Incostituzionale il regime sanzionatorio per favoreggiamento dell'immigrazione mediante aereo di linea e falsi documenti

21 Marzo 2022

La pena aggravata da 5 a 15 anni, una cornice edittale così estesa, trova la sua ragion d'essere e fondamento ultimo nella tutela del migrante. Dunque è irragionevole applicarla a forme di solidarietà, se mira, quale forte deterrente, ad elevare un presidio contro il traffico internazionale di migranti, inserito in un fitta rete in mano a organizzazioni criminali per i loro ingenti profitti migranti (migrant smuggling).
Premessa

La pena aggravata da 5 a 15 anni, una cornice edittale così estesa, trova la sua ragion d'essere e fondamento ultimo nella tutela del migrante. Dunque è irragionevole applicarla a forme di solidarietà, se mira, quale forte deterrente, ad elevare un presidio contro il traffico internazionale di migranti, inserito in un fitta rete in mano a organizzazioni criminali per i loro ingenti profitti migranti (migrant smuggling).

Così statuendo, i giudici delle leggi segnano un confine divisorio, nel trattamento: quelle pene si attestano come del tutto sproporzionate rispetto a situazioni distinte e distanti da quella appena tratteggiata nelle quali non figura alcun coinvolgimento in tali oscure organizzazioni.

Ne discende che per quest'ultimi fatti dovrà applicarsi il regime previsto «con la più contenuta pena della reclusione da uno a cinque anni prevista dal primo comma dell'art. 12 del Testo unico, in concorso con quella prevista per il reato di utilizzazione di documenti falsi».

I capisaldi della sentenza Corte. cost. n. 63 del 10 marzo 2022

La questione circa l'illegittimità dell'art. 12 TUI è stata sollevata dal Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di E. K.K. (con ordinanza 1° dicembre 2020, iscritta al n. 92) e dichiarata fondata dalla Corte costituzionale adita: il primo procedimento riguardava il caso di una donna nigeriana che aveva imbarcato su un aereo di linea la figlia e la nipote (di tredici e otto anni), per consentirne l'ingresso in Italia, avvalendosi, per tale scopo (solo per quello), di documenti attestanti falsamente la nazionalità senegalese.

Al riguardo la Corte precisa che: «Il rimettente osserva anzitutto che, per effetto delle circostanze denunciate, la pena detentiva prevista per la fattispecie base (reclusione da uno a cinque anni) viene quintuplicata nel minimo e triplicata nel massimo, pervenendosi così a una cornice edittale che va da cinque a quindici anni di reclusione, cui si aggiunge una pena pecuniaria di ingente entità».

Segnatamente la Consulta, in primo luogo, quanto alla ratio legis della norma, osserva che «il reato di favoreggiamento dell'immigrazione – punito nella forma base con la reclusione da uno a cinque anni – è funzionale al controllo dei flussi migratori e, quindi, alla tutela di interessi pubblici di grande rilievo, come gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse limitate del sistema di sicurezza sociale, l'ordine e la sicurezza pubblica». In secondo luogo, opera un passaggio decisivo, ma anche predittivo, di tutta la successiva impostazione della sentenza affermando che, diversamente, le ipotesi aggravate della previsione, trattate con pene assai più severe, sono rivolte «a tutela – oltre che del controllo dei flussi migratori – degli interessi del migrante, che in queste ipotesi è la “vittima” del reato».

Rileva, così, la finalità della condotta: il giudice delle leggi distingue l'ipotesi in cui essa è accompagnata dallo scopo di lucro – favoreggiamento dell'immigrazione irregolare a scopo di lucro (cd. smugglers of migrants) – o meno oppure guidata solo da una rapporto di filiazione o di strettissima appartenenza parentale, esulante quindi da complessi e intensi intrecci economici tipici del cd. traffico di migranti (migrant smuggling, mentre human trafficking è riferibile alla tratta di esseri umani) (per Cass. pen., sez. I, 18 giugno 2013, n. 26457, Pres. Giordano, è reato a dolo specifico, consistente nella necessità della sussistenza in capo all'agente del fine di trare un profitto ingiusto dalla permanenza, nello Stato di migranti irregolari).

Puntualizza, significativamente, al riguardo la Corte costituzionale che «né l'una né l'altra delle condotte ora all'esame, allorché compiute senza scopo di lucro, sono plausibilmente indicative del coinvolgimento dell'agente in un'attività di traffico internazionale di migranti, risultando per contro ordinariamente compatibili con situazioni in cui lo straniero venga aiutato a entrare illegalmente in Italia per finalità assai lontane da quelle del traffico internazionale: ciò su cui già aveva posto l'accento la sentenza n. 311/2011. Situazioni, quest'ultime, emblematicamente esemplificate dal caso oggetto del procedimento a quo, che vede come protagonista una donna imputata di avere illegittimamente accompagnato in Italia la figlia e la nipote, entrambe minorenni».

