Fondo patrimoniale e bisogni della famiglia: la prova dell'estraneità compete al debitore

Gabriele Mercanti
18 Febbraio 2022

In tema di fondo patrimoniale, per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, ed anche il diritto di iscrivere ipoteca giudiziale, il debitore opponente deve sempre dimostrare la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente...
Massima

In tema di fondo patrimoniale, per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, ed anche il diritto di iscrivere ipoteca giudiziale, il debitore opponente deve sempre dimostrare la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, e pure che il suo debito verso quest'ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia; la rispondenza o meno dell'atto ai bisogni della famiglia richiede una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all'armonico sviluppo familiare, cosicché l'estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto (la fideiussione prestata in favore di una società) in sé e per sé considerata.

Il caso

Dopo aver costituito un fondo patrimoniale, ivi conferendo un immobile di sua proprietà, il coniuge aveva prestato una fideiussione a favore di Istituto bancario al fine di garantire l'esposizione debitoria di una società di costruzioni; tuttavia, a seguito dell'inadempimento delle obbligazioni da parte di detta società, la banca - dopo aver ottenuto conseguente decreto ingiuntivo dal Tribunale di Torino - iscriveva ipoteca giudiziale sull'immobile conferito in fondo patrimoniale dal fideiussore, iscrizione del quale questi ne contestava l'ammissibilità risultandone vittorioso nel giudizio di primo grado (ancorchè per ragioni non esplicitamente ricavabili dall'esposizione fattuale riportata dalla Sentenza in commento). La Corte d'Appello di Torino, con la Sentenza n. 312/2017 in data 13 febbraio 2017, ribaltava - invece - l'esito della vertenza, osservando che - sebbene l'immobile fosse stato costituito in fondo patrimoniale con atto anteriormente trascritto rispetto al rilascio della fideiussione - il fideiussore non aveva assolto all'onere della prova circa l'estraneità della garanzia ai bisogni della famiglia e circa la consapevolezza di tale fatto in capo alla banca con la conseguenza che l'iscrizione ipotecaria dovesse ritenersi legittimamente effettuata. A fronte di quanto sopra, il fideiussore ricorreva in Cassazione fondando le proprie doglianze su un unico motivo in base al quale nel caso di rilascio di garanzia da parte di un soggetto terzo datore ricorrerebbero in re ipsa - senza, dunque, necessità di dover assolvere ad onere probatorio di sorta - entrambi i presupposti atti a far scattare la “copertura” di cui all'art. 170 c.c. e così l'estraneità del debito ai bisogni della famiglia e la conoscenza della stessa da parte del creditore. Secondo l'assunto del ricorrente, quindi, la Corte d'Appello avrebbe duplicemente errato in diritto: in primis, nel non valutare che la fideiussione era stata prestata a favore di una società (e, quindi, a favore di un soggetto per definizione estraneo al nucleo familiare, talchè si sarebbe trattato di atto privo di inerenza diretta e immediata con le esigenze familiari); in secundis, nel non considerare che - per escludere l'aggredibilità del cespite da parte della banca - sarebbe stato all'uopo sufficiente dimostrare che il credito, in forza del quale era stata iscritta ipoteca giudiziale sul bene costituito in fondo, fosse scaturito da una simile fideiussione.

La questione

In una sorta di compenetrazione logico-giuridica si pongono sia il tema contenutistico (e cioè quando un debito possa ritenersi contratto “per scopi estranei ai bisogni della famiglia”) sia quello probatorio (e cioè chi debba dimostrare la sussistenza delle due esimenti di cui all'art. 170 c.c. tali da inibire al creditore l'esecuzione sui beni facenti parte del fondo patrimoniale del debitore e cioè l'estraneità del debito rispetto ai bisogni familiari e la conoscenza della stessa in capo al creditore). La vertenza in oggetto è esclusivamente imperniata su tali poli, in quanto - a detta del ricorrente - la dazione di una garanzia a favore di una società terza sarebbe di per sé sola idonea a qualificare l'operazione come estranea ai bisogni familiari ed a rendere tale alterità come nota al creditore (in questa impostazione parrebbe - allora - del tutto irrilevante indagare la tipologia di rapporto economico-giuridico intercorrente tra garante e garantito e del resto gli Ermellini tacciono al riguardo).

