Trattamento dell'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica indebitamente corrisposta dai consumatori finali
23 Marzo 2022
Inquadramento
Il presente articolo intende trattare la particolare fattispecie dell'addizionale provinciale relativa all'accisa sull'energia elettrica di cui agli artt. 52 e seguenti del Testo unico del 26 ottobre 1995 n. 504 (di seguito anche “T.U.A.”) indebitamente corrisposta dai clienti finali ai soggetti fornitori di energia elettrica, in quanto risultata incompatibile con la normativa comunitaria (cfr. Direttiva 2008/118/CE). Il Legislatore, infatti, ha soppresso tale addizionale provinciale con decorrenza dal 1° gennaio 2012 ai sensi dell'art. 18, comma 5, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68. Pertanto, fino al 1° gennaio 2012, i fornitori di energia elettrica hanno addebitato all'utente finale l'addizionale provinciale alle accise sull'energia elettrica prevista dall'art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 28 novembre 1988 n. 511, per un importo – variabile da provincia a provincia – oscillante tra 9,30 Euro/MWh e 11,40 Euro/MWh sui consumi fino a 200 MWh/mese. Il T.U.A. prevede infatti all'art. 52, comma 1, che l'energia elettrica sia sottoposta ad accisa (ovvero all'imposizione indiretta prevista sulla produzione o sul consumo, tra gli altri prodotti, dell'energia elettrica, così come definita dall'art. 1 T.U.A.) al momento della fornitura ai consumatori finali.
Il successivo art. 53 T.U.A., al comma 1, prevede che “obbligati al pagamento dell'accisa sull'energia elettrica sono: a) i soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia elettrica ai consumatori finali”. Nel medesimo Testo unico viene chiarito che i crediti vantati dai soggetti passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa (cfr. art. 16, comma 3, T.U.A.), e che le società fornitrici hanno diritto di rivalsa sugli utenti finali (cfr. art. 56, comma 1, T.U.A.).
Nel T.U.A. viene quindi concesso un diritto, e non un obbligo, in capo al fornitore dell'energia elettrica di addebitare a titolo di rivalsa al consumatore finale il tributo assolto. Di conseguenza, “la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d'imposta e, per conseguenza, l'autonoma rilevanza del sostituto, ossia del consumatore finale” (in questo senso, Cass. 19 aprile 2013, n. 9567). Ne consegue che l'imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, essendo gli unici soggetti passivi dell'imposta, e che l'onere corrispondente all'imposta è traslato sul consumatore finale, estraneo al rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta, esclusivamente in virtù e nell'ambito di un fenomeno meramente economico di ribaltamento del costo. Ciò premesso, nel prosieguo verranno approfonditi il diritto al rimborso dell'addizionale provinciale sulle accise, sia da parte del fornitore che da parte del consumatore finale, la decadenza e la prescrizione di tale diritto, nonché il trattamento del credito da rimborso nelle procedure concorsuali.
Come accennato nel precedente paragrafo, l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica è stata giudicata contrastante con il diritto dell'Unione europea, ed in particolare con quanto previsto dalla Direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/118/CE, entrata in vigore il 15 gennaio 2009, che ha sostituito, abrogandola, la Direttiva 25 febbraio 1992, n. 92/12/CE per esigenze di riodino del sistema normativo. Tale direttiva – così come quella precedentemente in vigore – ha la funzione di armonizzare in ambito comunitario la disciplina delle accise, al fine di tutelare il principio del libero mercato. Ebbene, l'art. 1, par. 2, Dir. n. 2008/118/CE stabilisce la facoltà per gli Stati membri di applicare ai prodotti già assoggettati ad accisa altre imposte indirette, purché le stesse abbiano una o più finalità specifiche e siano conformi, quanto alla determinazione della base imponibile, alle modalità di calcolo, all'esigibilità e al controllo, alle norme fiscali comunitarie in materia di accise o di imposta sul valore aggiunto. Come si può agevolmente evincere dalla semplice lettura della disposizione menzionata, la normativa europea, alla ricorrenza di due specifici presupposti, considera lecita – e non contrastante con il principio di libero mercato – la previsione, da parte dei singoli Stati, di ulteriori imposte gravanti sul consumo di prodotti energetici ed elettricità, alcol e bevande alcoliche nonché tabacchi lavorati. Precisamente, i presupposti per la liceità dell'ulteriore imposizione dei prodotti indicati dall'art. 1, par. 2, Dir. n. 2008/118/CE, sono la diretta correlazione tra il gettito fiscale e la finalità dell'imposizione medesima nonché il rispetto di talune regole dettate in materia di imposta sul valore aggiunto o di accise. Volgendo l'attenzione sul primo dei due presupposti, la Corte di Giustizia dell'Unione, interpellata in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato francese, con la sentenza 28 luglio 2018, n. 103/17, ha chiarito come debba essere interpretato il concetto di specifica finalità.