Ora la fattispecie sub iudice si attesta, all'esame, come assai distinta e distante dai suddetti quadranti di reato e, in ogni caso, (la vicenda) non appare tale da giustificare una pena edittale elevata.

Chiara (quasi discorsiva) la tessitura della decisione (o protodecisione, quando fissa i capisaldi): «da un lato, chi utilizza un mezzo di trasporto internazionale, come un aereo di linea, deve necessariamente sottoporsi a tutti gli ordinari controlli di frontiera, che rendono più facile identificare gli stranieri privi di autorizzazione all'ingresso nel territorio italiano; dall'altro, è vero che usare un documento falso significa aver commesso un reato per procurarselo, ma i reati di falsità documentale sono ordinariamente puniti, nell'ordinamento italiano, con pene di gran lunga inferiori a quella prevista per il favoreggiamento aggravato» (analogamente, v. Corte di giustizia dell'Unione europea, Grande sezione, 18 gennaio 2022 – Causa C-118/20).

Sequitur: «le elevatissime pene stabilite per le ipotesi aggravate di favoreggiamento dell'immigrazione si possono ragionevolmente spiegare solo in chiave di contrasto al traffico internazionale di migranti, gestito da organizzazioni criminali che ricavano da questa attività ingenti profitti, ma sono evidentemente sproporzionate rispetto a situazioni diverse, nelle quali non risulta alcun coinvolgimento in tali organizzazioni».

L'orizzonte dell'analisi, solcata anche in qualche tratto da tensione narrativa, impone una sola conclusione: tutti i fatti ricompresi, per similitudine o sovrapponibili, a quello oggetto di disamina dovranno essere assoggettati, quanto al regime punitivo, «con la più contenuta pena della reclusione da uno a cinque anni prevista dal primo comma dell'art. 12 del Testo unico, in concorso con quella prevista per il reato di utilizzazione di documenti falsi».

Il dedotto vulnus, “ventilato" incidentalmente dal Tribunale di Bologna (che, tecnicamente, "dubita" della legittimità costituzionale della legge e sospende il procedimento principale per l'individuata questione, dum pendet) e adesivamente "accertato" dalla Corte (che scrive) «può essere rimosso mediante la semplice ablazione dall'art. 12, comma 3, lett. d), TU immigrazione del frammento di disposizione che è oggetto delle censure del rimettente».

Queste sequenze, quoad effectum (in ordine all'inserita ablazione) conducono ad una sorta di obbligata vis attractiva, residuale, più che piana e lineare: «i fatti di aiuto all'immigrazione clandestina commessi utilizzando servizi internazionali di trasporto, ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti, ricadranno naturalmente entro la previsione normativa di cui al comma 1, soggiacendo alla cornice sanzionatoria ivi prevista, salvo che non siano applicabili altre aggravanti previste dall'art. 12»: «conseguentemente, la disposizione all'esame deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima limitatamente alle parole “o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti"».

Per cui la Consulta «dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 3, lett. d), d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), limitatamente alle parole "o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti"» (Corte cost., 10 marzo 2022, n. 63).

Vizi della decisione impugnata (eccesso di potere per "tipo l'autore")

Le norme coinvolte nella questione sono due (una “semplice”, l'altra aggravata), pervenendosi (si anticipa), in esito al giudizio di costituzionalità, alla reductio ad unum, in via interpretativa (contando la posizione della vittima), “per assorbimento" al vertice normativo o per traslazione dispositiva:

  1. il comma 1 dell'art. 12 TUI (Disposizioni contro le immigrazioni clandestine) reprime e punisce, con (la pena del) la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona, la condotta plurima di chi «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato»;
  2. il comma 3 della stessa disposizione - che nell'incipit riproduce pedissequamente il quadrante della norma d'esordio del comma 1, addizionandolo di una pena “ gigantesca “ o comunque smisurata, pari alla « reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona » - incrimina o aggrava (nel filtro di Cass., sez. un., 24 settembre 2018, n. 40982, le fattispecie previste nell'art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo e non autonome previsioni di reato) l'idem factum « commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti ».

Nel telaio del legislatore la figura di reato si sdoppia e il fatto si rivaluta “per accrescimento" in antitate.

