Capacità legale nell'adozione di persona maggiore di età

Alessandra Gatto
28 Marzo 2022

In tema di adozione di persone maggiori di età per quanto concerne l'adottato, alla luce di un'opzione ermeneutica evolutiva meno rigida del predetto istituto volta a privilegiarne la valenza solidaristica, l'interdizione giudiziale non deve costituire un impedimento, di per sé, insormontabile alla pronuncia dell'adozione.
Massima

In tema di adozione di persone maggiori di età, l'indirizzo interpretativo, ormai consolidatosi, volto a privilegiare la "valenza solidaristica" della relativa disciplina, legittima un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 296 c.c. e art. 311 c.c., comma 1, nel senso di consentire al soggetto maggiorenne, che si trovi in stato di interdizione giudiziale, di manifestare il proprio consenso all'adozione anche per il tramite del suo rappresentante legale, trattandosi di atto personalissimo che non gli è espressamente vietato e tenuto conto di quanto complessivamente sancito dagli artt. 1 e 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con l. 3 marzo 2009, n. 18.

Il caso

Caia presentava ricorso per l'adozione della sorella Sempronia, interdetta giudizialmente. Il Tribunale emanava sentenza con cui rigettava la suddetta richiesta.

Tale provvedimento veniva confermato dalla Corte d'Appello con le seguenti motivazioni: I) Sempronia, trovandosi in stato di interdizione giudiziale, era impossibilitata ad esprimere il consenso, previsto dall'art. 296 c.c., costituente un presupposto necessario e personalissimo dell'adozione; ii) il legale rappresentante dell'interdetto, proprio in ragione della natura personalissima del diritto, non può ritenersi ammesso a prestare il consenso in luogo dell'interdetto medesimo; iii) la normativa vigente in materia escludesse qualunque giuridica rilevanza allo scopo dell'adozione; iv) non erano invocabili, nella specie, i principi affermati dalla Corte costituzionale in tema di assenso ex art. 297 c.c.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso Caia.

La questione

La questione in esame è la seguente: premessa la funzione dell'adozione di persone maggiori età e tenuto conto dell'evoluzione normativa delle persone incapaci, sempre più orientata alla tutela dell'autonomia delle stesse, può un interdetto giudiziale prestare il proprio consenso, anche tramite rappresentante legale, ad essere adottato?

Le soluzioni giuridiche

Una questione dibattuta è quella relativa alla possibilità o meno per l'interdetto giudiziale di prestare il proprio consenso all'adozione.

In dottrina un orientamento ha escluso siffatta possibilità, poiché si tratta di atto personalissimo che, quindi, potrebbe compiere solo il soggetto capace di agire o almeno parzialmente capace di agire, cioè l'inabilitato. Il riferimento al legale rappresentante sarebbe, secondo la tesi in discorso, un difetto di coordinamento da ritenersi ormai abrogato (trattandosi oggi di adozione dei soli maggiorenni).

Altra parte della dottrina ha ammesso la possibilità per l'interdetto giudiziale di essere adottato per lo meno nei casi in cui vi siano rapporti familiari già consolidatisi nel tempo, anche ai fini della miglior cura dell'incapace.

Nella sentenza in commento viene escluso che il riferimento dell'art. 311 c.c. al legale rappresentante possa ricondursi ad un difetto di coordinamento; è stato inoltre affermato che la rigorosa esclusione della capacità dell'interdetto giudiziale può ritenersi suscettibile di un parziale ripensamento, proprio nell'intento di proseguire in quell'indirizzo interpretativo evolutivo e meno rigido dell'istituto, alla stregua della disciplina desumibile dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con legge del 3 marzo 2009, n. 18.

Osservazioni

L'interdizione giudiziale è lo stato giudizialmente dichiarato di incapacità di agire della persona maggiorenne che a causa di una abituale infermità mentale non è in grado di provvedere ai propri interessi. L'interdizione giudiziale ha quale conseguenza la perdita della capacità di agire e la nomina di un tutore quale rappresentante legale dell'interdetto.

