Deroga alla competenza territoriale per le controversie “relative” al regolamento di condominio

01 Aprile 2022

Con una discutibile pronuncia, la Cassazione ha ritenuto che la clausola del regolamento di condominio, che individua un foro convenzionale per ogni controversia ad esso “relativa”, debba essere interpretata come operante riguardo alla lite instaurata mediante impugnazione di una deliberazione dell'assemblea per vizi relativi alla ripartizione delle spese, trattandosi di controversia in cui il regolamento può rappresentare un fatto costitutivo della pretesa, congiunto ad altri.
Massima

L'accordo, con cui i condomini stabiliscono convenzionalmente il foro territorialmente competente a conoscere ogni controversia relativa al regolamento di condominio, è applicabile a tutte le cause a qualsiasi titolo connesse con l'operatività del regolamento stesso, il quale, in senso proprio, è l'atto di autorganizzazione a contenuto tipico normativo, approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dall'art. 1136, comma 2 c.c., che contiene le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.

Il caso

La sentenza della Corte d'Appello di Milano posta all'esame del Supremo Collegio - per quel che qui rileva - aveva confermato la statuizione, resa in primo grado dal Tribunale meneghino, di incompetenza per territorio, essendo competente il Tribunale di Tempio Pausania, sezione distaccata di Olbia, in forza del foro esclusivo di cui all'art. 23 c.p.c. (dove era sito l'immobile in regime di condominio), escludendo, quindi, che tale foro potesse essere derogato in favore del foro di Milano in forza dell'art. 32 del regolamento condominiale.

Nello specifico, il giudizio concerneva un'impugnazione di deliberazione assembleare ex art. 1137 c.c. in tema di approvazione di consuntivi e ripartizione di spese.

Il giudice di prime cure, confermato sul punto dalla Corte territoriale, aveva declinato la competenza per territorio sulla suddetta domanda di impugnazione proposta da un condomino nei confronti del Condominio, ravvisando, appunto, la competenza del forum rei sitae.

Preliminarmente, si è osservato che la sentenza di primo grado non doveva, a norma dell'art. 42 c.p.c., essere impugnata soltanto con l'istanza di regolamento (necessario) di competenza, sicché era ammissibile l'appello proposto, avendo il gravame riguardato non unicamente la questione relativa alla violazione delle norme sulla competenza, ma anche la risoluzione di ulteriori questioni - di carattere sostanziale o processuale, pregiudiziali di rito o preliminari di merito - che erano state oggetto di decisione (Cass. civ., sez. VI/III, 19 settembre 2013, n. 21507; Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2011, n. 371; Cass. civ., sez. I, 23 aprile 2010, n. 9754; Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 2007, n. 563).

La questione

Si trattava di verificare, in primo luogo, la violazione o falsa applicazione, per un verso, degli artt. 28 e 29 c.p.c. in relazione al foro convenzionale esclusivo previsto dall'art. 32 del regolamento condominiale, e, per altro verso, degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 e 1370 c.c. quanto all'interpretazione del suddetto art. 32.

In secondo luogo, si trattava di verificare la violazione o falsa applicazione degli artt. 78, comma 2, e 33, comma 2, lett. u), del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), in relazione al “foro del consumatore”, trattandosi di condominio in multiproprietà a godimento turnario.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondata la prima doglianza, rimanendo assorbita la seconda.

Invero - come già deciso in un precedente reso tra le stesse parti (Cass. civ., sez. VI/II, 25 agosto 2015, n. 17130), si è considerato che l'art. 23 c.p.c. introduce un “foro speciale esclusivo” per le controversie tra condomini, stabilendo che, per esse, è competente il giudice del luogo in cui si trova l'immobile condominiale (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2006, n. 20076).

Il carattere esclusivo del foro non significa, tuttavia, che lo stesso sia anche inderogabile, atteso che le ipotesi di inderogabilità della competenza territoriale sono stabilite dall'art. 28 c.p.c., e non vi rientra il foro per le cause tra condomini, conseguendone che il foro ex art. 23 c.p.c. è derogabile in presenza di un accordo tra le parti sul punto.

Nella specie, il foro convenzionale era stabilito dall'art. 32 del regolamento condominiale per ogni controversia “relativa al presente regolamento”, e oggetto di lite era - come sopra rilevato - l'impugnazione di una deliberazione condominiale avente ad oggetto l'approvazione dei consuntivi riguardanti determinati anni ed i relativi riparti.

Seguendo la consolidata giurisprudenza elaborata con riferimento all'art. 28 c.p.c. (v., ad esempio, Cass. civ., sez. VI/I, 31 marzo 2017, n. 8548; Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 2010, n. 24869), gli ermellini hanno allora affermato che “l'accordo con il quale i condomini stabiliscono convenzionalmente il foro territorialmente competente a conoscere ogni controversia relativa al regolamento di condominio è applicabile a tutte le cause a qualsiasi titolo connesse con l'operatività del regolamento stesso, il quale, in senso proprio, è l'atto di autorganizzazione a contenuto tipico normativo approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'art. 1136 c.c. e che contiene le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione (art. 1138, comma 1, c.c.)”.