Le soluzioni giuridiche

In base ad una consolidata ricostruzione logico letterale dell'art. 170 c.c., tre sono le categorie di debiti ivi contemplate: la prima è data dai debiti contratti per far fronte ai bisogni della famiglia; la seconda è data dai debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, la cui estraneità è - però - ignota al creditore; la terza è data dai debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, la cui estraneità è - invece - nota al creditore. In relazione alle prime due categorie l'esecuzione da parte del creditore sui beni facenti parte del fondo patrimoniale del debitore è ammessa, mentre per la terza è esclusa. È, dunque, intuibile come la sussunzione della fattispecie nelle prime due ovvero nella terza categoria di cui sopra costituisca banco di prova nella composizione della contrapposizione tra le ragioni familiari e quelle creditorie ed è altrettanto notorio come in qualsivoglia azione creditoria avverso beni conferiti in fondo patrimoniale il tema pervicacemente (ri)emerga. Al riguardo la produzione tanto dottrinale (su tutti, G. Oberto, Lezioni sul fondo patrimoniale) quanto giurisprudenziale (come si darà conto infra) è copiosa, ma ormai una linea concettuale risulta inesorabilmente tracciata: il debito è di matrice familiare non solo quando viene contratto direttamente per far fronte ai bisogni della famiglia, ma - grazie ad una vis espansiva (incontrollata?) - anche quando vi sia un nesso indiretto tra genesi del debito e bisogno familiare. Emblematica della tendenza è la ricomprensione nel concetto di debito lato sensu familiare di quello contratto dall'imprenditore commerciale verso l'istituto di credito in base all'argomentazione per cui il potenziamento dell'impresa, attuato mediante l'apertura di un finanziamento, non è fine a sé stesso, ma è funzionale a far fronte ai bisogni familiari (Cass., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011; Cass., sez. III, 7 febbraio 2013, n. 2970; Cass., sez. I, 18 settembre 2001, n. 11683).

Si noti come sia, ormai, tralatizio nei massimari giurisprudenziali l'assunto per cui nell'alveo del bisogno familiare debbano fatalmente ricadervi “anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi” (formula coniata, per quanto consta, da Cass., 7 gennaio 1984, n. 134 e poi ampiamente reiterata, così tra le tante: a livello di legittimità, Cass., Sez. V, 7 giugno 2021, n. 15741; Cass.Sez. V, 27 febbraio 2020, n. 5369; Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2018, n. 1806; Cass., Sez. VI, 5 maggio 2017, n. 10975; Cass., Sez. V, 24 febbraio 2017, n. 4802; Cass., Sez. V, 6 maggio 2016, n. 9188; Cass., Sez. III, 11 luglio 2014, n. 15886; a livello di merito, Trib. Monza, 8 maggio 2015; Trib. Salerno, 30 settembre 2008; App. Torino, 11 settembre 2007). Rare sono le posizioni distoniche: Trib. Bari, 31 marzo 2008, che ha reputato estranea ai bisogni familiari l'obbligazione contratta da una società della quale il componente della famiglia è socio; Trib. Mondovì, 13 ottobre 2005, che ha reputato estraneo ai bisogni familiari il debito contratto per l'acquisto di merci da destinare al ciclo produttivo dell'impresa; Trib. Ragusa, 21 dicembre 1999, che ha reputato estranea ai bisogni familiari l'obbligazione contratta nell'esercizio dell'attività professionale o imprenditoriale; da ultimo, anche Cass., sez. I, 27 aprile 2020, n. 8201 per la quale “se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell'attività professionale da cui quest'ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell'art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale”). Giova, infine, rilevare come detto accertamento circa la natura, familiare o meno del debito, sia istituzionalmente rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione (Cass., sez. VI, 5 maggio 2017, n. 10975; Cass., sez. III, 30 maggio 2007, n. 12730; Cass., sez. I, 18 settembre 2001, n. 11683).

Una volta inquadrata l'area operativa del bisogno familiare, deve essere affrontato il tema dell'onere probatorio in relazione al quale il cit. art. 170 c.c. nulla prevede: in applicazione della previsione generale di cui al secondo comma dell'art. 2697 c.c. (ai sensi del quale chi eccepisce l'inefficacia dei fatti costitutivi del diritto altrui deve provare i fatti sui quali detta eccezione si fonda), la giurisprudenza pressochè totalitaria ha costantemente affermato che lo stesso gravi sul debitore (tra le tante: Cass., Sez. III, 8 febbraio 2021, n. 2904; Cass., Sez. V, 23 ottobre 2020, n. 23253; Cass., Sez. V, 28 maggio 2020, n. 10166; Cass., Sez. V, 27 febbraio 2020, n. 5369; Cass. civ. Sez. V Ord., 25 febbraio 2020, n. 5017; Cass. Sez. V, 7 giugno 2019, n. 15459; Cass., Sez. III, 23 agosto 2018, n. 20998; Cass., Sez. VI, 11 aprile 2018, n. 8881; Cass., Sez. VI, 26 ottobre 2017, n. 25443; Cass., Sez. V, 9 novembre 2016, n. 22761; Cass., Sez. III, 11 luglio 2014, n. 15886; Cass., Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011; Cass., Sez. III, 15 marzo 2006, n. 5684). Si noti che l'onere probatorio in questione deve essere assolto in ordine a tre elementi:

a) alla regolare costituzione del fondo patrimoniale, dovendosi incidentalmente osservare che - pur essendo la medesima soggetta ad un duplice adempimento pubblicitario (l'annotamento nell'atto di matrimonio, ai sensi del combinato disposto dagli art. 162 ult. comma c.c. e 102 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396; la trascrizione presso i Servizi di Pubblicità Immobiliare ai sensi dell'art. 2647 c.c.) - il conflitto giurisprudenziale in ordine alla prevalenza tra gli adempimenti citati ai fini dell'opponibilità ai terzi della convenzione matrimoniale è stato risolto a favore di quello espletando presso i registri dello stato civile (così a far tempo da Cass., Sez. Unite, 13 ottobre 2009, n. 21658 e poi reiterato, da ultimo da Cass., Sez. I, 10 maggio 2019, n. 12545);

b) alla natura non familiare, come detto nemmeno indirettamente, del debito;

c) all'ignoranza di tale natura da parte del terzo creditore (anche mediante presunzioni: Cass., Sez. III, 11 luglio 2014, n. 15886; Cass., Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011).

