responsabilità genitoriale contemplati dalla norma in esame sono, per il resto, assolutamente sovrapponibili a quelli contemplati dal Regolamento CE n. 2201/2003.

In realtà la novità più significativa è quella contenuta nell'art. 41, laddove prevede – facendo così da “contraltare” al riconoscimento della circolazione senza necessità di exequatur di tutte le decisioni in tema di responsabilità genitoriale contemplata dall'art. 34 del nuovo Regolamento – che i motivi ostativi al riconoscimento delle decisioni in materia costituiscono motivi ostativi anche alla circolazione ai fini esecutivi della decisione.

Decisione manifestamente contraria all’ordine pubblico in ragione dell’interesse superiore del minore

Con riferimento alle pronunce in tema di responsabilità genitoriale il primo motivo ostativo al riconoscimento automatico è costituito, analogamente a quanto stabilito per le pronunce sullo scioglimento del vincolo matrimoniale, dalla manifesta contrarietà all'ordine pubblico. La stessa dovrà essere tuttavia valutata alla luce dell'interesse superiore del minore.

Si è evidenziata la coerenza del riferimento all'interesse superiore del minore con l'art. 24 della Convenzione dell'Aja del 1993 e dall'art. 23, comma 2, lett. d), della Convenzione dell'Aja del 1996 in materia di responsabilità dei genitori e di misure di protezione del fanciullo, in virtù dei quali l'interesse del minore è parte integrante dell'ordine pubblico internazionale (Cannone, 285).

Tale scelta è stata peraltro criticata da un'altra parte della dottrina, secondo cui tale criterio di valutazione potrebbe consentire facilmente ai giudici richiesti del riconoscimento di neutralizzare la decisione resa nello Stato d'origine. Il concetto di interesse superiore del minore sarebbe, per vero, una clausola generale bisognevole di concretizzazione tenendo conto di una pluralità di interessi del minore, quali l'interesse al gioco, all'istruzione, alla serenità familiare, alla tranquillità economica etc. (Uccella, 331).

Nella giurisprudenza italiana, già in sede di applicazione della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, si era peraltro evidenziato che, nella scelta del genitore affidatario il giudice deve valutare la stabilità dei rapporti tra il figlio ed il genitore, anche in relazione all'»ambiente del minore» nel quale sono concentrati i maggiori interessi dello stesso (Cass. n. 6312/1999, in Giur. it. 2000, 1395, con nota di Petrella).

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha affermato che l'art. 23, lett. a), del Regolamento (CE) n. 2201/2003 deve essere interpretato nel senso che, in mancanza di una violazione manifesta, tenuto conto dell'interesse superiore del minore, di una norma giuridica considerata essenziale nell'ordinamento giuridico di uno Stato membro o di un diritto riconosciuto come fondamentale in detto ordinamento giuridico, tale disposizione non consente al giudice di uno Stato membro che si ritenga competente a statuire sull'affidamento di un minore di negare il riconoscimento della decisione di un giudice di un altro Stato membro che abbia statuito sull'affidamento di tale minore (CGUE IV, n. 455/2015, in Ilfamiliarista 10 maggio 2016, con nota di Fasano e Pizzolante).

In giurisprudenza è stato poi affrontato, proprio sotto il profilo in esame, il delicato problema afferente il riconoscimento delle decisioni concernenti i rapporti tra figli nati da una coppia omosessuale e i genitori.

Si è ad esempio ritenuto, a riguardo, che, ai fini del riconoscimento o meno dei provvedimenti giurisdizionali stranieri, deve aversi prioritario riguardo all'interesse superiore del minore (art. 3 l. n. 176/1991 di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, di New York 20 novembre 1989) ribadito in ambito comunitario con particolare riferimento al riconoscimento delle sentenze straniere in materia di rapporti tra genitori e figli, dall'art. 23 del Reg. CE n. 2201/2003 il quale stabilisce espressamente che la valutazione della non contrarietà all'ordine pubblico debba essere effettuata tenendo conto dell'interesse superiore del figlio. Nel caso di minore nato all'estero, da coppia omosessuale, in seguito alla fecondazione medicalmente assistita eterologa con l'impianto di gameti da una donna all'altra, l'atto di nascita del fanciullo può essere trascritto in Italia poiché, nel caso in questione, non si tratta di introdurre ex novo una situazione giuridica inesistente ma di garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da diverso tempo, nell'esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due donne che la legge riconosce entrambe come madri. Assume rilievo determinante la circostanza che la famiglia esista non tanto sul piano dei partners ma con riferimento alla posizione, allo status e alla tutela del figlio. Nel valutare il « best interest » per il minore non devono essere legati fra loro, il piano del legame fra i genitori e quello fra genitore-figli: l'interesse del minore pone, in primo luogo, un vincolo al disconoscimento di un rapporto di fatto, nella specie validamente costituito fra la co-madre e un figlio (App. Torino 29 ottobre 2014, in Ilfamiliarista 15 aprile 2015).

