Ripartizione della pensione di reversibilità nel concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite: la rilevanza della convivenza more uxorio

18 Febbraio 2022

Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione ritorna a pronunciarsi su un tema fortemente dibattuto, ossia quello della pensione di reversibilità.
Massima

La ripartizione della pensione di reversibilità, nel concorso tra il coniuge divorziato e quello superstite, entrambi aventi i requisiti per la sua attribuzione, va compiuta avendo riguardo, tra gli altri, anche della durata della convivenza prematrimoniale, a cui va riconosciuta valenza giuridica autonoma e non solo correttiva dei risultati raggiunti in virtù dell'applicazione dei criteri di valutazione previsti dalla legge.

Il caso

Il Tribunale di Caltanissetta, a definizione del giudizio volto alla ripartizione della pensione di reversibilità proposto a seguito della morte del beneficiario del trattamento, quantificava nel 40% la quota spettante all'ex coniuge e nel restante 60% quella dovuta al coniuge superstite.

Tale statuizione veniva modificata dalla Corte territoriale che, a parziale riforma della pronuncia impugnata, attribuiva il 25% del trattamento pensionistico goduto dal beneficiario all'ex coniuge e il 75% al superstite.

Avverso detta sentenza l'ex coniuge proponeva ricorso per cassazione ritenendo la decisione assunta ingiusta per la violazione delle previsioni di cui art. 9, l. 898/1970 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

A dire della ricorrente, infatti, la Corte di Appello di Caltanissetta aveva errato nella formazione delle quote spettanti ai soggetti legittimati, per aver applicato in maniera non corretta i criteri contemplati dalla citata norma, individuati nella durata del rapporto di coniugio, nella situazione reddituale delle parti e nell'ammontare dell'assegno divorzile.

In particolare, con riferimento al primo dei menzionati criteri, la ricorrente evidenziava la maggiore durata del proprio rapporto coniugale, protrattosi, sino al passaggio in giudicato della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, per vent'anni, a fronte dei quattordici anni del secondo matrimonio; la valutazione compiuta dai giudici territoriali veniva parimenti considerata errata sia se rapportata alla situazione reddituale delle parti in causa, per essere la ricorrente impossidente e, invece, la resistente proprietaria di diversi beni immobili, che in relazione alla percentuale del trattamento pensionistico versato alla ex coniuge a titolo di assegno divorzile.

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame dichiarava inammissibile il proposto ricorso poiché teso a pervenire a una diversa valutazione delle risultanze probatorie acquisite al processo, che, in quanto espressione del potere discrezionale attribuito al giudice del merito, sono insindacabili in sede di legittimità.

La questione

Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione ritorna a pronunciarsi su un tema fortemente dibattuto, ossia quello della pensione di reversibilità, pur se nel caso in esame si sofferma ad analizzare la valenza da attribuire,nel concorso tra l'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile e il coniuge superstite, alla convivenza more uxorio.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, nel ribadire il suo costante orientamento, dichiarava l'inammissibilità del ricorso per effetto della specifica qualifica riconosciuta al giudizio di legittimità, definito a critica vincolata, che impone alle parti di formulare censure volte a sollecitare il controllo sulla sola legittimità e logicità della decisione impugnata, rimendo, invece, precluso il riesame nel merito dei fatti di causa (Cfr. Cass. n. 24738/2019; Cass. SS.UU. n. 34476/2019).

Sulla scorta di tale premessa, veniva confermata la conformità della valutazione compiuta dalla Corte di Appello di Caltanissetta rispetto all'elaborazione giurisprudenziale formatasi sul punto, a tenor della quale la ripartizione della pensione di reversibilità, in caso di concorso tra il coniuge divorziate e quello superstite, entrambi aventi i requisiti per l'attribuzione di una quota del trattamento, va compiuta avendo riguardo, in aggiunta al criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, anche di ulteriori elementi suppletivi, qualora presenti, quali quello della durata delle convivenze prematrimoniali, delle condizioni economiche delle parti e dell'entità dell'assegno divorzile corrisposto (Cfr Cass. n, 8263/2020), tutti chiamati a concorrere non necessariamente in eguale misura, ma in reazione alla rilevanza che ciascuno di essi ha avuto in concreto, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito (Cfr Cass. 22399/2020).

Tuttavia, in ossequio alla funzione solidaristica riconosciuta all'emolumento in questione, la Corte, con specifico riferimento alla durata della convivenza more uxorio, precisava che al citato criterio non va riconosciuta mera funzione correttiva, ossia volta ad adeguare i risultati raggiunti per effetto dell'applicazione degli ulteriori elementi di valutazione previsti dalla legge, trattandosi, invece, di un requisito a cui attribuire distinto e autonomo rilievo giuridico, a condizione che venga fornita la prova, con onere a carico della parte interessata, circa la stabilità e l'effettività della comunione di vita prematrimoniale (Cfr Cass. 5268/2020).