La giurisprudenza europea ha ritenuto che l'imposta può dirsi orientata ad una finalità specifica quando il gettito sia utilizzato “al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l'imposta in parola nonché di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussiste un nesso diretto tra l'uso del gettito derivante dall'imposta e la finalità dell'imposizione in questione”.
Diversamente, la Corte di Giustizia ha escluso che possa dirsi rispondente ad una finalità specifica il tributo il cui gettito sia assegnato ad “una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro”, poiché quest'ultimo “può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l'assegnazione del gettito di un'imposta al finanziamento di determinate spese”.
Sulla scorta di tale orientamento, la giurisprudenza di legittimità interna ha messo in discussione la compatibilità con il diritto unionale della disciplina contenuta nel D.L. n. 511/1988– successivamente sostituito dal d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 –, il quale prevedeva un'imposta addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica (già colpito dalle accise). Infatti, l'introduzione dell'imposta addizionale sull'energia elettrica si reggeva, come si può evincere dalle stesse premesse del D.L. n. 511/1988, sulla necessità di “assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l'assolvimento dei compiti istituzionali”. Tuttavia, come condivisibilmente ha ricordato in più occasioni la Corte di cassazione, tali finalità sono del tutto generiche ed equiparabili alle “finalità di bilancio” censurate dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, mirando il gettito dell'addizionale a garantire la stabilità finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici piuttosto che alla realizzazione di determinate attività o scopi (cfr., fra le tante, Cass. 10 ottobre 2020, n. 22343). In ragione di quanto sopra esposto, seppur successivamente all'intervenuta abrogazione dell'imposizione, la giurisprudenza di legittimità, nel sancire il contrasto della normativa interna con quella dell'Unione europea, ha dichiarato inapplicabile quanto disposto dall'art. 6 D.L. n. 511/1988.
Queste decisioni, inevitabilmente, hanno determinato conseguenze di carattere restitutorio per gli operatori del settore nei confronti dei consumatori finali, su cui ha gravato il peso dell'addizionale.
L'art. 14 T.U.A. specifica, in via generale, che “l'accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata”, mentre il D.L. 30 settembre 1982, n. 688, l'art. 19, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 27 novembre 1982, n. 873, secondo cui “chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali […] ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l'onere non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale”, è applicabile unicamente “quando i tributi riscossi non rilevano per l'ordinamento comunitario” (cfr. art. 29, comma 3, L. 29 dicembre 1990, n. 428). Nel caso di specie, l'incompatibilità delle addizionali provinciali con la normativa comunitaria ha attribuito il diritto degli utenti finali che hanno pagato le suddette addizionali (generalmente riaddebitate dal fornitore in bolletta) sino al 2011, a richiedere il rimborso di quanto indebitamente versato ai fornitori di energia elettrica sino all'abrogazione di tale tributo. Alcune recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione in materia di ripetizione delle addizionali provinciali applicate sulle accise hanno confermato il diritto di richiedere il rimborso di quanto indebitamente versato dagli utenti al fornitore di energia elettrica al momento del pagamento del servizio e da quest'ultima riversate all'Erario. I principali arresti giurisprudenziali sono costituiti, ex pluribus, dalle sentenze della Corte di Cassazione 23 ottobre 2019, n. 27099, 23 ottobre 2019 n. 27101, 19 novembre 2019 n. 29980, 17 gennaio 2020 n. 901 e 28 maggio 2020 n. 10112, ribadite, da ultimo, dalle ordinanze del 9 ottobre 2020 n. 21771 e n. 21772 e dall'ordinanza n. 22343 del 10 ottobre 2020.