Questa impostazione, in situazione analoga, ha ricevuto l'avallo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 9006/2021).

Di contro, le stesse Sezioni Unite hanno ritenuto che il divieto penalmente sanzionato nel nostro ordinamento della maternità surrogata prevalga anche sull'interesse “superiore” del minore quanto alla possibilità di riconoscere – peraltro in base alle previsioni della legge n. 218 del 1995 trattandosi di atto di nascita trascritto in Canada – la filiazione di entrambi i partner di una coppia omosessuale maschile che aveva fatto ricorso a tale pratica (Cass. S.U ., n. 12139/2021).

Sulla questione è intervenuta anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 33 del 2021 la quale, pur dichiarando inammissibili le questioni che erano state sollevate, ha evidenziato l'esigenza del legislatore di intervenire con un bilanciamento più adeguato per il riconoscimento, in queste situazioni, del best interest del minore.

Violazione del diritto di difesa del convenuto contumace

La lettera b) della norma in esame, che mutua l'art. 23, lett. c) del Regolamento CE n. 2201/2003, contempla quale circostanza ostativa al riconoscimento l'emanazione della decisione in contumacia, quando la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione.

Questa condizione ostativa è pressoché identica a quella prevista con riguardo al riconoscimento delle decisioni in tema di separazione personale, divorzio ed annullamento del matrimonio.

Pertanto, la rilevanza di tale motivo ostativo al riconoscimento è subordinata alla ricorrenza di tre condizioni, ovvero alla circostanza che la decisione è stata resa in contumacia, al fatto che l'atto introduttivo del giudizio non sia stato notificato in tempo utile per consentire al convenuto di difendersi compiutamente nonché all'inequivocabile accettazione della decisione da parte dello stesso (Baratta, 2004, 199).

Tuttavia non si chiarisce quando la decisione oggetto di riconoscimento deve considerarsi inequivocabilmente accettata dal convenuto. L'accettazione può invero essere senza dubbio effettuata esplicitamente, ad esempio attraverso una lettera del convenuto all'attore, ma anche risultare implicitamente dalla mancata impugnazione del provvedimento che, peraltro, potrebbe dipendere anche dalla semplice assenza di motivi di gravame (Lupoi in Carpi-Lupoi, 146).

Tale motivo ostativo al riconoscimento si è ritenuto parte del c.d. ordine pubblico processuale che impone il rispetto nel procedimento che ha condotto all'emanazione della decisione riconoscenda soprattutto del diritto di difesa del convenuto piuttosto che di regole come quella della competenza (Uccella, 331 s.).

Per domanda giudiziale o atto equivalente devono intendersi, in accordo con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, i documenti che l'attore deve depositare nel procedimento nel quale è stata resa la decisione riconoscenda all'esito della valutazione dei quali il convenuto possa decidere se costituirsi o meno in giudizio (CGCE 13 luglio 1995, C-474/93, § 19). In particolare tali documenti devono consentire di estrarre tutte le informazioni relative al procedimento in virtù del quale il convenuto sia in grado di comprendere la materia del contendere e gli argomenti invocati dall'attore, oltre che di essere al corrente del giudizio nel quale potrà spiegare le proprie difese (CGUE 8 maggio 2008, C-14/07).

Mancato ascolto del soggetto leso dalla decisione nella propria responsabilità genitoriale

Il riconoscimento automatico di decisioni sulla responsabilità genitoriale sui minori non può avvenire, poi, su richiesta di colui che ritiene che la decisione sia lesiva della propria responsabilità genitoriale, se è stata emessa senza dargli la possibilità di essere ascoltato.

