Trust per la gestione del patrimonio familiareFonte: L. 16 ottobre 1989 n. 364
21 Febbraio 2022
Inquadramento
Il trust, per sua natura, è un istituto giuridico che consente la segregazione di beni o crediti rispetto al patrimonio del suo costituente, consentendo la creazione di patrimoni separati che agevolano l'attività imprenditoriale e la diminuzione dei rischi conseguenti a certi tipi di investimenti. Il trust, di per sé, è un istituto di matrice anglosassone, che è stato introdotto nel nostro ordinamento con la l. n. 364/1989, per mezzo della quale l'Italia ha ratificato la Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985. Esso è dotato di una straordinaria flessibilità e le infinite possibilità quanto alla sua struttura ed ai suoi scopi consentono di modellare agevolmente questo modello in funzione di diversi tipi di necessità. Nel trust, generalmente, un soggetto denominato trustee gestisce un patrimonio che gli è stato trasmesso da un altro soggetto, il disponente (o settlor) nell'interesse ed a beneficio di uno o più soggetti, i beneficiari, col fine di raggiungere uno scopo prestabilito dallo stesso disponente. In particolare, la figura del trust di gestione del patrimonio familiare identifica una determinata tipologia di trust, di cui un'ampia categoria di trust costituiscono un valido esempio poiché, pur presentando oggetti e struttura differenti, condividono tutti lo scopo di gestire il patrimonio di una famiglia con metodologie diverse in base alle caratteristiche dei beni conferiti in trust ed alle concrete finalità volute. La finalità di gestione unitaria del patrimonio non ha nessuna componente elusiva e la segregazione costituisce una mera conseguenza dello strumento prescelto. La effettiva funzionalità di tale strumento sta nella possibilità per il trustee di portare avanti la gestione di uno o più beni senza la necessità di raccogliere i consensi di coloro a cui i beni spetteranno al termine dello strumento; perciò, appare facile comprendere come si presenti snello ed efficace, molto più di qualsiasi altro metodo che permetta ai titolari di ingerirsi nella gestione, se non addirittura di bloccarla con voti discordanti, ovvero di paralizzare le eventuali attività imprenditoriali nel caso di beni aziendali con controversie divisionali.
Questo istituto costituisce una valida alternativa rispetto ad altri strumenti per i quali la legge indica particolari prerequisiti o elevati investimenti: le principali fattispecie che condividono parzialmente i fini del trust di gestione del patrimonio familiare sono la costituzione di società, in qualsiasi forma, il conferimento in società fiduciaria, la creazione holding, ovvero l'utilizzo di fondazioni. Lo strumento in oggetto consente, dunque, di pianificare investimenti e separare dal patrimonio della famiglia determinati beni o aziende, evitando molti degli svantaggi connessi con gli altri istituti enunciati, seppur sconta il grosso inconveniente dello spossessamento e della perdita effettiva di controllo di quanto conferito. Il trust, pur se recepito, deve possedere un oggetto che sia diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c.; tale valutazione va fatta in concreto, tenendo conto delle singole finalità perseguite. Il trust, come negozio giuridico, è stato recentemente legittimato, ed ora può definirsi per lo meno contratto nominato dopo la recente novella del Dopo di Noi (l. n. 112/2016), che ad ogni buon conto individua gli elementi minimi necessari epe la sua validità nel nostro ordinamento, pur se lo strumento rimane disciplinato da una legge straniera. La gestione del patrimonio della famiglia è un tema che muta in relazione alle caratteristiche del patrimonio della stessa famiglia, ed alle finalità per le quali si intende preservare tale patrimonio, che possono essere meramente conservative, imprenditoriali, od anche altre. È precipuo, in ogni caso, sottolineare che la famiglia a vantaggio della quale va la gestione unitaria del patrimonio familiare può non identificarsi con la nozione della famiglia