Il condomino presente e votante non può fare valere come motivo di impugnativa la mancata convocazione di altri partecipanti

Adriana Nicoletti
09 Marzo 2022

La sentenza in commento ha confermato due principi che, in materia di impugnazione delle delibere assembleari, sembrano oramai più che consolidati. Ciascun condomino, nei limiti prescritti dalla legge, ha il diritto di contestare giudizialmente la validità di una delibera, ma non può dare voce a chi tale diritto non abbia voluto esercitare. La domanda di annullamento di una delibera non può essere accolta se l'interesse, anche ma non necessariamente economico, eventualmente spettante all'attore, sia obiettivamente minimo.
Massima

Il condomino regolarmente convocato non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, in quanto l'interesse a far valere un vizio che renda annullabile una deliberazione dell'assemblea non può ridursi al mero interesse alla rimozione dell'atto, ovvero ad un'astratta pretesa di sua assoluta conformità al modello legale, ma deve essere espressione di una sua posizione qualificata, diretta ad eliminare la situazione di obiettiva incertezza che quella delibera genera quanto all'esistenza dei diritti e degli obblighi da essa derivanti.

Il caso

Un condomino proponeva appello avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di impugnativa di una delibera assembleare di approvazione del bilancio consuntivo ordinario e del preventivo per l'anno successivo. L'appellante lamentava che il primo giudice non aveva preliminarmente verificato se tutti i condomini fossero stati correttamente convocati e, contestualmente, censurava la decisione per avere riconosciuto validità alla delibera che aveva posto a carico solo di parte dei condomini (tra i quali lo stesso impugnante) alcune voci di spesa, che si asseriva interessassero l'intera comunità.

Il condominio contestava la fondatezza dell'impugnazione e l'appello veniva rigettato.

La questione

Il Collegio è stato chiamato a dirimere due questioni che presentano caratteristiche differenti: da un lato accertare entro quali limiti sia contenuta la legittimazione del condomino nell'impugnazione della deliberazione assembleare e, dall'altro, verificare se per promuovere tale azione sia necessaria, in capo all'attore, la sussistenza di un interesse concreto.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice del gravame, con una motivazione più che sintetica, ha osservato che il condomino appellante aveva partecipato all'assemblea esprimendo il proprio voto, per cui nessuna lesione delle proprie prerogative poteva essere dallo stesso lamentata. Inoltre, non avendo l'attore sollevato doglianze in merito all'irregolarità della riunione per violazione della maggioranza, l'esame della posizione dei condomini che non avevano partecipato all'assemblea era del tutto superfluo e, in ogni caso, non poteva trovare spazio nell'azione. Solo questi ultimi, infatti, sono gli unici soggetti legittimati a dolersi di eventuali vizi della convocazione. Quanto al secondo motivo di impugnativa, la decisione della Corte territoriale non poteva che essere di rigetto dell'appello, considerata la situazione di fatto del tutto priva di interesse economico per l'attore medesimo.

Osservazioni

Il primo thema decidendum è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza, che si è sempre espressa in modo univoco, allorché ha escluso che un condomino possa impugnare una deliberazione assembleare per mancata convocazione di un altro condomino.

Secondo il disposto dell'art. 1137 c.c., legittimato all'impugnativa delle deliberazioni assembleari, contrarie alla legge o al regolamento di condominio, è ciascun condomino assente, dissenziente o astenuto ed il termine di decadenza, perentorio, per fare valere tale diritto è stato fissato in trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per contrari o astenuti, ovvero dalla data di ricezione del verbale per gli assenti.

L'art. 1137 c.c., norma di diritto sostanziale e che indica i titolari del diritto all'impugnazione della delibera assembleare, non può non essere coordinato con l'art. 81 c.p.c. secondo il quale fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui. Questa barriera trova, nello specifico, la sua ratio naturalenella volontà del legislatore di circoscrivere sostanzialmente l'area di azione solo a quegli specifici condomini che non abbiano preso parte alla riunione per libera scelta o per motivi legati ad irregolarità nella convocazione dell'assemblea oppure, se presenti, che abbiano espresso un voto negativo o ancora allorché abbiano assunto una posizione di non voto, non manifestando un'opposizione attiva ma mostrando, piuttosto, un'indecisione nell'esprimere la propria volontà.

A tali soggetti viene, quindi, data la possibilità di rivolgersi all'autorità giudiziaria per tutelare un diritto personale ed esclusivo derivanteda una deliberaassembleare approvata in violazione delle norme vigenti ed i cui effetti si riverberano esclusivamente nella propria sfera giuridica.

L'illegittimità di una delibera formalmente viziata, pertanto, non può che essere esaminata con riferimento a colui che ha proposto la domanda di annullamento, disattendendo motivi che coinvolgano quei soggetti che la stessa delibera non abbiano impugnato.

In passato, i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2014, n. 9082) si erano espressi in tal senso ed avevano affermato il principio di esclusività oggettiva dell'impugnativa, pur se la fattispecie concreta era parzialmente differente. Nella controversia, infatti, il condomino assente (e non presente e votante come nel nostro caso) aveva fatto valere il vizio di annullabilità della deliberazione per difetto di convocazione dell'assemblea nei confronti di altro condomino. In questo caso, era stato reclamato, quanto alla domanda di rimozione della delibera asseritamente viziata, un connesso interesse ad agire, avendo l'attore sostenuto che l'intervento anche di un solo condomino (e precisamente quello non convocato) avrebbe potuto modificare lo svolgimento della riunione assembleare ed influire anche sull'esito della votazione.