L'errore repressivo del legislatore (quando incrimina un fatto/aggrava la sua pena), che pretende di gestire flussi continentali di immigrati (che sta caratterizzando una intera era per le sue dimensioni globali), a volte definiti biblici, con le inadeguate categorie delle deterrenza penalistica, è vistoso: «le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono, infatti, nella tutela penale, ben potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni: l'incriminazione costituisce anzi un'extrema ratio, cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l'assenza o l'inadeguatezza di altri mezzi di tutela» (Corte cost., 18 gennaio 2022, n. 8, Presidente Coraggio), ciò è vero (cd. canone di sussidiarietà/residualità) se si tiene presente l'insegnamento apparso, in precedenza, della Cassazione quando avvisa che quello dell'immigrazione è un fenomeno di natura umanitaria, sociale, di sicurezza.

La decisione n. 63/2022 sottende una linea politematica o multifattoriale (per Cass., n. 39552/2017 bisogna seguire la prospettiva del bilanciamento tra l'interesse generale alla sicurezza sociale e quello del singolo alla vita familiare) che fa emergere, prepotentemente, una cifra edittale manifestamente sproporzionata: la forbice della pena da 5 a 15 anni di reclusione, prevista dal TUI, per chi abbia semplicemente “ aiutato “ qualcuno a fare ingresso illegale nel suolo italiano utilizzando un aereo di linea e documenti fraudolenti, specie quando l'autentica volontà non vuole essere apertamente antidoverosa ma di intima protezione familiare, fidando del fatto che l'Italia si proclama anche Paese di accoglienza. Fermo restando che l'immigrazione richiede forme di controllo alle frontiere, immancabilmente, quale irrinunciabile prerogativa dello Stato.

Quando il cittadino extacomunitario diventa "tipo d'autore" (M. Donini) possono aversi queste "degenerazioni" penalistiche o trattamenti in malam partem, a cui la stessa Corte costituzionale ha reagito almeno fin dal 2007, segnata dalla decisione n. 78 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di talune disposizioni dell'ordinamento penitenziario ove interpretate «nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno sia in ogni caso precluso l'accesso alle misure alternative previste».

Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria Concluso a New York il 15 novembre 2000 - Approvato dall'Assemblea federale il 23 giugno 2006

La questione affrontata trova regolamentazione anche nel Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria Concluso a New York il 15 novembre 2000 - Approvato dall'Assemblea federale il 23 giugno 2006(Campo d'applicazione 18 febbraio 2021) che in tre articoli (4-5-6) fissa segmenti normativi utili ai nostri fini ricostruttivi, e di controllo della fattispecie: art. 4 (Ambito di applicazione), che delimita (una sorta di numerus clausus) la sfera di appartenenza regolativa del Protocollo (vale quindi, e specialmente, per quanto esclude o emargina), ristretto ai casi in cui i reati ex art. 6 (Penalizzazione, lett. a), traffico di migranti), «sono di natura transnazionale e coinvolgono un gruppo criminale organizzato, nonché alla protezione dei diritti dei migranti»; art. 5 (Responsabilità penale dei migranti), espressione di una clausola di esenzione, scandita e non incidentalmente ma inserita, dettata e cristallizzata in un articolo del tutto autonomo: «I migranti non diventano assoggettati all'azione penale fondata sul presente Protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all'articolo 6». Si tratta di uno “scudo processuale", all'interno del quale il migrante, quale soggetto passivo e vittima, non può essere assoggettato all'azione penale, al suo esercizio da parte della magistratura requirente (eo magis, scudo procedimentale in retrodizione: neppure sottoponibile alle indagini preliminari, che gli sarebbero personalmente nocive e di inutile pregiudizio, procedimentalmente e “istituzionalmente" ingiustificabili);art. 66 (Penalizzazione), fissa una condizione espressa affinché una condotta materiale integri reato, in difetto della quale questo, giuridicamente, "non sussiste": «quando l'atto è commesso intenzionalmente e al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale» (il corsivo è nostro). Mancando a locupletazione, per la donna-madre nigeriana accusata di aver fatto sbarcare in Italia (Paese di accoglienza, ma per Cons. St. 21/3886 il veto al reingresso dello straniero dura 15 anni, oltre l'ostracismo dell'antica Atene del 5° sec. a.C., C. Morselli) figlia e nipote residua l'unica ipotesi plausibile e credibile: apprezzabili finalità etiche rette da motivi umanitari (G. Travaglino).