L'accertamento in concreto dell'esistenza e della misura dell'alterazione è riservato al giudice di merito, il quale deve avere riguardo non solo agli affari di indole patrimoniale, ma anche a tutti gli affari della vita sociale come ad esempio la cura della persona. Deve comunque trattarsi di interessi suscettibili di essere pregiudicati attraverso atti giuridici e per la cui difesa sia configurabile la presenza di un tutore.

Alla tutela degli interdetti si applicano le disposizioni sulla tutela dei minori; nella sentenza che pronuncia l'interdizione, o in successivi provvedimenti dell'autorità giudiziaria, possono essere individuati taluni atti di ordinaria amministrazione che possono essere compiuti dall'interdetto senza l'intervento o con l'assistenza del tutore. Tale regola, sancita dal primo comma dell'art. 427 c.c. introdotto dalla l. 9 gennaio 2004, n. 6, trova fondamento nell'esigenza di valorizzare le residue capacità del soggetto tutelato, introducendo la possibilità di personalizzare i provvedimenti di interdizione.

La disciplina dell'interdizione deve tuttavia essere letta alla luce della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006 che all'art. 12, rubricato "Uguale riconoscimento di fronte alla legge", stabilisce che: "1. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto di essere riconosciute ovunque quali persone di fronte alla legge. 2. Gli Stati Parti dovranno riconoscere che le persone con disabilità godono della capacità legale su base di eguaglianza rispetto agli altri in tutti gli aspetti della vita. 3. Gli Stati Parti prenderanno appropriate misure per permettere l'accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno che esse dovessero richiedere nell'esercizio della propria capacità legale.

Tale disposizione mira a garantire la protezione dei diritti umani della persona con disabilità, con lo scopo di assicurare il diritto alla eguaglianza e alla non discriminazione in relazione al godimento e all'esercizio della sua capacità.

Per quanto concerne la possibilità dell'interdetto giudiziale di essere adottato, si pone la questione relativa alla possibilità o meno per quest'ultimo di prestare, eventualmente tramite il rappresentante legale, il proprio consenso all'adozione di persona maggiorenne.

Va anzitutto ricordato che per adozione si intende il rapporto di filiazione giuridica tra soggetti non legati da filiazione di sangue. Nel nostro ordinamento è possibile distinguere tre diverse tipologie di adozione.

Vi è l'adozione piena ossia l'adozione di un minore abbandonato che, creando un vincolo che si sostituisce integralmente a quello della filiazione di sangue, conferisce all'adottato la posizione esclusiva di figlio degli adottanti. A tal proposito il primo comma dell'art. 27 l. 4 maggio 1983 n. 184, prevede, quale effetto dell'adozione, l'acquisizione da parte dell'adottato dello stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. Il terzo comma della norma menzionata sancisce la cessazione, a seguito dell'adozione, dei rapporti dell'adottato verso la famiglia di origine.

L'adozione di minore in casi particolari, disciplinata dall'art. 44 l. 4 maggio 1983 n. 184 e che ha luogo qualora non ricorrano le condizioni di cui all'art. 7 della stessa Legge ossia i presupposti in presenza dei quali può aver luogo un'adozione piena, e che attribuisce agli adottanti l'obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente il minore. Agli adottanti spetta la titolarità e l'esercizio sull'adottato della responsabilità genitoriale. Siffatta adozione crea un vincolo di filiazione che non si sostituisce bensì si sovrappone a quello della filiazione di sangue, non determinando il venir meno del rapporto con la famiglia di origine.

Vi è infine l'adozione civile ossia l'adozione dei maggiori di età, detta anche adoptio in hereditatem, che crea un vincolo di filiazione giuridica che si aggiunge alla filiazione di sangue. Sarà necessario il consenso manifestato dall'adottante e dall'adottato, o dal legale rappresentante di quest'ultimo, al presidente del Tribunale. Il Tribunale provvede con sentenza decidendo se far luogo o non far luogo all'adozione.

Quest'ultima tipologia configura l'adozione tradizionale già prevista nel codice civile del 1865. Il sistema appena citato vietava l'adozione di minori di anni 18: tale divieto trovava spiegazione proprio nel fondamento dell'istituto ravvisabile non nella tutela dei minori abbandonati bensì nelle esigenze dell'adottante di dare continuità al proprio nome e al proprio patrimonio.