In particolare, con le sopra menzionate sentenze, la Corte di Cassazione ha rammentato e stabilito, in merito al rimborso delle accise e addizionali provinciali, che:
Dunque, con la richiamata giurisprudenza viene affermata espressamente la carenza di legittimazione attiva diretta nei confronti dell'amministrazione finanziaria da parte del cliente finale, eccezion fatta per i casi in cui il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, in forza del principio di effettività, ipotesi nella quale viene riconosciuta all'acquirente del bene la legittimazione ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie, come nel caso di fallimento del venditore (si vedano, in particolare, CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, CGUE 31 maggio 2018, cause C660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66).
In particolare, secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale l'impossibilità o l'eccesiva difficoltà del rimborso non sono di per sé ravvisabili per il fatto che la natura indebita del pagamento dell'imposta discenda dalla contrarietà di una norma nazionale a una direttiva, ma dalla situazione del soggetto passivo (nel caso in questione, del fornitore) e non già a quella del consumatore finale.
Esse rilevano, nella giurisprudenza unionale, o con riguardo alle modalità procedurali e ai requisiti previsti dallo Stato membro per la presentazione delle domande di rimborso da parte del suddetto soggetto passivo (si veda CGUE 21 marzo 2018, causa C-533/16, Volkswagen AG, relativa a un caso in cui il termine di decadenza previsto per il rimborso era scaduto, sempre per il soggetto passivo, prima della presentazione della relativa domanda); oppure quando l'insolvenza del soggetto passivo renda da parte sua il rimborso impossibile o eccessivamente difficile (si vedano, in particolare, CGUE 11 aprile 2019, in causa C-691/17, PORR E'pitèsi Kft., punto 42, nonché CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15). La decadenza e la prescrizione del diritto
Dunque, il consumatore finale, che ha indebitamente versato al proprio fornitore di energia elettrica l'imposta addizionale, può domandare la restituzione dell'importo al soggetto dal quale era legato dal vincolo contrattuale ovvero, in subordine, solamente in ipotesi di impossibilità o eccessiva difficoltà, direttamente all'amministrazione finanziaria. Tuttavia, a seconda del soggetto al quale si rivolge per il rimborso mutano i termini entro cui il consumatore finale deve formulare la richiesta. Tale circostanza dipende dalla differente qualificazione dell'iniziativa da porre in essere: si tratta di un'azione di ripetizione di indebito oggettivo, ai sensi dell'art. 2033 c.c., nel caso in cui sia realizzata nei confronti del fornitore di energia elettrica, mentre si tratta di azione di rimborso (di imposta) se compiuta nei confronti dell'amministrazione finanziaria. Come noto, l'azione di restituzione di indebito è sottoposta all'ordinario termine di prescrizione decennale, che decorre dal momento in cui la prestazione non dovuta è stata compiuta. Diversamente, l'azione di rimborso nei confronti dell'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'art. 14, comma 2, D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, va esercitata nel termine di decadenza di due anni dalla data del versamento. In altre parole, in presenza dei presupposti per chiedere la restituzione dell'addizionale direttamente all'amministrazione finanziaria, il consumatore finale dovrà attivarsi nei confronti di quest'ultima entro il termine di due anni dal momento in cui l'indebito è stato versato. Peraltro, questo termine – ritenuto ragionevole e compatibile con il principio unionale di effettività della tutela dell'avente diritto (in tal senso, si veda Cass. 24 maggio 2019, n. 14200) – si applica anche a fattispecie in cui, analogamente a quella in esame, il diritto alla restituzione discenda dal contrasto di una norma impositiva interna con il diritto dell'Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia (cfr. Cass., SS.UU., 16 giugno 2014, n. 13676).
