Erronea introduzione dell’opposizione a d.i.: le Sezioni Unite non colgono l’occasione per mutare orientamento

22 Febbraio 2022

Laddove l'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione sia erroneamente proposta con citazione, essa può ritenersi tempestiva solo se entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. avvenga l'iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria della citazione, non potendo trovare applicazione l'art. 4 del d.lgs. 150/2011.
Massima

L'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è un'actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma è un «ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio», non quale «giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo».

Allorché l'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., sia erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all'art. 4 del d.lgs. 150/2011 - che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo d.lgs. 150/2011 -, producendo l'atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c.

Il caso

Proposta citazione in opposizione avverso il decreto ingiuntivo per il pagamento di un credito vantato a titolo di indennità di occupazione e di rimborso di quote condominiali inerenti alla locazione di un immobile, il tribunale adito, previo mutamento del rito da ordinario a locatizio, la dichiarava inammissibile. Osservava al riguardo che, avendo l'opposizione ad oggetto crediti derivanti da locazione, avrebbe dovuto essere introdotta con ricorso anziché con citazione e che il rispetto del termine di cui all'art. 641 c.p.c. andava verificato con riferimento al deposito della copia notificata della citazione, per cui, nel caso di specie, l'opposizione risultava tardivamente proposta, in quanto il deposito era avvenuto in epoca successiva alla scadenza del termine per proporre l'opposizione. Avverso la sentenza di primo grado il soccombente proponeva appello, denunciando la violazione da parte del giudice di prime cure dell'art. 4, comma 5, del d.lgs. 150/2011, il quale, nel caso di mutamento di rito, fa salvi gli affetti sostanziali e processuali prodottisi secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. La Corte d'appello, pur ritenendo fondata tale censura, respingeva il gravame, in quanto l'appellante si era limitato a dedurre la censura in rito senza prospettare alcuna questione di merito e, soprattutto, senza chiedere l'accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta in primo grado, così incorrendo nella decadenza prevista dall'art. 346 c.p.c. Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per cassazione avverso il quale resisteva la controparte vittoriosa, la quale proponeva altresì ricorso incidentale condizionato.

La questione

Tra i vari motivi posti a fondamento del ricorso proposto veniva dedotto che il giudice di appello aveva errato nel ritenere come rinunciati e non riproposti, ex art. 346 c.p.c., i motivi e le domande formulati originariamente con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo e ribaditi a seguito di conversione del rito, in quanto, in virtù del principio generale di conservazione degli atti, il giudice d'appello era tenuto ad esaminare tali rilievi anche in mancanza di una loro riproposizione, bastando a tal fine la rappresentazione dei fatti di primo grado e i motivi proposti in appello.

Avverso tale censura, si difendeva il resistente, il quale censurava con apposito ricorso incidentale la ritenuta violazione o falsa applicazione di norme di diritto dell'art. 4, comma 5 del d.lgs. 150/2011, nonché dell'art. 426 c.p.c. in relazione all'art. 447-bis c.p.c., osservando che poiché con l'opposizione a decreto ingiuntivo non si introduce un giudizio autonomo e neppure un grado autonomo, ma si apre soltanto una fase del giudizio già pendente, non sussistevano i presupposti per l'applicazione della disciplina sul mutamento del rito contenuta nell'art. 4 del d.lgs. 150/2011, con la conseguente salvezza degli effetti della domanda proposta secondo le norme del rito erroneamente scelto anche ai fini dell'osservanza del termine di cui all'art. 641 c.p.c.

Così adita la S.C., la Terza sezione civile, rilevato che la questione inerente alla qualificazione dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, «da rimeditare anche alla luce del principio del giusto processo di cui al novellato art. 111 Cost., è rilevante ai fini dell'applicabilità del d.lgs. 150/2011, art. 4» e tenuto conto dell'esistenza di orientamenti giurisprudenziali difformi in materia, rimetteva, con ordinanza interlocutoria n. 13556/2021, gli atti al Primo Presidente, affinché lo stesso valutasse l'opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni unite.

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite ritengono di ribadire il costante orientamento già in passato sostenuto (Cass. civ., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20604; Cass. civ., sez. un., 10 luglio 2015, n. 14475; Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2020, n. 1959) secondo cui «l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è un'actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo».

Da questa premessa ne ricavano che la regola per cui le domande - e, va aggiunto, le eccezioni - non esaminate perché ritenute assorbite devono comunque essere riproposte ai sensi dell'art. 346 c.p.c., non trova applicazione in caso di impugnazione della decisione che ha giudicato inammissibile l'atto introduttivo del giudizio di opposizione, in quanto l'atto di appello costituisce in ogni caso manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, non avendo alcuna valida ragione la sola impugnativa della questione preliminare di rito.

Riconosciuta la fondatezza delle censure proposte dal ricorrente principale, le S.U. passano ad esaminare quelle proposte da quello incidentale, in particolare soffermandosi su quella attinente all'applicabilità al caso portato alla sua attenzione della disciplina sul mutamento del rito di cui all'art. 4, d.lgs. 150/2011.

Partendo dall'osservazione che l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta aveva ad oggetto crediti in materia di locazione e che dunque era soggetta al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., affermano che, in caso di errore nella scelta del rito, opera, in virtù del richiamo contenuto nella norma da ultimo citata, l'art. 426 c.p.c., con esclusione dunque dell'art. 4 del d.lgs. 150/2011, il quale, per espressa previsione del suo primo comma, rileva solo «per i mutamenti di rito in favore di alcuno dei tre modelli elaborati dal d.lgs. 150/2011 ed in funzione della trattazione dei procedimenti speciali regolati dalle disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione» (§ 5.6.2. della decisione in commento).