nucleare, così come definita dell'art. 29 Cost., ma deve intendersi con maggiore ampiezza, sia in relazione al fatto che la creazione di un trust può essere finalizzato alla gestione di un patrimonio appartenente a più famiglie nucleari, sia perché la nozione di famiglia sta subendo, oggi, una forte evoluzione che la rendono molto differente rispetto alla nozione elaborata dai Costituenti. Un primo, e fondamentale, tipo di trust di gestione del patrimonio familiare prevede, invero, il mero conferimento in un trust di una somma di denaro: il trustee può disporre di detto denaro discrezionalmente, seguendo soltanto le indicazioni date dal disponente nell'atto istitutivo, ad esempio può investirla in un fondo comune d'investimento, può comprare beni immobili, beni mobili ovvero partecipazioni societarie. Come vedremo, l'ipotesi della dotazione del solo denaro non viene spesso eseguita, in quanto istituti alternativi (come quelli suindicati, ovvero holding, SIM o altro) possono risultare più efficaci per la gestione di una somma liquida. Il trust comporta inevitabilmente, in effetti, un impegno del trustee all'impiego di tale somma nel modo più redditizio possibile, salve diverse indicazioni contenute nell'atto istitutivo ed un'impossibilità per il disponente di intervenire a bloccare operazioni non gradite perché più pericolose rispetto a quanto prospettato nel regolamento di trust ovvero non previste o non preventivate o ancora, abusive perché dal regolamento del trust vietate; d'altro canto, con l'eccezione delle società fiduciarie, in nessun altro caso si ha l'effetto di segregazione patrimoniale dal disponente e la conseguente impermeabilità del patrimonio rispetto ad attacchi da parte di terzi. Un'ulteriore ipotesi di gestione unitaria di un patrimonio familiare è quella che ha ad oggetto un compendio immobiliare. In questo caso, il disponente conferisce, ad esempio, nel trust uno o più immobili; la gestione e/o la vendita delle singole unità immobiliari viene effettuata dal trustee. Le somme o le altre utilità derivanti dai beni conferiti, quali ad esempio i canoni di locazione, rimangono nel trust o possono essere distribuite ai beneficiari, consentendo di ovviare a tutte le problematiche inerenti alla gestione in comunione, soprattutto qualora i comproprietari siano numerosi. Il vantaggio più consistente deriva sempre dal fatto che il trust è un patrimonio separato e garantisce la famiglia dall'aggressione di terzi che non siano creditori del trust, separando le sorti della famiglia da quelle derivanti dalla gestione di un ampio patrimonio immobiliare. In questo modo, la tutela del patrimonio separato copre non soltanto le vicende che possono occorrere al disponente finché vive, ma anche ai beneficiari per tutta la durata del trust, risultando in tal modo la titolarità dei beni in capo al trust e non a loro stessi; ad esempio, il patrimonio dei beneficiari potrà essere aggredito da creditori ovvero oggetto di assegnazione al coniuge al momento della definizione della crisi della famiglia, ma quanto conferito in trust non potrà essere conteggiato nei beni attuali. Pertanto, trust di gestione immobiliare avrà il vantaggio di non essere riconducibile alla titolarità del beneficiario, come invece avviene in caso di ricorso alla s.r.l., le cui partecipazioni restano in capo al soggetto che in effetti ne beneficia e il disponente potrà contestualmente porre le basi per una suddivisione ereditaria dell'intero patrimonio o, comunque, una suddivisione futura di tali beni, da attuarsi al momento del termine dello strumento. Un'ulteriore ambito di rilevanza del trust di gestione del patrimonio familiare può, ancora, essere quello dei voting trusts, nei quali i soci di una società gestita da una unica famiglia si accordano al fine di conferire alla gestione di un trustee le azioni o quote dai medesimi detenute, così regolando l'esercizio del diritto di voto a ciascuno spettante nell'assemblea generale dell'ente, al fine di facilitarne l'amministrazione (si vedano in seguito le problematiche relative