La responsabilità dell'infermiere per la disattivazione dell'impianto di allarme acustico e visivo dei pazienti

Vittorio Nizza
03 Marzo 2022

La questione rimessa alla Corte di cassazione riguarda la valutazione del nesso di causa, in una situazione in cui vi potrebbero essere una pluralità di fattori in grado di incidere sotto il profilo causale attribuibili a condotte poste in essere da soggetti diversi dall'imputata.
Massima

In tema di colpa professionale, qualora ricorra l'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità.

Il caso

La Corte di cassazione, con la sentenza in oggetto, viene chiamata a pronunciarsi in merito ad una contestazione per omicidio colposo mossa nei confronti di un'infermiera presso il reparto di terapia intensiva cardiologica per aver cagionato la morte di un paziente.

In particolare l'imputata aveva, in concorso con un altro infermiere del reparto, durante il loro turno notturno, silenziato i campanelli dell'interfono dei pazienti per collegarsi con gli infermieri di guardia nonché il sistema di allarme visivo e sonoro (cd. “allarme rosso”) di segnalazione della presenza di fenomeni patologici, compresi quelli di aritmia cardiaca, di tutti i pazienti ricoverati presso il reparto di terapia intensiva. Tale condotta sarebbe stata dettata, secondo quanto riferito dall'imputata stessa dall'esigenza di “scongiurare, durante la notte, l'inquinamento acustico”. I dispositivi non erano stati riattivati al termine del turno, né erano stati notiziati di tale anomala disattivazione i colleghi subentranti nel turno successivo.

Tale condotta secondo la ricostruzione accusatoria rappresentava una delle cause che avevano portato alla morte di un paziente ricoverato nel reparto. Il paziente, infatti, era stato colpito da crisi cardiaca, ma l'assenza dei dispositivi di allarme aveva determinato il ritardo nell'intervento da parte del personale medico e paramedico, ritardo poi risultato fatale per il paziente stesso. Si trattava di un paziente che doveva essere sottoposto ad un intervento di chirurgia cardiaca al quale pertanto era stato espiantato il defibrillatore cardiaco che gli era stato applicato.

L'infermiera era stata condannata in primo e secondo grado.

La Corte di cassazione aveva annullato la sentenza della Corte d'appello, in quanto la Corte territoriale nel motivare la responsabilità dell'infermiera aveva omesso di considerare quanto a determinismo causale la scelta del medico chirurgo di espiantare il defibrillatore cardiaco del paziente con elevato anticipo rispetto alla necessità clinica, defibrillatore che avrebbe potuto automaticamente porre rimedio alla crisi. Inoltre non era stato adeguatamente valutata la situazione di congestione del reparto quella mattina e quindi la possibilità di intervenire comunque tempestivamente.

La Corte d'appello aveva nuovamente confermato la penale responsabilità dell'imputata.

Avverso la sentenza aveva proposto ricorso l'imputata richiamando sostanzialmente i due rilievi già valutati dalla Corte di cassazione incidenti sulla valutazione del nesso di causa.

La questione

La questione rimessa alla Corte di cassazione riguarda la valutazione del nesso di causa, in una situazione in cui vi potrebbero essere una pluralità di fattori in grado di incidere sotto il profilo causale attribuibili a condotte poste in essere da soggetti diversi dall'imputata. Nel caso di specie infatti l'evento era dovuto ad una pluralità di cause determinate da una cooperazione colposa di condotte.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte nel confermare la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'Appello a seguito del giudizio di rinvio ritiene che sia stato correttamente valutato dai giudici di merito la rilevanza causale della condotta dell'imputata – la disattivazione del sistema di “allarme rosso” dei pazienti – nel determinismo dell'evento morte in quanto ha comportato un ritardo nell'assistenza prestata al paziente in occasione della crisi cardiaca per lui fatale.

In particolare la Corte ritiene che siano stati correttamente valutati, ed esclusi quanto a rilevanza causale, le ulteriori possibili concause indicate dalla precedente pronuncia di rinvio dalla Cassazione.

Si tratta di un evento dovuto ad una pluralità di cause determinate da una cooperazione colposa di condotte. La Corte, pertanto, richiama la consolidata giurisprudenza formatasi in merito in tema di colpa professionale. Si è affermato, infatti, che «qualora ricorra l'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto altre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità».

Nel caso di specie, la Corte evidenzia come deve essere ritenuto corretto il giudizio di responsabilità dell'imputata, in quanto né la condotta del medico che aveva anticipato l'espianto del defibrillatore dal paziente né la situazione di congestione del reparto al momento dell'evento potevano essere considerati fattori eccezionali ed imprevedibili tali da interrompere il nesso di causa tra la condotta dell'imputata e l'evento morte.