È così indirettamente sancito il dovere, almeno ai fini della circolazione automatica delle relative decisioni nello spazio giudiziario europeo, delle autorità giurisdizionali degli Stati Membri adite con domande che possono incidere sulla responsabilità genitoriale di disporre l'ascolto di tutti i soggetti coinvolti, in quanto titolari di detta responsabilità.

Incompatibilità con una decisione successiva resa all’interno dello Stato membro richiesto del riconoscimento

Tale condizione ostativa pone un principio speculare rispetto a quello stabilito quanto ai motivi ostativi al riconoscimento delle decisioni in tema di scioglimento o attenuazione del vincolo coniugale nelle quali a prevalere è la prima decisione.

Ciò si correla alla circostanza che i provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale sono assoggettati di norma alla clausola c.d. rebus sic stantibus, e che dunque deve prevalere, nell'interesse superiore de minore, il provvedimento adottato successivamente.

Tale motivo di non riconoscimento tende a salvaguardare l'armonia interna dello Stato richiesto e, più in particolare, a evitare che all'interno dello stesso producano effetto decisioni incompatibili (ovvero che si escludano reciprocamente: Baratta, 2004, 199) pronunciate tra le stesse parti.

Per accertare la sussistenza del contrasto è necessario effettuare un test di compatibilità tra gli effetti delle pronunce (cfr. Lupoi, in Carpi-Lupoi, 147).

Si è posto inoltre il problema dell'invocabilità di un siffatto limite al riconoscimento della pronuncia anche con riferimento ad una decisione di rigetto della domanda resa, nel caso in esame successivamente, proprio nello Stato richiesto. In proposito si è infatti osservato che sebbene le decisioni di rigetto non beneficino del regime del riconoscimento automatico previsto dal Regolamento (v. Commento sub art. 1), esse esplicano comunque, nello Stato in cui sono state emanate, tutti gli effetti preclusivi ad esse ricollegabili secondo il diritto interno (Bonomi, 327).

Contrasto con una pronuncia successiva resa in uno Stato diverso da quello richiesto del riconoscimento

La decisione sulla responsabilità genitoriale, inoltre, non può essere riconosciuta “ se e nella misura in cui la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale resa in un altro Stato membro o nel paese terzo in cui il minore risieda abitualmente, la quale soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro in cui il riconoscimento è invocato”.

Il contrasto è quindi risolto in base al criterio della priorità di una pronuncia rispetto all'altra (cfr. Lupoi, in Carpi-Lupoi, 148, secondo il quale tale regola costituisce un corollario dell'effetto automatico della res judicata all'interno dell'ordinamento comunitario).

Nella vigenza del Regolamento Bruxelles II bis, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno peraltro chiarito che l'avvenuta pronuncia, in un giudizio di separazione pendente in Italia, dei provvedimenti provvisori a tutela dei figli minori non impedisce il riconoscimento dell'efficacia della sentenza definitiva di separazione precedentemente emessa in un altro Stato membro dell'Unione Europea, non potendo trovare applicazione gli artt. 22 e 23 del Regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, i quali presuppongono la coesistenza di statuizioni aventi gli stessi caratteri e la medesima natura, oltre che entrambe definitive, siano o meno a stabilità provvisoria, mentre i predetti provvedimenti, ai sensi dell'art. 20 del Regolamento, sono destinati a perdere efficacia allorché l'autorità giurisdizionale competente a conoscere del merito della causa abbia adottato i provvedimenti appropriati in via definitiva (Cass. I, n. 22093/2009).

Mancato rispetto della procedura di cui all’art. 82

Ultima circostanza ostativa al riconoscimento automatico nello spazio giudiziario europeo delle decisioni in tema di responsabilità genitoriale è costituita dal mancato rispetto della procedura di cui all'art. 82.