all'impresa familiare). Il conferimento delle partecipazioni in trust, in tali casi, si pone quale valida alternativa alla conclusione di un patto parasociale con il quale si raggiunge un accordo sulle modalità di esercizio del diritto di voto in assemblea. Infatti, rispetto alla conclusione di accordi parasociali per disciplinare l'esercizio del diritto di voto, il trust garantisce la certezza dell'esecuzione del voto come predisposto, essendo l'esecuzione demandata al trustee, una efficace mitigazione del potenziale conflitto d'interessi che potrebbe interessare i soci in occasione dell'assunzione delle delibere assembleari, una più puntuale protezione avverso il rischio di scalate ostili, essendo la titolarità delle partecipazioni nell'unica disponibilità del trust. Lo strumento si presenta anche più funzionale rispetto alla mera nomina del rappresentante comune delle quote cadute in comunione ereditaria, in primo poiché la controversia per la divisione giudiziale potrebbe paralizzare temporaneamente la capacità di voto dell'intero pacchetto, ed in parte perché, anche nell'ottimale situazione di accordo sul rappresentante comune, la volontà dei singoli comproprietari viene comunque manifestata in una sede anticipata rispetto alla assemblea, con votazioni a maggioranza, da effettuarsi ogniqualvolta la comproprietà sia chiamata ad esprimersi. I trusts, inoltre, nell'idea del legislatore avrebbero dovuto svolgere un ruolo molto importante anche nella composizione di liti relativa alla gestione di una società, soprattutto nell'ambito delle società di natura familiare. La previsione, difatti, inserita nell'art. 37 d.lgs. n. 5/2003 in materia di «Risoluzione di contrasti sulla gestione di società», enunciava tale possibilità: «Gli atti costitutivi delle società a responsabilità limitata e delle società di persone possono anche contenere clausole con le quali si deferiscono ad uno o più terzi i contrasti tra coloro che hanno il potere di amministrazione in ordine alle decisioni da adottare nella gestione della società», lasciando quindi libertà ai soci di decidere in merito alla possibilità che un terzo, anche il trustee, intervenisse a sanare eventuali dissidi. Il fatto che tale disposizione fosse stata inserita nel corpus di regole relative al processo societario, oggi abrogato, non ha fatto altro che rendere più difficile una diffusione di questo istituto. In conclusione, il trust di gestione del patrimonio è un istituto molto flessibile che permette una personalizzazione molto ampia in considerazione di quelle che sono le caratteristiche del patrimonio familiare e la volontà del disponente, pur presentando un'unica finalità. La breve rassegna dinanzi svolta non ha pretesa di essere esaustiva, né, d'altronde, potrebbe esserlo, dal momento che ogni trust che rispecchia la volontà del disponente di preservare ed amministrare con maggiore efficacia ed attenzione il patrimonio familiare potrebbe potenzialmente avere caratteristiche uniche o tanto vantaggiose da divenire un leading case. Si deve rammentare, inoltre, che, ad eccezione dei casi nei quali si intravedono possibili lesioni di diritti personali di terzi e/o ereditari, la mera gestione di un patrimonio familiare rientra agevolmente nel giudizio di meritevolezza dell'art. 1322, comma 2, c.c., rendendo più difficile una statuizione relativa alla sua nullità. In ogni caso, i rischi connessi ad una eventuale azione di terzi rendono questo istituto ancora poco diffuso nella pratica ed ostacolano il suo utilizzo se non in casi peculiari e residuali, in attesa di un favorevole intervento normativo. Il positivo giudizio di meritevolezza dell'art. 1322, comma 2, c.c., ritenuto superfluo dalla Cassazione da ultimo con la sentenza Cass. n. 9637/2018, pur facendo superare alla giurisprudenza ogni rilievo circa la nullità del trust per la gestione del patrimonio familiare, non ha reso meno impervia la sua efficacia pratica, atteso che, nonostante le molteplici pronunzie, poche si sono schierate in favore dell'efficacia e stabilità di tale istituto nei