La Cedu si è espressa sul principio del diritto al mantenimento dell'unità familiare

Attilio Mari
18 Marzo 2022

Il 20 gennaio scorso l'Italia è stata condannata dalla Cedu per violazione dell'art. 8, avendo dichiarato una minore adottabile, senza prendere in considerazione soluzioni diverse che avrebbero permesso di salvaguardare il suo rapporto con la madre, vittima di gravi maltrattamenti in famiglia.
Massima

Viola il diritto all'integrità della vita familiare enunciato dall'art.8, comma 1, Cedu la misura dell'autorità nazionale che abbia dato corso alla procedura di adozione di un minore in assenza di una adeguata istruttoria, comportante la necessità di una perizia che ponga il genitore naturale in condizione di contestare e dibattere le relative conclusioni.

Il caso

A seguito della presentazione di una denuncia per violenze domestiche subìte da parte del proprio convivente, una madre (donna di origine cubana) e la figlia minorenne, con decreto emesso il 19.9.2014 dal Tribunale per i minorenni di Brescia, erano state collocate presso una struttura residenziale di accoglienza.

In una prima relazione redatta dopo alcuni mesi, gli assistenti sociali della struttura si erano espressi positivamente sul comportamento della donna, che aveva partecipato alle attività e ai corsi della struttura medesima e aveva trovato una collocazione lavorativa, nel frattempo chiudendo definitivamente la relazione sentimentale con il precedente compagno.

In due relazioni redatte dopo circa un anno dall'ingresso nella comunità, gli assistenti sociali della struttura avevano peraltro segnalato alcune criticità nel comportamento della madre in ordine alle modalità educative tenute nei confronti della figlia; con una successiva relazione del 27.8.2015, gli stessi operatori avevano riportato delle informazioni fornite da altri due ospiti della struttura, che avevano riferito di avere avuto rapporti sessuali con la donna anche in presenza della figlia, ritenendo pertanto che non fosse più possibile proseguire nell'accoglienza.

Con ricorso presentato il 3.9.2015, il p.m. aveva chiesto la sospensione della responsabilità genitoriale della madre e l'avvio di una procedura di adozione nei confronti della minore; nella relazione resa dai servizi sociali il 1.10.2015, gli stessi avevano sottolineato come la madre frequentasse altri uomini e che il suo comportamento denotava una complessiva incapacità di pianificare progetti adeguati per la propria vita familiare e per quella della figlia; nel corso dello svolgimento di tale attività istruttoria, la madre aveva presentato delle memorie difensive nella quali aveva – tra l'altro – chiesto l'espletamento di una CTU al fine di verificare le proprie capacità genitoriali e lo stato di salute psichica della figlia.

Con sentenza del 15.12.2015, il Tribunale per i minorenni di Brescia aveva dichiarato lo stato di adottabilità della minore, disponendone l'affidamento preadottivo e sospendendo gli incontri tra la bambina e i suoi genitori; in motivazione, si rilevava come la madre non fosse nelle condizioni per recuperare le proprie responsabilità genitoriali in considerazione, tra l'altro, di uno stile di vita instabile dal punto di vista sentimentale, facendo anche riferimenti a comportamenti “sessualizzati” della minore da ritenere riconducibili a comportamenti tenuti dalla genitrice.

Il 10.3.2016, la madre aveva proposto appello avverso la sentenza, reiterando nell'atto di impugnazione la propria richiesta di espletamento di una perizia, ritenendo come tale mezzo di prova si sarebbe reso necessario in considerazione – tra l'altro – del riferimento, operato dal Tribunale, a comportamenti sessualizzati dalla minore; con sentenza del 1.7.2016, la Corte d'appello di Brescia aveva rigettato l'impugnazione, ritenendo superfluo l'espletamento di una CTU in considerazione del lungo periodo di osservazione del comportamento delle parti compiuto tramite i servizi sociali nonché della autonoma e completa istruttoria operata dal Tribunale.

