Figlio maggiorenne non ancora laureato ma con problemi di apprendimento: permane l'obbligo di mantenimento

31 Marzo 2022

La Cassazione torna ancora una volta sulla questione del mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.
Massima

L'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento della prole, previsto dagli artt. 147 e 148 c.c., non cessa automaticamente al raggiungimento della maggiore età del figlio, ma permane fino a quando il genitore interessato non provi che questi abbia raggiunto l'indipendenza economica o che il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda dalla sua inerzia o dal suo rifiuto ingiustificato, ovvero che pur essendo stato posto il figlio nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, lo stesso non ne abbia tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.

Il caso

Il Tribunale di Nuoro dichiarava la separazione di due coniugi, assegnando la casa familiare alla moglie, convivente con il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, non ancora laureato e con problemi di apprendimento, al quale, pertanto, riconosceva un assegno di mantenimento pari ad Euro 150,00 mensili posto a carico del padre.

La pronuncia del giudice di prime cure veniva confermata dalla Corte d'Appello di Cagliari con sentenza del 19 settembre 2017, che riteneva l'attuale condizione del figlio della coppia - al momento della pronuncia trentacinquenne e quasi quattro anni fuori corso - non riconducibile ad una condotta indolente del medesimo o al rifiuto di lavorare, bensì ad una patologia perinatale certificata di cui il padre era a conoscenza. Tale patologia aveva determinato un ritardo nell'apprendimento, condizionando tutto il percorso scolastico del figlio.

Il genitore obbligato impugnava la sentenza della Corte territoriale dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione, affidando il proprio ricorso a due motivi.

Con il primo motivo, il ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 147 e 148 c.c., relativamente all'obbligo del genitore separato di contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne non laureato e non economicamente indipendente in ragione delle sue condizioni di fragilità psicologica, in quanto le problematiche psicologiche di quest'ultimo non erano così gravi da impedirgli di ultimare gli studi universitari intrapresi.

Con il secondo motivo, egli si doleva della erronea interpretazione delle risultanze documentali, poiché l'esigenza, individuata dal giudice d'appello, di permanenza della contribuzione del padre al mantenimento del figlio maggiorenne, risulterebbe indimostrata e, anzi, smentita dalla documentazione acquisita agli atti, dalla quale si evincerebbe solo un semplice ritardo psicomotorio non associato ad una disabilità cognitiva di tale rilevanza da impedire al figlio di preparare la tesi e di conseguire la laurea.

La questione

L'ordinanza che si annota affronta la questione della permanenza dell'obbligo di mantenimento del genitore nei confronti del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, ancora iscritto all'università benché in età avanzata, ma con un ritardo nell'apprendimento causato da una patologia di cui è affetto sin dalla nascita.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso proposto, ritenendo che le osservazioni della Corte territoriale in merito alla condizione di non autosufficienza economica del figlio, non riconducibile ad una condotta indolente o al rifiuto di lavorare bensì ad una patologia perinatale, siano conformi ai principi consolidati in giurisprudenza sul tema, e che le doglianze riferite ai motivi addotti rientrano nell'ambito dell'accertamento di fatto, precluso al sindacato di legittimità. La Suprema Corte richiama in proposito l'indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento della prole, previsto dagli artt. 147 e 148 c.c., non cessa automaticamente al raggiungimento della maggiore età del figlio, ma permane fino a quando il genitore interessato non provi che questi abbia raggiunto l'indipendenza economica o che il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda dalla sua inerzia o dal suo rifiuto ingiustificato (Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2011, n. 19589), ovvero che pur essendo stato posto il figlio nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, lo stesso non ne abbia tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1773; Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1830; Cass. civ., sez. I, 17 novembre 2006, n. 24498).

