Incompatibilità del giudice che rigetta la messa alla prova: non fondata la questione di legittimità costituzionale

Redazione Scientifica
14 Marzo 2022

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento che ha rigettato la richiesta dell'imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova non possa partecipare al giudizio che prosegue nelle forme ordinarie.

Con due ordinanze di rimessione sostanzialmente analoghe, i Tribunali ordinari di Spoleto e di Palermo, dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento che ha rigettato la richiesta dell'imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova non possa partecipare al giudizio che prosegue nelle forme ordinarie.

La difesa statale, ripercorrendo l'evoluzione giurisprudenziale e legislativa della norma sottoposta a scrutinio, ricorda come la previsione dell'incompatibilità si renda costituzionalmente necessaria nel concorso di quattro condizioni:

  1. preesistenza di valutazioni che cadono sulla medesima res iudicanda;
  2. non basta a generare l'incompatibilità la semplice conoscenza di atti anteriormente compiuti, ma occorre che il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione di essi, strumentale all'assunzione di una decisione;
  3. tale decisione deve avere natura non “formale”, ma “di contenuto”: essa deve comportare, cioè, valutazioni che attengono al merito dell'ipotesi di accusa, e non già al mero svolgimento del processo;
  4. è necessario che la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento.

Sull'ultimo punto in particolare, la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere del tutto ragionevole che, all'interno di ciascuna delle fasi resti preservata l'esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere. In questi casi, «il provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice è già correttamente investito senza che ne possa essere spogliato» (sentenza n. 177/1996).

Ad avviso della Corte, valida o meno che sia la tesi dei rimettenti, questi non tengono conto di un particolare essenziale: che, cioè, «il provvedimento cui intenderebbero annettere efficacia pregiudicante si colloca, non già in una fase processuale precedente e distinta, ma nella stessa fase – quella dibattimentale – rispetto alla quale l'invocato effetto pregiudicante dovrebbe dispiegarsi; il che esclude in radice la configurabilità di una situazione di incompatibilità costituzionalmente necessaria».

Pertanto la Consulta, nel dichiarare non fondate le questioni in esame, ricorda come «del principio di non configurabilità di una incompatibilità “endofasica” questa Corte ha già fatto disparate applicazioni, anche rispetto a ipotesi del tutto analoghe a quella in esame».

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