In particolare, detta disposizione prevede che, qualora l'autorità giurisdizionale competente in virtù degli artt. da 8 a 15 intenda collocare il minore in istituto o in una famiglia affidataria e tale collocamento abbia luogo in un altro Stato membro, egli consulta preventivamente l'autorità centrale o un'altra autorità competente di quest'ultimo Stato membro se in tale Stato membro è previsto l'intervento di un'autorità pubblica nei casi nazionali di collocamento di minori. La decisione sul collocamento può essere presa nello Stato membro richiedente soltanto se l'autorità centrale o un'altra autorità competente dello Stato richiesto ha approvato tale collocamento.

Nell'individuare la portata di tale previsione, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha chiarito che l'approvazione indicata all'art. 56, § 2, del Regolamento n. 2201/2003, deve essere rilasciata, anteriormente all'adozione della decisione sulla collocazione di un minore, da un'autorità competente di diritto pubblico. L'approvazione da parte dell'istituto nel quale il minore deve essere accolto non è sufficiente (CGUE, 26 aprile 2012, n. 92, la quale ha pertanto ritenuto che, on circostanze come quelle del procedimento principale, ove l'autorità giurisdizionale dello Stato membro che ha disposto la collocazione non sia certa che l'approvazione sia stata validamente rilasciata nello Stato richiesto, in quanto non è stato possibile stabilire con certezza quale fosse l'autorità competente in detto ultimo Stato, è possibile procedere alla regolarizzazione al fine di garantire il pieno rispetto del requisito dell'approvazione sancito all'art. 56 del regolamento n. 2201/2003).

È stato inoltre precisato, sempre in sede di interpretazione pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia, che se la collocazione è stata approvata a norma dell'art. 56, § 2, del regolamento n. 2201/2003solo per un periodo determinato, detta approvazione non opera con riguardo alle decisioni che dispongano la proroga della durata della collocazione. In tal caso, deve essere richiesta una nuova approvazione. Una decisione che dispone la collocazione, adottata all'interno di uno Stato membro e dichiarata esecutiva in un altro Stato membro, può essere eseguita all'interno di quest'ultimo Stato membro solo per la durata indicata nella decisione che dispone la collocazione (CGUE 26 aprile 2012, n. 92).

Omessa audizione del minore

Tale circostanza ostativa, disciplinata in modo “autonomo” al fine di attribuirvi precipuo risalto anche in base ai principi generali espressi dall'art. 21, nel secondo comma della norma in esame era sostanzialmente già prevista dalla lett. b) dell'art. 23 Regolamento CE n. 2201/2003, ma in termini parzialmente differenti, cioè nel senso che costituiva motivo ostativo al riconoscimento della decisione la circostanza che la stessa sia stata emanata senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto.

La norma in commento attribuisce al giudice il potere (e non il dovere, stante l'utilizzo del verbo “può”) di negare il riconoscimento qualora la decisione sia stata resa senza aver dato al minore capace di discernimento una possibilità di esprimere la propria opinione a norma dell'articolo 21, salvo se: a) il procedimento riguardava esclusivamente i beni del minore e se non era necessario dare tale possibilità in considerazione della questione oggetto del procedimento; o b) sussistevano seri motivi in considerazione, in particolare, dell'urgenza del caso.

Nella giurisprudenza della S.C. si è evidenziato che, mentre il minore ultradodicenne, di cui si presume la capacità di discernimento, deve essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo concernono, in tal modo attuandosi il suo diritto costituzionale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni ed opzioni, tale obbligo non sussiste per quello infradodicenne, fermo che il giudice: a) ha il potere discrezionale officioso di disporne l'ascolto, anche al fine di verificarne la capacità di discernimento e quindi di partecipare alle scelte che lo concernono in modo consapevole ed effettivo; b) a fronte di una specifica istanza di parte, deve disporre l'ascolto o motivarne l'omissione; c) senza sollecitazione di parte, di contro, non deve giustificare la scelta omissiva; d) deve procedere all'ascolto, anche d'ufficio, in caso di compimento dei dodici anni in corso di causa, anche nel giudizio di appello, ovvero deve motivarne l'omissione (Cass. I, n. 5676/2017, in Foro it. 2017, I, 1211).