Nessuna deroga è ammessa a tale disciplina. Pur in presenza dei presupposti di legge, il richiedente non potrà rivolgersi direttamente all'amministrazione finanziaria invocando la natura di restituzione di indebito dell'azione, ex art. 2033 c.c. (in questo senso, si veda CTP Milano 22 luglio 2021, n. 3260).
Da tali premesse consegue che, anche nel caso in cui si trovi in una condizione di impossibilità o eccessiva difficoltà di recupero dell'importo indebitamente versato al fornitore di energia, per lo stato di crisi o di insolvenza di quest'ultimo, il consumatore finale, laddove sia spirato il termine biennale per ottenere il rimborso dall'amministrazione finanziaria, dovrà rivolgersi nei confronti della propria controparte contrattuale per ottenere ristoro. In tal caso, qualora il proprio fornitore sia già stato ammesso ad una procedura concorsuale – si pensi, ad esempio, al concordato preventivo – il creditore parteciperà al concorso e si soddisferà secondo tempi e modalità previste per la massa. Nelle ipotesi sopra descritte, in cui il consumatore finale si rivolge al proprio fornitore per la restituzione dell'indebito, il fornitore di energia avrà diritto di chiedere il rimborso delle addizionali versate all'amministrazione finanziaria, purché il pagamento all'utente sia avvenuto in ragione di una sentenza passata in giudicato che ne sancisca l'obbligo. A tal fine, la richiesta di rimborso dovrà essere formulata entro il termine di 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi di quanto disposto dall'art. 14, comma 4, T.U.A. In altre parole, il fornitore destinatario di una richiesta di restituzione delle addizionali indebitamente versate ha l'onere di non ottemperare l'istanza del consumatore finale e di subire un giudizio, condicio sine qua non per l'insorgenza del diritto di rimborso nei confronti dell'erario. Il trattamento del credito da rimborso nelle procedure concorsuali
L'art. 16 T.U.A. stabilisce il privilegio spettante, nell'ambito delle procedure concorsuali, ai crediti vantati dall'amministrazione finanziaria e dai soggetti passivi dell'accisa. Il comma 1, infatti, attribuisce ai crediti vantati dall'amministrazione finanziaria per accise un privilegio “speciale” sulle “materie prime, sui prodotti, sui serbatoi, sul macchinario e sul materiale mobile esistenti negli opifici di produzione o negli altri depositi fiscali, anche se di proprietà di terzi”. Il comma 3, invece, concede ai crediti vantati dai soggetti passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno corrisposto tale tributo un “privilegio generale sui beni mobili del debitore con lo stesso grado del privilegio generale stabilito dall'art. 2752 del codice civile, cui tuttavia è posposto, limitatamente ad un importo corrispondente all'ammnotare dell'accisa, qualora questa risulti separatamente evidenziata nella fattura relativa alla cessione”. Ci si domanda se i privilegi previsti dall'art. 16 T.U.A. e dell'art. 2752 c.c. possano essere riconosciuti anche al consumatore finale, o se il credito vantato dagli stessi abbia natura chirografaria. Come già esposto in precedenza, invero, il titolare dell'obbligazione tributaria di corrispondere l'accisa è sempre il fabbricante, ovvero l'intermediario che immette i beni al consumo nel territorio dello Stato. In questo senso la Suprema Corte di Cassazione, che con l'ordinanza n. 24799 del 5 novembre 2020 ha ribadito un principio di diritto già affermato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. 25 maggio 2009, n. 11987), secondo cui: “il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge solo tra l'Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l'utente consumatore”, sul quale il fornitore ha il diritto, ai sensi dell'art. 56, comma 1, T.U.A., di esercitare la rivalsa. Pertanto, prosegue la sentenza, “i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico”. Tali rapporti, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro. Ne consegue che soltanto il cedente avrà titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell'amministrazione finanziaria, la quale, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente al cessionario quanto versato dallo stesso in via di rivalsa. In questo senso anche la Corte di Cassazione, che con l'ordinanza n. 15506 del 21 luglio 2020 ha affermato che: “Uno schema del tutto analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali di cui all'art. 6, comma 3, del di. n. 511 del 1988 (nel testo applicabile ratione temporis), secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui all'art. 53 TUA (società fornitrici), al momento della fornitura dell'energia elettrica ai consumatori finali e che «le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica» […] Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge soltanto tra l'amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l'utente consumatore. Come è stato efficacemente rilevato, «i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico» (cfr. Cass. n. 9567 del 2013)”. Aderendo a tale indirizzo, è possibile raffigurare un duplice rapporto:
In questo senso si esprime anche la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 23008 del 21 ottobre 2020, con la quale ha affermato che: “il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l'utente consumatore» (Cass. S.U. 25 maggio 2009, n. 11987), sicché «il solo soggetto obbligato verso l'amministrazione finanziaria è l'ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l'accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas) (...)» (Cass. S.U. 19 marzo 2009, n. 6589)”. Di conseguenza, il consumatore, per ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate, dovrà necessariamente instaurare, nei confronti del fornitore, un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito di fronte al Tribunale civile competente per territorio, non essendo lo stesso legittimato a chiedere il rimborso dell'imposta indebitamente traslata all'Agenzia delle Dogane. Secondo il diritto unionale, tale sistema è da considerarsi rispettoso dei principi di neutralità e di effettività in quanto, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie un'imposta può chiederne il rimborso e, dall'altro, l'acquirente di tale bene può esercitare un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito nei confronti di tale venditore. Questo consente all'acquirente, gravato dell'imposta erroneamente fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (cfr. CGUE, 15 marzo 2007, in causa C-35/05, punti 38-39 e giurisprudenza ivi citata).
Qualora il consumatore finale ottenga una sentenza definitiva favorevole, il fornitore:
In conclusione, il rapporto tra i soggetti che vendono direttamente il prodotto ed i consumatori finali ha natura extra tributaria, ed ha rilievo ai soli fini civilistici. Trattandosi, quindi, di un rapporto di natura extra tributaria, in nessun caso potranno essere riconosciuti al consumatore finale i privilegi riconosciuti dal combinato disposto di artt. 16, 57 e 60 T.U.A.
In conclusione
Come si è avuto modo di comprendere, l'accertata contrarietà dell'imposta addizionale provinciale – peraltro abrogata a partire dal 2012 – al diritto dell'Unione europea ha determinato l'insorgenza di conseguenze di natura restitutoria a carico degli operatori di settore nei confronti dei consumatori finali, soggetti su cui, in definitiva, gravava la predetta imposta. I consumatori, peraltro, hanno il diritto di rivolgersi anche in via diretta all'amministrazione finanziaria per ottenere il rimborso dell'imposta, ma nelle sole ipotesi di impossibilità o eccessiva difficoltà di recupero delle stesse dal fornitore e nel rispetto del termine di decadenza di due anni (dal pagamento indebito). Gli stringenti presupposti (ed il contenuto termine di natura decadenziale) per l'esercizio dell'azione (diretta) di rimborso inducono sovente i consumatori finali ad azionare la propria pretesa creditoria – che nell'ambito di una procedura concorsuale sarebbe da qualificare come chirografaria – nei confronti del fornitore di energia, il quale, peraltro, si trova nella condizione di dover respingere le richieste stragiudiziali e subire l'iniziativa giudiziale per poter essere rimborsato a sua volta dall'amministrazione finanziaria. Le strettoie normative cui il fornitore è vincolato per il rimborso hanno suggerito alla giurisprudenza di merito che si è pronunciata sulle richieste restitutorie del consumatore finale di compensare integralmente le spese legali sostenute dalle parti per il giudizio, facendo anche applicazione del principio di ragionevolezza (sul punto, cfr. Trib. Milano 24 novembre 2021). Tali statuizioni appaiono condivisibili, in quanto conformi a buon senso prima ancora che ragionevoli, anche per evitare che il fornitore sia eccessivamente penalizzato da un sistema che già pone a suo carico l'onere di dover attendere una pronuncia definitiva che sancisca l'obbligo di restituzione prima di poter chiedere il rimborso all'amministrazione finanziaria. |