La Suprema Corte, peraltro, anche se la causa era stata incardinata prima dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012, aveva richiamato l'art. 66 disp. att. c.c. che, nella nuova formulazione, non ha fatto altro che precisare ed integrare il precedente testo chiarendo chi siano gli aventi diritto all'impugnativa di cui all'art. 1137 c.c. e, quindi, uniformando il dettato legislativo all'orientamento oramai granitico della giurisprudenza.

Da ricordare anche una decisione di merito di poco successiva (Trib. Napoli 20 gennaio 2015) che, richiamando una precedente pronuncia (Trib. Bari 29 maggio 2006) ed allineandosi al principio espresso dalla Corte, ha fondato il proprio convincimento sul disposto dell'art. 1441 c.c., che disciplina l'azione di annullamento di tutti gli atti negoziali, limitando la legittimazione attiva al soggetto che abbia un interesse, legalmente riconosciuto, ad ottenere l'accoglimento della domanda. Anche una delibera assembleare assume un carattere negoziale e questo avviene nel momento in cui tutti i condomini presenti in assemblea, nell'ambito della propria autonomia, dispongano dei propri diritti ed assumano delle obbligazioni (Cass. civ., sez. II, 23 agosto 2011, n. 17577), essendo dato di fatto pacifico che, quando il vizio sollevato consiste nel difetto di convocazione, si rientra naturalmente nell'ambito della deliberazione annullabile e non nulla (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806; Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839; Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 2021, n. 28854).

La Corte d'Appello capitolina si è pronunciata altrettanto correttamente sulla seconda questione posta dall'appellante ed ha negato che l'eventuale credito vantato dall'attore, ove mai fosse stata accolta la sua domanda, potesse essere considerato un motivo valido di impugnazione in considerazione della sua esiguità. In buona sostanza, il condomino non aveva alcun interesse ad impugnare la delibera assembleare.

Premesso che la questione non può essere mai oggetto di esame da parte del giudice del merito poiché rientra nelle attribuzioni dell'assemblea valutare l'entità e correttezza di una spesa comune, va evidenziato che, in via generale, è necessario sempre esaminare se l'attore abbia o meno l'interesse a procedere in via giudiziale.

L'interesse ad agire, disciplinato dall'art. 100 c.p.c., dal punto di vista processuale è stato configurato come condizione di ammissibilità della domanda o come condizione per la concessione della tutela, rappresentando lo stesso un requisito intrinseco della domanda ed essendo un elemento fondante anche dell'azione promossa ai sensi dell'art. 1137 c.c. Rispetto a questa, è stato affermato (Cass. civ., sez. II, 19 agosto 2020, n. 17294) che la legittimazione ad agire attribuita ai condomini assenti, dissenzienti ed astenuti non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. quale condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni. Si tratterebbe, quindi, di trovarsi di fronte a due condizioni che - come nel caso concreto – possono coesistere, ma che possono essere anche alternative.

Tornando alla decisione della Corte capitolina, occorre evidenziare come la doglianza della condomina sulla congruità dell'esborso approvato in sede assembleare sia stata rigettata con una motivazione che non può lasciare spazio ad ulteriori censure: l'eventuale vantaggio economico goduto dall'appellante in conseguenza dell'accoglimento della domanda, del tutto insignificante (€ 1,00), non poteva essere riconosciuto meritevole di tutela in quanto l'interesse del condomino era del tutto inesistente.

Giova su questo punto specifico evidenziare che, quanto alla necessità della sussistenza di un interesse effettivo e concreto all'impugnativa finalizzato all'esito favorevole del giudizio, l'orientamento giurisprudenza è mutato in senso restrittivo rispetto alla tendenza di ritenere non necessaria la prova di uno specifico interesse diverso da quello della rimozione dell'atto impugnato (Cass. civ., sez. II, 25 agosto 2005, n. 17276). Infatti, nel passato, per l'accoglimento della domanda era sufficiente che venisse accertata l'esistenza del vizio lamentato, anche se il condomino non aveva subìto alcun danno o, comunque, se si trattava di un danno del tutto marginale.

Successivamente la Corte di Cassazione, a varie riprese e con riferimento a questioni non necessariamente limitate al semplice interesse economico - come, ad esempio, nell'impugnativa di deliberazioni di contenuto generico o programmatico, v. Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2016, n. 10865 - ha affermato che l'interesse all'impugnazione di cui all'art. 1137 c.c. richiede che la delibera sia tale da determinare un mutamento della posizione del condomino nei confronti dell'ente condominiale. In particolare, infatti, è stato affermato che il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, che sussiste quando dalla deliberazione consegua un apprezzabile pregiudizio personale e patrimoniale (Cass. civ., sez. VI/II, 9 marzo 2017, n. 6128: fattispecie relativa alla ripartizione degli oneri di riscaldamento).

La sentenza della Corte d'Appello di Roma, pertanto, non ha potuto che uniformarsi a tali principi, considerato che il danno presunto era di esiguità tale da essere considerato inesistente.

Riferimenti

Marconi, Mancata convocazione del condomino, chi può impugnare la delibera? in Altalex.com, 17 giugno 2020;

Plagenza, La delibera condominiale preparatoria, programmatica, interlocutoria, in Altalex.com, 29 maggio 2019;

Celeste, L'interesse ad agire prima e durante il giudizio di impugnativa della delibera condominiale, in Condominioelocazione, 19 giugno 2018;

Celeste, Interessi del condomino non pretermesso tra diritti della minoranza e correttezza della dialettica assembleare, in Giur. merito, 2013, fasc. 9, 1774.

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