confronti dei terzi aventi diritto nei confronti del disponente. Esemplificativa, al riguardo, la pronunzia Cass. n. 9320/2019 della Suprema Corte: in questa pronunzia, non solo viene indicata l'irrilevanza, ai fini della qualificazione della gratuità del trust, dell'onorario riconosciuto al trustee, ma è stato anche stabilito che l'istituzione del trust non si traduce in un adempimento di un dovere giuridico.I beneficiari, dal punto di vista processuale, non sono solitamente parte in causa nel giudizio relativo all'inefficacia dell'atto dispositivo del bene nei confronti del trustee (Cass. sent. 29 maggio 2018 n. 13388), almeno in quanto non siano titolari di diritti attuali sui beni in trust. In verità, vi sono casi (Cass. 18061/2019) in cui gli Ermellini hanno addirittura mancato di sanzionare la partecipazione al giudizio del trustee; ciononostante, l'orientamento maggioritario è contrario (Cass. 9648/2020). Inoltre, la giurisprudenza ha evidenziato come, nel trust, benché l'atto di disposizione sia il negozio con il quale viene intestato al trustee il bene conferito, non è impedito ai creditori poter agire in revocatoria nei confronti dello stesso atto di istituzione del trust (Cass. 24212/2019): qualora ne ricorrano i presupposti, infatti, la revocatoria nei confronti dell'atto istitutivo appare comunque idonea a produrre l'inefficacia dell'atto dispositivo, essendo quest'ultimo consequenziale al primo (Cass. n. 25926/2019). Molteplici sono state anche le pronunzie in merito alla possibilità di ottenere il sequestro dei beni conferiti in un trust di gestione del patrimonio familiare: è stato ritenuto legittimo il sequestro conservativo dei beni conferiti dal disponente, imputato di bancarotta, in un trust familiare di cui egli è trustee insieme al coniuge in quanto i beni, rimanendo in ambito familiare, non escono dall'orbita di interesse del disponente stesso (Cass. 8041/2017); così anche nel caso di trust autodichiarato familiare, in quanto il disponente ha continuato a disporre di tali beni uti dominus, a nulla rilevando che l'incarico di trustee sia stato successivamente conferito ad una società professionale, (Cass. 6658/2017); è stato ammesso anche il sequestro preventivo dei beni che una persona, al fine di sottrarsi fraudolentemente al pagamento delle imposte, ha trasferito ad un'altra persona, la quale, d'intesa con il cedente, li ha conferiti in un trust familiare (Cass. 269/2018). Per vero, gli unici vantaggi che sono stati riconosciuti, negli ultimi anni, al trust per la gestione familiare, sono stati di natura fiscale: il fatto che non vi sia un effettivo trasferimento di titolarità in capo al trustee se, da un certo punto di vista, ha ridotto la capacità di negozio idoneo a trasferire la proprietà fiduciariamente e a tutelarlo dai terzi, dall'altro ha rilevato senz'altro ai fini di una minore imposizione tributaria, quantomeno prima che il bene sia ritrasferito ai beneficiari. Così, il conferimento di partecipazioni societarie in un trust familiare è esente dall'imposta di donazione in quanto non realizza un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un'attribuzione patrimoniale stabile (Cass. 16705/2019); allo stesso modo, il trasferimento di immobili (Cass. 16704/2019). L'unica, rilevante, tutela del trust per la gestione familiare risulta dalla più recente giurisprudenza di merito: vi è da segnalare, infatti, una recente sentenza del Tribunale di Napoli (che fa seguito ad alcune del Tribunale di Velletri), del 18 ottobre 2021, nella quale il Giudicante si è interrogato sull'eventus damni e sulla scientia damni a prescindere dalla natura del trust. In quest'ipotesi, il trust è stato dichiarato inefficace ex art. 2901 c.c. non per essere ex se gratuito, ma perché il disponente fosse privo di altri beni aggredibili: tale elaborazione rende maggior fede all'utilità del trust per la gestione del patrimonio familiare perché non va ad inficiare direttamente la sua costituzione ma solo il suo utilizzo fraudolento. In tal senso, in effetti, un disponente che voglia conferire dei beni in trust non si dovrà preoccupare di effettuare tale negozio, almeno fin quando i suoi eventuali creditori avranno altri beni da aggredire, e potrà gestire il suo patrimonio nella pienezza dell'istituto rappresentato. Altri istituti per la gestione del patrimonio familiare