Più rigoroso è l'orientamento fatto proprio da un'altra parte della stessa giurisprudenza di legittimità per il quale il giudice, salvo che espressamente motivi che l'ascolto del minore non corrisponda alle esigenze dello stesso, ha l'obbligo di sentire i minori in tutti i procedimenti che li concernono, al fine di raccoglierne le opinioni, le esigenze e la volontà e può, qualora particolari esigenze lo richiedano, assolvere detto obbligo anche attraverso delega specifica a soggetti terzi esperti (Cass. I, n. 9780/2016). In questa prospettiva, si è evidenziato che l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento – direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, di un consulente o del personale dei servizi sociali – costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore (Cass. I, n. 19327/2015). In sostanza, l'ascolto dei minori ultradodicenni costituisce adempimento necessario in tutti i procedimenti che li concernono, ivi compreso quello di affidamento di figlio nato fuori dal matrimonio dei genitori, del cui esito il giudice dovrà tener conto, salva la possibilità di escludere l'audizione o discostarsi dalla volontà espressa dal minore stesso, nell'interesse di questo, e alla stregua di specifica motivazione, tanto più stringente, nel secondo caso, quanto maggiore sarà la capacità di discernimento del giovane (Cass. I, n. 19007/2014, in Foro it. 2014, I, 3077, con nota di Casaburi).

Occorre peraltro tener presente che il giudice di appello, qualora il minore stesso sia stato già sentito nel precedente grado di giudizio, non è tenuto a reiterarne l'ascolto, né è vincolato dalle indicazioni che il minore aveva dato: tuttavia, qualora intenda disattenderle, tanto più se in riforma del provvedimento di prime cure, deve motivare sul perché da un lato abbia ritenuto non necessaria una nuova audizione, e dall'altro abbia individuato il genitore affidatario o collocatario in contrasto con la volontà espressa dal minore, dovendo altrimenti disporne nuovamente l'ascolto (Cass. I, n. 6129/2015, in Foro it. 2015, I, 1543, con nota di Casaburi).

Pertanto, la decisione proveniente da altro Stato membro che abbia effetti sui minori non può essere automaticamente riconosciuta se, in contrasto con i principi richiamati, e salva l'urgenza (ad esempio, procedimento di natura cautelare), non è stato disposto l'ascolto del minore.

Profili processuali

Sul piano dell'esecuzione, a parte alcune decisioni “privilegiate” in materia di diritto di visita e di ritorno del minore, peraltro, anche in questo contesto, il legislatore europeo ha optato per il “metodo ibrido” già applicato in materia civile e commerciale (Lupoi 2020, § 8): in particolare, come nel Regolamento n. 1215/2012, si è preferita una soluzione di compromesso rispetto alla eliminazione di ogni controllo “a valle” nei confronti della decisione emessa in un altro Stato membro. In pratica, da un lato, è stato eliminato il filtro dell'exequatur, prevedendo l'immediata esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale rese negli altri Stati membri e, dall'altro, si continua a riconoscere alla controparte la possibilità di opporsi all'esecuzione nello Stato ad quem, in base a motivi analoghi a quelli già previsti dal regolamento Bruxelles II-bis, ma con modalità procedurali diverse (cfr. Lupoi 2020, § 8).

La principale differenza rispetto al Reg. CE n. 2201/2003, è che, in materia di esecuzione, il debitore non deve più proporre opposizione al decreto di esecutività previamente ottenuto dal creditore, ma, piuttosto, formulare un'istanza diretta di diniego di esecuzione (art. 39): come evidenziato da attenta dottrina, si è in sostanza invertito l'onere di impulso processuale, spostandolo da chi agisce in via esecutiva a chi resiste all'esecuzione stessa (Lupoi 2020, § 9).

Occorre considerare che, ancora alla medesima stregua di quanto avviene nel sistema prefigurato in materia civile e commerciale dal Regolamento n. 1215 del 2012, nel Regolamento in commento il superamento dell'exequatur rispetto alle decisioni in materia di responsabilità genitoriale implica che, nell'opposizione all'esecuzione, si possano “cumulare” i motivi di diniego all'esecuzione previsti dal regolamento stesso e quelli del diritto nazionale, purché non incompatibili (cfr. Lupoi 2020, § 9).

I motivi di diniego del riconoscimento delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale sono quelli elencati nell'art. 39 richiamati, ai fini del diniego dell'esecuzione, dall'art. 41.

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