In conclusione, la sentenza impugnata è stata, pertanto, cassata, stante l'errata pronuncia di incompetenza, con rinvio alla Corte d'Appello di Milano - in diversa composizione - la quale deciderà sul merito della causa, restando esclusa la rimessione al primo giudice (Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2010, n. 12455).

Osservazioni

La decisione in commento non convince, atteso che la volontà delle parti - da leggere in senso restrittivo, operando una deroga alla normale competenza per territorio di cui all'art. 23 c.p.c. - laddove si riferiva alle cause “relative” al regolamento di condominio, sembrava riguardare piuttosto soltanto l'interpretazione o/e l'applicazione di una disposizione di tale regolamento, laddove l'impugnazione concerneva, invece, una normale impugnazione di una delibera in materia di spese, che veniva opposta in relazione all'inserimento di spese extracondominiali e per la scarsa intellegibilità contabile dei documenti, e non certo per la violazione di norme regolamentari.

In altri termini, l'espressione “relative” era da leggere come sinonimo di “attinente” al regolamento, ossia tutto ciò che interessava quel particolare statuto della vita condominiale dell'edificio de quo, mentre l'impugnativa oggetto del giudizio non sembrava rinvenire nel regolamento alcun fatto costitutivo.

Il fatto che un regolamento contiene, di regola, norme sull'uso delle cose comuni, sul riparto delle spese, sul decoro architettonico e sull'amministrazione, non significa che qualsiasi impugnazione di delibera rientri nella clausola derogatoria, il cui perimetro applicativo doveva essere circoscritto alle controversie concernenti il regolamento, per quel che quest'ultimo aveva, appunto, specificamente disposto.

Allargando i concetti e prendendo spunto dalla fattispecie oggetto della sentenza in commento, stante la legittimità dellanorma del regolamento condominialeche preveda una clausola compromissoria, con il correlativo obbligo di chiedere la tutela all'organo designato competente, va precisato che unico strumento utile per l'inserimento di tale clausola non appare il regolamento assembleare approvato dalla maggioranza di cui all'art. 1138, comma 3, c.c., non potendo la maggioranza dei partecipanti al condominio incidere sui diritti propri di ciascun condomino (argomentando da Cass. civ., sez. II, 19 settembre 1968, n. 2960).

Invero, per come emerge dal combinato disposto degli artt. 1138, comma 4, e 1137, comma 2, c.c., all'assemblea del condominio non si riconosce il potere di menomare le facoltà ed i poteri individuali, attinenti all'uso o al godimento oppure afferenti alla partecipazione ed alla gestione delle cose comuni; quindi, del potere di impugnare le deliberazioni condominiali davanti all'autorità giudiziaria, siccome garantito dalla legge in favore dei partecipanti ed espressamente dichiarato intangibile dalla maggioranza, possono disporre soltanto i condomini in virtù dell'autonomia negoziale, e non può disporre l'assemblea approvando il regolamento di condominio - non all'unanimità dei partecipanti, ma - con il consueto canone della maggioranza dei presenti (Trib. Cagliari 27 febbraio 1973).

D'altronde, deve avvertirsi che l'introduzione della clausola compromissoria nel regolamento di condominio è cosa che esula dal contenuto vero e proprio del regolamento stesso, quale è descritto - come sopra rilevato - dall'art. 1138, comma 1, c.c. (che deve contenere “le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonchè le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione”).

Nel caso di regolamento approvato a maggioranza, l'assemblea, quindi, non può vincolare la libertà dei dissenzienti, in base al principio che la scelta del giudice ordinario o elettivo è un diritto di cui ognuno può disporre, e che non può essere lasciata alla mercè della maggioranza condominiale, la quale, sebbene sia competente in ciò che riguarda la gestione delle cose comuni, non lo è, invece, nelle materie che toccano i diritti individuali dei condomini.

Pertanto, deve considerarsi invalida la clausola, contenuta nel predetto regolamento approvato a semplice maggioranza, che attribuisce alla cognizione degli arbitri l'impugnativa delle statuizioni assembleari (o deroghi, come nel caso di specie, la competenza territoriale); di contro, la medesima clausola risulta valida se il regolamento, in cui è inserita, è di tipo c.d. contrattuale, e cioè se lo stesso è approvato, con consenso in forma scritta, da tutti i condomini, nessuno escluso, o sorga, unitamente al fabbricato, ad iniziativa del costruttore, che lo impone agli acquirenti degli appartamenti, mediante un richiamo espresso nei singoli atti di trasferimento.