Ebbene, sulla scorta della menzionata precisazione, la Corte riteneva corretta la valutazione compiuta in sede di appello, considerato che dagli elementi acquisiti al processo, il primo matrimonio aveva avuto durata di nove anni e mezzo, essendosi interrotto con l'omologa della separazione consensuale intercorsa tra i coniugi e non essendo stata allegata una convivenza pre matrimoniale, mentre il successivo rapporto coniugale aveva avuto durata di ben ventiquattro anni, dovendosi computare sia il periodo di convivenza more uxorio, nel cui ambito si collocava la nascita della figlia della coppia, che il successivo matrimonio, contratto a seguito della cessazione degli effetti civili della prima unione.

Le determinazioni dei giudici di merito venivano ritenute congrue anche in considerazione dell'ammontare dell'assegno divorzile, il cui importo era stato ridotto rispetto a quello inizialmente previsto a seguito del collocamento in pensione del coniuge obbligato, che del confronto della situazione patrimoniale delle parti.

Osservazioni

La pronuncia in esame appare di particolare interesse in quanto consente di compiere alcune riflessioni sulla valenza da attribuire alla convivenza more uxorionella valutazione delle questioni patrimoniali connesse alla crisi dei rapporti familiari.

Al riguardo non può sottacersi che, fino al recente passato, ogni volta in cui si parlava di convivenza more uxorio si intendeva far riferimento ad una situazione di fatto che, seppur ritenuta lecita, non apparendo in contrasto né con le norme imperative dell'ordinamento, né con l'ordine pubblico o il buon costume, era, tuttavia, caratterizzata da un basso, se non inesistente, grado di tutela per i componenti della coppia, in considerazione della difficoltà di ricollegare ad essa effetti giuridici per la mancanza di certezza e stabilità della relazione, nonché di reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri che caratterizzano tali legami affettivi, ovvero in relazione al contenuto dell'art 143 c.c. che non consente di estendere ai conviventi le sanzioni previste per i coniugi in caso di violazione degli obblighi discendenti dal vincolo matrimoniale.

Tale impostazione è andata via via affievolendosi a seguito dell'evoluzione giurisprudenziale che ha portato all'applicazione nei confronti della convivenza more uxorio dell'istituto dell'obbligazione naturale, con conseguente irripetibilità delle somme versate da un convivente a favore dell'altro nell'ambito dell'adempimento dei doveri di reciproca assistenza (Cass. n. 1266/2016), al riconoscimento al convivente, in caso di rottura del legame, di diritti sulla casa adibita ad abitazione comune (Cass n. 7214/2013), nonché al diritto del convivente al risarcimento del danno per le lesioni cagionate all'altro da comportamento colposo del terzo (Cass. n. 8037/2016).

La spinta decisiva verso il completo abbandono della vecchia impostazione lo si è registrato con la legge n. 76/2016 per effetto della quale il legislatore è pervenuto al riconoscimento di tale tipo di unione, attribuendone rilevanza giuridica, a condizione che la stessa sia caratterizzata da stabilità, inteso quale elemento distintivo del rapporto rispetto a una mera relazione sentimentale occasionale.

Dalle disposizioni normative di cui alla citata legge, nonché in conseguenza delle successive pronunce della giurisprudenza sia costituzionale che di legittimità (Corte Cost. n. 213/2016; Cass. n. 26638/2017), ne è derivata l'estensione ai conviventi di fatto di tutti i diritti riconosciuti dall'ordinamento in favore del coniuge, così da giungere ad una quasi totale parificazione delle due posizioni.

Nel solco tracciato sull'argomento e in ottemperanza alla posizione ormai dominante, si inserisce la pronuncia in esame che nel decidere circa la ripartizione della pensione di reversibilità, nel concorso tra l'ex coniuge del beneficiario del trattamento e del coniuge superstite, non solo sostiene, analogamente all'orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, la necessità di valorizzare anche la durata delle convivenze pre matrimoniali, ma sancisce la necessità che a detto criterio vada attribuita valenza giuridica autonoma e non più, come avvenuto in passato, mera funzione adeguatrice dei risultati raggiunti per effetto dell'applicazione dei criteri di cui all'art. 9,l. 898/1970 e ciò a dimostrazione della rilevanza che siffatta unione riveste nel nostro ordinamento, ormai intesa quale istituto giuridico dotato di una sua identità specifica e a cui fornire specifica tutela.

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