Come già evidenziato, l'utilizzo del trust di gestione del patrimonio familiare viene spesso impiegato in sostituzione di figure affini, a causa della sua duttilità e della facilità di realizzazione rispetto ad altri istituti previsti dalla legge. La holding di famiglia, all'estremo opposto dell'impresa familiare, è una società che detiene partecipazioni in altre società; questa fattispecie, benché molto vantaggiosa da un punto di vista della sicurezza dell'amministrazione, è dispendiosa e viene attuata in caso di veri e propri gruppi societari, che differenziano le controllate in base alle attività che svolgono effettivamente, avendone perciò una operativa, una commerciale e una immobiliare, nella struttura basica. La holding è una società che, a fini di migliore gestione societaria ed imprenditoriale, possiede azioni o quote di altre società in quantità sufficiente per esercitare su queste ultime un controllo sull'amministrazione ai sensi dell'art. 2359 c.c.. L'attività di holding può essere esercitata attraverso differenti tipologie societarie, a seconda delle esigenze della famiglia e della tipologia di attività. Potendo presentarsi in qualunque forma societaria prevista dal nostro ordinamento, è uno strumento estremamente duttile, che può agevolmente sostituire il trust anche in relazione alle diverse finalità che può perseguire. Spesso viene utilizzata, in queste situazioni, una società in accomandita per azioni capogruppo, ovvero, la s.a.p.a., che si presta allo svolgimento del ruolo di holding in quanto, essendo i soci accomandatari di diritto amministratori, ed essendo altresì gli stessi titolari di un vero e proprio diritto di veto sulla scelta di eventuali nuovi managers, garantisce al gruppo di comando una protezione rilevante avverso tentativi di scalate ostili della società. In tali casi, è ben possibile abbinare la struttura del gruppo al trust, conferendo le sole quote della holding nel trust, permettendo al titolare disponente di mantenere la governance sia della holding che delle controllate e lasciando sufficiente spazio operativo, all'interno della gestione delle società per verificare quale fra i discendenti si presenta maggiormente adatto a ricevere gli incarichi operativi, ben potendo lasciare la titolarità delle partecipazioni indivise in capo al trustee per quanto riguarda la holding e nella holding per le controllate o partecipate, con quote di partecipazione al capitale attribuite secondo le migliori necessità imprenditoriali a soci esterni alla famiglia ovvero come premi per la gestione ottimale dell'azienda. Vi sono, poi, ipotesi in cui sono state utilizzate impropriamente le fondazioni. Le fondazioni sono tradizionalmente utilizzate per scopo altruistico, e perciò si rivelano, in effetti, spesso inadeguate per la gestione di un patrimonio familiare dal momento che, una volta costituite, non consentono sufficiente controllo e partecipazione alla gestione del patrimonio. Le fondazioni di famiglia sono previste solo incidentalmente dall'ultimo comma dell'art. 28 c.c., ai sensi del quale: «le disposizioni del primo comma [trasformazione delle fondazioni] … non si applicano alle fondazioni destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate». La dottrina dominante (M. Rescigno, F. Galgano, G. Iudica) ritiene che la fondazione di famiglia sia ammissibile solo se costituita per la realizzazione di scopi di utilità sociale, come è confermato anche da una sentenza della Cassazione (Cass. sent. n. 3960/1979), datata ma ancora incontrastata, la quale ha espressamente stabilito che «l'imporre su beni vincoli di disponibilità tendenzialmente perpetui, come nel caso della fondazione, si giustifica unicamente con la sussistenza di un fine di pubblica utilità». Rispetto alla