Pensionato e senza più gli introiti aggiuntivi come consulente: possibile mettere in discussione l'assegno divorzile in favore dell'ex moglie

Redazione Scientifica
07 Marzo 2022

Va rimessa in discussione la cifra riconosciuta alla donna, cioè 2.000 euro al mese. Da valutare con attenzione le nuove condizioni economiche dell'uomo.

L'aver perso, dopo essere andato in pensione, gli introiti aggiuntivi percepiti come consulente, con conseguente riduzione del reddito percepito annualmente, può legittimare la richiesta dell'uomo di ottenere almeno uno sconto sull'assegno da versare all'ex moglie.

Prima in Tribunale e poi in Corte d'appello l'uomo vede respinta la propria richiesta mirata alla eliminazione o almeno alla riduzione dell'assegno divorzile, quantificato in 2.000 euro al mese, da versare all'ex moglie.

In secondo grado i giudici ritengono non vi siano fatti nuovi «idonei a giustificare la revisione delle condizioni di divorzio» fissate da ultimo «in sede di revisione». In questa ottica viene rilevato che «il reddito dichiarato dall'uomo nel 2019 è adeguato e leggermente aumentato» mentre «la donna non svolge attività lavorativa, ha 70 anni di età, non ha altre fonti di reddito e non è proprietaria di immobili capaci di produrre redditi».

Nel contesto della Cassazione, però, l'uomo prova a mettere in discussione le valutazioni compiute dai giudici d'Appello, e a questo scopo mette sul tavolo, innanzitutto, «il peggioramento della propria situazione patrimoniale, determinato dalla diminuzione dei propri redditi a far data dal 2015, che ha determinato», a suo dire, «l'alterazione dell'equilibrio economico preso in considerazione nel decreto determinativo dell'assegno» nella cifra di 2.000 euro al mese, e aggiunge poi di «godere attualmente della pensione come unica fonte di reddito e di non svolgere più l'attività di consulenza che gli aveva consentito di beneficiare, pur essendo già in pensione, di introiti aggiuntivi fino al 2015», introiti che «avevano consentito in sede di revisione l'iniziale incremento dell'assegno da 1.000 euro (nel 2006) a 2.800 euro (nel 2012), poi ridotto a 2.000 euro».

Chiaro l'obiettivo dell'uomo: dimostrare di percepire un reddito più basso, frutto della sola pensione, rispetto a quello che aveva spinto i giudici a obbligarlo a versare ben 2.000 euro al mese all'ex moglie.

Ebbene, per i Giudici della Cassazione la tesi proposta dall'uomo merita di sicuro un approfondimento, soprattutto perché la presa di posizione dei giudici d'Appello, cioè l'avere ritenuto «non dimostrata alcuna circostanza di fatto sopravvenuta tale da giustificare una significativa revisione» dell'assegno divorzile, «avrebbe richiesto una specifica ricognizione delle condizioni patrimoniali dell'uomo all'attualità, da porre a confronto con quelle esistenti nel 2013 per come valutate nel decreto di revisione che aveva determinato l'assegno nell'importo di 2.000 euro al mese». Invece, in secondo grado, ci si è limitati a riferire del «rilevante imponibile dichiarato dall'uomo nell'anno 2019, impropriamente comparandolo a quello risultante dalla sua dichiarazione dei redditi del 2017, senza operare il necessario confronto con le condizioni poste a fondamento nel 2013 della quantificazione dell'assegno nella misura contestata di 2.000 euro».

A certificare l'errore compiuto in Appello è, aggiungono i Giudici della Cassazione, «l'accento prevalente sulle condizioni di vita ed economiche della donna, persona di 70 anni e priva di altre fonti di reddito», condizioni ritenuti sufficienti per «giustificare l'attribuzione in suo favore dell'assegno di 2.000 euro», senza considerare che «l'oggetto del giudizio è la verifica della sopravvenienza di giusti motivi per la revisione delle condizioni di divorzio, all'esito del confronto tra le condizioni di uno dei (e di entrambi i) coniugi all'attualità rispetto a quelle esistenti all'epoca in cui l'assegno è stato attribuito e determinato».

Palese, quindi, «la falsa applicazione del parametro normativo che imponeva di valutare se le pur (in ipotesi) adeguate condizioni reddituali dell'uomo all'attualità fossero tuttavia meno elevate di quelle godute fino al 2013 e, di conseguenza, se sussistessero giusti motivi per disporre la revisione dell'assetto economico post divorzile, dovendosi valutare la sostenibilità dell'assegno in essere da parte dell'uomo all'attualità».

Questa valutazione è fondamentale, e dovrà ora essere compiuta dai giudici d'Appello, ai quali i magistrati della Cassazione affidano un approfondimento sulla vicenda prima di decidere sulla richiesta dell'uomo.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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