In ogni caso, ribadisce la sentenza, in presenza di pluralità di fattori causali «l'azione od omissione dell'agente è considerata causa dell'evento nel quale il reato si concretizza, anche se le altre circostanze, di qualsiasi genere – a quello estranee, preesistenti, concomitanti o successive, laddove esse non siano state tali da determinare in maniera autonoma e del tutto indipendente dalle precedenti l'evento – concorrono alla sua produzione perché il comportamento dell'agente ha pur sempre costituito una delle condizioni dell'evento».

Nel caso di specie la scelta del chirurgo di anticipare l'espianto del defibrillatore dal paziente rispetto al programmato intervento non era tale da escludere la rilevanza causale della condotta dell'imputata. L'espianto del defibrillatore, infatti, era un'operazione necessaria per l'esecuzione dell'intervento chirurgico già programmato per la tarda mattinato o il primo pomeriggio. Secondo la Corte è ragionevole ritenere che la mancata disattivazione dei meccanismi automatici di allarme avrebbe consentito una pronta e adeguata prestazione terapeutica anche in assenza di quei meccanismi automatici attuati dal defibrillatore. Inoltre, appare verosimile ritenere che se il personale sanitario fosse stato informato che l'impianto di allarme acustico era stato disattivato avrebbe indotto una particolare cautela sia nella scelta dei tempi per l'esecuzione dell'espianto del defibrillatore sia del monitoraggio delle condizioni del paziente.

Inoltre, si sottolinea nella sentenza, la Corte d'appello ha ricostruito attentamente i tempi intercorsi tra il sorgere delle problematiche cardiache e le manovre di rianimazione ormai tardive, rilevando come se l'apparato di monitoraggio fosse stato correttamente collegato al sistema di allarme il personale ospedaliero sarebbe, senza alcun ragionevole dubbio, intervenuto in maniera ben più tempestiva trattandosi di un reparto tradizionalmente avvezzo a praticare cure d'urgenza. Inoltre, è stato accertato che nel momento della crisi cardiaca nel reparto vi erano almeno tre infermieri professionali e un medico di guardia non impegnati in attività di urgenza e quindi pronti a prestare l'assistenza al paziente se tempestivamente allertati dai sistemi di monitoraggio invece scollegati.

Alla luce di tali valutazioni, la suprema Corte ha confermato la sentenza emessa dalla Corte d'appello in sede di rinvio, dichiarando inammissibile il ricorso.

Osservazioni

La Corte nel caso di specie viene chiamata a pronunciarsi su una vicenda peculiare che vede un'infermiera di un reparto di terapia intensiva imputata per omicidio colposo di un paziente deceduto per arresto cardiaco.

La condotta contesta all'imputata era relativa ad una sua decisione (forse presa da un altro infermiere del medesimo turno ma comunque da lei non ostacolata) di disattivare durante il proprio turno di notte a tutti i pazienti presenti nel reparto i sensori di segnalazione visiva e sonora di allerta nel caso di problematiche patologiche del paziente. Sistemi di segnalazione ovviamente finalizzati a consentire un tempestivo intervento da parte del personale sanitario in caso di qualsiasi urgenza.

Il sistema di monitoraggio non era stato riattivato al termine del turno né erano stato notiziato il personale subentrato di tale decisione. Nella mattinata, un paziente ricoverato aveva avuto un arresto cardiaco, ma in assenza del sistema di segnalazione, l'intervento dei medici non era stato sufficientemente tempestivo.

Il paziente avrebbe dovuto essere sottoposto ad un intervento cardiaco, per tale motivo il chirurgo aveva provveduto ad espiantargli il defibrillatore impiantato che avrebbe potuto intervenire automaticamente ed autonomamente per risolvere le situazioni di aritmia cardiaca come quella che si era verificata poi risultata letale. Era emerso che l'operazione di espianto del defibrillatore, seppur in vista dell'intervento chirurgico, era stata posta in essere dal medico con particolare anticipo. Inoltre il medico non avrebbe notiziato dell'espianto il resto del personale del reparto.