fondazione, il trust si caratterizza per l'assenza di personalità giuridica, essendo qualificabile come mero patrimonio destinato; il trust, garantisce, invece, rispetto alla fondazione, maggior controllo sulla gestione dei beni conferiti. Vi è, poi, da fare un breve riferimento anche alle società fiduciarie. Queste ultime svolgono attività di intestazione fiduciaria, con separazione di tali beni dal patrimonio del titolare effettivo. Esse sono state inizialmente previste dalla l. n. 1966/1939 e n. 430/1986, mentre oggi sono regolate dal d. lgs. n. 415/1996 e dal d.lgs. n. 141/2010, con la previsione dell'inserimento nella denominazione sociale della dicitura “SIM” e della iscrizione al relativo albo, con estensione di tutte le regole applicate per la regolazione dei mercati finanziari. È importante, poi, comprendere la differenza tra le società fiduciarie con gestione dinamica e statica; le società dinamiche prevedono la valorizzazione del patrimonio conferito dal cliente attraverso l'effettuazione di una serie di operazioni volte ad accrescere il patrimonio iniziale, mentre le società fiduciarie statiche seguono puntualmente le indicazioni impartite dal cliente per la gestione e si limitano a conservare il patrimonio così come conferito. In particolare, le società fiduciarie prevedono espressamente le figure del private banker e del family office, ovvero di servizi di consulenza a tutto tondo per la gestione di grandi patrimoni familiari. Il trust, a differenza delle società fiduciarie, non subisce restrizioni né limiti pubblicitari o finanziari connessi alla normativa in materia di società fiduciarie, soprattutto in relazione alla capitalizzazione iniziale e in relazione alla loro azione nei mercati finanziari regolamentati. Inoltre, il trustee ha sempre una maggiore libertà di scelta relativamente ai possibili investimenti del capitale o alle modalità di gestione dei beni conferiti in trust, mentre il fiduciario molto raramente esorbiterà i limiti di una mera gestione patrimoniale passiva. Eppure, nella pratica, i destini di questi due istituti si sono ripetutamente incrociati, sollevando anche molte discussioni in relazione all'opponibilità ai terzi dei due istituti. È stato sostenuto che la segregazione patrimoniale che avviene per entrambi gli istituti sia maggiormente efficace per il trust rispetto a quanto avviene con l'intestazione fiduciaria, e viceversa. Ciò potrebbe essere disceso dal fatto che molti Paesi prevedono una disciplina dei mandati fiduciari, maggiormente assimilabili ad un modello di trust piuttosto che al tradizionale istituto della proprietà fiduciaria, ma mutuando caratteristiche comuni ad entrambi gli istitituti. È da riportare l'esempio della Repubblica di San Marino, il cui ordinamento si basa su principi di diritto comune, ove ai contenuti del contratto fiduciario classico viene riconosciuta l'opponibilità ai terzi, ma risulta essere un ibrido tra trust ed intestazione fiduciaria piuttosto che uno strumento giuridico a sé stante. Inoltre, la separazione delle fiduciarie è certamente meno forte, in considerazione del fatto che il titolare effettivo conserva il potere decisionale e gestionale, che si attua impartendo istruzioni vincolanti alla società fiduciaria; invece, nel trust, l'attività del trustee è autonoma e slegata rispetto alle sopravvenute volontà del disponente ed è connotata da discrezionalità anche nell'esecuzione delle istruzioni contenute nel regolamento del trust. Per concludere, non meno importante, anche se molto più limitato e focalizzato sulla protezione del patrimonio familiare, appare l'istituto del fondo patrimoniale. Non è stato inserito tra gli istituti che condividono le finalità dei trusts di gestione del patrimonio familiare perché esso, per l'appunto, ha la precipua finalità di proteggere il patrimonio di una unica famiglia, intesa in senso nucleare, sia essa unita in matrimonio o per mezzo di una unione civile. Il trust di gestione del patrimonio familiare ed i beni culturali