In data 30.9.2016, la madre aveva presentato ricorso per cassazione lamentando il mancato espletamento di una CTU e l'erroneità del giudizio espresso dai giudici di merito sulla propria capacità genitoriale; con sentenza del 12.2.2019, la Corte aveva quindi rigettato il ricorso, ritenendo che la decisione impugnata – pur in assenza dell'espletamento di una perizia – fosse stata adeguatamente motivata, sottolineando come la stessa fosse stata emessa sulla base di un'istruttoria da ritenere adeguata e completa.

La madre e la figlia avevano quindi presentato ricorso presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, lamentando la violazione dell'art. 8 Cedu in materia di diritto al rispetto della vita familiare, sostenendo che i motivi addotti dai giudici nazionali per dichiarare lo stato di adottabilità della minore non corrispondevano a circostanze tali da giustificare una rottura del rapporto tra le parti e che i giudici stessi non avevano adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili al fine di mantenere il legame familiare, sottolineando in modo particolare come la dichiarazione di adottabilità fosse stata disposta in assenza di espletamento di una perizia sullo stato psicologico delle due ricorrenti.

La questione

La questione sottoposta all'esame dei giudici europei riguarda l'eventuale violazione, da parte dello Stato italiano, del parametro rappresentato dall'art.8 Cedu in tema di diritto al rispetto della vita privata e familiare; con particolare riguardo ai limiti stabiliti dal secondo comma in ordine ai presupposti che giustificano un'ingerenza da parte dell'autorità nazionale e che sono rappresentati dal rispetto del principio di legalità, dal perseguimento di scopi legittimi e dalla necessità della ingerenza medesima nell'ambito di una società democratica; presupposti, a propria volta, da valutare in riferimento al bilanciamento di tali interessi con quello al mantenimento del legame familiare, con la conseguenza che solo circostanze del tutto eccezionali possono giustificare la rottura del rapporto medesimo.

Nel caso di specie, sulla base della prospettazione delle ricorrenti, le autorità nazionali non avevano adottato tutte le misure necessarie ed adeguate al fine di garantire la prosecuzione del legame tra la minore e la madre; rilevando come gli organi giurisdizionali avessero adottato una misura drastica quale l'affidamento preadottivo della minore in assenza di circostanze qualificabili come eccezionali, in luogo di adottare misure appropriate che avrebbero consentito di preservare il legale familiare e sottolineando – altresì – come tale decisione fosse stata presa sulla base delle sole relazioni dei servizi sociali in assenza dell'espletamento di una perizia sulle capacità genitoriali della madre e sulla salute psichica della figlia.

Le soluzioni giuridiche

Nell'esaminare la fattispecie concreta in esame, la Corte prende le mosse dai consolidati principi elaborati dalla propria giurisprudenza in punto di interpretazione dell'art. 8 Cedu, con espresso rinvio alle motivazioni della sentenza resa nel caso Strand Lobben c. Norvegia, n. 37283/2013, 10 settembre 2019.

In tale pronuncia, la Corte aveva rilevato come il legame tra genitore e figlio costituisse un valore da intendersi direttamente tutelato dall'art.8, comma 1, Cedu e come quindi – da un lato - qualsiasi ingerenza nell'esercizio di tale diritto potesse ritenersi giustificata solo sulla base dei richiamati presupposti previsti nel comma 2, ovvero il rispetto del principio di legalità, il perseguimento di scopi legittimi e la necessità dell'intervento in riferimento ai valori propri di una società democratica (tra le altre, in questo senso, K. e T. c. Finlandia, n. 25702/1994, 12 luglio 2001); rilevando altresì come il diritto di genitore e figli di stare insieme costituisca un valore direttamente garantito dallo stesso art. 8 (Barnea e Caldararu c. Italia, 37931/2015, 22 giugno 2017).

In riferimento a tale postulato, devono quindi ritenersi coerenti i principi, pure richiamati dalla Corte, in forza dei quali – nell'ipotesi in cui si dia luogo a un'ingerenza nel legame familiare e sempre nel rispetto dei suddetti presupposti – l'autorità pubblica ha comunque il dovere di adottare delle misure finalizzate in ogni caso ad agevolare il ricongiungimento della famiglia (principio che comporta la necessità di motivare adeguatamente sulla esclusione di soluzioni meno radicali, Kutzner c. Germania n. 46544/1999, 16 settembre 2010), dovendosi comunque tenere conto, sulla base di principi pure consolidati nella giurisprudenza della Corte, dell'interesse del minore, il quale deve considerarsi assoluto e prevalente (Gnahoré c. Francia, n.40031/1998, 19 settembre 2000; Jeunesse c. Paesi Bassi, 12738/2010, 3 ottobre 2014).

