Figlio minorenne autorizzato a trasferirsi lontano dal padre, se la madre ha più possibilità di trovare lavoro in un’altra città

Michol Fiorendi
11 Marzo 2022

Nella scelta del regime di visita, collocamento e trasferimento prescelto per il figlio minore il giudice deve ispirarsi al principio del best interest of child.
Massima

La tutela dell'interesse preminente del figlio minorenne a una crescita equilibrata nel rapporto con entrambi i genitori deve guidare il giudice nella scelta del relativo regime di affido, collocamento e visita. Questa garanzia resta, comunque, soddisfatta quando viene autorizzato il trasferimento del figlio minorenne presso il genitore collocatario; il riconoscimento della relazione con l'altro genitore troverà luogo nei contenuti ampliativi e nelle forme alternative dei tempi di frequentazione con il figlio rispetto a quelle godute nel passato.

Il caso

La vicenda oggetto di ricorso in Cassazione nasce dal diniego del Tribunale di Genova alla richiesta di autorizzazione al trasferimento di una madre intenzionata a effettuare il proprio cambio di residenza insieme a quello del figlio minorenne collocato presso di lei.

Contro questa decisione la signora propone reclamo: la Corte d'Appello di Genova lo accoglie, autorizzando il trasferimento del bambino, insieme alla madre, in una diversa città rispetto a quella in cui risiedevano insieme al padre.

I Giudici di seconde cure ritengono di dover accogliere la domanda di trasferimento della madre nel paese di origine di quest'ultima sulla base del fatto che il bambino nei primi tre anni di vita aveva vissuto con lei proprio in tale luogo, presso i nonni materni.

Inoltre, vi sono ulteriori fattori a supportare tale decisione: la tenera era del bambino che lo rende capace di adattamento, il fatto che la madre risulta essere quella maggiormente pregiudicata da una permanenza nella città dove non aveva parenti né legami e dove sarebbe in maggiore difficoltà nel trovarvi un lavoro, nonché il fatto che il padre, che già per oltre tre anni aveva vissuto lontano dalla compagna e dal figlio, tornerebbe in una situazione già vissuta in precedenza.

Il padre decide così di presentare ricorso in Cassazione lamentando la violazione dell'articolo 337-ter c.c. poichè il trasferimento della madre insieme al figlio avrebbe determinato l'impossibilità del bambino di crescere avendo costantemente accanto i genitori, escludendo il padre non collocatario dalla vita quotidiana del figlio e con conseguente violazione del principio della bigenitorialità.

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 4796 del 14 febbraio 2022 qui in commento, stabilisce che il Giudice possa autorizzare il trasferimento del figlio minorenne lontano dal padre se in un'altra città, o persino in un'altra regione, la madre abbia maggiori possibilità di trovare un lavoro, ritenendo corretto il bilanciamento degli interessi operato dai Giudici di merito perché tutelante il predetto interesse, strettamente correlato a quello della madre collocataria e determinante un sacrificio accettabile delle prerogative paterne.

La questione

Il diritto alla bigenitorialità del figlio minorenne prevale in ogni caso sugli interessi del genitore che avanza la domanda di trasferimento ovvero il giudice chiamato a decidere può effettuare un bilanciamento tra l'interesse del figlio, quello del genitore collocatario e quello del genitore non collocatario?

Le soluzioni giuridiche

Sul tema dell'autorizzazione al trasferimento del minorenne, è interessante analizzare un'altra pronuncia della Suprema Corte, con epilogo diverso, per provare a comprendere qual è la ratio che muove l'organo giudicante in fattispecie di questo tipo.

Con ordinanza n. 33608 dell'11 novembre 2021, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso di una madre a cui è stato negato, dai giudici di merito, il diritto fondamentale a trasferire all'estero la residenza propria e del figlio collocato presso di lei, in regime di affidamento condiviso.

A parere della signora il trasferimento in Romania avrebbe garantito il miglior interessedel bambino e il rapporto con il padre coaffidatario sarebbe stato preservato mediante una diversa modulazione del regime di frequentazione del figlio”.

La donna, dunque, non intendeva mettere in discussione l'affidamento condiviso, né rinunciare al collocamento del figlio presso di sé. La sua intenzione era quella di rimodulare il regime di incontri del figlio con il padre in vista di un loro eventuale trasferimento in Romania.