Nel caso di specie, come rilevato dalla stessa sentenza, si trattava di un evento dovuto ad una pluralità di cause determinato da una cooperazione colposa di condotte. Risultava infatti pacifica la rilevanza causale della condotta dell'imputata del determinismo dell'evento morte del paziente, posto che la disattivazione dell'impianto di allarme acustico e sonoro aveva comportato un ritardo nell'assistenza prestata al paziente in occasione della crisi cardiaca poi risultata fatale. Tuttavia occorreva valutare l'incidenza, nella valutazione della sussistenza del nesso causale, della condotta del chirurgo che aveva espiantato il defibrillatore. Secondo la ricostruzione della difesa infatti, tal espianto era stato intempestivo, in quanto post in essere troppo in anticipo rispetto all'intervento chirurgico, e irrituale in quanto non comunicato al personale sanitario. Il defibrillatore, infatti, fino a quel momento, anche nella notte immediatamente precedente, aveva ovviato in via automatica alle frequenti anomalie del ritmo cardiaco che il paziente presentava.

La Corte, escludendo la idoneità della condotta del chirurgo a incidere sulla valutazione della responsabilità dell'imputata, richiama la giurisprudenza in materia di cooperazione disciplinare e principio di affidamento. Qualora infatti, come frequentemente avviene in ambito sanitario, più soggetti intervengano in maniera sincronica o diacronica nella cura di un paziente, ognuno è tenuto al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connesso alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune e unico della cura della salute del paziente.

Secondo il principio di affidamento, ciascuno risponde esclusivamente per le conseguenze della propria condotta commissiva od omissiva, in base alle proprie competenze e specializzazioni, potendo confidare sul fatto che gli altri soggetti coinvolti agiscano nel rispetto delle legis artis. In tal modo ciascun soggetto coinvolto può incentrare la propria attenzione sul compito affidatogli, confidando che gli atri soggetti che operano con lui facciano altrettanto. Il principio di affidamento non può però essere invocato dal soggetto agente che per primo versi in colpa avendo tenuto un comportamento in violazione delle regole precauzionali, ove su tale condotta si innesti una condotta colposa altrui. Chi versa in colpa, quindi, non può confidare nel fatto che chi interviene dopo di lui vada ad emendare il suo errore.

Secondo la giurisprudenza consolidata, richiamata anche dalla pronuncia in oggetto, non può invocarsi «il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato il principio precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità».

La valutazione in merito alla responsabilità di ciascun soggetto intervenuto dovrà essere effettuata sulla base della singola condotta e dell'incidenza causale sull'evento. Il soggetto che per primo abbia tenuto una condotta colposa potrà andare esente solo quando le condotte successive per il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità siano tali da introdurre un fattore di rischio dal tutto inatteso e autonomo tale de interrompere il nesso causale.

Nel settore della responsabilità medica, inoltre, è chiaro come in un'ipotesi di cooperazione multidisciplinare la valutazione in merito alle singole condotte e quindi responsabilità non potrà prescindere dal singolo ruolo rivestito, soprattutto con riferimento al personale infermieristico e paramedico. Il personale paramedico e infermieristico potrà invocare il principio di affidamento rispetto all'operato del personale medico solo quando abbia posto in essere a sua volta la propria azione secondo i canoni di diligenza e prudenza nonché nel rispetto degli obblighi derivanti dalle proprie mansioni.

«Il principio richiamato, sebbene prenda in considerazione la sinergia tra medici in sala operatoria, ben può essere applicato anche al personale paramedico, nei limiti delle competenze per cui è richiesta alla loro prestazione» (Cass. pen. 6 febbraio 2015, n. 30991). In tal senso si è espressa la Cassazione confermato la penale responsabilità dei due barellieri che non avevano provveduto a legare o comunque monitorare la paziente erroneamente posizionata sul lettino a seguito dalla caduta della stessa successiva alla somministrazione dell'anestesia.

In senso analogo si è espressa la Cassazione con la sentenza 2 luglio 2015 n. 31244 confermando la penale responsabilità dell'ostetrica in relazione alla morte di bambino nato affetto da gravi patologie conseguenti ad un parto tardivo, per avere la stessa omesso di allertare tempestivamente i medici di guardia dei segnali di sofferenza fetale del nascituro registrati dal “tracciato” («In tema di causalità della colpa, quando la ricostruzione del comportamento alternativo lecito idoneo ad impedire l'evento deve essere compiuta nella prospettiva dell'interazione tra più soggetti, sui quali incombe l'obbligo di adempiere allo stesso “dovere” o a “doveri” tra loro collegati, la valutazione della condotta di colui che è tenuto ad attivare altri va effettuata assumendo che il soggetto che da esso sarebbe stato attivato avrebbe agito correttamente, in conformità al parametro dell'agente “modello”».)

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