Il legislatore del 1942 ha ripreso la disciplina dell'adozione prevista dal Codice precedente, estendendo l'ambito applicativo della stessa disciplina anche ai minori di anni diciotto. Tuttavia, proprio la funzione prettamente successoria che, nonostante la novità appena illustrata, continuava a rivestire l'istituto in esame lo rendeva inidoneo alla protezione dei minori.

La l. 5 giugno 1967 n. 431, attraverso la quale è stato disciplinato autonomamente l'istituto dell'adozione speciale ossia dell'adozione di minorenni, in applicazione dei principi sanciti dalla Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, prevedeva che il minore potesse divenire figlio a pieno titolo degli adottanti. Era altresì sancito il venir meno del legame tra il minore e la famiglia di origine. A causa di alcune carenze della legge sopra indicata, si è resa necessaria una nuova Riforma dell'adozione, realizzata con la l. 4 maggio 1983 n. 184 che mira alla tutela del minore abbandonato, assicurando a quest'ultimo il diritto ad una nuova famiglia in grado di prendersi cura dello stesso. Analoga funzione è alla base dell'adozione di minori in casi particolari di cui all'art. 44 della stessa legge.

Deve rilevarsi comunque la c.d. “valenza solidaristica”, richiamata nella sentenza in commento, attribuita oggi all'adozione delle persone maggiori di età in tutti i casi in cui l'adottato maggiorenne sia inserito in un contesto familiare in cui si avverta l'esigenza di assicurarne una piena legittimazione.

Nel provvedimento in esame viene poi rilevato che il riconoscimento da parte dell'ordinamento degli effetti giuridici voluti dalle parti, considerato elemento distintivo del negozio, avviene non in via astratta e preventiva, ma in concreto, in base ad una valutazione del giudice il quale di volta in volta ne sancisce l'efficacia. Di qui la definizione dei consensi come “atti strumentali non negoziali”, destinati ad operare non tanto “sul rapporto”, quanto piuttosto su di una “situazione tecnica preparatoria”. L'autorità giudiziaria sarà poi tenuta ad accertare la consapevolezza e la libertà del volere e se “l'adozione conviene all'adottato” (art. 312 n. 2) c.c.

Deve essere poi pienamente condiviso l'orientamento della sentenza in questione secondo cui la suddetta “valenza solidaristica” dell'istituto dell'adozione di persone maggiori di età legittima una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 296 c.c. (che richiede il consenso dell'adottante e dell'adottato) e dell'art. 311, primo comma, c.c. (che prevede la possibilità che il consenso sia prestato dal legale rappresentante dell'adottato). Ciò avuto riguardo anche alla verifica da parte del giudice della rispondenza dell'adozione all'interesse dell'adottato (art. 312 n. 2) c.c.), consentendo così al soggetto maggiorenne interdetto giudizialmente, di manifestare il consenso all'adozione anche attraverso il suo legale rappresentante trattandosi di un atto personalissimo che non gli è espressamente vietato e tenuto conto della tutela sancita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità del 13 dicembre 2006.

Riferimenti

C. M. BIANCA, Diritto civile 1 La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002.

C. M. BIANCA, Diritto civile. La famiglia, Milano, 2014.

CATTANEO, Adozione, Digesto delle discipline privatistiche, I, Torino, 1987, 126.

A. SPANGARO, commento sub art. 427 c.c., in Codice della famiglia, M. SESTA (a cura di), Milano, 2015, 1528.

G. SBISÀ e G. FERRAMDO, in Comm. dir. ital. fam., diretto da G. CIAN, G. OPPO e A. TRABUCCHI, IV, Padova, 2002, 242 e ss.;

GIUSTI, L'adozione di persone maggiori di età, in Tratt. dir. fam., III, Filiazione e adozione, diretto da BONILINI-CATTANEO, Torino, 1997;

PROCIDA MIRABELLI, Adozione di persone maggiori di età, in Comm. cod. civ. SCIALOJA-BRANCA, F. GALGANO (a cura di), Bologna-Roma, 1995;

FERRANDO, Dell'adozione delle persone maggiori di età, Torino, 1991.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.