Autoriciclaggio con bitcoin: nuove impostazioni criminali e giurisprudenziali

Ranieri Razzante
28 Febbraio 2022

Tra le caratteristiche del cyber crime che assicura, in questo caso, il provento da reato, vi è l'anonimato delle transazioni operate mediante bitcoin, fortemente attrattive anche a fronte dell'assenza di un sistema di controllo adeguato.Ciò assicura la limitata tracciabilità di tali operazioni la quale comporta di sostituire e trasferire profitti illeciti con ragionevole probabilità di passare indenni a prime indagini. È proprio per le sue caratteristiche essenziali che il bitcoin stesso può erigersi a strumento idoneo per porre in essere attività di riciclaggio...
Massima

Integra autoriciclaggio già la preliminare operazione di cambio valuta cui l'indagato aveva dato corso servendosi di società estere, a nulla rilevando la verificazione di quale sia stato l'utilizzo successivo dei bitcoin ottenuti da tali operazioni.

Il caso

Il Tribunale di La Spezia accoglieva l'appello proposto dal Pubblico ministero, il quale disponeva, nei confronti del soggetto ricorrente, sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 648-quater c.p., anche per equivalente, del profitto dei reati di autoriciclaggio contestati nell'imputazione provvisoria.

Nello specifico, l'indagato commetteva il reato presupposto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, trasferendo i profitti a società estere, operanti nel settore delle criptovalute, effettuando bonifici in euro da carte intestate a soggetti prestanome, ma anche a sé stesso.

La questione

Il soggetto ricorreva in Cassazione deducendo una serie di violazioni di legge inerenti la motivazione.

Nello specifico, eccepiva violazione di legge per carenza assoluta di motivazione facendo leva sul fatto che le società estere, che beneficiavano dei suddetti bonifici, operavano effettivamente nel settore delle criptovalute; deduceva, altresì, che il Tribunale ometteva di passare in rassegna i motivi per i quali l'acquisto di criptovalute ostacolava l'identificazione della provenienza del bene.

L'indagato contestava che le transazioni effettuate tramite bitcoin erano da ritenersi anonime, in ragione del fatto che tutte le movimentazioni effettuate in criptovalute e registrate sul c.d. distributed ledger risultavano di pubblico dominio.

Ancora, deduceva, sempre lo stesso soggetto, una violazione di legge per mancanza di motivazione relativamente all'utilizzo da parte dello stesso delle somme trasferite alle società estere per acquisto di bitcoin, al fine di verificarne l'impiego in attività imprenditoriali, finanziarie e la capacità di ostacolare la provenienza delittuosa del bene.

Il ricorrente sosteneva, altresì, che il Tribunale travisava la sua condotta, che sarebbe consistita non nel reinvestire i proventi del reato presupposto, bensì nell' acquistare criptovalute che sarebbero poi state utilizzate per «pagare i servizi del sito internet che effettuava la pubblicità delle prostitute». Il Tribunale, secondo quanto addotto dal ricorrente, non interpretava correttamente quanto sopra esposto, facendo leva sul fatto che, mediante l'acquisto di bitcoin, non si poneva in essere attività di produzione o scambio di beni e non si realizzava alcuna fornitura di servizi finanziari.

Le soluzioni giuridiche

Il Supremo Consesso riteneva tale ricorso infondato.

In premessa si ricordava che lo strumento del ricorso per Cassazione avverso ordinanze emesse in sede di riesame, contro un provvedimento che imponeva una misura cautelare di tipo reale, era ammesso esclusivamente per violazione di legge, come sostenuto dalla giurisprudenza costante, e non per vizi inerenti la logicità della motivazione.

La Corte premetteva, altresì, che il ricorrente non contestava la sussistenza dei reati presupposto rispetto a quelli di autoriciclaggio contestati, né obiettava nemmeno il fatto che i trasferimenti di denaro, effettuati da soggetti prestanome verso società estere, erano riconducibili allo stesso.

Relativamente al primo motivo le censure del ricorrente, secondo quanto affermato dalla Corte, inerivano, semmai, ad un vizio della motivazione presunto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., che non poteva però essere dedotto in tal sede.

In riferimento al secondo motivo si chiariva come i bitcoin non venissero direttamente acquistati dall'indagato, bensì venivano trasferite somme di denaro, mediante bonifici, a società estere incaricate, poi, di trasformare la valuta da euro in bitcoin. Conseguentemente, si ricavava come il ricorrente agiva non in proprio bensì, per mezzo di tali società estere e che le transazioni avvenivano mediante intestatari fittizi di carte, da cui venivano effettuati bonifici alle società di cui sopra.