Ne consegue quindi che, nell'adozione delle misure che si ingeriscano nella vita familiare e che siano quindi idonee a determinare la rottura del legame genitoriale, è necessario che le autorità nazionali garantiscano un adeguato equilibrio di tutti gli interessi in valutazione, sempre considerando che – in caso di interessi confliggenti tra genitori e figli – è necessario comunque attribuire prevalenza a quello del minore, in quanto, tra i principi desumibili dall'art. 8 della Convenzione, vi è anche quello in forza del quale non può essere consentito al genitore di adottare misure pregiudizievoli per il figlio (Neulinger e Shuruk c. Svizzera, n.4165/2007, 6 luglio 2010); fermo peraltro restando che la sola circostanza che un minore possa essere accolto in un ambiente più favorevole alla sua educazione non può, di per sé sola, giustificare la sottrazione ai genitori biologici (K. e T. c. Finlandia, sopra citata).

Dall'enunciazione di tali principi, ne consegue quindi che l'adozione di misure drastiche – quali la privazione della responsabilità genitoriale e l'apertura di un procedimento di adozione – può essere giustificata solamente in circostanze eccezionali e unicamente qualora sia effettivamente venuta meno qualsiasi reale prospettiva di reinserimento o di riunificazione della famiglia (R. e H. c. Regno Unito, n.35348/2006, 31 maggio 2011).

Nell'applicare il complesso di tali presupposti al caso di specie, la Corte ha evidenziato come dovesse sottolinearsi, in primo luogo, la circostanza in base alla quale – dagli atti dei procedimenti celebrati di fronte ai giudici nazionali – non vi fosse alcuna prova che la minore fosse stata sottoposta a situazioni di maltrattamento oppure ad abusi sessuali e che nemmeno erano state accertate carenze nel rapporto affettivo tra la stessa minore e la genitrice.

La Corte ha quindi ritenuto che, anche in considerazione della sussistenza di problematicità non involgenti le suddette circostanze e invece strettamente relative alla capacità della ricorrente di esercitare il proprio ruolo genitoriale, un giudizio negativo sul punto avrebbe necessitato di una “valutazione seria e scrupolosa” (par. 83 della sentenza) che, nel caso di specie, è stata ritenuta carente.

Nel giungere a tali conclusioni, la Corte ha richiamato un precedente relativo ad altro giudizio incardinato nei confronti dello Stato Italiano (Akinnibosun c. Italia, n. 9056/2014, 16 luglio 2015), nell'ambito del quale era stato sottolineato come una valutazione di incapacità nell'esercizio del ruolo genitoriale debba orientativamente essere preceduta dall'espletamento di una perizia, le cui conclusioni possano essere contestate e dibattute tra le parti nel rispetto del diritto al contraddittorio; sistema da ritenersi coerente con il complesso dei valori della Convenzione, pure nella discrezionalità delle autorità interne in ordine alla concreta necessità di un accertamento di tipo tecnico.

Ne consegue che, nel caso di specie, in assenza di espletamento di una perizia sulle capacità genitoriali e sullo stato psicologico della minore, il provvedimento che ha disposto l'affidamento preadottivo – in assenza di una concreta è soddisfacente valutazione in ordine all'adeguatezza di altre misure – è stato emesso senza che alla madre fosse stato concesso compiutamente di discutere e contestare le conclusioni dei servizi sociali, nonostante la richiesta presentata in tal senso di fronte alla giurisdizione nazionale; passaggio della motivazione nel quale la Corte, nel contestare le conclusioni rassegnate dal Governo italiano, ha radicalmente escluso che il solo espletamento di una perizia potesse comportare il rischio di una vittimizzazione secondaria della minore.

