Gli illeciti penali nelle procedure da sovraindebitamento
29 Marzo 2022
Premessa
La congiuntura negativa dell'ultimo biennio ha reso imprescindibile il ricorso agli strumenti di composizione della crisi debitoria. In tale contesto, le procedure da sovraindebitamento introdotte dalla l. n. 3/2012, recentemente mutuate nel nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (in vigore dal 16 maggio prossimo), consentono ai debitori in affanno di porre rimedio alle situazioni critiche non soggette né assoggettabili alle procedure concorsuali ordinarie, al fine di ottenere la definitiva esdebitazione. Nell'accesso a tali procedure è importante che i principali attori conducano il gioco mettendo in atto condotte corrette, al fine di evitare l'insorgenza di gravi responsabilità penali. A tale riguardo, l'art. 16 della l. n. 3/2012, il cui contenuto è stato sostanzialmente trasposto – con alcune aggiunte- negli articoli 344 e 345 del nuovo Codice della crisi, reca al suo interno una dettagliata disciplina relativa alle fattispecie delittuose a carico sia del debitore che del componente dell'Organismo di composizione della crisi. Si tratta, in particolare, di reati che minano la legittimità della procedura la cui commissione rileva tanto nella fase preliminare all'accesso, quanto nella successiva esecuzione degli accordi. Le pene previste vanno dai sei mesi ai due anni di reclusione con multe comprese tra i 1.000 e i 50.000 euro, a sottolineare il minore rilievo che tali strumenti di composizione della crisi rivestono rispetto alle ordinarie procedure fallimentari. Il nuovo Codice della crisi
Sebbene la decretazione d'urgenza degli ultimi due anni abbia anticipato l'entrata in vigore di alcune disposizioni contenute nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, il nuovo corpus normativo entrerà in vigore soltanto il prossimo 16 maggio 2022. Tuttavia, è opportuno sin da ora fornire alcuni chiarimenti necessari. In particolare, l'art. 16, comma 1, della l. n. 3/2012 di cui si dirà nel prosieguo, fa riferimento alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla sezione I del capo II della legge stessa, vale a dire all'accordo di ristrutturazione dei debiti e al piano del consumatore (e nella sola disposizione di cui alla lett. b), anche alla procedura di cui alla sezione II del capo II, ossia alla liquidazione del patrimonio di cui agli artt. 14-ter ss). L'art. 344, comma 1 del nuovo Codice della crisi, invece, attiene alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alle sezioni II e III del capo II del titolo IV del Codice stesso, vale a dire all'accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 67 ss.) e al concordato minore (artt. 74 ss.) (nella sola disposizione di cui alla lett. b), anche alla procedura di cui al capo IX del titolo V, vale a dire alla liquidazione controllata di cui agli artt. 268 ss). In sostanza, il concordato minore è la procedura di nuovo conio, sostitutiva dell'accordo di composizione della crisi ad oggi previsto dalla legge n. 3/2012. Salvo alcune modifiche che, come detto, entreranno in vigore a maggio prossimo, la disciplina degli illeciti penali recata dall'art. 16 della l. n. 3/2012 è rimasta inalterata. Reati commessi dal debitore nella fase precedente alla procedura
Per quanto attiene alle condotte poste in essere dal soggetto sovraindebitato nella fase antecedente all'ammissione alla procedura, il comma 1, lett. a) dell'art. 16, l. n. 3/2012, mutuato dall'art. 344 del nuovo Codice della crisi, sanziona il debitore che, al fine di ottenere l'accesso alla procedura di composizione della crisi “aumenta o diminuisce il passivo, ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell'attivo, ovvero dolosamente simula attività inesistenti”. Si tratta, e ben vedere, di tre distinte condotte. La prima delle tre condotte, consiste nell'aumentare o diminuire il passivo per accedere alla procedura di composizione. È chiaro che tale attività non può essere meramente contabile o simulata, nel qual caso si verserà nella fattispecie di esposizione fittizia di passività inesistenti (art. 216, legge fallimentare). La seconda ipotesi delittuosa prevista dalla norma attiene all'attività di diminuzione dolosa del passivo da parte del debitore, da considerarsi quale ipotesi