Parto anonimo. Prevale il diritto all'oblio se la madre è incapace

Sabina Anna Rita Galluzzo
01 Aprile 2022

Il figlio, nato da parto anonimo, ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a decidere di conservare o meno l'anonimato.
Massima

Il figlio, nato da parto anonimo, ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a decidere di conservare o meno l'anonimato. Di conseguenza, se, per un verso, deve consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, per altro verso occorre tutelare anche l'equilibrio psico-fisico della genitrice, sicché il diritto all'interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta.

Il caso

conoscere l'identità dei suoi genitori biologici ai sensi dell'art. 28 della l. 184/1983. La richiesta peraltro veniva respinta sia in primo grado che in Corte d'Appello.

La Corte territoriale in particolare rilevava una grave compromissione delle facoltà cognitive e volitive della madre naturale del ricorrente che, interpellata dal Tribunale, non era stata in grado di esprimere la propria volontà e addirittura neppure di ricordare la nascita del figlio.

Contro tale sentenza viene proposto ricorso in Cassazione.

La questione

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi della delicata quanto attuale questione del diritto dell'adottato a conoscere le proprie origini, questione che coinvolge diversi e contrapposti interessi, tutti meritevoli di tutela, sul cui bilanciamento sono più volte intervenute dottrina e giurisprudenza.

Il diritto all'anonimato della donna che partorisce e decide di abbandonare il nato si contrappone infatti al diritto del figlio che, diventato adulto, decide di conoscere le proprie origini. Tale diritto è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla l. 149/2001 che ha anche stabilito l'obbligo per i genitori adottivi di informare il figlio di questa sua condizione. In materia i molteplici interventi giurisprudenziali hanno cercato dei punti di equilibrio tra le due posizioni valorizzando la volontà della donna, sottolineando come col passare del tempo la stessa potrebbe anche decidere di conoscere questo figlio che la sta cercando. Variegate sono peraltro le situazioni che si possono presentare nella prassi. Problematica in particolare è la fattispecie in cui la madre, interpellata dal tribunale, a causa delle precarie condizioni di salute, non sia in grado di esprimere in alcun modo la propria volontà.

Le soluzioni giuridiche

La Corte, con la sentenza in esame, dopo aver analizzato lo stato normativo e giurisprudenziale della materia respinge il ricorso.

Com'è noto l'adottato ultraventicinquenne può, ai sensi dell'art. 28, comma 7, della l. 184/1983, come modificato dalla l. 149/2001, accedere ai dati relativi all'identità dei suoi genitori d'origine. Tale diritto di accesso alle informazioni relative ai genitori biologici peraltro trova un limite nella volontà della madre, espressa al momento del parto, di non essere nominata. La legge riconosce infatti alla partoriente un diritto all'anonimato. In particolare il d.P.R. 396/2000 all'art. 30 stabilisce che quando la madre al momento del parto dichiara di non voler essere nominata le persone tenute ad effettuare la dichiarazione di nascita (uno dei genitori, un procuratore speciale, il medico, l'ostetrica o altra persona che ha assistito al parto), hanno l'obbligo di rispettare la sua volontà. Il codice in materia di dati personali inoltre tutela per cento anni le informazioni relative alla donna che non vuole essere nominata (D.lgs 196/2003 art. 93).

Quest'assetto legislativo è stato modificato da un importante intervento della Corte Costituzionale che, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma, ha affidato al giudice il compito, su richiesta del figlio, di interpellare la donna che abbia dichiarato di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. La Consulta in particolare ha sottolineato i profili di irragionevolezza nell'irreversibilità dell'anonimato della madre biologica, prevedendo la possibilità di un interpello di questa da attuarsi all'interno di un procedimento caratterizzato dalla massima riservatezza (Corte cost. 278/2013).

La Cassazione, nel caso in esame, richiama l'intervento additivo della Consulta, precisando come il giudice delle leggi abbia affermato, la necessità di effettuare il bilanciamento tra il diritto della madre all'anonimato, che si fonda "sull'esigenza di salvaguardare madre e neonato”, e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Il bisogno di conoscenza, si sottolinea nella sentenza, rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l'intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale.

Peraltro precisa la Corte nel cado in esame , “se, per un verso, deve consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, per altro verso occorre tutelare anche l'equilibrio psico-fisico della genitrice”. Fondamentale risulta pertanto la volontà della donna, nonché la tutela del suo stato emotivo.

