Avvocati stabiliti: i limiti all'esercizio della professione

Redazione Scientifica
08 Marzo 2022

L'avvocato comunitario può svolgere liberamente attività stragiudiziale in altro stato membro, mentre può esercitare il patrocinio in giudizio in maniera occasionale, previa comunicazione dell'assunzione dell'incarico al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati nel cui territorio ha operato, e a condizione che operi di concerto con un avvocato regolarmente abilitato all'esercizio della professione innanzi all'autorità adita.

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità dell'indagato ex art. 348 c.p., per avere quest'ultimo esercitato abusivamente la professione di avvocato, pur essendo stato definitivamente cancellato dall'albo speciale degli Avvocati Stabiliti. Nello specifico, il ricorrente assume di essere in possesso del titolo abilitativo rilasciato dall'Ordine Professionale Rumeno (BOTA), che gli consente di operare in tutti gli Stati dell'Unione Europea, in quanto valevole per l'iscrizione nella Sezione degli avvocati stabiliti.

Il ricorso è infondato. La Corte di cassazione, infatti, ha evidenziato come la disciplina di cui alla l. n. 31/1982, attuativa della direttiva comunitaria n. 77/249, stabilisce che l'avvocato comunitario può svolgere liberamente attività stragiudiziale in altro stato membro, mentre può esercitare il patrocinio in giudizio in maniera occasionale, previa comunicazione dell'assunzione dell'incarico al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati nel cui territorio ha operato, e a condizione che operi di concerto con un avvocato regolarmente abilitato all'esercizio della professione innanzi all'autorità adita.

A riguardo, la Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che commette il reato di esercizio abusivo di una professione il soggetto che spenda il titolo di avvocato ed apra in Italia uno studio legale, ancorché abilitato in uno stato membro dell'Unione Europea a esercitare la professione legale, se non abbia ottemperato alle condizioni normative previste dall'art. 2 l. n. 31/1982 - che, peraltro, gli consentirebbero di esercitare la professione in Italia con carattere di temporaneità e con espresso divieto di stabilire nel territorio della Repubblica uno "studio" - o se non abbia seguito il procedimento di cui al d.lgs. n. 115/1992 per il riconoscimento del titolo in Italia (Cass. pen., n. 715/1999).

Pertanto, ai fini della abilitazione all'esercizio dell'assistenza difensiva in un procedimento giurisdizionale davanti all'autorità giudiziaria italiana da parte di legale cittadino di uno stato membro dell'Unione Europea, «costituisce presupposto indispensabile la formale comunicazione prescritta dall'art. 9 l. n. 31/1982, diretta al presidente dell'ordine degli avvocati nella cui circoscrizione l'attività deve essere svolta, in difetto della quale il professionista - pur nominato difensore dell'imputato - non è abilitato a svolgere attività defensionale, dovendo, quindi, l'autorità procedente prescindere da tale nomina» (Cass. pen., n. 39199/2015).

Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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