Interrogativi

Quanto precede, però, suscita e lascia sul terreno insormontabili interrogativi: l'estesa imputazione contro la donna, che si è presa cura di due bambine, è veramente pesante, come indica il testo della decisione della Consulta: «In base alla prospettazione risultante dall'imputazione, tale condotta integrerebbe il delitto di cui all'art. 12, comma 1, TU immigrazione, aggravato ai sensi del successivo comma 3, lett. d), in concorso con il delitto di possesso e fabbricazione di documenti falsi di cui all'art. 497-bis c.p.». Al riguardo, l'art. 10, comma 4, del d.l. 27 luglio 2005, n. 144 (cd. Decreto Pisanu), convertito, con modificazioni, nella l. 31 luglio 2005, n. 155 ha introdotto la nuova fattispecie di reato prevista dall'art. 497-bis c.p. (ricompreso nella categoria dei delitti contro la fede pubblica), che punisce «Chiunque è trovato in possesso di un documento falso valido per l'espatrio…con la reclusione da due a cinque anni». [comma modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b-bis), d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 aprile 2015, n. 43] (sull'espressione «trovato in possesso», v. Cass., n. 17944/2014; per Cass., sez. I, 9 febbraio 2012, n. 5061, il possesso di una carta d'identità contraffatta integra il delitto previsto dall'art. 497-bis c.p. solo se il documento contenga la clausola di validità per l'espatrio).

Tale norma è stata introdotta per una maggiore tutela in materia di immigrazione e, dall'altro, in applicazione della Convenzione (16 maggio 2005, sottoscritta dall'Italia nel giugno 2005, successivamente, è entrata in vigore nel febbraio del 2008 e in data 30 luglio 2010 è stata approvata la n. 108/2010 di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani) del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani del 16 maggio 2005 (art. 20 Convenzione: «Ciascuna delle Parti adotta le misure legislative, e le altre misure necessarie, per definire reati i seguenti atti, se intenzionalmente commessi allo scopo di rendere possibile la tratta di esseri umani») (falsità esclusa dallo stato di necessità, ai sensi dell'art. 54 c.p.: assoluzione, di una intera famiglia curda, da parte del Trib. Bari, sent. n. 2921,11 gennaio 2021).

In giurisprudenza, esemplificativamente si consideri che «è riconosciuto in via cautelare il diritto soggettivo dello straniero padre di un minore di pochi mesi di vita a ottenere il permesso di soggiorno per cure mediche, benché egli sia sprovvisto di passaporto e copertura assicurativa». Infatti, il diritto fondamentale del padre alla tutela del suo nucleo familiare e ad esercitare le sue funzioni genitoriali trova tutela proprio nel combinato disposto dell'art. 19, comma 2, lett. b) TUI e dell'art. 28 d.P.R. n. 394/1999, di fronte al quale le politiche dirette a contrastare l'immigrazione irregolare sono recessive. Inoltre, ai fini del ricevimento dell'istanza, la normativa di settore esige che il richiedente dimostri documentalmente il rapporto di filiazione e di convivenza col minore e la madre, ma non il possesso di un documento di identità o di copertura assicurativa.

Bene ha fatto la Corte costituzionale a riequilibrare il sistema penale, nel versante “inclinato" dell'immigrazione, recidendo la gigantesca distorsione rilevabile ad occhio nudo.

In conclusione

Riteniamo che la Corte costituzionale motivando la sua decisione con l'esigenza di sottrarre l'ordinamento italiano a un trattamento sanzionatorio elevato nella misura della pena (detentiva) per un reato che risulta aggravato – il legislatore ha inasprito la pena rispetto a quella base – e riferibile a fattispecie molto “caratterizzate" nel versante del disvalore criminale che lasciano nel terreno una cifra preoccupante per l'ordine pubblico, abbia inteso compiere due operazioni. Se quell'aggravamento, in un disegno indistinto, non può trovare posto per la vittima del reato (la ratio della norma è bivalente: punire i responsabili, proteggere la vittima che, senza scopo di lucro, non "carica" la sua condotta di un surplus di disvalore - ovviamente - se usa il mezzo di servizio di trasporto internazionale, di linea, il quale non rappresenta un mezzo occulto o insidioso), allora la Corte ha avuto in testa un modello (che ha voluto calare nel rito penale), quello del cd. processo equo, che vuol dire pure pena equa, non disallineata o sproporzionata (per la contraddizione che non lo consentirebbe). L'art. 6 Cedu sul processo equo, verosimilmente, è stata la "stella cometa" poggiata sull'art. 12 TUI, riplasmato o "bonificato" per mano della Consulta.

Guida all'approfondimento

C. Morselli, Trattato di diritto e procedura penale dell'immigrazione, Roma, 2017, 321 s.

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