Pertanto, tali operazioni rappresentavano un serio ostacolo all'identificazione del ricorrente come beneficiario finale e come effettivo titolare di bitcoin acquistati da società estere, in veste di “exchanger di criptovalute”.

Affermava il Supremo Collegio che, per integrare reato di autoriciclaggio, non occorre che il soggetto agente impieghi, sostituisca o trasferisca beni, denaro o altre utilità, con impedimento circa l'identificazione della provenienza delittuosa di queste ultime, essendo sufficiente una qualsiasi attività idonea ad ostacolare accertamenti sulla loro provenienza.

Inoltre, sottolineava il giudice di legittimità, che la tracciabilità delle operazioni di trasferimento delle utilità che provenivano dal delitto presupposto non esclude l'idoneità originaria della condotta ad ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa.

Gli Ermellini ritenevano non fondato anche il terzo motivo di ricorso, specificando che il reato di autoriciclaggio prevede, tra le condotte punibili, anche proprio il trasferimento del bene di provenienza illecita, nel nostro caso denaro contenuto in carte che venivano utilizzate per effettuare bonifici all'estero. Attraverso tali operazioni venivano immessi nel circuito economico finanziario euro di illecita provenienza che poi venivano adoperati per acquistare bitcoin.

Pertanto, la condotta del ricorrente rientrava tra quelle punite dalla norma incriminatrice contestatagli, in quanto aveva trasferito il profitto dei reati presupposto di cui sopra in una attività di tipo finanziario quale quella del cambio valuta, che veniva posta in essere, su suo mandato, da società estere.

Non rilevava in alcun modo il dover verificare quale fosse stato l'utilizzo poi successivo dei bitcoin, in quanto il reato di autoriciclaggio risultava già integrato dalle operazioni di cambio valuta poste in essere servendosi di società estere.

Osservazioni

Tra le caratteristiche del cyber crime che assicura, in questo caso, il provento da reato, vi è l'anonimato delle transazioni operate mediante bitcoin, fortemente attrattive anche a fronte dell'assenza di un sistema di controllo adeguato.Ciò assicura la limitata tracciabilità di tali operazioni la quale comporta di sostituire e trasferire profitti illeciti con ragionevole probabilità di passare indenni a prime indagini.

È proprio per le sue caratteristiche essenziali che il bitcoin stesso può erigersi a strumento idoneo per porre in essere attività di riciclaggio, in quanto, come detto, è atto ad occultare il valore del trasferimento. Inoltre, nonostante l'esistenza di un valido strumento di tracciabilità delle operazioni effettuate, rappresentato dalla blockchain, è da rilevare come, comunque e spesso, esse siano di difficile riconduzione ad un determinato soggetto, sia esso persona fisica o giurdica. Ed è per questo che il rischio di compatibilità tra tale tipo di attività ed i reati di riciclaggio si fa sempre più concreto.

Stante quanto sopra considerato, anche nei casi in cui l'attività criminosa sia posta in essere online, la condotta di colui che muove anonimamente proventi illeciti da reato in rete resta, a prescindere idonea, ad ostacolarne la delittuosa provenienza, integrando così delitto di autoriciclaggio.

Conseguentemente, qualora l'iter criminis si svolga online per il reato presupposto, mentre offline per la fase di riciclaggio, e quindi il provento del reato presupposto debba essere trasformato in criptovaluta, per permettere al reo di dissimulare la provenienza illecita del profitto del reato, si integrerebbe comunque la fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p.

Guida all'approfondimento

R. RAZZANTE, Le prime considerazioni sul reato di autoriciclaggio, in Rivista231.it, dicembre 2014.

R. RAZZANTE, Manuale di legislazione e prassi antiriciclaggio, Giappichelli, 2020.

RAZZANTE, L'autoriciclaggio e i rapporti con i reati presupposto, in Rivista231.it, n. 4, ottobre-dicembre, 2014, 19-26.

R. RAZZANTE, Tracciabilità e riciclaggio: binomio indissolubile tra gli artt. 648 bis e ter c.p. e la recente entrata in vigore del delitto di autoriciclaggio, nota a Cass. pen., Sez. II, 22 ottobre 2014, n. 43881, in Arch. pen., n. 3, 2014.

R. RAZZANTE (a cura di), Bitcoin e criptovalute, Maggioli, 2018.

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