Appare più rara l'ipotesi - forse praticabile nei condominii c.d. minimi - che il compromesso sia approvato in sede assembleare con il voto della totalità dei partecipanti, mentre dovrebbe ritenersi nulla una clausola del regolamento condominiale che demandi la risoluzione di controversie tra i condomini ad un collegio eletto dall'assemblea, senza esigere l'unanimità o almeno il voto favorevole del partecipante alla lite, stante l'inderogabile principio per cui gli arbitri devono essere designati con il concorso della volontà di entrambi i contendenti, e non devono essere espressione delle determinazioni di una soltanto delle parti.

Qualora, invece, gli acquirenti delle singole unità immobiliari abbiano conferito mandato al costruttore di provvedere alla redazione del regolamento di condominio, deve convenirsi che l'inserzione, in quest'ultimo, di una clausola compromissoria sarà valida solo nel caso in cui di essa si faccia espressa menzione nel medesimo mandato (Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1984, n. 3406).

In ogni caso, per una corretta applicazione di una clausola compromissoria contenuta in un regolamento condominiale che deroghi a quanto previsto dall'art. 1137 c.c., devolvendo ad arbitri la materia delle impugnazioni alle delibere assembleari, appare preferibile sempre attenersi a quanto dichiarato dalle parti, e, in caso di dubbio, privilegiare l'interpretazione che fa salva la libertà delle parti medesime di ricorrere al giudice, non potendosi presumere, se non in presenza di espressioni inequivocabili, la rinuncia alla normale tutela giurisdizionale (v., per una fattispecie concreta, Trib. Milano 6 aprile 1992).

Tuttavia, il fatto che una delle parti abbia omesso di far valere tale clausola nel corso del procedimento con il quale sono stati richiesti i provvedimenti urgenti o lato sensu cautelari, non deve indurre a ritenere che vi sia stata una rinuncia tacita alla competenza arbitrale per quanto concerne il relativo giudizio di merito.

In questa prospettiva, si è chiarito che la clausola compromissoria, inserita in un regolamento condominiale di tipo contrattuale, riferentesi “unicamente” alle controversie tra condomini o tra uno di essi e l'amministratore, non debba essere estesa ad altre ipotesi nelle quali l'oggetto del contendere sia consistito da una delibera assembleare (Trib. Milano 14 marzo 1991); così, nell'ipotesi in cui si decida la devoluzione agli arbitri delle controversie tra condomini relative esclusivamente “alla comproprietà ed all'uso delle cose comuni”, la clausola non dovrebbe essere operativa allorchè il condomino faccia valere il proprio diritto di proprietà esclusiva, sia pure in relazione a situazioni connesse o dipendenti dalla comproprietà o dall'uso delle cose comuni oppure da deliberazioni assembleari riguardanti le medesime.

Se, invece, la clausola compromissoria contempla “qualsiasi” controversia tra i condomini o tra questi e l'amministratore avente per oggetto lo stabile o il regolamento di condominio, si deve ritenere compresa anche la domanda proposta dall'amministratore per conseguire da un condomino il pagamento del contributo per spese ordinarie deliberate dall'assemblea, pure quando la relativa deliberazione non è stata impugnata (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1964, n. 1251); come dovrebbero rientrare, ad esempio, anche le controversie concernenti la richiesta, fatta dal condominio nei confronti di un condomino, che ha eseguito alcune opere abusivamente, di rimuovere le stesse, di ripristinare il precedente uso dell'unità immobiliare in cui sono stati realizzati i lavori, e di risarcire i danni provocati alla collettività condominiale.

Sempre in ordine all'àmbito della clausola compromissoria, deve, però, ritenersi che la stessa non può essere estesa alle questioni che, nei rapporti condominiali, possono avere trovato la loro mera occasione, ma che dipendono dall'interpretazione di norme generali che tutelano diritti di carattere assoluto, la cui fonte è estranea alla disciplina del condominio.

Riferimenti

Cirla, Il concetto di causa condominiale ed il giudice competente a decidere, in Immob. & proprietà, 2013, 357;

Celeste, Per le controversie condominiali vige il foro speciale esclusivo, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 10, 29;

Izzo, Per le liti condominiali è competente il giudice del luogo dove si trova l'immobile, in Corr. giur., 2006, 1682;

Carrato, Il foro speciale di cui all'art. 23 c.p.c. si applica anche alle controversie tra condominio e condomino, in Rass. loc. e cond., 2006, 235;

Saltarelli, Decreto ingiuntivo richiesto da amministratore di condominio e competenza territoriale, in Arch. loc. e cond., 1988, 616;

Ramella, Clausola compromissoria nel regolamento condominiale, in Giur. it., 1985, I, 2, 7;

Ceniccola, Condominio e clausola compromissoria, in Vita notar., 1985, 599;

Raschi, La clausola compromissoria nei regolamenti condominiali, in Nuovo dir., 1968, 11.

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