La pronuncia del S.C. in commento, seppur priva di particolari forze argomentative, non si discosta dalle elaborazioni concettuali esposte: in prima battuta, viene ribadito come la rispondenza o meno dell'atto ai bisogni della famiglia richieda “una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all'armonico sviluppo familiare”; in seconda battuta, è confermato che “non soffre alcuna eccezione il principio dell'onere della prova in casi simili, nel senso che l'onere della prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170c.c. grava sempre su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale”. Dalla sinergia di ambo le precitate componenti, ne consegue il rigetto del ricorso, poiché l'eccezione del debitore deve essere oggetto di adeguato corredo probatorio e giammai “può considerarsi desumibile dal semplice fatto della tipologia di atto (la fideiussione nei confronti di una società) in sè e per considerato”: in sintesi, “tutto ciò la corte d'appello di Torino ha esattamente considerato, cosicchè in niente l'impugnata sentenza può dirsi errata”.

Osservazioni

La pronuncia de quo, fondamentalmente, si accoda al pensiero ormai sedimentato nelle aule di giustizia che - come noto - si è erto ad argine a fronte della deriva spesso distorsivamente connotante lo strumento del fondo patrimoniale ove posto in essere per frodare delle ragioni creditorie. È, però, interessante notare come il contenzioso in esame non fosse sorto in sede di esecuzione sul patrimonio del debitore, bensì a fronte della mera iscrizione di ipoteca giudiziale: ebbene, il disposto di cui all'art. 170 c.c. vale anche per le ipoteche di modo che il creditore a conoscenza dell'estraneità del debito rispetto ai bisogni familiari non sarebbe legittimato ad effettuare l'iscrizione? Dal lato visuale del debitore, potrebbe asserirsi che se al creditore - ove per le ragioni già esaminate - fosse preclusa la successiva azione esecutiva, sarebbe quantomeno illogico consentirgli di poter ipotecare il patrimonio del di lui debitore in vista di un'esecuzione che non potrà poi essere effettuata; da quello del creditore, potrebbe - di converso - affermarsi che la legge gli vieta sì “l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi” ma non di garantire in senso più ampio le di lui ragioni (per es. in vista di un'eventuale causa di scioglimento del fondo patrimoniale). Nonostante la pronuncia in commento nessuna argomentazione ritenga di spendere al proposito, trattasi di un punto di equilibrio nella contrapposizione degli interessi in gioco ontologicamente delicato, poiché si è in presenza di una situazione a dir poco polimorfa in seno alla quale il creditore è legittimo titolare di una posizione giuridica che, però, il debitore può - altrettanto legittimamente - parzialmente paralizzare sia dal punto di vista oggettivo (infatti, l'esecuzione è preclusa solo sui beni facenti parte del fondo patrimoniale ben potendo il creditore aggredirne altri) sia temporale (infatti, una volta verificatasi una causa di cessazione del fondo patrimoniale, i beni che ne facevano parte tornano ad essere ritualmente espropriabili da chicchessia). A tal proposito la giurisprudenza, ancorchè - a parere di scrive - con una certa pigrizia di approfondimento metodico limitata al veritiero (ma certamente non indispensabilmente funzionale) nesso di strumentalità tra ipoteca e pignoramento, ha più volte asserito che le condizioni di ammissibilità dell'esecuzione previste dall'art. 170 c.c. debbano essere pedissequamente estese anche all'iscrizione ipotecaria (tre le molte: Cass., Sez. V, 12 giugno 2020, n. 11335; Cass., Sez. V, 27 febbraio 2020, n. 5369; Cass., Sez. V, 25 febbraio 2020, n. 5017; Cass., Sez. V, 7 giugno 2019, n. 15459; Cass., Sez. I, 15 marzo 2019, n. 7497; Cass., Sez. V, 6dicembre 2018, n. 31590; contra, tra le poche, Cass., Sez. V, 25 maggio 2016, n. 10794 per la quale “deve escludersi che l'iscrizione ipotecaria prevista dall'art. 77 del d.P.R.n. 602/1973 possa essere considerata un atto dell'espropriazione forzata, dovendo piuttosto essa essere considerata un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria”).

Il pronunciato del S.C. è in linea concettuale condivisibile, anche se deve rilevarsi la singolarità del percorso argomentativo sviluppato dal ricorrente che ha reputato assolto l'onere probatorio nella mera qualificazione della fattispecie: a parere di chi scrive, tuttavia, il tema del nesso sedicentemente inscindibile tra (preventiva) iscrizione ipotecaria e (successiva) azione esecutiva resta - da un punto di vista assiologico - al pari della Michelangeliana Madonna di Manchester ancora incompiuto.

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