La Corte ha quindi concluso che le motivazioni poste dai giudici interni alla base dell'affidamento preadottivo fossero insufficienti ed inadeguate, non essendo stata fornita dimostrazione del fatto che tale opzione fosse effettivamente la più appropriata tanto in relazione alla necessità di tutelare l'unità del nucleo familiare quanto in relazione alla rispondenza rispetto all'interesse superiore del minore.

Osservazioni

La decisione in commento si pone in dichiarata linea di continuità con i principi costantemente espressi dalla giurisprudenza della Corte in relazione ai corollari del diritto fondamentale al rispetto della vita familiare enunciato nell'art.8, comma 1, Cedu (con espresso richiamo alla motivazione della sentenza emessa nel caso Strand Lobben c. Norvegia, sopra citata).

Viene quindi ribadito il principio in base al quale la misura statale finalizzata alla interruzione, temporanea o definitiva, del legame familiare deve avere carattere del tutto eccezionale, in considerazione della connotazione assoluta del diritto al mantenimento del rapporto tra genitore e figlio; a propria volta, peraltro, da contemperare con la necessità di garantire il rispetto dell'interesse superiore del minore.

Per l'effetto, in considerazione del carattere assoluto delle predette situazioni giuridiche soggettive nonché del potenziale contrasto tra le stesse, viene ulteriormente enunciato il principio in base al quale le autorità nazionali devono assicurare il “giusto equilibrio” tra gli interessi esaminati, con la conseguente necessità del rispetto del principio di proporzionalità; dal quale discende che la rottura definitiva del legame tra genitore e figlio non può che essere disposta nel solo caso di situazioni realmente non reversibili.

Di specifico interesse sono peraltro i passaggi della motivazione nei quali la Corte stabilisce che – in considerazione della complessità degli interessi da contemperare – è necessario che le autorità nazionali predispongano delle adeguate garanzie procedurali al fine di meglio valutare le conflittualità familiari e le modalità per la tutela dei rispettivi diritti soggettivi, garanzie tra cui rientrano quindi quelle dell'effettività del contraddittorio, dell'ascolto del minore qualora ritenuto utile e dell'adeguatezza dell'istruttoria; principi di carattere processuale che interferiscono con le situazioni soggettive tutelate dall'art. 6 Cedu in punto di diritto ad un processo equo e nel cui ambito assume particolare rilievo il riferimento alla tendenziale necessità – ogni qual volta debbano essere valutate le condizioni psicologiche di un minore nonché l'adeguatezza dell'adulto in relazione alla capacità genitoriale – dell'espletamento di una perizia (che deve a propria volta fornire adeguate garanzie di imparzialità, Bondavalle c. Italia, 35332/2012, 17 novembre 2015), svolta con modalità tali da porre le parti nelle condizioni di contestare e dibattere in contraddittorio le relative conclusioni (principi, significativamente, enunciati dalla Corte in varie pronunce rese in altri procedimenti contro lo Stato italiano, Akinnibosun c. Italia, 9056/2014, 16 luglio 2015, sopra citata; Cincimino c. Italia, 68884/2013, 28 aprile 2016; Solarino c. Italia, 76171/2013, 9 febbraio 2017); con la conseguenza che la carenza di tali garanzie procedurali è idonea a inficiare la motivazione del provvedimento, specificamente nel caso in cui lo stesso abbia fatto venire meno il rapporto genitoriale.

In tale quadro, la Corte ha quindi affermato come una valutazione di inadeguatezza della sussistenza della capacità genitoriale – in particolare modo nei casi, come quello di specie, in cui non vi sia prova della sottoposizione del minore ad abusi o a violenze – non può che essere affermata sulla base di una completa istruttoria, a propria volta comportante la necessità di un compiuto ed imparziale accertamento peritale.

Guida all'approfondimento
  • Bartole, De Sena, Zagrebelsky, Commentario breve alla convenzione europea dei diritti dell'uomo, Cedam,2012;
  • Beltrani (a cura di), La convenzione europea dei diritti dell'uomo, Giappichelli, 2022;
  • Tomasi, La famiglia nella Convenzione europea dei diritti umani, gli artt. 8 e 14 CEDU, in Questione giustizia, 2, 2019;
  • Zagrebelsky, Chenal, Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Il Mulino, 2016.

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