affine al reato previsto dall'art. 236 della Legge fallimentare, a mente del quale è punito con la reclusione l'imprenditore che, al solo scopo di essere ammesso al concordato, si attribuisce attività inesistenti. Mutuando tale norma, infatti, il legislatore ha inteso punire il soggetto sovraindebitato che intende celare dolosamente la carenza di risorse patrimoniali al fine di indurre i creditori alla stipula dell'accordo. La terza condotta punita dalla lett. a) del comma 1 in esame, invece, consiste nella simulazione dolosa di attività esistenti del debitore, finalizzata anch'essa a viziare il consenso dei creditori e, dunque, l'accordo stesso. Per simulazione, in particolare, si intende non solo l'utilizzo di negozi simulati ma ogni attività che presuppone la falsa rappresentazione della situazione patrimoniale del debitore. Proseguendo, la lett. b) del comma 1, punisce il debitore che, sempre al fine di ottenere l'accesso alla procedura “produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile”. È chiaro il riferimento alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1, n. 2 della Legge fallimentare. Analogamente all'ipotesi di reato fallimentare, infatti, la condotta punita dalla legge sul sovraindebitamento è tale da alterare le percezioni dei creditori circa la fattibilità del piano proposto. Per tale via, la disposizione si applica anche laddove il debitore intenda ottenere l'accesso alla procedura di liquidazione dei beni disciplinata dalla l. n. 221/2012, essendo quest'ultima alternativa alla proposta per la composizione della crisi, e imponendo anch'essa l'onere di allegazione documentale in capo al debitore al fine di ricostruirne la situazione patrimoniale. Attesa l'affinità con l'ipotesi delittuosa fallimentare, è pacificamente condiviso in dottrina e giurisprudenza che la fattispecie prevista dalla lett. b) in esame, incrimini tanto il falso materiale quanto il falso ideologico. Reati commessi dal debitore durante la procedura
Le lettere c), d) ed e) del comma 1 dell'art. 16, l. n. 3/2012 prevedono ipotesi di reato commesse dal debitore a procedura in corso, per la cui consumazione è richiesto il solo dolo generico. In particolare, la lett. c) punisce il debitore che ometta di indicare i propri beni nell'inventario presentato a corredo della domanda di liquidazione. È palese il collegamento con la lett. a) della stessa norma, di cui si è detto in precedenza, nella parte in cui è prevista l'incriminazione del debitore che “sottrae una parte rilevante del suo attivo”, con la differenza che in tale ultima ipotesi, come detto, la condotta è finalizzata ad ottenere l'accesso alla procedura. La lett. d) dell'art. 16, invece, punisce il comportamento del debitore che nel corso della procedura effettui pagamenti non previsti nell'accordo di ristrutturazione, ovvero nel piano del consumatore. Si tratta, dunque, di una condotta successiva all'omologa giudiziale e potenzialmente lesiva sia della par condicio creditorum che del buon esito della procedura stessa. I pagamenti di cui alla norma in esame sono da considerarsi inefficaci per tutti coloro che figurino quali creditori anteriormente alla data in cui viene reso pubblico il decreto di ammissione alla procedura, ovvero il decreto di omologazione del piano del consumatore. Proseguendo, la successiva lett. e) dell'art. 16, comma 1 punisce le condotte del debitore tali da provocare un aggravamento, in concreto, dell'esposizione debitoria. Non è chiaro quali siano, in pratica, i comportamenti del debitore rientranti nel perimetro applicativo della lettera in esame; è plausibile ritenere che si tratti di tutte quelle ipotesi in cui l'agente ponga in essere una condotta di dubbia utilità, consapevole che da essa possa derivarne un peggioramento della posizione debitoria. Tale ipotesi trova un parallelo nell'art. 217, n. 4 della Legge fallimentare, riguardante il reato di bancarotta semplice. Tuttavia, mentre nel reato fallimentare la condotta è colposa, la norma della legge sul sovraindebitamento richiede quale elemento soggettivo il dolo del debitore. Infine, la lettera f) dell'art. 16, comma 1 persegue penalmente la condotta del debitore che violi intenzionalmente i contenuti dell'accordo o del piano del consumatore. In particolare, l'inadempimento del debitore può estrinsecarsi sia in comportamenti omissivi (come la mancata esecuzione delle prestazioni) che commissivi (ad esempio, il pagamento di crediti contrari al negozio, ovvero, l'assunzione di nuove obbligazioni che non siano state oggetto di accordo). Reati del debitore incapiente
