Revocabile il pagamento anche se derivante dalla vendita del bene oggetto di pegno
21 Febbraio 2022
La revoca, ex art. 67 l.fall. del pagamento eseguito in favore del creditore pignoratizio, con il ricavato dalla vendita del bene oggetto del pegno, determina il diritto del creditore che ha subito la revocatoria ad in insinuarsi al passivo del fallimento con il medesimo privilegio nel rispetto delle regole distributive di cui agli artt- 111, 111-bis, 111-ter e 111-quater l.fall. È quanto stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 5049 del 16 febbraio 2022.
Il caso. La vicenda riguarda un'azione revocatoria ex art. 67, comma 2, l.fall., esperita dalla curatela fallimentare nei confronti di un istituto di credito con riferimento a rimesse in conto corrente derivanti dall'incameramento del corrispettivo della vendita di un certificato di deposito costituito in pegno dal debitore fallito. Nello specifico, il pegno era stato costituito nel 1991 e si era quindi consolidato rispetto al fallimento, mentre il pagamento con l'accreditamento della somma ricavata era avvenuto nel periodo sospetto ex art. 67, comma 2, l.fall. Nei gradi di merito l'azione revocatoria era stata accolta e l'istituto di credito era stato ammesso al passivo ex art. 70, comma 2, l.fall. al chirografo. La banca ricorre in Cassazione sia per contestare l'azione revocatoria, sia per richiedere – in subordine – l'ammissione al privilegio in forza della garanzia reale derivante dal pegno consolidato. Considerata la rilevanza dei temi sollevati, la Sesta Sezione civile della Corte ha rinviato la controversia alla prima e quest'ultima ha rimesso tali questioni, ritenute «di massima particolare importanza», alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria n. 8923 del 2021.
La decisione della Cassazione. Le Sezioni Unite si pronunciano su due temi fondamentali. Il primo riguarda la revocabilità o meno di un pagamento avvenuto materialmente nel periodo sospetto, ma in forza dell'escussione di un pegno costituito prima di tale periodo e non più revocabile in quanto avvenuto oltre 5 anni prima della dichiarazione di fallimento o effettuato in generale in adempimento di un credito assistito da garanzia reale. Secondo l'istituto di credito la revocatoria non era esperibile dato che la somma ricavata dal pegno dalla banca non era in realtà nella disponibilità del debitore e non aveva natura solutoria in quanto derivante dall'originario diritto di prelazione esercitato. Se si fosse accolta la tesi opposta – secondo la banca – la revocatoria avrebbe finito per comportare un'indiretta (ma non più possibile) revoca della garanzia. L'ordinanza interlocutoria invita quindi le Sezioni Unite a rivalutare la questione dell'assoggettabilità a revocatoria dell'incasso determinato dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato. Nella sentenza in commento la Cassazione ricorda l'orientamento più risalente contrario all'esperibilità dell'azione revocatoria in simile fattispecie, «atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con la revocatoria fallimentare» (Cass. civ. n. 18439/2004; Cass. civ. n. 26898/2008). Secondo tale orientamento un diritto di prelazione consolidatosi ben prima del fallimento sarebbe vanificato dalla revocabilità del pagamento eseguito per estinguere la garanzia. Le Sezioni Unite tuttavia ritengono di sposare l'orientamento opposto in ossequio alla natura antindennitaria e distributiva dell'azione revocatoria come sancita dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 7028/2006. Secondo tale arresto – come noto – l'eventus damni per il positivo esercizio dell'azione è in re ipsa e consiste nella lesione della par condicio creditorum derivante per presunzione legale assoluta dalla semplice uscita del bene dalla massa fallimentare. Il curatore, in altri termini, deve solo dimostrare il requisito soggettivo della conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'accipiens, mentre è irrilevante che il ricavato sia stato utilizzato dal debitore per pagare un creditore privilegiato. Secondo tale pronuncia infatti ciò non esclude la lesione della par condicio creditorum dato che solo in seguito alla ripartizione dell'attivo si potrà verificare se davvero il pagamento non abbia pregiudicato le ragioni di altri creditori di grado poziore. Nel provvedimento in commento le Sezioni Unite ribadiscono la convinta adesione alla teoria antindennitaria dell'azione revocatoria e da ciò fanno discendere la conclusione della generale revocabilità di tutti i pagamenti avvenuti nel periodo sospetto (ferma la prova della conoscenza dello stato di insolvenza) anche se effettuati per estinguere crediti privilegiati, persino se eseguiti in adempimento di crediti assistiti da garanzia reale. Il secondo aspetto esaminato dalla Cassazione è relativo alla collocazione del credito insinuato dall'accipiens ex art. 70, comma 2, l.fall. conseguente all'esito della revocatoria. L'istituto ricorrente contesta la collocazione al chirografo di tale credito. La decisione dei Giudici di merito in realtà è largamente diffusa in giurisprudenza, sempre quale conseguenza della teoria antinneditaria e distributiva dell'azione revocatoria. Tuttavia, le Sezioni Unite ritengono di condividere le perplessità sollevate nell'ordinanza interlocutoria affermando che una simile collocazione «non soddisfa il principio della gradualità proprio della concorsualità fallimentare». Infatti, ad avviso della Corte, il pagamento revocato costituisce pur sempre l'adempimento di un'obbligazione debitoria munita di garanzia reale ed assistita da diritto di prelazione esercitabile anche in sede concorsuale. In sostanza la causa di prelazione che assisteva il credito originario caratterizza anche il nuovo credito ex art. 70, comma 2, l.fall. In particolare, si ritiene adeguato il rimedio della revocatoria affrontato nel primo punto nella misura in cui si consente all'accipiens di partecipare al concorso conservando il grado derivante dalla natura del proprio credito e con la stessa collocazione che gli sarebbe quindi spettata se fosse stato soddisfatto non extra concorso, ma all'interno della procedura fallimentare. In questo modo l'azione revocatoria ripristinerebbe lo status quo ante l'escussione del pegno senza danneggiare né i creditori concorsuali, né il creditore prelatizio. Infatti, i primi non avranno meno di quanto avrebbero diritto se il pagamento revocato non fosse avvenuto, mentre il secondo sarà garantito perché gli altri creditori non riceveranno più di quanto avrebbero ottenuto se il suo soddisfacimento fosse stato realizzato all'interno del concorso. Il credito insinuato ex art. 70, comma 2, l.fall. deve quindi essere riconosciuto con lo stesso privilegio del credito originario.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it |