Osservazioni

Con riferimento al mantenimento della prole maggiorenne, la normativa codicistica sui rapporti tra genitori e figli a seguito della crisi della coppia genitoriale prevede una disposizione ad hoc, l'art. 337-septies c.c. (introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) che, riproducendo integralmente il contenuto dell'abrogata norma di cui all'art.155-quinquies c.c., individua nel conseguimento della indipendenza economica dei figli, il momento in cui cessa l'obbligo di mantenimento gravante sui genitori. In essa, la Corte di Cassazione vi ha ricondotto quanto occorre per consentire un'esistenza libera e dignitosa ai sensi dell'art. 36 Cost. (cfr. Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2007, n. 407).

Accanto al concetto di indipendenza economica, il cui riferimento normativo si trova nella disposizione codicistica poc'anzi richiamata, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato quello di «inerzia colpevole» (cfr. ex multis: Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858; Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11020; Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1773; Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2011, n. 19589) per descrivere la condotta del figlio di disinteresse e di mancanza di impegno nella ricerca della propria autonomia economica.

Nei tentativi della dottrina di individuare un fondamento normativo del concetto di inerzia colpevole elaborato dal diritto vivente, è stata oggetto di critica la tesi che ha rinvenuto tale fondamento nell'art. 315 c.c. (oggi art. 315-bis comma 4 c.c.), norma che sancisce il dovere del figlio di contribuire al mantenimento della famiglia finché convive con essa. In proposito, è stato osservato che la prospettata interpretazione estensiva della parola «reddito» contenuta nella disposizione suddetta - attribuendo ad essa il significato di «capacità di lavoro» desumibile dall'art. 148 comma 1 c.c. (oggi art. 316-bis c.c.), cosicché il figlio avrebbe l'obbligo di contribuire anche e soprattutto con la propria attività lavorativa - non sembra considerare che l'art. 315 c.c. (nell'attuale formulazione, art. 315-bis comma 4 c.c.) presuppone che il figlio già svolga un'attività lavorativa (in tal senso, G. Iorio, Il fondamento dell'estinzione dell'obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, in Famiglia e diritto, 2012, 11, 1069 ss.. L'A. ricostruisce la fattispecie dell'obbligo di contribuzione dei genitori finalizzato al raggiungimento dell'indipendenza economica dei figli, attraverso il ruolo attivo e, dunque, partecipativo degli stessi. Ne deriva che, secondo lo stesso A., tale obbligo si estingue allorché la condotta del figlio lo faccia degradare a mera prestazione patrimoniale, non più strumentale, dunque, al raggiungimento dell'indipendenza economica).

Le questioni riguardanti il mantenimento dei figli maggiorenni che non lavorano e che dimostrano scarso impegno negli studi, sulle quali la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi in questi anni, sono invero assai variegate. La cessazione dell'obbligo di mantenimento, secondo la Suprema Corte, deve fondarsi, infatti, su «un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell'avente diritto» (Cass. civ., sez. I, 2 luglio 2021, n. 18785).

Orbene, la giurisprudenza di legittimità è incline nel ritenere che costituisce un «indicatore forte di inerzia colpevole» la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale ad un'età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è concluso, e la persona è da tempo inserita in società. Ciò, in mancanza di situazioni di tutela che la stessa giurisprudenza indica quali ragioni individuali specifiche di salute, o dovute ad altre particolari contingenze personali, ad un percorso formativo da concludere se iniziato e continuato concretamente, nonché ragioni oggettive, come difficoltà di reperimento o di conservazione di un'occupazione (cfr. sul punto, Cass. civ., sez. I, 2 luglio 2021, n. 18785; Cass., sez. VI., 5 marzo 2018, n. 5088; Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952).

Occorre tener presente, pertanto, le peculiarità che riguardano la singola fattispecie concreta. La condizione di studente fuori corso in un'età avanzata, posta in rilievo nel caso in esame, non ha escluso invero l'obbligo genitoriale di mantenimento del figlio, in quanto il protrarsi degli studi e, dunque, la mancata affrancazione economica dai propri genitori, non è riconducibile alla sua svogliatezza bensì alle gravi problematiche di salute che non hanno consentito allo stesso di ultimare il percorso universitario intrapreso.

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