Di fronte a questa specifica situazione, la Cassazione ha stabilito che il diritto fondamentale della madre di trasferire la propria residenza all'estero deve essere bilanciato con due diritti fondamentali del figlio: quello di preservare la bigenitorialità (art. 30 Cost., art. 24 Carta di Nizza, art. 9, co. 3, Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989) e quello di conservare la stabilità di vita che esso ha in Italia, dove il bambino risulta essere ben integrato (art. 2 Cost.).

Di questo bilanciamento, di certo, l'interesse del bambino costituisce la stella polare, il metro di valutazione che i giudici devono utilizzare in tutte le fattispecie che riguardano i minori di età, in tutti i contesti che li coinvolgono (art. 3 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo).

In una prospettiva tipicamente giusprivatistica, peraltro, l'interesse del minorenne costituisce una clausola standard che permette al giudice, anche derogando la legge generale e astratta, di arrivare alla decisione più adatta per il singolo minorenne oggetto di tutela.

Il miglior interesse del bambino, difatti, non solo permette il bilanciamento di diritti e interessi contrapposti, ma limita anche diritti e libertà degli adulti che esercitano la responsabilità genitoriale, qualora il suo esercizio rechi danno al minorenne.

Il diritto del minorenne alla bigenitorialità, come si ricorda nell'ordinanza in commento, obbliga entrambi i genitori a garantire la presenza dell'altro nella vita del figlio, in modo da mantenere salde le relazioni affettive e garantire “una stabile consuetudine di vita”.

Da una parte, come osservato già dai giudici di merito, il trasferimento in Romania lederebbe significativamente il diritto alla bigenitorialità del figlio, dato che, di fatto, non sarebbe facilmente praticabile una diversa modulazione del regime di incontri con il genitore non collocatario e si finirebbe per compromettere il legame affettivo del bambino col padre, “con negativa incidenza sullo sviluppo psico-fisico del minore”.

E ancora, il miglior interesse del bambino pare minacciato dall'eventuale sradicamento dall'ambiente di vita (in Italia) in cui lo stesso è cresciuto ed è integrato. La sua integrazione nell'ambiente in cui vive, d'altronde, può ben essere considerata una figura rivelatrice del miglior interesse del minore, come tale in grado di razionalizzare l'applicazione della clausola generale stessa. Applicazione che ha, ad ogni modo, la propria ragione d'essere nell'attribuire stabilità ai rapporti genitoriali e sociali per un sano sviluppo della persona minore di età in conformità agli artt. 2, 30 e 31 Cost.

Una volta che i giudici hanno accertato che un eventuale trasferimento all'estero, al seguito della madre, non tutela in concreto il miglior interesse morale e materiale del figlio, l'esito non può che essere l'inammissibilità delle pretese materne, con conseguente limitazione del suo diritto fondamentale di spostare la residenza in Romania.

Questa ordinanza della Cassazione, invero, risulta interessante per lo specifico utilizzo che vien fatto della clausola generale dell'interesse del minorenne, che ancora una volta consente di razionalizzare il conflitto familiare esistente e, limitando la “vaghezza” della clausola generale, di tutelare in concreto il figlio minore di età.

La fortuna di questo dispositivo tecnico-giuridico, d'altra parte, sta proprio nella sua “neutralità”: l'indeterminatezza della nozione permette di essere adattata alle più disparate situazioni, mentre la sua neutralità gli consente di recepire i mutevoli valori sociali, nonché le diverse concezioni culturali e giuridiche di famiglia che si modificano nella realtà sociale.

Così la clausola generale del miglior interesse del minore finisce per essere un concetto liminale, che segna una zona indefinita fra dimensione concreta e diritto, naturale e cultura, soggettivo e oggettivo, regola ed eccezione: è allora all'uso di tale dispositivo da parte dei giudici che occorre fare attenzione, perchè in concreto si possa poi apprezzarne l'effettiva corrispondenza al pieno sviluppo della persona minore di età.

La valutazione dell'impatto delle soluzioni cui si giunge con l'interpretazione dell'interesse del minorenne può e deve variare a seconda del contesto familiare che si presenta, ma non può mai prescindere dalla prospettiva di tutela dello sviluppo della sua persona (art. 2 Cost.).

Sviluppo della persona che, nell'attuale fase di grande trasformazione del diritto di famiglia, comporta necessariamente una ridefinizione fra pubblico e privato.

L'ingerenza dello Stato nella sfera familiare non può che essere eccezionale, essendo garantito anche in Europa il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU; art. 7 Carta di Nizza).