Nella specie infatti, la donna adeguatamente consultata, non era stata ritenuta in grado, a causa delle sue gravi condizioni di salute, di esprimere un'opinione e nemmeno di capire la situazione. Pertanto secondo la Cassazione l'interpello aveva avuto esito negativo. Gli Ermellini, affermano di conseguenza, confermando il provvedimento della corte territoriale, che il diritto all'oblio della donna, inteso sia come suo diritto di dimenticare, sia come diritto di essere dimenticata, era ancora sussistente e meritevole di protezione. La madre nella specie non aveva infatti mai avuto contatti e notizie del figlio per oltre quarant'anni e, versava in condizioni mentali tali che una rievocazione della nascita del figlio avrebbe potuto pregiudicare il suo attuale stato psichico.

Il diritto alla conoscenza delle origini pertanto, conclude la Cassazione, non sussiste quando la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta.

Si è in tal senso recentemente precisato che il diritto a conoscere l'identità della madre deve essere contemperato con la persistenza della volontà di questa di rimanere anonima e deve essere esercitato secondo modalità che ne proteggano la dignità, tenendo dunque in considerazione la salute della donna e la sua condizione personale e familiare.

Si sottolinea in proposito come l'esigenza, evidenziata all'art. 28, comma 6, l. 184/1983, di evitare che l'accesso alle notizie sulle proprie origini biologiche non procuri “grave turbamento dell'equilibrio psico-fisico del richiedente” (l'adottato), riguarda anche la madre biologica. L'indicazione normativa, infatti, precisa la giurisprudenza, deve valere per tutte le posizioni coinvolte nella vicenda, cosicché la ricerca della madre naturale e il contatto con la stessa ai fini dell'interpello riservato devono essere gestiti “con la massima prudenza ed il massimo rispetto, oltre che della libertà di autodeterminazione, della dignità della donna, tenendo conto della sua età, del suo stato di salute e della sua condizione personale e familiare”. In sostanza, lo stato di salute e l'età della madre naturale, che aveva, al momento del parto, scelto l'anonimato, sono fattori determinanti ai fini dell'esame dell'istanza di interpello della stessa (Cass. 22497/2021).

In quel caso al figlio nato da parto anonimo era stato negato l'accesso alla conoscenza delle origini familiari, non essendo possibile acquisire un valido consenso dalla madre, divenuta incapace. Gli era stato peraltro riconosciuto, il diritto di accesso ai dati sanitari della genitrice. La Corte in particolare in quell'occasione aveva sottolineato la distinzione tra il diritto a conoscere le origini e il dirittoad accedere alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, al fine di accertare la sussistenza di eventuali malattie ereditarie trasmissibili, che può essere esercitato indipendentemente dalla volontà della donna e anche prima della sua morte, purché ne sia garantito l'anonimato “erga omnes”, anche dunque nei confronti del figlio (Cass. 22497/2021).

Centralità assume pertanto nel bilanciamento di valori entrambi di rango costituzionale la volontà della madre a mantenere l'anonimato, volontà che potrebbe nel tempo mutare, o che, come insegna il caso di specie può anche non poter essere espressa a causa delle condizioni mentali della donna.

Osservazioni
Nel caso in esame la donna non può essere interpellata o perlomeno, pur interpellata, non può esprimere la sua volontà a causa dello stato di salute. Diverso è il caso di decesso della donna. Anche in tale ipotesi la sua volontà non può essere espressa ma nel periodo successivo alla morte della donna, la tutela del diritto del figlio a rivendicare le proprie origini diventa prevalente. In una simile situazione, precisa la Cassazione, cambiano i valori di rango costituzionale da bilanciare e “l'esigenza di tutela dei diritti degli eredi e discendenti della donna che ha optato per l'anonimato non può che essere recessiva rispetto a quella del figlio che rivendica il proprio status” (Cass. 19284/2021, si veda Galluzzo, Diritto della madre all'anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle origini, in ilfamiliarista.it, dicembre 2020). Si è al contrario peraltro sostenuto in dottrina che se il diritto all'immagine, sopravvive alla morte e può essere esercitato dagli eredi, non pare sussistano ragioni ontologiche le quali impediscano di ritenere che pure il diritto alla riservatezza possa essere tutelato anche dopo la scomparsa del titolare (Di Marzio, Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle origini, in Famiglia e diritto, 8/9 2017).In questo continuo bilanciamento va comunque sempre ricordato che il diritto della madre a non essere nominata in occasione del parto ha la funzione principale di contrastare la scelta abortiva (Cass. 15024/2016).

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