Non si può ricorrere all'adozione piena se sussiste un significativo legame del minore con la famiglia d'origine

Gloria Musumeci
22 Marzo 2022

Quali sono i presupposti che devono sussistere affinché il Tribunale possa dichiarare un bambino abbandonato e, quindi, adottabile?
Massima

Il giudice, chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore e, quindi, sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell'interesse del minore a conservare il legame con i soggetti appartenenti alla famiglia di origine, pur se deficitari nelle loro capacità di educazione e di crescita del minore, proprio in considerazione del duplice presupposto che l'adozione legittimante costituisce una extrema ratio e che il nostro ordinamento conosce modelli di adozione che non presuppongono la radicale recisione dei rapporti con la famiglia d'origine e consentono la conservazione del rapporto, quali le forme di adozione disciplinate dalla l. n. 184/1983, artt. 44 e segg.

Il caso

La Corte d'Appello di Torino, accogliendo parzialmente l'impugnazione proposta dalla madre, ha revocato lo stato di adottabilità precedentemente dichiarato dal Tribunale per i Minorenni di Torino con riferimento ai tre figli della donna, sul presupposto dell'insussistenza di uno stato di abbandono pieno, disponendo così l'adozione dei minori ai sensi dell'art. 44, lett. d), l. n. 184/1983 e la possibilità per la madre di incontrare i figli in luogo neutro con la supervisione dei Servizi Sociali. In particolare, la Corte d'Appello ha reputato che la situazione in cui si trovavano i minori non fosse da considerarsi quale abbandono, bensì semi abbandono, dal momento che il legame affettivo dei figli con la madre appariva molto forte, tanto da rendere impensabile una sua rescissione, nonostante la donna non fosse in grado di occuparsi di loro e il recupero delle sue capacità genitoriali si prospettava molto complesso, anche a causa dell'assenza di un sostegno da parte del proprio nucleo familiare.

La Procura Generale della Corte d'Appello di Torino ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che i giudici di secondo grado avrebbero dovuto ricondurre la fattispecie in esame, in presenza di uno stato di abbandono pieno, nell'alveo normativo dell'adozione legittimante, che prevede la recisione dei legami, piuttosto che in quella dell'adozione in casi particolari; inoltre, la Procura Generale ha rimproverato alla Corte d'Appello di non avere considerato che ipotesi alternative all'adozione legittimante devono essere esplorate, pur in presenza di uno stato di abbandono non recuperabile, solo se il mantenimento del legame con il genitore biologico appare necessario per l'equilibrio psico-fisico dei minori, circostanza che, agli occhi della Procura, non si era palesata nel caso in esame.

La questione

Quali sono i presupposti che devono sussistere affinché il Tribunale possa dichiarare un bambino abbandonato e, quindi, adottabile? Che ruolo gioca il legame affettivo dei minori con i genitori biologici, ancorché essi siano incapaci di prendersi cura dei propri figli? Qual è il rapporto tra adozione piena e adozione mite?

Le soluzioni giuridiche

Nel nostro ordinamento si distinguono due modelli di adozione, aventi caratteristiche profondamente diverse tra loro: l'adozione piena, che presuppone lo stato di abbandono del minore, cui consegue la recisione di tutti i legami del bambino con la famiglia d'origine e l'inserimento in una nuova famiglia composta da due persone unite in matrimonio; l'adozione in casi particolari, che presuppone, invece, uno stato di semi abbandono e non prevede la recisione dei legami del minore con la propria famiglia d'origine.

L'adozione piena è da considerarsi quale extrema ratio, alternativa da prendere in considerazione soltanto quando sia appurato che percorrere altre strade che prevedano il mantenimento del legame del minore con la propria famiglia d'origine possa rivelarsi pregiudizievole per il minore stesso e contrario al suo preminente interesse. In quanto misura eccezionale, l'adozione piena può essere disposta solo quando le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, si siano dimostrate impraticabili.