Il rispetto del pubblico per il carattere privato dei contesti familiari mantiene, infatti, la funzionalizzazione delle comunità intermedie allo sviluppo della persona ereditata dalla c.d. costituzionalizzazione del diritto privato, e allo sviluppo del minore con specifico riferimento alle comunità familiari. Funzionalizzazione da cui deriva l'interesse pubblico a interferire nelle dinamiche familiari ogni qualvolta sia a rischio il benessere e, nello specifico, i diritti fondamentali di soggetti minorenni.

Se quindi il pubblico riconosce ai genitori il diritto-dovere (art. 30 Cost.) a mantenere, istruire ed educare i figli nel rispetto dei diritti fondamentali della persona (artt. 2, 3 e 117 Cost.), rispettandone la dimensione privata, esso può invece riespandere il proprio potere in tutti i casi in cui i figli minorenni sono maggiormente esposti alla lesione dei loro diritti fondamentali.

Osservazioni

Il nostro ordinamento prevede che la scelta della residenza abituale dei figli minorenni debba essere assunta dai genitori in modo condiviso.

Tale previsione è conforme alle convenzioni europee che, nella nozione di affidamento, includono la condivisione del luogo di residenza abituale dei figli, per essa intendendosi il luogo in cui questi hanno la sede prevalente dei loro interessi e affetti.

La determinazione della residenza abituale del bambino è ritenuta così importante che va assunta di comune accordo tra i genitori, anche in presenza di affido esclusivo a un solo genitore.

Ne consegue che, come previsto dall'art 337-ter c.c., in caso di disaccordo tra i genitori sulla residenza abituale dei figli minorenni, la scelta è rimessa al Giudice: ciò significa che non è ammessa la decisione unilaterale del singolo genitore di trasferirsi altrove con i figli.

Laddove, dunque, un genitore voglia andare con i figli a risiedere in altro luogo e l'altro si opponga a tale trasferimento, il primo potrà adire il Giudice al fine di ottenere la relativa autorizzazione.

Nella controversia, l'organo giudicante dovrà valutare e decidere tenendo esclusivamente in conto il preminente interesse del bambino a una crescita armonica e sana in cui sia pure garantito il concreto diritto alla bigenitorialità.

Il trasferimento dei figli minorenni stabilito unilateralmente da un genitore, senza il consenso dell'altro, integra un atto illecito con rilevanti conseguenze in danno dell'autore, tali da poter provocare anche una modifica del regime di affidamento (Trib. Milano, sez. IX civ., decreto 17 giugno 2014, Pres. Servetti, rel. G. Buffone).

Il genitore che subisce il trasferimento unilaterale continua a essere tutelato poichè il suddetto trasferimento non determina una modifica del principio della competenza territoriale, permanendo la potestas decidendi del Tribunale del luogo in cui il bambino viveva abitualmente (Cass. civ., sez. un., sentenza 28 maggio 2014 n. 11915).

Il principio vale per genitori sposati così come per le coppie di fatto.

Il trasferimento di residenza, tra genitori separati, è un problema frequente considerando il fatto che, molto spesso, la causa scatenante del trasferimento di residenza è proprio l'intervenuta separazione che potrebbe far nascere il desiderio di fare ritorno alla propria città d'origine.

Tuttavia, se vi sono figli minorenni, il trasferimento di residenza da una città all'altra di uno dei due genitori, e in modo particolare di quello presso il qual risiede il figlio minorenne, non solo è illecito, ma, in taluni casi, costituisce addirittura reato.

Ma quindi, concretamente, è possibile il trasferimento del figlio minorenne lontano dal genitore non convivente?

Alla luce di quanto fin qui considerato - al di là del caso specifico che oggi ci ha occupato e dell'analisi di un caso simile ma con un esito diverso - abbiamo potuto rilevare come la fortuna di questo dispositivo tecnico-giuridico stia proprio nella sua “vaghezza”, come l'indeterminatezza della nozione permetta di essere adattata alle più disparate situazioni concrete, mentre la sua neutralità gli consente di recepire i mutevoli valori sociali, nonché le diverse concezioni culturali e giuridiche di famiglia che si avvicendano nella realtà sociale.

Riferimenti

Di Masi, L'interesse del minore. Il principio e la clausola generale, Napoli, 2020;

M. R. Marella – G. Marini, Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia, Roma-Bari, 2014;

S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006.

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