I trusts consentono di creare un vero e proprio nuovo patrimonio su misura, una sorta di deposito "speciale" in cui possono essere custoditi e gestiti vari tipi di beni, ivi compresi i beni culturali ai sensi del d.lgs n. 42/2004. Diventa sempre più frequente, pertanto, l'istituzione di un trust per la gestione, e, quindi, la tutela e/o il trasferimento di opere d'arte, di collezioni o di detti beni. Tale figura va segnalata distintamente rispetto alle altre figure di trust di gestione del patrimonio familiare in virtù della confusione che può essere fatta con i simili trust di scopo per la gestione delle opere d'arte. Benché tale tipologia di trusts esuli concretamente dalla gestione di un patrimonio nell'interesse della famiglia, è ben possibile che il patrimonio familiare sia costituito anche in maniera consistente da opere d'arte, magari accumulate dal capostipite come investimento, come alternativa al tradizionale risparmio, od in previsione di una futura rivendita con relativa plusvalenza, per cui si atteggia come un qualunque trust nel quale vengono conferiti beni mobili, con alcune peculiarità. Il trust per la gestione di opere d'arte si costituisce, invece, con un atto unilaterale, cui si affiancano uno o più atti di dotazione, e si presenta come un trust di scopo, ossia come preordinato al perseguimento di un determinato fine, quando i motivi che portano alla sua costituzione sono finalizzati ad attività benefiche e filantropiche. Il tipico esempio è quello di un soggetto intende donare una propria collezione ad una fondazione pubblica, con la sola condizione che quest'ultima si impegni ad allestire una mostra permanente aperta al pubblico ed ad effettuare tutte le attività di manutenzione e restauro necessarie a mantenere integre nel tempo le singole opere, oppure chi vuole devolvere opere d'arte ad enti pubblici o ecclesiastici per istituire un museo, o una mostra o una galleria con il fine di diffondere tali opere, anche per un tempo più o meno limitato. Quando, il motivo principale dell'istituzione del trust è la gestione delle opere d'arte in virtù della sua valorizzazione in favore di beneficiari appartenenti alla stessa famiglia, allora esso si configura come un trust di gestione del patrimonio familiare. Nei casi aventi finalità filantropiche, il trustee esercita al meglio le proprie funzioni di scopo attraverso una più ampia, in termini di discrezionalità e libertà di movimento – purché ciò avvenga sempre nell'ambito dello scopo – anche in virtù del fatto che i beneficiari non sono precisamente individuati. Viceversa, quando con il trust viene preservata l'integrità e la destinazione unitaria di un patrimonio artistico, ovvero ancora protetto tale patrimonio dalle pretese di creditori personali e/o dei propri eredi, gestendo al fine di garantire ai beneficiari un reddito da esso, il trustee avrà una minore libertà e sarà ancora più importante la figura del protector. Qualora, invero, siano conferiti in trust beni di natura artistica, qualificabili anche come beni culturali ex d.lgs. n. 42/2004, va rilevato che, in relazione ai vincoli disciplinati dal citato Codice dei beni culturali e del paesaggio, per siffatti beni vi è obbligo di denuncia del trasferimento della proprietà o della detenzione del bene, ma non vi è la prelazione d'acquisto da parte dello Stato. Dal momento che l'atto di conferimento in trust è essenzialmente gratuito, esso, in quanto tale, non rientra nel vincolo di cui all'art. 60 d.lgs. n. 42/2004, per cui non vi sarà alcuna prelazione, ma solo comunicazione. Chiunque, in questo modo, voglia acquistare opere d'arte, in seguito qualificate come beni culturali ex d.lgs. n. 42/2004, potrà spogliarsene senza problemi in favore di un trust con lo scopo della loro gestione per conto della famiglia, con il beneficio di accumulare beni in un patrimonio separato senza il rischio che lo Stato possa far valere la prelazione sugli stessi, consentendone la trasmissione ai propri eredi oppure il godimento in favore di questi ultimi anche dopo la propria morte. Casistica
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