Tra le modifiche di maggiore rilievo introdotte dal Codice della crisi alla disciplina del sovraindebitamento, rientra sicuramente la procedura di esdebitazione del debitore incapiente. In sostanza, l'intento della Novella è quello di offrire una seconda chance ai soggetti che non avrebbero alcuna prospettiva di superamento dello stato di sovraindebitamento, per fronteggiare un problema sociale e reimmettere nel mercato soggetti potenzialmente produttivi. Più nel dettaglio, l'art. 283 del Codice prevede che tale procedura sia fruibile esclusivamente per la persona fisica meritevole che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura. Proprio in ragione della possibilità di “fresh start” accordata all'incapiente, l'art. 344, comma 2 del Codice ha previsto anche per tale tipologia di debitore l'applicazione della pena della reclusione da sei mesi a due anni e della multa da 1.000 a 50.000 al pari di quanto previsto per il debitore “ordinario”, al ricorrere di determinate condotte fraudolente: produzione di documentazione contraffatta o alterata; sottrazione, occultamento o distruzione, di tutta o parte della documentazione relativa alla propria situazione debitoria; omessa dichiarazione annuale, dopo il decreto di esdebitazione, delle sopravvenienze rilevanti.
L'art. 16 della legge n. 3/2012 contempla, altresì, alcune ipotesi di reato ascrivibili al componente dell'Organismo di composizione della crisi, la cui consumazione richiede il solo dolo generico. La pena prevista va da 1 a 3 anni di reclusione, con una multa dai 1.000 ai 50.000 euro. Nel dettaglio, il comma 2 dell'art. 16 punisce il componente dell'OCC che, nella relazione di cui agli articoli 68, 76, 268 e 283, renda false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati e dei documenti indicati nella proposta di accordo, alla fattibilità del piano, al contenuto della relazione di accompagnamento o alla domanda di liquidazione. Oltre che documentale, dunque, la falsità in parola può essere di tipo valutativo. A tale ultimo riguardo, esempio lampante è rappresentato dalla valutazione sulla fattibilità del piano del consumatore, ai fini della quale è richiesto un esame di carattere prognostico avente ad oggetto l'idoneità del piano stesso a raggiungere il fine desiderato. Ulteriore condotta punita dalla norma è quella prevista nel caso in cui il componente dell'organismo ometta o rifiuti ingiustificatamente un atto del proprio ufficio, ai danni dei creditori. È chiaro, in questo caso, il parallelo con la fattispecie prevista e punita dall'art. 328 c.p. recante l'ipotesi di rifiuto di atti d'ufficio. Il reato può dirsi consumato laddove l'agente manifesti in maniera espressa il proprio diniego di fronte ad una richiesta, ovvero ponga in essere un comportamento di tipo omissivo nello svolgimento del proprio ufficio. Al riguardo, è bene precisare che l'art. 345, comma 3 del nuovo Codice della crisi ha previsto un aumento di pena fino alla metà nell'ipotesi in cui dal fatto consegua un danno per i creditori. In conclusione
Si è visto come nell'ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento il Legislatore abbia voluto configurare ipotesi di reati “minori”, in ragione del minore rilievo economico, sociale e imprenditoriale di tale tipologia di crisi rispetto alle fattispecie fallimentari ordinarie. Ciononostante, è comunque chiaro l'intento legislativo di operare un bilanciamento di interessi tra gli attori coinvolti nelle procedure: da un alto è permesso al soggetto sovraindebitato di porre rimedio alle criticità insorte dalla pressante esposizione debitoria, attraverso la possibilità di esdebitarsi definitivamente al termine della procedura; dall'altro viene garantito il diritto dei creditori coinvolti nella procedura, attraverso la repressione di condotte lesive che celino una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale e reddituale del debitore o dalle quali si evinca un giudizio di fattibilità del piano del consumatore non veritiero. |