Osservazioni

La decisione che qui si annota ribadisce principi più che consolidati nella giurisprudenza di legittimità con risultati non perfettamente coerenti tra loro e pertanto non pienamente condivisibili.

Se l'obiettivo principale dello studioso e dell'operatore pratico è quello di interpretare le norme processuali in modo conforme alla Costituzione, allora, deve manifestarsi piena adesione alla prima massima qui riferita, la quale, ricostruendo il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo quale fase del giudizio di primo grado volta a permettere al giudice adito il completo esame del rapporto giuridico controverso, afferma che l'onere di riproposizione delle domande e delle eccezioni non accolte di cui all'art. 346 c.p.c. non opera in caso di impugnazione della decisione che ha giudicato inammissibile l'opposizione a decreto ingiuntivo, non avendo altrimenti alcuna valida e concreta ragione la sola impugnativa della questione pregiudiziale di rito.

Al contrario, per lo stesso motivo non merita di essere condivisa la seconda massima qui riportata, la quale ci sembra la tralaticia ed acritica reiterazione di una soluzione decisamente rigida e inflessibilmente sperequata ai danni dell'opponente, prima ancora che obsoleta.

Affermare infatti che la tempestività dell'atto introduttivo vada valutata non già alla luce del modello erroneamente utilizzato, bensì secondo quello che avrebbe dovuto correttamente impiegarsi, senza che possano essere fatti salvi gli effetti, sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta (e, cioè, nel caso in esame, sulla base di un atto di citazione tempestivamente notificato alla controparte) appare francamente anacronistico, oltre che incomprensibile.

Anacronistico, avendo l'art. 4 del d.lgs. 150/2011 esplicitamente previsto che quando una controversia viene instaurata in forme diverse da quelle previste dalla legge gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito erroneamente seguito. Il legislatore ha così mostrato la chiara volontà di neutralizzare, quando possibile, gli effetti degli errores in procedendo allorché risultino innocui, in ossequio a un fondamentale principio di strumentalità e di funzionalità del processo rispetto alle situazioni sostanziali da tutelare.

In continuità rispetto al precedente rappresentato da Cass. civ., 12 marzo 2019, n. 7071, le Sezioni Unite hanno invece ribadito il principio secondo cui l'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di controversie locatizie, essendo soggetta al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., che sia erroneamente proposta con citazione, deve ritenersi tempestiva, se entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. avvenga l'iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria dell'atto di citazione, non potendo trovare applicazione il d.lgs. 150/2011, art. 4 il quale concerne i giudizi di primo grado erroneamente introdotti in forme diverse da quelle prescritte da tale decreto legislativo e non anche i procedimenti quali l'opposizione a decreto ingiuntivo.

Incomprensibile, in quanto in tal modo la Corte ha scelto - con una decisione che sembra assai poco coraggiosa - di allinearsi al «diritto vivente», senza invero fornire altra giustificazione se non quella di assicurare alla regula iuris così elaborata dalla giurisprudenza un sufficiente grado di stabilità di applicazione.

Ora, a chi scrive non pare dubbio che lo scopo di assicurare un certo grado di uniformità alla giurisprudenza sia un valore importante e nient'affatto trascurabile; sennonché, essa deve cedere di fronte all'esigenza di evitare la violazione della garanzia del diritto alla tutela giurisdizionale che la sanzione dell'inammissibilità dell'opposizione tardivamente iscritta a ruolo e della conseguente irrevocabilità del decreto ingiuntivo indubitabilmente cagiona.

L'assunto, sulla scorta degli artt. 24 e 111 Cost., per cui la giustizia è, prima di tutto, giustizia nel merito impone infatti di limitare le pronunce di mero rito ad ipotesi estreme e marginali, anche alla luce dell'immanenza al nostro ordinamento del principio di economia processuale (R. Giordano, Note a prima lettura sulle previsioni generali del d.lgs. n. 150 del 2011 in tema di semplificazione dei riti civili, in Giust. civ., 2011, II, 427).

Lo stesso legislatore, peraltro, pare non essere più insensibile al problema, in quanto, nel dettare i criteri direttivi per l'emanazione dei decreti delegati di riforma del processo civile, ha espressamente previsto che «in caso di mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali della domanda» debbano prodursi «secondo le norme del rito seguite prima del mutamento», restando «ferme le decadenze e le preclusioni già maturate secondo le norme seguite prima del mutamento» (art. 1, comma 5, lett. s), n. 3, l. 206/2021).

Con la sentenza qui presa in esame la Corte di cassazione ha dunque perso l'occasione, nonostante le contrarie indicazioni provenienti dalla dottrina e dallo stesso legislatore, di abbandonare una soluzione giurisprudenziale connotata da un rigido rispetto delle forme che, in quanto tale, si trasforma in un «formalismo inaccettabile» (Proto Pisani, L'irresistibile forza delle decisioni delle sezioni unite, in Foro it., 2014, I, 2504).

Riferimenti
  • Balena, Le conseguenze dell'errore sul modello formale dell'atto introduttivo (traendo spunto da un obiter dictum delle Sezioni Unite), in Giusto proc. civ., 2011, 647 ss.;
  • Castaldo, (Il)legittimità costituzionale dell'art. 426 c.p.c. alla luce del decreto di semplificazione dei riti, in Corr. giur., 2019, 373 ss.;
  • Frasca, Il rito dell'opposizione a decreto ingiuntivo in materia locativa prima e dopo la riforma del processo civile e le questioni connesse, in Foro it., 1998, I, 3274 ss.;
  • Poli, Le sezioni unite sul regime del ricorso proposto erroneamente al posto della citazione e viceversa, in Riv. dir. proc., 2014, 4-5, 1199;
  • Tizi, Osservazioni in tema di mutamento di rito ex art. 426 c.p.c., in Giust. civ., 2001, 2134 ss.

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