Tali principi sono enunciati non solo dalla normativa nazionale e, in particolare, dall'art. 1 l. n. 183/1984, che attribuisce carattere prioritario all'esigenza del minore di vivere nella famiglia d'origine, ma anche dalle fonti sovranazionali e, nello specifico, dall'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che pone a carico dello Stato obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita familiare. La categoria “vita familiare” per la Corte Edu è molto ampia, tanto che in una recente pronuncia ha dichiarato che costituisce violazione dell'art. 8 non consentire ad un minore di mantenere relazioni significative con i nonni, con i quali aveva un legame forte ed indissolubile, anche dopo essere stato adottato da un'altra famiglia (cfr. Corte Edu, 5 marzo 2019, Bogonosovy contro Russia).

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, dopo avere chiarito i principi regolatori della materia espressi sia dalla Corte stessa, sia dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, ha respinto il ricorso ed ha affermato che la Corte territoriale aveva correttamente escluso l'adottabilità dei minori, sussistendo una situazione di semi abbandono e ritenendo che la definitiva ed irreversibile recisione del legame della madre con i tre figli non fosse coerente con il preminente interesse dei minori stessi, data la relazione affettiva esistente tra i figli e la madre e l'attaccamento manifestato da questi ultimi nei confronti della donna.

Del resto, è proprio questa la funzione dell'istituto dell'adozione c.d. “mite” e, specificatamente, dell'ipotesi prevista dall'art. 44 lett. d) l. n. 184/1983: garantire al minore l'inserimento in un contesto familiare idoneo al suo accudimento e al soddisfacimento dei suoi bisogni senza tuttavia privarlo del legame con la propria famiglia d'origine, mantenendo così intatta la sua identità. Invero, un genitore che non sia in grado di occuparsi del proprio figlio non deve essere automaticamente eliminato dalla vita del minore; anzi, le Autorità devono attivarsi mettendo in campo tutte le risorse disponibili affinché al bambino sia garantita la possibilità di crescere con la presenza dei genitori biologici, anche dopo che sia stata disposta l'adozione in casi particolari.

Osservazioni

Mentre l'adozione piena presuppone la declaratoria dello stato di adottabilità e costituisce un vincolo di filiazione giuridica che si sostituisce integralmente al rapporto di filiazione di sangue, con definitivo ed esclusivo inserimento del minore nella nuova famiglia, l'adozione in casi particolari crea un vincolo di filiazione giuridica che si sovrappone a quello di sangue, non estinguendo il rapporto con la famiglia d'origine, pur se l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta all'adottante (cfr. Cass. civ., sez. un., 8847/2020).

Nel primo caso siamo di fronte ad una situazione di abbandono; nel secondo caso in una situazione di semi abbandono. Non è sempre facile, tuttavia, discernere le due casistiche, nonostante i principi espressi dalla Corte di Cassazione, a livello nazionale, e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, a livello sovranazionale, siano estremamente chiari, primo tra tutti quello che attribuisce all'adozione piena natura di extrema ratio, ultima spiaggia, istituto da applicare solo quando ogni altra misura sia risultata impraticabile, ogni altra strada che potesse garantire al minore di mantenere il legame con la famiglia d'origine si sia rivelata impercorribile.

Di conseguenza, l'adozione in casi particolari ha natura residuale e vi si ricorre quando il legame del minore con la famiglia d'origine c'è ed è forte, quando reciderlo sarebbe per lui pregiudizievole, pur non essendo i genitori biologici in grado di occuparsi del figlio, tanto che la responsabilità genitoriale spetta al genitore adottivo.

L'adozione mite e, in particolare, quella disciplinata dall'art. 44, lettera d), ha, inoltre, lo scopo di formalizzare una situazione di fatto già esistente: in questo senso, la Suprema Corte rimarca che l'adozione ex art. 44 lett. d) “rappresenta una clausola di chiusura del sistema, intesa in modo da consentire l'adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatasi con altri soggetti che se ne prendono cura”.

Riferimenti

A. Figone, L'adozione “mite” e la situazione di “semi-abbandono”, in IlFamiliarista, Giuffrè, 5 maggio 2021;

L. Parlanti, No all'adottabilità del minore se sussiste un legame con i genitori, anche quando questi ultimi presentino evidenti carenze, in IlFamiliarista, Giuffrè, 10 giugno 2021;

G. La Rocca, Stato di abbandono e interesse del minore al mantenimento della relazione con il genitore biologico, in IlFamiliarista, Giuffrè, 6 aprile 2020.

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